La creazione in Tommaso, verità razionale o dato di fede?

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1 100 Aldo Vendemiati FFB RHONHEIMER M., Thomas von Aquin: Das ewige und das natiirliche Gesetz (Summa Theologiae, I-II, q. 90, 91, 94). Eùifìihrung, in R. SPAEMANN - W. SCHWEIDLER (Hrsg.), Ethik - Lehr- und Lesebuch. Te:x:!e - Fragen - Antworten, Klett-Cotta, Stuttgart 2006, pp SALA G.B., La legge morale naturale: dove sta scritta?, in La Scuola Cattolica 134 (2006), pp VENDEMIATI A., Dio comefondamento dell'etica nelpensiero di san Tommaso d'aquino, in Salesianum 68 (2006), pp ANGELINI G. (a cura), La legge naturale. I principi dell'umano e la molteplicità delle culture, Glossa, Milano CESSARlO R., Saint Thomas and the Enculturation r.if the Natural Law: Doing Moral Theology on Earth, in Doctor Communis. Nova Series 10 (2007), pp ELDERS Ll-, St. Thomas's Doctrine r.if the Natural Law, in T. Guz (Hrsg.), Das Naturrecht und Europa (v. infra), pp GUZ, T. (ed.), Das Naturrecht und Europa, Peter Lang, Frankfurt am Main LISSKA AJ., On the Remval r.if Natural Law: Several Books from the Last Ha!fDecade, in American Catholic PhilosophicalQuarter{y 81 (2007), pp O'REILLY K E., The Vision r.if Virtue and Knowledge r.if the Natural Law in Thomas Aquinas, in Nova et Vetera 5 (2007), pp SElFERT ]., Natural Law: Persons Are United Through Ends: Seven Dif.1èrent Relations Between Persons and Ends and Their Relation to Natural Law and Community r.if Persons, in Revista Espaiiola de Teologia 67 (2007), pp VIJGEN]., Réflexions thomistes sur les fondements de la loi naturelle, in T. Guz (Hrsg.), Das Naturrecht und Europa (v. supra), pp ZUCKERT M., The Fullness r.if Being: Thomas Aquinas and the Modern Critique r.if Natural Law, in The Remew r.if PoliticI, 69 (2007), pp GERARDI R. Ca cura), La legge morale naturale. Problemi e prospettive, Lateran University Press, Roma Introduzione La creazione in Tommaso, verità razionale o dato di fede? RAFAEL PASCUAL LC Nel 1981, l'allora cardinale Joseph Ratzinger tenne una serie di prediche quaresimali sul tema della creazione. Lui stesso spiegava il motivo nella prefazione del libro che raccoglie le sue riflessioni di allora. Questo ci fa capire l'importanza e l'attualità del tema che abbiamo scelto per il nostro intervento. Infatti, come si diceva nel testo al quale ho appena accennato, il tema della creazione, spesso dimenticato nella teologia e nella catechesi contemporanee, è urgente. 1 Certamente non abbiamo la pretesa di presentare qui la dottrina della creazione dell'aquinate, sarebbe un compito troppo ampio, ma soltanto approfondire alcune questioni che ancora oggi sono oggetto di studio e di discussione tra gli esperti. In primo luogo, non possiamo evitare di segnalare l'importanza della dottrina della creazione nel pensiero di Tommaso d'aquino. Il tema della creazione, tra l'altro, costituisce l'asse della Summa Theologiae. Come ricordava lo stesso cardinale Ratzinger in un'altra occasione, seguendo un'intuizione di Chesterton, l'aquinate potrebbe essere chiamato Thomas a Creatore: «Chesterton, cui tanto spesso sono riuscite delle formulazioni indovinate, ha colto un aspetto d'importanza decisiva nell'opera di san Tommaso d'aquino quando ha osservato che, se al grande dottore si dovesse apporre un nome nel modo in cui si è soliti fare nell'ordipe dei carmelitani (del Bambin Gesù... della Mal <<La minaccia alla vita da parte dell'azione dell'uomo, di cui oggi tanto si parla, ha conferito nuova urgenza al tema della creazione. Nello stesso tempo, però, assistiamo paradossalmente alla scomparsa quasi totale dell'annuncio della creazione dalla catechesi, dalla predicazione e perfino dalla teologia. I racconti della creazione vengono nascosti; le loro affermazioni non sembrano più proponi bili. Di fronte a questa situazione, nella primavera del 1981 mi decisi a tenere quattro prediche quaresimali nella Cattedrale di Nostra Signora di Monaco e a tentare così una catechesi per adulti sulla creazione» G. RATZINGER/BENEDETrO XVI, In. prindpio Dio creò il de/o e la terra. Riflessioni sulla crea!(jone e il peccato, Lindau, Torino 2006, p. 9).

2 102 Rafoel Pascual Le La creazione in Tommaso dre di Dio... ), bisognerebbe chiamarlo <CThomas a Creatore".2 Il creatore e la creazione sono il nucleo del suo pensiero teologico; e qualcosa depone in favore della tesi che solo con l'approfondimento intellettuale completo della fede nella creazione, l'approfondimento cristiano dell'eredità antica sia giunto al suo traguardo. In una celebrazione di Tommaso viene perciò spontaneo pensare al tema della creazione» La considerazione razionale del tema della creazione La prima questione che possiamo trattare è se il tema della creazione sia soltanto teologico, oppure abbia anche un carattere ed una dimensione filosofica. a) 1/ rapporto fede-ragione in san Tommaso Come premessa, dobbiamo partire dalla visione armonica del rapporto fede e ragione che caratterizza il pensiero di Tommaso. Come illustrazione, possiamo prendere un testo della Somma contro i gentili, che ha come titolo Quod ventati ftdei chnstianae non contranatur ventas rationis, in cui si afferma proprio questo: non è possibile che una verità di fede possa essere contraria ai principi che la ragione conosce naturalmente. E la spiegazione di questa posizione è semplice: tali principi ci sono stati indotti proprio da Dio, perché Lui è l'autore della nostra natura. Il testo a cui ci riferiamo conclude così: «Ex quo evidenter colligitur, quaecumque argumenta contra fidei documenta ponantur, haec ex principiis primis naturae inditis per se notis non recte procedere. Unde nec demonstrationis vim habent, sed vel sunt rationes probabiles vel sophisticae. Et sic ad ea solvenda locus relinquitud>.4 Ci sono diversi testi in cui Tommaso fa appello ai principi della ragione. Per esempio, quando vuole dimostrare che negli esseri spirituali non c'è composizione di materia e forma, contrariamente ad Avicebron, che sosterrebbe 2 Cfr. J. PIEPER, Einleitung if': Thomas von Aquin, Sentenzen iiber Gott und die Weit, Johannes Verlag, Trier 1987, p. 33; «Pieper fa sua l'opinione di Chesterton: il nome più appropriato per Tommaso d'aquino sarebbe "Tommaso del Creatore", Thomas a Creatore» O. VUÀ.AGRASA, L'originale metafisica crea!"{!omsta di Tommaso d'aquino, inalpha Omega lo (2007/2), p. 212, nota 5). 3 J. RATZINGER / BENEDETrO XVI, In principio Dio creò il cielo e la terra, cit., p SGI, 7. tale composizione, afferma che tale tesi ripugna comunemente ai detti dei filosofi (<<dictis philosophorum communiter repugnat»).5 Un altro esempio lo troviamo nella conclusione dell'opuscolo De unitate intellectus contra averroistas: l'argomentazione svolta non si poggia sui documenti della fede, ma sulle ragioni dei filosofi (<<non per documenta fidei, sed per ipsorum philosophorum rationes et dicta»).6 Tommaso in questo modo riconosce i diritti della ragione, la quale è competente ed autonoma nel proprio ambito. Si può dire di conseguenza che, da parte di Tommaso, c'è una visione positiva delle capacità della ragione umana, sebbene sia ben conscio anche dei suoi limiti, di quelli naturali e di quelli dovuti al suo stato decaduto, come conseguenza del peccato originale. Un altro esempio della sua fiducia nella ragione lo troviamo nell'apertura di Tommaso ai pensatori di qualsiasi ambito culturale: i filosofi pagani (platone, Aristotele, Proclo, ecc.), quelli musulmani (come Avicenna, Averroè, ecc.), gli ebrei (Mosè Maimonide, Avicebron). Giovanni Paolo II nell'enciclica Fides et Ratio parla proprio del rapporto dialogico che Tommaso seppe stabilire con il pensiero arabo ed ebreo, 7 così come dell'universalità del suo pensiero, per il fatto che ogni verità, in ultima istanza, proviene dallo Spirito Santo (<<omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est»).8 D'altra parte, nella stessa enciclica si fa presente come per Tommaso la fede non abbia paura della ragione, ma addirittura la ricerchi e confidi in essa. 9 Questi principi sono applicati alla questione della creazione. Al riguardo, il pensiero dell'aquinate è molto chiaro ed esplicito: «Quod creationem esse, non tantum fides tenet, sed etiam ratio demonstrat».l0 5 De ente 4. 6 De unitate 5. 7 «Un posto tutto particolare in questo lungo cammino spetta a san Tommaso, non solo per il contenuto della sua dottrina, ma anche per il rapporto dialogico che egli seppe instaurare con il pensiero arabo ed ebreo del suo tempo» (FR 43). B Questa frase, attribuita a sant'ambrogio, si trova ben sedici volte negli scritti di Tommaso d'aquino, per esempio: I Sento d. 19, q. 5, a. 2, ad 5; I Sento d. 46, a. 4, ex.; II Sento d. 28, a. 5, ago 1. Nel De potentia si indica anche il riferimento concreto della fonte: «Dt didt Glossa Ambrosii I Coro XII, 3, super illud: nemo potest dicere, Dominus Iesus, omne verum, a quocumque dicatur, a spiritu sancto est» (QD potenti a, q. 1, a. 3, ago 6). «Intimamente convinto che "omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est", san Tommaso amò in maniera disinteressata la verità. Egli la cercò dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo la sua universalità» (FR 44). 9 Cfr. FR43. IO II Sento d. 1, q. 1, a. 2.

