PSICOLOGIA GENERALE La motivazione lezione 4. ANNO 2017/18 DOCENTE: Spagnoletti Maria, Stella
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1 PSICOLOGIA GENERALE La motivazione lezione 4 ANNO 2017/18 DOCENTE: Spagnoletti Maria, Stella
2 La motivazione La motivazione può essere descritta come una situazione in cui per la persona esiste un oggetto-meta (obiettivo), perseguito in quanto attraente (o temuto in quanto repulsivo), per raggiungere (o evitare) il quale la persona attiva un determinato comportamento: per la psicologia della motivazione gli oggetti-meta perseguiti (o evitati) e ciò che li rende attraenti (o repulsivi) costituiscono proprio le entità da spiegare. La motivazione include aspetti biologici, cognitivi e sociali.
3 La motivazione La motivazione è un costrutto ipotetico, non osservabile in quanto tale. Non riflette un unità omogenea presente in una qualche misura nella persona, ma è il risultato di un astrazione con cui vengano estrapolate e trattate le componenti motivazionali di volta in volta presenti che hanno a che fare con il durevole orientamento ad un fine del comportamento
4 A seconda delle posizioni teoriche di fondo e delle immagini dell uomo che esse comportano, abbiamo in partenza due fondamentali prospettive di analisi della motivazione: Interna Esterna
5 SPINTA (fonte interna): Vi sono eventi anteriori che spingono e incitano il comportamento Tipicamente nell organismo esistono entità interne che spingono per essere soddisfatte, creando tensioni o energie che chiedono di essere scaricate sistemi motivazionali fisiologici (fame, sete...)
6 ATTRAZIONE (fonte esterna): Esiste una prospettiva futura che attrae e orienta il comportamento L oggetto-meta è uno stato futuro che l individuo vuole raggiungere e rispetto al quale orienta diverse attività comportamentali (equifinalità del comportamento) sistemi motivazionali complessi
7 Primi concetti esplicativi: istinto e pulsione ISTINTI nell accezione etologica: sequenze comportamentali (pattern) innate. Le prime teorie della motivazione incentrate sul concetto di istinto, richiamano l attenzione sul fatto che, a dispetto della plasticità riconducibile a processi di apprendimento ed a tutti i processi cognitivi intermedi, il nostro comportamento è guidato in parte da elementi ancorati alla storia della nostra evoluzione
8 Istinti Darwin (1859): come le caratteristiche fisiche, gli istinti soggiacciono alle leggi di variazione casuale e selezione naturale Mc Dougall , interessante modello tripartito: ciascun istinto si caratterizza per il fatto di a) accentuare la percezione di determinati oggetti o eventi, b) stimolare una specifica emozione, c) generare la tendenza ad agire in un certo modo nei confronti dell oggetto percepito.
9 L associazione istinto-emozione ritorna nella teoria delle emozioni primarie universali (Darwin, poi Ekam e Izard) in quanto sistemi motivazionali rudimentali che orientano in senso adattativo sia i primi comportamenti del neonato, sia quelli dell adulto prendendo il comando in situazioni incerte/di pericolo.
10 Etologia e imprinting Lorenz (1937): distinzione tra azione terminale dell istinto (coordinazione ereditaria), che è una sequenza automatica rigidamente predeteminata (schemi di azione fissa) innescata da uno stimolo-chiave, e comportamento di ricerca con cui l animale cerca lo stimolo-chiave (cioè occasioni per attivare la coordinazione ereditaria), che invece è plastico, cioè soggetto ad apprendimento. Il concetto che la possibilità di eseguire un comportamento (l azione terminale dell istinto) costituisce la motivazione ad eseguirne un altro ha analogie con quello di motivazione intrinseca in psicologia della motivazione. Imprinting: comportamento specie-specifico geneticamente programmato.
11 Etologia e motivazione Il modello di comportamento sottostante a gran parte degli studi etologici e denominato modello idraulico. Modello idraulico della motivazione: modello energetico fondato sull idea di un energia che si accumula all interno dell organismo e spinge per essere liberata. Tale energia è regolata da un lato dalla pressione raggiunta e dall altro dalla presenza e dall intensità di stimoli esterni
12 Il modello della riduzione delle pulsioni Al concetto ambiguo di istinto si contrapposero una serie di teorie fondate sulla riduzione delle pulsioni. Secondo il modello della riduzione delle pulsioni l assenza di requisiti biologici fondamentali (p.e. cibo) produrebbe una pulsione (p.e. la fame) allo scopo di conseguire quella determinata risorsa.
13 Il modello della riduzione delle pulsioni La tensione degli organismi a mantenere una situazione di equilibrio interno è definita omeostasi (Cannon, 1929); l omeostasi garantisce, quando ci sono variazioni rispetto ad un valore critico, un aggiustamento per ritornare allo stato iniziale di equilibrio. Quando ciò non accade si attivano meccanismi o pulsioni che spingono e attivano comportamenti per ristabilire l equilibrio ottimale. Introduzione della distinzione tra pulsioni primarie (legate ai bisogni biologici del corpo) e secondarie (nascono da esperienze passate e apprendimento, p.e. successo).
