Sociolinguistica a.a II modulo didattico. VIII Processi di standardizzazione e ristandardizzazione dell italiano
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- Gaetano Cuomo
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1 Sociolinguistica a.a II modulo didattico VIII Processi di standardizzazione e ristandardizzazione dell italiano 1
2 Italiano, lingue romanze e latino Per illustrare il processo di formazione dello standard italiano è necessario dedicare qualche considerazione preliminare alla situazione linguistica del latino, cercando innanzi tutto di intendere in maniera più aderente alle effettive vicende linguistiche la diffusa convinzione che l'italiano (come le altre lingue romanze) derivi dal latino. In realtà le diverse forme linguistiche romanze non derivano, ma rappresentano la continuazione del latino, o meglio delle varietà di latino, così come queste erano state diffuse nelle diverse regioni d'italia prima e più tardi nei territori dell'impero. La stessa nozione di lingua latina, spesso identificata con la lingua letteraria o con la norma trasmessa attraverso l'insegnamento scolastico, deve essere riportata alla reale articolazione sociolinguistica, prodotto di un'evoluzione storica assai lunga. 2
3 Articolazione diasistematica del latino 1 Sul piano della sua formazione il latino è il risultato del prevalere della forma urbana di Roma sui dialetti italici circostanti, come conseguenza della crescita del potere politico e militare di Roma; chiare tracce di questa lotta con le varietà dialettali vicine sono, ad esempio, i sabinismi come consul, solium, olere (con [l] sabina invece della forma urbana con [d]) o gli italicismi come tafanus, bufalus, scrofa (con [f] italico invece di [b]), circoscritti a lessemi concernenti realtà rurali. Se da questi fenomeni che hanno caratterizzato la storia della lingua di Roma nel periodo della sua formazione (prima del V secolo a.c.) passiamo a considerare il latino del periodo classico, la situazione è assai complessa: latino di Roma l. delle classi superiori lingua letteraria, norma scolastica lingua d uso (Umgangssprache) l. della plebe l. volgare oralità, domini informali, modesto accesso alla scrittura 3
4 Articolazione diasistematica del latino 2 1. Distinzione tra: a) la norma letteraria/standard usata nelle opere degli autori del periodo aureo (e probabilmente dalle classi superiori nel parlato più formale) e b) il latino parlato dalle classi inferiori, per lo più di modesta o nessuna alfabetizzazione; questa seconda realtà, spesso denominata "latino volgare" è attestata soprattutto nel periodo arcaico (ad esempio in alcune parti delle commedie di Plauto, ma anche in diverse iscrizioni) e nel periodo tardo (si pensi alle iscrizioni pompeiane) e rappresenta l'aspetto della continuità della lingua parlata dagli strati socialmente più bassi, che affiora soprattutto nei periodi in cui la pressione sociolinguistica del latino colto e letterario viene meno per ragioni sociali e politiche. d i a s t r a t i c a 2. Distinzione tra: a) il latino letterario, usato nello scritto e nel parlato sorvegliato, e b) la "lingua d'uso" impiegata nel parlato informale e, limitatamente, nello scritto (si pensi, ad esempio, alla diversità tra il latino delle opere retoriche e filosofiche di Cicerone e quello delle lettere agli amici e ai familiari). dia-fasica/-mesica 4
5 Articolazione diasistematica del latino 3 A partire dal primo periodo repubblicano la potenza militare di Roma e la sua politica imperialistica portarono il latino a diffondersi dapprima in tutta la penisola italiana e poi nelle colonie, dalla penisola iberica alla Dacia (Romania). La romanizzazione dei territori assoggettati sul piano militare avveniva soprattutto attraverso la fondazione di colonie e di insediamenti in cui venivano trapiantati veterani e coloni latini: il latino diffuso attraverso questi canali non poteva che essere la lingua parlata dalle classi inferiori, quelle che contribuivano in maniera massiccia alla formazione dell'esercito romano. Questo tipo di latino, di per sé meno