3 104 &Ifael Pascual LC b) Riflessione metafisica sulla creazione: l'essere di Dio e quello delle creature Come si è detto all'inizio, non intendiamo sviluppare l'argomento della creazione in tutta la sua ampiezza, perché sarebbe troppo generale ed impegnativo, ma ci fermeremo ad alcune conseguenze ed applicazioni concrete. Si potrebbe sintetizzare il pensiero filosofico di Tommaso al riguardo, dicendo che si può dimostrare la verità della creazione a partire dal carattere "creaturale" delle cose, il quale si manifesta: - a partire dalla sua struttura ontologica: il fatto che le cose siano "composte", esige che ci sia una causa della loro composizione; - a partire della sua indole contingente: le cose non sono necessariamente; l'essere non spetta loro di per sé, ma l'hanno ricevuto dall'essere necessario e assoluto che è Dio; alle cose capita di esistere; in questo senso, l'essere non gli è dovuto, non appartiene alla loro essenza, e per questo, in un certo qual modo, gli è "accidentale"; - a partire della sua pluralità, perché questo implica che qualunque perfezione si trova sia limitata, sia partecipata in diverse entità. Infatti, soltanto Dio è in senso pieno; anzi, Lui è Ipsum esse, 'è' per essenza, la sua essenza è quella di essere; è assolutamente semplice: in Lui essere ed essenza coincidono. Le altre realtà non sono il loro essere, ma hanno l'essere, e lo hanno perché ne partecipano; per questo sono per partecipazione; nelle cose create l'essere è altro dall'essenza (c'è una distinzione reale fra questi due principi ontologici); c'è una composizione di essere ed essenza, la quale implica una causa, perché non possono darsi l'essere da loro stesse, ma lo ricevono da un principio estrinseco. Dio è per essentiam; le cose sono per participationem. 11 Nel caso di Dio, bisogna parlare della semplicità ontologica, nel senso che in Lui non c'è composizione, e nemmeno propriamente distinzione, ma identità tra essere ed essenza: Egli è Essere per essenza, anzi Ipsum esse subsistens, Atto puro; in Lui l'essenza non limita l'essere, e nemmeno è altro Jell'essere 11 «Necesse est ut omnia composita et patticipantia, reducantur in ea, guae sunt per essentiam, sicut in causas» (In Mel. II, le. 2, n. 296). «Omne illud quod est secundum participationem, reducitur ad aliquid quod sit illud per suam essentiam, sicut ad primum et ad summum; sicut omnia ignita per patticipationem reducuntur ad ignem, qui est per essentiam suam talis. Cum ergo omnia quae sunt, participent esse, et sint per participationem entia, necesse est esse aliquid in cacumme omnium rerum, quod si! ipsum esse per suam essenliam, idest quod sua essenlia si! suum esse: et hoc est Deus, qui est sufficientissima, et dignissima, et perfectissima causa tolius esse, a quo omnia quae funi, participant esfe» (Super Ioannem, prooem.). li corsivo è mio. La creazione in Tommaso stesso: <<ln Deo ipsa essentia subsistens est, unde sibi secundum se debetur esse; immo ipsa est suum esse subsistens».12 Dio non è propriamente un ente, ma piuttosto è Ipsum esse subsistens; trascende ogni genere, ed è necessariamente unico. Non si può rinunciat"e alla distinzione reale di essenza ed essere, benché si concepiscano come due principi correlativi dell'ente, senza distruggere il fondamento di tutta la metafisica tomista. Ci sarà, sicuramente, una continuità fra la metafisica di Aristotele e quella di Tommaso, ma è altrettanto vero che Aristotele non è arrivato ad esplicitare la distinzione reale di essere ed essenza. È vero che Tommaso non intende rompere con la filosofia dello Stagirita, ma allo stesso tempo non si può negare che la superi e la trascenda con la dottrina della composizione essere-essenza, la quale a nostro avviso risulta, non tanto dalla luce superiore della rivelazione (come sostengono Gilson, e Fabro, a partire dal celebre passaggio del riferimento a Es 3,14 nella se II, 52), ma anche, e piuttosto, dallo studio delle sostanze separate, per capire come sia possibile la loro molteplicità, e la loro distinzione rispetto a Dio. Proprio su questo argomento ci manca una dottrina in Aristotele, cioè come secondo lui sia possibile una molteplicità di sostanze separate. Come dirà lo stesso Tommaso, non abbiamo a disposizione una dottrina sulle sostanze separate in Aristotele, o perché non la scrisse, oppure perché è andata persa. 13 L'esse di Tommaso è tutt'altro dell'ens pauperrimum di certa scolastica, che quanto più si determina, più perfetto è. Esso è di per sé atto, perfezione piena ed illimitata. Quello che è semplicemente esse, cioè atto puro, l'ipsum esse, è perfettissimo di per sé. Quello che si a.ggiunge all' esse, lo limita, lo fa diventare un quid, un aliquid, un qualcosa. L'essere di Dio (parlando impropriamente, giacché Dio non 'ha' essere, ma 'è' l'essere stesso, Ipsum esse subsistens), non è ricevuto né limitato da una qualche essenza o natura. Per questo è infinito, perfettissimo, semplice, e per questo soltanto Lui è il suo essere. Invece, come abbiamo detto, le altre cose, gli enti, hanno l'essere, sono composti di essere ed essenza. 14 Così Tommaso può dire quello che Aristotele non arrivò a dire mai: «Hoc quod dico esse est actualitas omnium actuum, et propter hoc est perfectio 12 III Seni. d. 6, q. 2, a. 2, ad Cfr. per esempio nel De unila!e 5: «Quomodo autem hoc Aristotiles solveret, a nobis sciri non potest, quia illam parte~ Methaphisice non habemus quam fecit de substantiis separatis». 14 Cfr. SG II, 52; STI, q. 44, a. 1; In De hebd. le. 2;QD quolibet III, q. 8; De sub. sep. 9.