soggetto alla uniformità della norma standard, e portato da coloni di disparata provenienza, era destinato a differenziarsi ulteriormente a contatto con le lingue parlate dai popoli sottomessi e talora in una situazione di lontananza e di isolamento dei coloni rispetto alla madre patria. A queste circostanze si aggiunse il decisivo fattore disgregante della caduta dell Impero Romano d Occidente (476 d.c.) e delle invasioni barbariche, che rappresentano i presupposti grazie ai quali le diverse forme di latino parlate nei territori dell'impero, in assenza di uno standard riconosciuto ed imposto da un'autorità centrale, poterono intraprendere il cammino che le ha portate a trasformarsi nelle varietà romanze. 5
6 Disarticolazione del dominio latino La progressiva differenziazione del latino parlato nei territori dell'impero romano ha dato luogo al seguente quadro: a) Rumeno b) Dalmatico Italiano Sardo Ladino c) Francese Franco-provenzale Provenzale Catalano d) Spagnolo Portoghese Questo dominio, definito come Romània continua è perfettamente coerente con le immagini della teoria delle onde e del piano inclinato enunciate da J. Schmidt: considerando Roma e l'italia romanizzata come il centro diffusore delle innovazioni linguistiche, la Romanìa e la penisola iberica rappresentano le aree laterali di questo dominio e mantengono così aspetti linguistici arcaizzanti rispetto al latino e al romanzo centrale, al pari di aree isolate come la Sardegna. Il risultato di una tale diffusione del latino è un territorio che per tutto il periodo medievale appare come un continuum linguistico, sul quale successive vicende politiche e sociali hanno introdotto le differenziazioni nette che hanno portato all'individuazione delle lingue romanze moderne. 6
7 Articolazione del dominio romanzo in Italia Fino dai secoli successivi alla dissoluzione dell'impero romano si sono delineate nella penisola italiana le seguenti varietà romanze diatopicamente differenziate: 1. il tipo settentrionale influenzato dal sostrato gallico (Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia fino all'adriatico); 2. il tipo nord-orientale euganeo (Veneto) rimasto immune dalle invasioni galliche e linguisticamente assai conservatore; 3. il tipo centrale caratterizzato da sostrato etrusco, che ha recepito il latino nella forma più vicina alla norma classica, (Toscana); 4. il tipo mediano, fra l'adriatico e la valle del Tevere, con colorito linguistico umbro, di cui fa parte anche Roma, almeno fino al XV secolo; 5. il tipo meridionale, caratterizzato da sostrato di tipo osco, che comprende i territori della penisola a sud del Lazio, con l'eccezione delle zone grecofone del Salento e della Calabria. 7
8 Diglossia del periodo medievale Le prime attestazioni scritte dei volgari italiani risalgano al IX/X secolo: la lingua attestata è il punto d'arrivo di un lungo processo, iniziato diversi secoli prima con la caduta dell'impero romano d'occidente e proseguito poi in maniera sotterranea. Per tutto il Medio Evo il latino è l'unica lingua impiegata per i documenti scritti. Le varietà dialettali che si parlavano quotidianamente nelle diverse zone della penisola erano sentite come forme corrotte e devianti rispetto al latino insegnato a scuola. Fin da questa fase delle origini si può dunque parlare di una situazione diglottica in cui la varietà alta, rappresentata dal latino, è riservata al codice scritto e a tutti i dominî della cultura e dell'ufficialità, mentre le varietà diatopicamente differenziate di volgare, apprese come lingua materna erano limitate al codice orale e a dominî informali: latino varietà volgari 8
9 Superamento della diglossia medievale E stata necessaria una lunga serie di tentativi per far superare ai volgari questo senso d'inferiorità rispetto al latino e perché si senta il desiderio di fissare per scritto la nuova forma linguistica, come era successo in Francia con le letterature d'oc e d'oil. Questa situazione dura almeno fino al secolo XIV, quando il volgare è ormai accettato come lingua di generi letterarî quali la lirica o la narrativa, ma non per generi di maggiore elevatezza e dignità: Dante usa il volgare per la Commedia, ma il latino nei trattati di politica e di retorica (De Monarchia, De Vulgari Eloquentia). Il quadro cambia ancora a partire dalla fine del '300: il prestigio di cui il volgare toscano gode in quanto mezzo linguistico usato da Dante, Petrarca e Boccaccio, fa sì che fra 1300 e 1500 il toscano nelle forme del fiorentino letterario venga sempre più spesso impiegato da dotti e letterati per scrivere di qualsiasi argomento. 9
10 Una nuova forma di diglossia Nelle regioni diverse dalla Toscana si crea così una nuova situazione di diglossia: quella che era stata una delle molte varietà geografiche della penisola diventa, anche fuori dai suoi confini originarî, varietà alta destinata soprattutto allo scritto e contrapposta ad una varietà bassa rappresentata dal dialetto locale, appreso come lingua prima. toscano letterario varietà dialettali diverse Il valore del toscano come lingua letteraria valida per tutta l Italia è stato canonizzato nel dibattito sulla questione della lingua svoltosi agli inizi del 1500, grazie alla fortuna delle tesi filo-toscane sostenute da personaggi come Bembo, Machiavelli, Tolomei, in opposizione alla tesi cortigiana o italianista di Castiglione, Trissino, Equicola. 10
11 Persistenza della situazione di diglossia Nel momento dell'unificazione politica italiana (1861) la situazione rimaneva sostanzialmente era quella diglottica ora delineata: con una percentuale di analfabetismo del 78% (censimento del 1861) è evidente che coloro che potevano apprendere l'italiano a scuola erano un'esigua minoranza. All indomani della formazione di uno stato unitario si è perciò proposta in maniera esplicita la questione di individuare una varietà di italiano, dotata di tutte le qualificazioni di un qualsiasi standard moderno e cioè che potesse funzionare come mezzo di comprensione interregionale, che fosse codificato da una serie di norme che stabiliscono il suo uso corretto, che servisse da lingua comune intersoggettiva e polifunzionale. La proposta di A. Manzoni, fatta propria dal Regno d Italia, individuò nel toscano o piuttosto nel fiorentino parlato dalle classi borghesi la varietà da scegliere per la nuova norma ; Attorno all ipotesi manzoniana si accese una polemica, alimentata soprattutto dal linguista e dialettologo G.I. Ascoli. 11
12 Persistenza della situazione di diglossia Il mezzo individuato dal Manzoni per diffondere in tutta Italia il tipo di toscano parlato dalla borghesia fiorentina fu quello di utilizzare maestri di madre lingua toscana in tutte le scuole elementari delle diverse regioni d Italia. Lo stato fonetico/fonologico dell italiano contemporaneo rivela il fallimento del programma proposto da Manzoni; ma la cosa più importante è che nella prospettiva manzoniana (come in quella dell Ascoli) era centrale il ruolo della scuola primaria. Uno sguardo all alfabetizzazione italiana rivela la ragione del fallimento della proposta manzoniana: % % % % % % 1951 >10% ,2% percentuali di analfabeti ricavata dai dati ufficiali dei censimenti 12
13 Persistenza della situazione di diglossia I dati reali sono tuttavia assai più negativi di quanto traspare dalle cifre dei censimenti. Per la situazione immediatamente post-unitaria i dati raccolti da De Mauro sulla consistenza effettiva di chi, fuori dalle due situazioni particolari della Toscana e della città di Roma, era in grado di usare l italiano (toscano) in tutti i domini portano a concludere che forse si poteva definire italofono l 1,5 % della popolazione effettiva cioè non più di persone disperse su un vasto territorio e rispetto alla massa di 20 milioni di parlanti. Ma anche per i periodi successivi è necessario osservare che i dati relativi alla percentuale di analfabetismo nascondono una situazione molto più negativa, perché i semi-analfabeti (quelli che hanno seguito solo la scuola primaria e talora senza completarla) dal punto di vista linguistico dell apprendimento dell italiano in realtà si trovano assai vicini alla situazione degli analfabeti. Se ne deduce che la scuola, il principale canale di diffusione della varietà standard, si è trovata in Italia in una situazione notevolmente arretrata rispetto a tutti gli altri paesi europei, almeno per i primi 50 anni del