4 106 Rafael Pascual Le om~ium perfectionum»,15 e ancora: «ipsum esse est perfectissimum omnium, comparatur enim ad omnia ut actus [... ] ipsum esse est actualitas omnium rerum»;16 <<ipsum esse est actus ultimus qui participabilis est ab omnibus, ipsum autem nihil participat; unde si sit aliquid quod sit ipsum esse subsistens, sìcut de Deo dicimus, nihil particìpare dicìmus».11 L'essere di Dio non ha bisogno di essere determinato da qualcos'altro, anzi, non ammette nessuna additio. 18 In questo modo si può arrivare a dire: «Deus est esse tantum»;19 è l'essere sine additione,20 e proprio per questo «habet omnes perfectiones»; Dio <<perfectum simplicìter dicitud>, giacché «Deus in ipso esse suo omnes perfectiones habet».21 Soltanto a Dio spetta l'essere per essenza, e non, come le altre cose (gli enti), per partecìpazione. 22 La 'sostanza' di Dio è il suo stesso essere;23 e questo suo essere è assoluto ed indeterminato. 24 Per questo, il nome più adeguato a Dio è proprio quello che troviamo nel libro dell'esodo: «Qui est:».25 Proprio per questo, come abbiamo già detto, Dio non si trova in nessun genere, nemmeno propriamente in quello della sostanza QD potentia q. 7, a. 2, ad STI, q. 4, a. 1, ad QD anima a. 6, ad «Divinum esse est determinatum in se et ab omrubus aliis divisum, per hoc quod sibi nulla additio fieri potesb) (I Sento d. 8, q. 4, a. 1, ad 1); <<Divinum autem esse est absque additione non solum in cogitatione, sed etiam in rerum natura: nec solum absque additione, sed etiam absque receptibilitate additionis. Unde ex hoc ipso quod additionem, non recipit nec recipere potest, magis concludi potest quod Deus non sit esse commune, sed proprium: etiam ex hoc ipso suum esse ab omnibus allis distinguitur quod nihil ei addi potest» (Se I, 26); «Si autem ponatur aliqua res, quae sit esse tantum, ita ut ipsum esse sit subsistens, hoc esse non recipiet additionem differentiae, quia iam non esset esse tantum, sed esse et praeter hoc forma aliqua; et multo rninus reciperet additionem materiae, quia iam esset esse non subsistens sed materiale. Unde relinquitur quod talis res, quae sit suum esse, non potest esse nisi una. Unde oportet quod in qualibet alia re praeter eam aliud sit esse suum et aliud quiditas ve! natura seu forma sua» (De ente 3). 19 De ente 4. zo Cfr. ST1, q. 3 a. 4 ad L 21 De ente Cfr. Com. Th. I, <<Dei substantia est ipsum eius esse» (De sub. sep. 14). 24 «Hoc nomen 'qui est' dicit esse absolutum et indeterrninatum per aliquid additum» (I Sento d. 8, q. 1, a. 1 ad 4). 25 Cfr. Es 3,14: «Ego sum qui SUffi». 26 «Deus non est in genere substantiae» (ST1, q. 3, a. 5, ad 1); cfr. ancheqd potenti a q. 7, a. 3. In questo san Tommaso segue Avicenna. Ci sono altri testi in cui affronta l'argomento, La creazione in Tommaso Si può, così, concludere che <<in Deo idem est esse et essentia» Due quaestiones disputatae sul tema della creazione in Tommaso d'aquino Vediamo adesso due questioni concrete che derivano da quanto detto fino adesso, e su cui oggi gli studiosi stanno ancora indagando: se i filosofi pagani, soprattutto Platone ed Aristotele, siano arrivati alla verità della creazione, e se si possa dimostrare razionalmente la verità di fede della creatio in tempore Secondo Tommaso, Platone e Aristotele sono arrivati alla verità della creazione? Riguardo la prima questione, troviamo una diversità di opinioni tra gli esperti. 28 Ovviamente bisogna distinguere due aspetti: se in effetti Platone ed come questo delle Sentenze: «omne quod est in genere, habet quidditatem differentem ab esse, sicut homo [... ]. Et tacio hujus est, quia commune, quod praedicatur de his quae sunt in genere, praedicat quidditatem, cum genus et species praedicentur in eo quod quid est. 1lli autem quidditati non debetur esse rusi per hoc quod suscepta est in hoc ve! in illo. Et ideo quidditas generis ve! speciei non commurucatur secundum unum esse omnibus, sed solum secundum unam rationem communem. Unde constat quod esse suum non est quidditas sua. In Deo autem esse suum est quidditas sua aliter enim accideret quidditaci, et ita esset acquisitum sibi ab alio, et non haberet esse per essentiam suam. Et ideo Deus non potest esse in aliquo genere» (I Sento d. 8, q. 4 a. 2 sc., «quod simpliciter concedendum est [quod Deus non est in genere substantiae]»). Anzi, secondo Tommaso «Hoc erum ipsum quod est esse, non est substancia ve! essentia alicuius rei in genere existentis. Alioquin oporteret quod hoc quod dico ens esset genus, quia genus est quod praedicatur de aliquo in eo quod quid. Ens autem non est genus, ut probatur in III Metaph. Et propter hoc etiam Deus, qui est suum esse, non est in genere» (In Posto II, le. 6). 27 se I, 22; (<Deus igitur non habet essentiam quae non sit suum esse» (in); «in Deo non est aliud essentia ve! quidditas quam suum esse» (in); «ipsum igitur esse Dei est sua essentia» (in). 28 Cfr. WE. CARROLL, S. Tommaso, Aristotele, e la creatione, in Annales Theologid 8 (1994), pp ; M.E ]OHNSON, Aquinas's Changing Evaluation of Plato on Creation, in A. C. P. Q. 66 (1992), pp ; M.E ]OHNSON, Did St. Thomas Attribute a Doctrine of Creation to Aristotle?, in New Scholastidsm 63 (1989), pp ; J.F.X. KNASAS, Aquinas' Ascription of Creation to Aristotle, in Angelicum 73 (1996), pp ; T.B. NOONE, The Originaliry of St. Thomas's Position on the Philosophers and Creation, in The Thomist 60 (1996), pp ; T.L SMITH, Aquinas on Aristotle and Creation: Use or Misuse?, in Sapientia 55 (2000), pp

5 108 Rafoel Pascual LC La crea'{jone in Tommaso Aristotele siano arrivati ad affermare la creazione, e se Tommaso d'aquino attribuisca loro, a ragione o a torto, tale dottrina. Cominceremo trattando brevemente il primo aspetto. (i) La posizione di Platone e di Aristotele Per quanto riguarda Platone, possiamo trovare la sua dottrina al riguardo soprattutto nel Timeo, in cui si parla di un demiurgo o artefice che sarebbe il creatore (poietén) del mondo. Sebbene agisce su una specie di materia informe Oa chora), ci sarebbe un inizio temporale nella creazione (il tempo sarebbe stato creato dal demiurgo insieme al mondo).29 Per ciò che concerne Aristotele, vorrei fare presente che qualche riconosciuto studioso ha sostenuto di recente che il Dio di Aristotele sarebbe motore (o meglio "movente") delle cose, non solo come causa finale (il che comunemente è sostenuto tra gli storici dello Stagirita) ma anche come causa efficiente, e che proprio a questo riguardo ci sia stata da parte sua una <conversione' o un ripensamento. 30 Pensiamo che ci siano diversi argomenti a favore di questa posizione. Possiamo trovare vari testi di Aristotele in suo sostegno. Ma per tornare alla questione che adesso ci interessa, cioè se Aristotele abbia affermato la creazione del mondo da parte di Dio, credo che ci siano anche qui dei testi che potrebbero essere considerati a favore di questa tesi. Brevemente ne faccio l'elenco: - in Metaph. II, 1,993b 24-31, Aristotele parla delle «cause degli esseri eterni" (cioè dei corpi celesti), le quali sono le cause supreme; dunque anche questi esseri eterni sono causati; - in Metaph. IV, 1,1003a si dice che c'è una scienza che studia l'ente 2'J Non è adesso il caso di estendersi su questo tema. Per ulteriori approfondimenti, cfr. e. DE VOGEL, Ripensando Platone e ilplatonismo, Vita e Pensiero, Milano 1990, pp ; E PA SCUAL, Un Primo approccio alla 'metafisica' di Platone, inalpha Omega 9 (2006), pp Ci riferiamo ad Enrico Berti, il quale, proprio nella prefazione di un suo recente libro, afferma esplicitamente e senza mezzi termini: «TI mutamento più grave nella mia interpretazione di Aristotele è avvenuto a proposito della causalità del motore immobile. Mentre, infatti, per un'intera vita avevo sempre pensato, come la maggior parte degli interpreti, che questa fosse solo una causalità di tipo finale, studiando più intensamente il libro XII della Metafisica in occasione del Symposium Aristotelicum ad esso interamente dedicato (Oxford 1996), mi sono convinto che si tratta di una causalità di tipo efficiente, perciò negli studi pubblicati a partire da questo momento mi sono impegnato nella difesa di quest'ultima interpretazione, smentendo e rinnegando quanto io stesso avevo scritto al riguardo in precedenza» (E. BERTI, Nuovi studi aristotelici, II - Fisica, antropologia ti metafisica, Morcelliana, Brescia 2005, p. 8). in quanto ente, e cerca le sue proprietà e le sue cause; sarebbe dunque compito della metafisica studiare le cause prime dell'ente in quanto tale, e questo dovrebbe implicare che ci sia una realtà che sia causa di tutto ciò che esiste; - in Metaph. VI, 1,1 026a 16-18, si giustifica la necessità di una scienza al di là della fisica dal fatto che esiste una realtà eterna, immobile e separata, la quale sarà la causa "di quegli esseri divini che a noi sono manifesti", cioè i corpi celesti; - in Metaph. XII, 6,1071 b a 18 si dimostra la necessità di una sostanza eterna ed immobile, principio "motore" ed "efficiente" che è atto; - in Metaph. XII, 7,1072b si afferma esplicitamente che "da un tale principio dipendono il cielo e la natura". Si dice inoltre che il motore primo deve essere essenzialmente immobile, e che il motore eterno deve essere anteriore rispetto a ciò che è mosso. (ii) Il rapporlo tra il pensiero di Tommaso e quello di Platone ed Aristotele Passando al secondo aspetto, cioè all'attribuzione di una dottrina della creazione in Platone ed Aristotele da parte di Tommaso, penso che il modo migliore per fare una delucidazione al riguardo è andare ai testi stessi, e vedere che cosa ci dicono. Potremmo discutere sul tema di Tommaso come interprete di Aristotele, ma credo che adesso non sia il momento di fado. 31 Almeno si può dire che lo stesso Tommaso ribadisce e rivendica la sua fedeltà al pensiero aristotelico, in contrasto con il Commentatore (Averroè), che Tommaso non ha scrupoli di chiamare perversore depravatordella filosofia peripatetica. 32 Un altro campo di discussione è quello riguardante la continuità e la novità tra la filosofia di Aristotele e quella di Tommaso. Ma nemmeno entreremo nel merito di questo, se non soltanto di passaggio. Infatti, la tesi della sintonia e continuità del pensiero di Aristotele e san Tommaso non è pacifica né per gli studiosi di Aristotele, né per quelli di san Tommaso, sebbene in linee generali io sia abbastanza d'accordo con la tesi della continuità. Penso, infatti, che, per quanto concerne la filosofia, l'accordo tra loro due è molto più considerevole 31 Anche qui troviamo una diversità di opinioni tra gli studiosi. Ma credo che ci siano buone ragioni per ammettere che Tommaso è stato un valido interprete di Aristotele, e che ha cercato di fare una giusta esposizione dei suoi testi. 32 Cfr. De unitate 2 e 5: «[Averroes] non tam fuit Peripateticus quam philosophiae peripateticae depravatod>; «Patet etiam quod Averroes perverse refert sententiam Themistii et Theophrasti de intellectu possibili et agente; unde merito supra diximus eum philosophie peripatetice perversorem».

6 110 &ifàel Pascual LC di quello che di solito si è disposti ad ammettere, soprattutto tra i tomisti recenti, dopo gli studi di Gilson e Fabro, i quali sottolineano le discontinuità e le differenze, nella loro insistenza della novità del pensiero dell'aquinate rispetto allo Stagirita. Questo non toglie che ci siano differenze, approfondimenti e, naturalmente, influssi da altre fonti. Non si può dimenticare che fra loro due troviamo una distanza temporale e culturale di ben più di quindici secoli. (iii) Critica della posizione di Étienne Gilson Riguardo al tema della creazione, non mi sembra condivisibile la posizione di Gilson sul supposto distacco tra la metafisica <pagana' di Aristotele e quella 'cristiana' di Tommaso. Per fare questo, Gilson deve esagerare le differenze tra le dottrine di ambedue gli autori, e fare ricorso a delle forzature interpretative. Per esempio, per comprendere la novità della visione metafisica di Tommaso, secondo Gilson non si dovrebbe consultare il suo commento alla Metafisica di Aristotele, perché lì non si potrebbe trovare il vero pensiero dell'aquinate, ma bisognerebbe cercare altrove. La filosofia di Tommaso sarebbe ricondotta alla teologia, e la sua originalità, riguardo alla metafisica, sarebbe frutto della verità rivelata della creazione, non accessibile ad Aristotele. 33 Anzi, secondo Gilson, Tommaso mai avrebbe parlato del cosmo aristotelico come di un mondo creato. 34 Mi sembra esagerato il contrasto che vede Gilson tra la metafisica di Aristotele e quella di Tommaso. Gilson accennerebbe addirittura ad una rivoluzione intellettuale. 35 È interessante notare come Gilson sembra ignorare che anche per Aristotele come per Tommaso c'è un rapporto stretto tra Hontologia" e Hteologia".36 Dunque, non credo sia giusto vedere, come fa Gilson, tra le due metafisiche un'opposizione che non ammetterebbe riconciliazione Cfr. É. Gn.50N, L'essere e l'essenza, trad. it. L FRATIINI e M. RONCORONI, Massimo, Milano 1988, pp «To the best of my knowledge, Thomas Aquinas has never spoken of the Aristotelian cosmos as of a created wodru) (E. GII.50N, Being and some Philosophers, PIMS, Toronto 1952, p.70). 35 Cfr. É. GII.50N, Costanti filosofiche dell'essere, trad. it. R DIODATO, Massimo, Milano 1993, p Cfr. ARISTOTELE, Metaph. VI, L'interpretazione gilsoniana è stata messa in discussione di recente da diversi autori, come per esempio S.T. BONINO nell'articolo Historiographie de l'école thomiste: le cas Ci/son, in Saint Thomas au XXe. siècle. Colloque du centenaire de la 'Revue Thomiste' ( ), Toulouse, mars 1993, Saint-Pau!, Paris 1995, pp In particolare: <<L'interprétation gilso- La creazione in Tommaso Qualcosa di simile si potrebbe dire riguardo al Dio di Aristotele e quello di Tommaso. C'è una specie di opinione comune tra i filosofi cristiani nel sostenere che il Dio di Aristotele non può creare il mondo, né conoscerlo, né avere una qualche provvidenza su di esso. Un noto studioso tomista, Ralph McInerny, recentemente ha criticato aspramente Gilson al riguardo. 38 Penso che nemmeno Tommaso stesso sarebbe stato d'accordo in questo con il suo interprete francese. Ci sono dei testi che si possono proporre a sostegno di questo sospetto.. Per Tommaso, infatti, come abbiamo visto già prima, non è necessana la rivelazione per arrivare alla conoscenza della creazione, perché tale verità è già accessibile alla ragione, e proprio per questo può di~entare ogge?