14 Persistenza della situazione di diglossia Una conseguenza di quanto appena visto è rappresentato dalle variazioni della vitalità e della funzionalità dei dialetti (polo basso della situazione diglottica) rispetto allo standard italiano: italiano 1,5% 14% 38% 44% italiano/dialetto 1% 66% 48% 49% dialetto 97,5% 20% 14% 7% Se prendiamo come riferimento la situazione dei primi anni 50, cioè la vigilia di profondi rivolgimenti nella struttura economico-sociale e nel costume del paese (emigrazione interna, industrializzazione, boom economico, diffusione della televisione) si può constatare che: 1. solo il 14% dei parlanti usa l italiano in tutte le condizioni; 2. il 20% conosce e usa ancora solo il dialetto; 3. un enorme massa di parlanti ha ancora il dialetto come varietà nativa e lo usa nei domini familiari e informali ed ha una conoscenza dell italiano limitato ad occasioni pubbliche e formali (rapporti di lavoro, rapporti con la burocrazia, servizio militare, scuola). 14
15 Il superamento della diglossia Conclusione: la situazione dell italiano e del suo impiego fino agli anni 50 del 900 risponde ai connotati della diglossia così come è stata definita sopra e caratterizzata dai suoi due principali elementi della gerarchia delle varietà in base ai domini d uso e dell apprendimento della varietà standard esclusivamente o in maniera significativa dominante attraverso la scuola. La situazione diglottica dell italiano subisce una sostanziale alterazione nel corso degli anni 60 e 70 del 900, come conseguenza di determinati rivolgimenti sociali, economici e di costume: 1. trasformazione dell economia da agricola a industriale e conseguente miglioramento economico degli anni 60; 2. approfondimento della questione meridionale e migrazioni di massa verso il nord e nord-est; 3. scolarizzazione di massa (fine anni 60 e 70); 4. diffusione dei mass-media. 15
16 Il superamento della diglossia Questo ha conseguenze notevoli sulla composizione del repertorio linguistico italiano, i cui due poli tradizionali della lingua e del dialetto o varietà A e B o standard e sub standard si arricchiscono di almeno altre due varietà: italiano standard italiano regionale koinè dialettale dialetto Un elemento abbastanza nuovo e di grande rilievo è la presenza, sempre più consistente a partire dagli anni 60 e 70 delle forme di italiano regionale: varietà dello standard marcate in senso diatopico e caratterizzate da peculiarità fonetico/fonologiche e lessicali; questa è la forma più diffusa con cui ancora oggi lo standard italiano è realizzato dai parlanti. La conseguenza di questi profondi mutamenti sociali e linguistici è che la generazione di italofoni nati dopo gli anni 70, nella grandissima maggioranza dei casi ha appreso come L1 non il dialetto, ma una forma di italiano regionale più o meno marcato: così sono venute meno le condizioni stesse della diglossia che implica che si apprenda come L1 la varietà bassa della gerarchia e non una forma della varietà alta. 16
17 La nozione di continuum linguistico La nozione di continuum linguistico è stata elaborata all inizio degli anni 70 nell ambito degli studi di creolistica per descrivere le varietà di passaggio tra due poli ben identificabili (Bickerton 1973: inglese e creolo della Guyana), di solito dotati di una connotazione rispettivamente positiva e negativa in senso diglottico. Due aspetti continuano ad essere dibattuti: 1) la questione del grado di discretezza delle varietà che costituiscono il continuum. a) continuum generico, con varietà non discrete e non orientate in senso diglottico; b) continuum con polarizzazioni, con varietà non discrete, ma orientate; c) continuum con addensamenti, con varietà non discrete ed orientate, ma non necessariamente verso i due poli estremi; d) gradatum, con varietà dal carattere almeno in parte discreto (Berruto 1987: 29-30). 2) la possibilità che i tratti linguistici pertinenti alle diverse varietà non ricorrano nelle concrete realizzazioni dei parlanti in maniera casuale e caotica, ma che possano essere ordinati secondo una scala implicazionale, come sostenuto da DeCamp nel suo studio sul continuo post-creolo della Giamaica (DeCamp 1971). 17