=o di. una dimostrazione filosofica. Infatti, secondo Tommaso, SIa Platone, S1a Anstotele sarebbero effettivamente arrivati a tale verità, e per questo hanno potuto fare una vera e propria "metafisica". È vero che «Aristotele non ricavò tutte le conseguenze che scaturivano dai principi da lui ammessi»,39 ma penso che Tommaso non sarebbe d'accordo con quelli che sostengono che Aristotele <di fatto' non sarebbe giunto alla verità della creazione. Bisogna peraltro dire che, anche per Aristotele, Dio conosce l'~tro da sé;40 così sostiene lo stesso Aquinate. 41 D'altra parte, si può affermare SIcuramente che il Dio riconosciuto da Aristotele sarebbe un Dio personale, così come si può evincere dal celebre testo del libro dodicesimo de~a. Metafisica.~2 D.al punto di vista <filosofico', dunque, ci sarebbe abbastanza viclllanza tra il DIO nienne, meme au pian historique, souffre de certaines limites. Tout d'abord, elle intervient sur une base inductive relativement étroite; d'où l'impression, parfois, d'un certain a priorisme, rançon d'une systématicité très poussée: le philosophe prend trop le pas sur!,hist~rien. ~nsuite, la réduction des critères de fidélité à S. Thomas à la seule compréhenslon ex1stentlelle de resse est pour le moins discutable et ne saurait constituer une hypothèse historiographique suffisante pour l'histoire du thomisme»,(pp ). 38 Cfr. R. McINERNY, Aristotele e pensiero cristiano: le sostanze aristoteliche esistono?, in S.L. BROCK (a cura), L'attualità di Aristotele, Armando, Roma 2000, pp L. IMIMARRONE, Il valore meta fisico delle cinque vie tomistiche, in Miscellanea Francescana, Roma 1970, p Cfr. ARISTOTELE, Metaph. 1,2,9836 (Dio possiede la scienza in grado sommo); III, 4, 1000b 3-5 (non è che Dio sia meno intelligente degli altri esseri). 41 Cfr.QD potenti a q. 3, a. 16, ad 23: «Quod verbum Philosophi, cum dicit quod Deus nihil intelligit extra se, non est intelligendum quasi Deus ea quae sunt extra ipsu~ non intelli~at; sed quia illa etiam quae extra ipsum sunt, non extra se, sed in se intuetur, qwa per essentlam suam omnia alia cognoscib>. 42 Cfr. ARISTOTELE, A-letaph. XII, 7,1072b

7 112 &fael Pascua! Le La crea~one in Tommaso di Aristotele e quello di Tommaso. Cosi, la metafisica di Tommaso non si deve interpretare come una <rivoluzione intellettuale' riguardo alla metafisica aristotelica, ma piuttosto come un <approfondimento radicale' di essa, uno sviluppo delle sue virtualità, un'esplicitare quello che era rimasto implicito. (iv) Critica della posi:;jone di Cornelio Fabro Qualcosa di simile si potrebbe dire rispetto alla posizione di Fabro, vicina a quella di Gilson. Anche Fabro parla della necessità del contributo della rivelazione, con la verità di fede della creazione, per far sorgere la nuova metafisica dell'essere. Forse si può intravedere al riguardo un influsso su Fabro del rimprovero di Heidegger alla metafisica classica. È curioso vedere che Fabro ammette in Aristotele una qualche «intuizione dell'essere", cosicché nella sua filosofia l'essere non sarebbe mancante del tutto, benché si trovi soltanto 'velatamente', poiché, se questo fosse completamente assente, non ci sarebbe proprio nessuna metafisica. 43 Anche attraverso la dottrina dell'atto e la potenza, la metafisica di Aristotele rimarrebbe aperta alle conquiste ulteriori, che dovrebbero arrivare molto più tardi, specialmente con il contributo di Tommaso d'aquino. Ma anche Fabro tende ad esagerare la novità di Tommaso rispetto al filosofo greco, sebbene forse non come lo fa Gilson, presentando il tomismo non tanto come un prolungamento, ma piuttosto come un rinnovamento, anzi, come un 'superamento' e una 'rivoluzione' rispetto alle proposte precedenti, fino al punto di arrivare a dire che la metafisica dell' esse avrebbe bisogno di liberarsi definitivamente dall'aristotelismo. 44 Comunque, Fabro sembra essere conscio che almeno per Tommaso non ci sia tale discontinuità, giacché altrove afferma chiaramente che «S. Tommaso è persuaso non solo che si possa dimostrare la creazione, ma anche che Platone e Aristotele e i loro seguaci abbiano conosciuto questa verità».45 (v) Il pensiero di Tommaso in base alla testimonianza dei suoi testi Se prendiamo sul serio i testi che abbiamo a disposizione, e non facciamo 43 «Pare quindi che neiraristotelismo l'atto di «essere», il to einaz: come valore primario metafisico resti quasi velato, non dico che sia "assente" del tutto, ché altrimenti non vi sarebbe metafisica alcuna» (C. FABRO, La no~one metafisica di partecipazione secondo s. Tommaso d'aquino, Vita e Pensiero, Milano 1939, p. 359). 44 Cfr. C. FABRO, Breve discorso sull'essere, in Tomismo e pensiero moderno, PUL, Roma 1969, p C. FABRO, Stona della filosofia, Coletti, Roma 1954, p forzature o interpretazioni ad arte, sembra che il pensiero di Tommaso sia chiaramente a favore di una risposta positiva: sì, anche i filosofi pagani sono arrivati alla verità della creazione. Sebbene in certe occasioni possa sembrare piuttosto benigna l'interpretazione che fa Tommaso di Aristotele, non credo che si possa dire che cada in facili concordismi. Infatti, &i una parte afferma chiaramente che Aristotele sbagliò nel sostenere che il mondo non sia stato fatto da Dio, ma che esisterebbe da sempre,46 ma dall'altra afferma chiaramente che sia Platone sia Aristotele sarebbero arrivati in qualche modo al fatto della creazione, perché si sono spinti fino alla considerazione di Dio come causa di tutto l'essere (causa totius esse), e proprio per questo sono stati in grado di arrivare ad una conoscenza metafisica. I testi a disposizione non lasciano ombra di dubbi al riguardo. Possiamo cominciare con un testo fuori ogni sospetto, perché non appartiene ai commenti di Tommaso ad Aristotele. Si tratta del commento al De Trinitate di Boezio, nell'articolo in cui si domanda sull'oggetto della.metafisica (U trum divina scientia sit de his quae sunt sine materia et motu). In esso si afferma che la metafisica studia i principi di tutti gli enti non soltanto secondo la predicazione, ma anche secondo la causalità. Così, quello che è il principio dell'essere di tutti gli enti deve essere massimamente ente (e qui Tommaso si richiama proprio ad Aristotele),47 così come anche massimamente atto (e qui cita nuovamente Aristotele), e in conseguenza senza materia e senza movimento. Tali sono le cose divine (res divinae), giacché se c'è qualcosa che esista in qualche luogo con una tale natura (immateriale e immobile), questa dovrebbe esistere massimamente (e qui Tommaso si permette proprio di parafrasare Aristotele).48 In conseguenza, come si afferma implicitamente in questo brano, citando per ben quattro volte Aristotele, lo Stagirita sarebbe 46 «Tertius est error Aristotelis, qui posuit mundum a Deo factum non esse, sed ab aeterno fuisse, contra quod dicitur Gen. I, 1: in principio creavit Deus caelum et terram» (De articu/is fidei 1). 47 Cfr. ARISTOTELE, Metaph. II, 1,993b Ecco il testo centrale in questione: «quia id, quod est principium essendi omnibus, oportet esse maxìme ens, ut dicitur in II Metapf?ysicae, ideo huiusmodi principia oportet esse completissima, et propter hoc oportet ea esse maxìme acro, ut nihil vel rnìnimum habeant de potentia, quia actus est prior et potior potentia, ut dicitur in IX Aletapf?ysicae. Et propter hoc oportet ea esse absque materia, quae est in potentia, et absque motu, qui est actus exsistentis in potentia. Et huiusmodi sunt res divinae; "quia si divinum alicubi exsistit, in tali natura", immateriali scilicet et immobili, maxime "exsistit", ut dicitur in VI Metapf?ysicam (In De Trin. q. 5, a. 4).

8 114 Rqfael Pascual LC arrivato certamente alla considerazione di Dio come causa dell'essere di tutte le cose, contrariamente a quello che sostengono autori come Gilson, Elders ed altri. Ci sono dei testi paralleli dove si trovano affermazioni simili, come quelli in cui si fa una specie di percorso storico del pensiero filosofico riguardo le cause delle cose chè esistono. Vediamo alcuru di essi, in cui si presentano esplicitamente Platone ed Aristotele come quelli che sono arrivati alla considerazione della causa di tutte le cose: - «Postremi vero, ut Plato et Aristoteles, pervenerunt ad cognoscendum principium totius esse»;49 - «Posteriores vero philosophi, ut Plato, Aristoteles et eorum sequaces, pervenerunt ad considerationem ipsius esse uruversalis; et ideo ipsi soli posuerunt aliquam universalem causam rerum, a qua omrua alia in esse prodirenb>;50 - «Quidam autem venerunt in cogrutionem Dei ex dignitate ipsius Dei: et isti fuerunt platoruci. Consideraverunt enim quod omne illud quod est secundum participationem, reducitur ad aliquid quod sit illud per suam essentiam, sicut ad primum et ad summum; [... ] et hoc est Deus, qui est sufficientissima, et dignissima, et perfectissima causa totius esse, a quo omrua quae sunt, participant esse»;51 - «Sed et primam philosophiam Philosophus determinat esse scientiam veritatis; non cuiuslibet, sed eius veritatis quae est origo omnis veritatis, scilicet quae pertinet ad primum principium essendi omrubus; unde et sua veritas est omrus veritatis principium; sic erum est dispositio rerum in veritate sicut in esse»;52 - «Profundius autem ad rerum originem ingredientes, consideraverunt ad ultimum totius entis creati ab una prima causa processionem»;53 49 In Pf?ys. VIII, le QD po!entia q. 3, a. 5. 5J Super Ioannem prooem. 52 se I, 1. Anche questo passaggio, proprio all'inizio di un'opera così fondamentale come la Somma contro igentili, e per questo fuori del contesto di un commento ad Aristotele, smentisce ancora una volta la tesi di Gilson. 53 se II, 37. Sebbene in questo testo non si faccia menzione esplicita di nessun filosofo, è più che probabile, anche alla luce dei testi precedenti, che Tommaso stia pensando a Platone, Aristotele e i loro seguaci. Infatti, proprio il fatto di levarsi fino alla considerazione dell'essere stesso (ipsum esse) e della causa di tutto l'essere (causa!otius esse) è quello che fa possibile la nascita della metafisica come considerazione dell'ente in quanto ente, e non soltanto, come le altre scienze, di un determinato genere di enti, come abbiamo visto nel testo precedente. La creazione in Tommaso <<Aliqui erexerunt se ad considerandum ens inquantum est ens, et con sideraverunt causam rerum, non solum secundum quod sunt haec vel talia, sed secundum quod sunt entia. Hoc igitur quod est causa rerum inquantum sunt entia, oportet esse causam rerum, non solum secundum quod sunt talia per formas accidentale s, nec secundum quod sunt haec per formas substantiales, sed etiam secundum omne illud quod pertinet ad esse illorum quocumque modo».54 Ci sono addirittura dei testi in cui Tommaso polemizza proprio con quelli che negano che Aristotele sia arrivato a sostenere che Dio sia causa di tutte le cose, anche dei corpi celesti: - «Scientia quae huiusmodi entia pertractat, prima est inter omnes, et considerat communes causas omruum entium. Unde sunt causae entium secundum quod sunt entia, quae inquiruntur in prima philosophia, ut in primo proposuit. Ex hoc autem apparet marufeste falsitas opinionis illorum, qui posuerunt Aristotelem sensisse, quod Deus non sit causa substantiae caeli, sed solum motus eius»;55 - «Principia eorum, quae sunt semper, scilicet corporum caelestium, necesse est esse verissima [... ], quia nihil est eis causa, sed ipsa sunt causa essendi aliis. Et per hoc transcendunt in veritate et entitate corpora caelestia: quae etsi sint incorruptibilia, tamen habent causam non solum quantum ad suum moveri, ut quidam opinati sunt, sed etiam quantum ad suum esse, ut hic Philosophus expresse dicib>.56 Se tutto questo non bastasse ancora, possiamo citare qualche altro testo abbastanza esplicito al riguardo: - «Sed ultra hunc modum fiendi necesse est, secundum sententiam PIatorus et Aristotelis, ponere alium altiorem. Cum erum necesse sit primum principium simplicissimum esse, necesse est quod non hoc modo esse ponatur quasi esse participans, sed quasi ipsum esse existens. Quia vero esse 54 STI, q. 44, a. 2. Di nuovo, sebbene non si faccia riferimento a nessun autore in particolare, si può desumere, alla luce dei testi precedenti, che Tommaso alluda ancora una volta a Platone, Aristotele e i suoi discepoli. 55 In Me!. VI, le In Me!. II, le. 2. Anche qui Tommaso non soltanto commenta Aristotele, ma inoltre gli si appella, in contesto polemico con quelli che non ammettono la sua tesi. Ed è tanto più eloquente per il fatto di sostenere proprio che per Aristotele i primi principi sarebbero cause dei corpi celesti non soltanto riguardo al loro movimento, ma proprio riguardo al loro essere.

9 116 Rafael Poscual Le subsistens non potest esse nisi unum, sicut supra habitum est, necesse est omnia alia quae sub ipso sunt, sic esse quasi esse parcicipancia. Oportet igitur communem quamdam resolucionem in omnibus huiusmodi heri, secundum quod unumquodque eorum intellectu resolvitur in id quod est, et in suum esse. Oportet igitur supra modum hendi quo aliquid ht, forma materiae adveniente, praeintelligere aliam rerum originem, secundum quod esse attribuitur toci universitati rerum a primo ente, quod est suum esse»;57 - «Etiam apud philosophos, qui conhtentur et probant omne quod est quocumque modo, esse non posse nisi sit causatum ab eo qui maxime et verissime esse habed>.58 (vi) Come, secondo Tommaso, Platone ed Aristotele siano arrivati a Dio come causa di tutto Una considerazione ulteriore sarebbe come Platone e Aristotele siano arrivati a sostenere che Dio è la causa di tutte le cose. Platone e i suoi discepoli sarebbero arrivati attraverso la dottrina della partecipazione;59 Aristotele, dal canto suo, sarebbe arrivato attraverso la via del movimento e della causalità. 60 Inoltre, secondo Tommaso, la stessa eternità del mondo, sostenuta da 57 De sub. sep. 9. Il riferimento a Platone e ad Aristotele è esplicito, e per questo fuori di ogni dubbio. Di nuovo si tratta qui di un testo che non apparùene ai commenù ad Aristotele, e pertanto fuori di ogni sospetto. E se questo non bastasse ancora, nello stesso brano si torna a fare riferimento ai filosofi greci, dicendo che né le sostanze immateriali né i corpi celesù si sottraggono alla causa dell'essere: <<Non ergo aesùmandum est quod Plato et Aristoteles, propter hoc quod posuerunt substanùas immateriales seu eùam caelesùa corpora semper fuisse, ds subtraxerunt causam essendi» (ibid.). 58 De ae/emitate. Qui si può intravvedere il riferimento ad Aristotele, concretamente al secondo libro della Metafisica, citato da Tommaso tacitamente (cfr. ARISTOTELE, Metaph. II, 1,993b 26-31). Inoltre, è significaùvo che in questo contesto si appelli proprio ai "filosofi" nel sostenere la sua tesi. 59 «[platonici] consideraverunt enim quod omne illud quod est secundum parùcipaùonem, reducitur ad aliquid quod sit illud per suam essenùam, sicut ad primum et ad summum; sicut omnia ignita per parùcipaùonem reducuntur ad ignem, qui est per essenùam suam talis. Cum ergo omnia quae sunt, parùcipent esse, et sint per parùcipaùonem enùa, necesse est esse aliquid in cacumine omnium rerum, quod sit ipsum esse per suam essenùam, idest quod sua essenùa sì! suum esse: et hoc est Deus, qui est sufficienùssima, et dignissima, et perfecùssima causa toùus esse, a quo omnia quae sunt, parùcipant esse» (Super Ioannem, prooem.). 60 <<Aristoteles manifesùori et cerùori via processit ad invesùgandum substanùas a materia separatas, scilicet per viam motus. Primo quidem consùtuens et raùone et exemplis, omne quod movetur ab alio moveri; et si aliquid a se ipso moveri dicatur, hoc non est secundum idem, sed secundum diversas sui partes, ita scilicet quod una pars eius sit movens, et alia La crea:done in Tommaso Aristotele, esigerebbe una causa trascendente, separata, cioè immateriale. 61 Come insegna proprio la prima delle cinque vie, che si ispira ad Aristotele, ci deve essere, dunque, un primo motore, principio di tutto. 62 E come insegna la seconda via, anch'essa ispirata ad Aristotele, è necessario che ci sia una causa prima, in senso assoluto, la quale deve essere "ingenita", cioè non causata, perché non è possibile un processo all'infinito nella serie delle cause. 