18 Dalla diglossia al continuum linguistico Nei concreti usi linguistici il dominio italiano degli ultimi 10 o 20 anni sembra rispondere in maniera sempre più netta ai connotati di un continuum linguistico. Un esempio concreto può essere rappresentato da un caso colto nell area linguistica veneta. 18
19 Un esempio continuum linguistico A B C D E F (G) G (F) H 1 non sono affatto a conoscenza di che cosa sia stato loro detto 2 non sono affatto a conoscenza di che cosa abbiano loro detto 3 non so affatto che cosa abbiano loro detto 4 non so affatto che cosa abbian loro detto 5 non so affatto che cosa hanno loro detto 6 non so mica che cosa gli hanno detto 7 non so mica che cosa gli han detto 8 non so mica cosa gli han detto 9 so mica cosa gli han detto 10 so mica cosa ci han detto 11 so mica cosa che ci han det t o 19
20 Commento al continuum a Il continuum, che fa riferimento all italiano settentrionale di area veneta prende in esame otto variabili diverse (colonne): A) forma della negazione (non... affatto/ non... mica/...mica) B) opposizione lessicale "essere a conoscenza di..." / "sapere" C) forma del pronome neutro interrogativo (che cosa / cosa/ cosa che) D) costruzione attiva/passiva E) troncamento delle forme verbali (abbiano/abbian, hanno/han) F) opposizione indicativo/congiuntivo nell'interrogativa indiretta G) forma del pronome indiretto di 3ª persona plurale (loro/gli/ci) H) parziale scempiamento delle geminate 20
21 Commento al continuum b Il continuum, pur senza escludere altre possibili combinazioni, prevede 11 diverse varietà (righe), definibili come: 1. Italiano formale aulico 2. Italiano letterario 3. Italiano standard 4. Italiano neo-standard 5. Italiano neo-standard 6. Italiano parlato 7. Italiano colloquiale 8. Italiano informale 9. Italiano trascurato 10. Italiano-dialetto 11. Italiano popolare Le varietà 1-11 sono così distribuite sull asse standard-substandard: 21
22 Continuum e scale implicazionali Se ordiniamo le otto variabili considerate secondo un ordine di marcatezza d<b<e<f<a<g<c<h e manteniamo le 11 varietà nella sequenza dello schema precedente, è possibile avere un ordine che rispecchia i principi delle scale implicazionali. 22
23 Continuum e scale implicazionali Nella scala precedente i numeri 1, 2, 3 si riferiscono alle diverse realizzazioni di ogni variabile, secondo l ordine in cui compaiono nello schema della diapositiva 19 (dall alto in basso e da sinistra a destra). Dalla scala risulta che sono impossibili realizzazioni come: Non sono affatto a conoscenza di che cosa ci han detto So mica cosa che sia stato loro detto Appaiono per lo meno strane realizzazioni come: So mica cosa ci abbiano detto So mica cosa ci han detto Appaiono del tutto normali realizzazioni come Non so mica che cosa abbiano loro detto Non sono affatto a conoscenza di che cosa abbiano loro detto. 23
24 Le variabili del continuum a Distribuzione delle realizzazioni delle otto variabili considerate nei diversi livelli e varietà del diasistema italiano. 1, 2, 3 si riferiscono rispettivamente alla prima, seconda e, eventualmente, terza realizzazione di ciascun tratto. 24
25 Le variabili del continuum b Diversa schematizzazione della distribuzione dei tratti nelle diverse varietà. 25
26 Tendenze di ristandardizzazione dell italiano contemporaneo a 26
27 Tendenze di ristandardizzazione dell italiano contemporaneo b Bibliografia minima De Mauro T., Storia linguistica dell Italia unita, Bari, Laterza 1976 (5ª ed.) Berruto G., Sociolinguistica dell italiano contemporaneo, Roma, NIS, 1987 Gensini S., Elementi di storia linguistica italiana, Bergamo, Minerva Italica, Serianni L. - Trifone P. (a cura di), Storia della lingua italiana, Torino, Einaudi, (3 volumi). 27
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