63 Infatti, l'essere causato non è proprio dell'ente in quanto ente; altrimenti ci sarebbe un processo all'infinito, il che è impossibile. 64 Lo stesso succede riguardo al movimento. 65 Questo è il vero senso dell'espressione "motore immobile", espressione tante volte fraintesa e per questo messa in discussione. 66 mota. Et cum non sit procedere in infinitum in movenùbus et moùs, quia remoto primo movente, esset consequens eùam alia removeri; oportet devenire ad aliquod primum movens immobile» (JJe sub. sep. 2). 61 <<Rursus consùtuere intendit motus aeternitatem et quod nulla vìrtus movere potest tempore infinito, nisi infinita, itemque quod nulla virtus magnitudinis sit vìrtus infinita. Ex quibus concludit, quod virtus primi motoris non est virtus corporis alicuius: unde oportet primum motort;m esse incorporeum, et absque magnitudine» (ivt). 62 «In genere autem movenùum, est devenire ad aliquod unum movens, ut ostensum est in libro octavo Physicorum. Id igitur primum movens unum et idem, est primum principium omnium» (In Met. XII, le. 4). 63 «Non autem est possibile quod in causis efficienùbus procedatur in infinitum. Quia in omnibus causis efficienùbus ordinaùs, primum est causa medii, et medium est causa ulùrni, sive media sint plura sive unum tantum, remota autem causa, removetur effectus, ergo, si non fuerit primum in causis efficienùbus, non erit ulùmum nec medium. Sed si procedatur in infinitum in causis efficienùbus, non erit prima causa efficiens, et sic non erit nec effectus ulùmus, nec causae efficientes mediae, quod patet esse falsum» (STI, q. 2, a. 3); «In omnibus causis efficienùbus ordinaùs primum est causa medii, et medium est causa ulùrni: sive sit unum, sive plura media. Remota autem causa, removetur id cuius est causa. Ergo, remoto primo, medium causa esse non poterit. Sed si procedatur in causis efficienùbus in infinitum, nulla causarum erit prima. Ergo omnes aliae tollentur, quae sunt mediae. Hoc autem est manifeste falsum. Ergo oportet ponere primam causam efficientem esse. Quae Deus est» (Se 1,13). 64 <<Esse autem ab alio causatum non compeùt enù inquantum est ens: alias omne ens esset ab alio causatum; et sic oporteret procedere in infinitum in causis, quod est impossibile» (Se II, 52). Anche qui Tommaso si poggia su Aristotele: «ln causis non est procedere in infinitum, ut supra probatum est per raùonem Aristotelis» (Se I, 15). 65 <<Postquam Philosophus in sepùmo ostenderat quod in movenùbus et in mobilibus non est procedere in infinitum, sed est devenire ad aliquod primum [... ]» (In P~s. VIII, le. 5). 66 «In movenùbus et moùs ordinaùs, quorum scilicet unum per ordinem ab alio movetur, hoc necesse est inveniri, quod, remoto primo movente vel cessante a moùone, nullum aliorum movebit neque movebitur: quia primum est causa movendi omnibus aliis. Sed si sint

10 118 Rafael Pascual Le La crea'{jone in Tommaso : La questione dell'eternità del mondo Cerchiamo di presentare, per sommi capi, per concludere queste riflessioni, la questione dell'eternità del mondo. Possiamo farlo soprattutto alla luce dell'opuscolo che san Tommaso dedicò interamente a questo argomento: il De aeternitate mundi contra murmurantes. 67 Ma vogliamo far presente che si tratta di una questione che Tommaso ebbe a cuore e studiò a più riprese, come testimonia il corpus dottrinale che ci ha lasciato in ben altri sei scritti, i quali si collocano in diversi momenti della sua vita. 68 Parafrasando il testo del De aeternitate, possiamo fare una sintesi del pensiero dell'aquinate al riguardo. Tommaso parte dal fatto, conosciuto grazie alla rivelazione, e dunque come dato di fede,69 dell'inizio temporale del mondo, ma si domanda se sarebbe possibile un mondo eterno, cioè che sia esistito da sempre. Certamente, per Tommaso, non può esistere niente da sempre che non sia stato creato da Dio, perché questo sarebbe contrario non soltanto alla fede, ma anche alla ragione. Infatti, anche i filosofi riconoscono e dimostrano che quello che esiste non può esistere se non in quanto causato da quella moventia et mota per ordinem in infinitum, non erit aliquod primum movens, sed omnia erunt quasi media moventia. Ergo nullum aliorum poterit moveri. Et sic nihil movebitur in mundo» (SG I, 13). 67 Il curatore dell'edizione inglese di questo opuscolo, Cyril Vollert, sottolinea a ragione l'importanza di questo argomento per Tommaso d'aquino: «From the earliest years of his literary productivity to the end of his life, St. Thomas turned again and again to the subject of the eternity of the world. He regarded the question as so important that he wrote a special treatise on it, De aeternitate mundi» (ST. THOMAS AQUINAS - SIGER OF BRABANT - ST. BONAVEN TURE, On the Eterniry rif the World (De Aeterrutate Mundi), Translated from the Latin With an Introduction by C. VOLLERT, L.H. KENDZIERSKI, P.M. BYRNE, Marquette University Press, Milwaukee 1964). 68 «On six other occasions, in different works and at various periods of his career, he expressly took up the same theme, notably in the Scriptum super IV libros Sententiarium magistri Petn' Lombardi, II, disto 1, q. 1, 5 (c 1256); Summa contra Genti/es, II, cc (c 1262); De Potentia Dei (1259/68), q. 3, a. 14,17; Summa Theologiae, P, q. 46 (c 1265); Quodlibetum III, q. 14 (c 1270); and the Compendium theo/ogiae, cc. 98 f. (c 1271)>> (ivi). 69 Bisogna far presente che pochi anni prima c'era stata un'importante definizione dogmatica al riguardo: quella del Concilio Lateranense IV (1215). In esso si professa solennemente la fede in un solo Dio vero, «principio unico di tutto, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e materiali. Con la sua onnipotente potenza [simul, omesso nella traduzione italiana) fin dal principio del tempo [ab initio temporis) creò dal nulla [de nihilo) l'uno e l'altro ordine di creature: quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo, e poi [deinde] l'uomo, quasi partecipe dell'uno e dell'altro, composto di anima e di corpo» (cfr. DS 800). realtà che maxime et verissime esse habet. Ma sembra che non sia assurdo che qualcosa creata da Dio possa esistere da sempre. Tommaso si domanda su questa possibilità da due prospettive: _ a partire dell'onnipotenza di Dio (peus potuit facere aliquid quod semper fueri!); su questo sembra che tutti siano d'accordo; _ in linea di principio (utrum sit possibile aliquid fieri quod semper fueri!); su questo ci sono diverse posizioni. Tommaso prende la seconda questione, e si domanda se sia assurdo che qualcosa sia stata creata da Dio e sia esistita da sempre: «In hoc ergo tota consistit quaestio, utrum esse creatum a Deo secundum totam substantiam, et non habere durationis principium, repugnent ad invìcem, vel non». Tommaso risponde negativamente, e offre questa argomentazione contro quelli che sostengono la tesi opposta: _ non è necessario che la causa agente preceda temporalmente il suo effetto; la creazione non ha luogo attraverso un movimento (per motum). Infatti «creatio non est mutatio».70 Il moto esigerebbe successione, e dunque temporalità, ma la creazione no: questa è istantanea (subita) e per questo atemporale; nella causa che produce un effetto istantaneo, non è necessario che la causa preceda l'effetto. Il problema è che non abbiamo esperienza se non della mutazione, in cui la causa deve precedere temporalmente l'effetto. «Et inde est quod multo rum inexperti ad pauca respicientes facile enuntianb>.71 _ La causa che produce totalmente qualcosa (secondo tutta la sua sostanza: «causazione totale") non può fare a meno della causa che soltanto produce la forma (eductio formae a potentia materiae), ma molto di più (productio ex nihilo). Inoltre, Tommaso si domanda se la creatio ex nihilo implichi una precedenza temporale del nulla; la risposta è no: l'ex nihilo non si riferisce a qualcosa di temporale, ma alla negazione della preesistenza di qualcosa a partire della quale si farebbe qualcos'altro; l'ex nihilo vuoi dire semplicemente non ex aliquo. 70 QD potenti a q. 3, a. 2 sed contra. 71 De aeternitate. Ecco un testo parallelo preso dalla Summa Theologiae: «Causa efficiens quae agit per motum, de necessitate praecedit tempore suum effectum, quia effectus non est nisi in termino actionis, agens autem omne oportet esse principium actionis. Sed si actio sit instantanea, et non successiva, non est necessarium faciens esse prius facto duratione; sicut patet in illuminatione. Unde dicunt quod non sequitur ex necessitate, si Deus est causa activa mundi, quod sit prior mundo duratione, quia creatio, qua mundum produxit, non est mutatio successiva» (ST I, q. 46, a. 2).

11 120 Rafoel Pascual Le Pertanto non bisogna supporre che 'prima' ci fosse il nulla, e poi qualcosa (post nihil). Di conseguenza, non sarebbe assurdo dire che qualcosa che sia stato fatto abbia potuto essere da sempre (mai non sia non stato). Tommaso illustra questa idea con un esempio che prende in prestito da Agostino, il quale, citando a sua volta dei platonici, argomenta che si potrebbe immaginare un'impronta che fosse coeterna con il piede che l'abbia prodotta, senza lasciare di essere prodotta ab aeterno da esso. 72 Poi Tommaso offre alcuni argomenti di autorità: - se fosse assurda una creatio ab aeterno, sant'agostino lo avrebbe fatto notare, e non lo fece; - se l'essere stato creato dovesse implicare aver avuto un inizio temporale, questo sarebbe stato scoperto dai più nobili dei filosofi, i quali affermano come noi che Dio è il Creatore di tutto quello che non è Lui, ma non trovano che sia contraddittorio affermare che il mondo sarebbe esistito da sempre e che sia stato creato da Dio. 73 Finalmente Tommaso dimostra l'inconsistenza degli argomenti contrari alla sua posizione: - se il mondo fosse eterno, la sua eternità non sarebbe come quella di Dio, perché soltanto Dio è immutabile, e la sua eternità è di un genere diverso di 72 «[Augustinus] dici! lo De civ. Dei, cap. 31 de Platonicis loquens: "Id quomodo intelligant, viderint non esse hoc videlicet temporis, sed substitutionis initium. Sicut enim, inquiunt, si pes semper ex aeternitate fuisset in pulvere, semper ei subesset vestigium, quod tamen vestigium ex calcante factum nemo dubitaret" (De neteroitate). Ci sono dei testi paralleli che riportano lo stesso esempio quasi alla lettera: «Sicut enim, inquiunt, si pes ex aeternitate semper fuisset in pulvere, semper subesset vestigium, quod a calcante factum nemo dubitaret; sic et mundus semper fuit, semper esistente qui fecit» (ST I, q. 46, a. 2); <oicut enim, inquiunt, si pes ab aeternitate fuisset in pulvere, semper subesset vestigium: quod tamen a calcante factum nemo dubitaret: sic mundus semper fuit semper existente qui fecit; et tamen factus est. Ergo Deus potllìt facere aliquid quod semper fuit» (Q.D pofentia q. 3, a. 14, ago 7). 73 <~firum est etiam quomodo nobilissimi philosophorum hanc repugnantiam non viderunt». A questo punto mi sembra sia chiaro quali filosofi abbia qui in mente Tommaso. Ma se ancora ci fosse qualche dubbio, la continuazione del testo lo può sciogliere, rafforzato con un nuovo argomento di autorità, perché Tommaso cita nuovamente Agostino e lo pone proprio dalla sua parte contro gli avversari: «Dicit enim Augustinus in eodem Lib. cap. 5, contra illos loquens de quibus in praecedenti auctoritate facta est mentio: cum his agimus qui et Deum corporum et omnium naturarum quae non sunt quod ipse, creatorem nobiscum sentiunt; de quibus postea subdit: isti philosophos cct eros nobilitate et al/cforitate vicerunt» (De aeferoitate). Per il contesto si capisce che sta parlando dei platonici, ma sicuramente può applicarsi anche agli aristotelici. Il corsivo è nostro. La crea:;jone in Tommaso quella del mondo. Anche negli angeli c'è un qualche tipo di.movim~nt~, ~ quindi di passaggio, e per questo nemmeno loro sono coeterru con DIO, Cioe la loro eternità è di un altro genere rispetto a quella di Dio; _ se il mondo fosse esistito da sempre, ci sarebbe una molteplicità infinita di anime? Non necessariamente, perché Dio potrebbe aver creato gli uomini in un certo momento, e non da sempre; inoltre Tommaso oserà dire di più: ancora non si è dimostrato che Dio non possa fare che esista un'infinità di cose in atto (non est adhuc demonstratum, quod Deus non possit lacere ut sint infinita actu). Anzi, nella Summa Theologiae arriverà oltre, giacché sostiene che «non est impossibile quod homo generetur ab homine in infinitum».74 Qualcosa di simile si può dire riguardo l'argomento di una successione infinita di giorni. Sarebbe una serie infinita per accidens, il che, di per sé, non è impossibile.. In conclusione, per Tommaso non è assurda una creazione ab aeterno. Se Dio l'avesse voluto, l'avrebbe potuta fare così. Il mondo dipende dalla volontà di Dio come dalla sua causa. Ma proprio per questo nemmeno è necessario che il mondo sia esistito da sempre. In questo senso, dice Tommaso, gli argomenti di Aristotele sull'eternità del mondo non sono dimostrativi, ma soltanto ipotetici (probabiles). È chiaro, infatti, per Tommaso che Aristotele aveva sostenuto l'eternità del mondo,15 ma così come non sono concludenti gli argomenti contro un'ipotetica eternità del mondo, non lo sono nemmeno quelli a suo favore. Per questo motivo l'aquinate si dedica a smontare gli argomenti di Aristotele a favore dell'eternità del mondo, facendo vedere che non hanno forza dimostrativa, ma sono piuttosto opinabili o dialettici. 76 Anzi, Tommaso sostiene che Aristotele 74 STI, q. 46, a «Manifestum est quod Aristoteles hic firmiter opinatus est et credidit necessarmm fore, quod motus sit sempiternus et similiter tempus. Aliter enim non fundasset super ho~ intentionem suam de inquisitione substantiarum immaterialium» (In Met. XII, le. 5). Infatti, anche qui Tommaso polemizza con quelli che negano questo fatto, e con qu~sto dimostra la sua onestà intellettuale verso il Filosofo: «Quidam vero frustra conantes Arlstotelem ostendere non contra fidem locutum esse, dixerunt quod Aristoteles non intendit hic probare quasi verum, quod motus sit perpetuus; sed inducere rationem ad utramque partem, ~uasi ad rem dubiam: quod ex ipso modo procede~di frivolum apparet. Et prae:erea, perpetu1:a~e temporis et motus quasi principio utitur ad probandum primum principmid esse, et hic ID octavo et in XII Metaphys.; unde manifestum est, quod supponit hoc tanquam probatum» (In Pl!J!s. VIII, le. 2).. 76 «Sed tamen sciendum quod rationes ab eo inductae in octavo physlcorum, ex quarum

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