14 Pulsioni 1 Freud (concezione freudiana è prototipo dell idea di comportamento avviato da una spinta interna) La pulsione è l istanza psichica, espressione di un bisogno fisico, che si manifesta a livello dell Es (interfaccia tra fisico e psichico), inconsciamente e indipendentemente da un rapporto specifico con la situazione connessa all azione. La sua meta consiste nella soppressione dello stato di stimolazione, ovvero nell essere scaricata comunque sia; perché ciò avvenga la pulsione deve trovare esternamente all organismo un oggetto su cui scaricarsi, ma per fare ciò l Es (che non ha contatti con il mondo esterno) deve affidarsi alla mediazione dell Io, che sull altro fronte deve considerare le esigenze Super-Io. La concezione di desiderio inconscio /componenti motivazionali non consce ha esercitato un effetto duraturo sulla psicologia della motivazione
15 Pulsioni 2 Hull (1943): Considera quali componenti costitutive della motivazione al comportamento due diversi fattori: Abitudine: l associazione ripetuta tra un dato stimolo e una certa riposta Pulsione: attivazione dell organismo che mette in moto un comportamento per soddisfare un bisogno (condizione di carenza/necessità)
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17 Pulsioni 3 Le variazioni al modello di Hull Tendenza comportamentale = pulsione x abitudine x incentivo dove la pulsione (drive) è una spinta interna all azione, generica e aspecifica, che può generare una determinata tendenza comportamentale solo combinandosi con l abitudine (habit - specifica e frutto dell apprendimento) e con l incentivo (valore di ricompensa dell oggetto-meta) che entra quindi in campo anche la seconda prospettiva, relativa all attrazione da fonte esterna.
18 Diversamente dagli istinti le pulsioni possono essere soggette a variazioni da un individuo all altro e alle influenze dell ambiente Il passaggio dagli istinti alle pulsioni in chiave teorica porta ad una nuova definizione di bisogno
19 Classificare i bisogni MURRAY BISOGNI, PRESSIONI, TEMI Murray elabora la distinzione tra bisogni primari innati (fame, sete...) e bisogni secondari superiori (riuscita, affiliazione, autonomia...) acquisiti nel corso dello sviluppo individuale tramite esperienze di apprendimento in ambienti concreti, caratterizzati cioè da specifiche strutture fisiche, sociali e culturali
20 Murray Murray concettualizza che ai bisogni (needs) della persona facciano riscontro pressioni (press) provenienti dell ambiente, cioè aspetti della situazione ambientale che rappresentano un allettamento o una minaccia specifica nei confronti di quel bisogno Suddivide le pressioni in alfa (caratteristiche situazionali oggettive) e beta (caratteristiche della situazione così come percepite dalla persona in base ai suoi bisogni) L interpretazione e la percezione di una situazione dipendono sistematicamente dalla forza del bisogno del soggetto.
21 Murray Infine concettualizza l incontro di bisogni e pressioni come temi di interrelazione persona-ambiente Quindi, partendo dai temi, è possibile comprendere e classificare i bisogni Elabora a questo fine il TAT: test proiettivo (immagini ambigue) nella cui percezione si suppone che il soggetto proietti i temi che gli sono propri, permettendo da questi di risalire a ritroso a bisogni e pressioni
22 Classificare i bisogni McCLELLAND distinse tre classi di bisogni secondari: Bisogno di successo Bisogno di affiliazione Bisogno di potere
23 La gerarchia dei bisogni di Maslow
24 La gerarchia dei bisogni di Maslow Per comprendere la personalità e la condotta di una persona è necessario conoscere i bisogni che in essa premono per essere appagati. Maslow individua 5 tipi di bisogni disposti secondo un ordine gerarchico dai più primitivi ai più evoluti. Mentre quelli fisiologici e di sicurezza sono definiti: bisogni di carenza. Gli ultimi tre, che continuano a svilupparsi, sono detti: bisogni di crescita Un ruolo importante è rivestito dal bisogno di autorealizzazione
25 Fattori sociali del bisogno di potere Rifacendosi alla suddivisione dei bisogni avanzata da McClelland (1985), K. Lewin (1951) definisce il potere come il quoziente della forza massima che l individuo A ha sull individuo B e della massima resistenza che B può impiegare; il potere viene quindi considerato una forza risultante dalla duplice azione di imporsi e di resistere. Chi domina e chi viene dominato sono in quest ottica parti di un sistema a suo modo socialmente funzionale entro un dato ambiente.
26 Per Lewin l ambiente non è un dato oggettivo ma soggettivo, cioè è costituito da ciò che nel momento è psicologicamente rilevante per la persona e quindi da essa effettivamente percepito Concettualizza l ambiente come spazio di vita della persona, articolato in diverse regioni-meta: ciascuna rappresenta una possibilità di azione e può essere valutata dalla persona in termini positivi o negativi in funzione sia dei suoi bisogni intrinseci (i sistemi di tensione), sia delle qualità proprie dell oggetto-meta: ciascuna regione-meta ha quindi per la persona una valenza, o valore di incentivo, che può essere di segno positivo o negativo e assumere diversi gradi d intensità
27 La teoria delle attribuzioni causali Weiner (1972) applica alla ricerca sulla motivazione alla riuscita il modello delle attribuzioni causali di Heider (1958): spiega così le cause che le persone tendono ad invocare per l esito delle proprie prestazioni come funzione della loro percezione circa la localizzazione di tale causa e della sua stabilità nel tempo; applicando questo modello alla teoria aspettativa x incentivo, ipotizza che le attribuzioni causali da un lato siano funzione della direzione individuale del motivo alla riuscita, e dall altro lato influiscano sulle conseguenze motivazionali del risultato di una prestazione. Le considerazioni maggiori riguardano: La localizzazione delle cause di un evento (locus of control) La stabilità temporale del fattore causale La sua controllabilità
28 La ricerca empirica dimostra in effetti che: in caso di successo i motivati al successo tendono sistematicamente a riferirlo a cause interne, privilegiando quelle stabili (propria capacità che quindi risultano confermate), mentre i motivati all evitamento dell insuccesso tendono ad attribuirlo a fattori esterni (caso o facilità del compito); in caso di insuccesso i motivati al successo lo attribuiscono a fenomeni sia interni che interni ma variabili nel tempo (sforzo insufficiente, caso) e quindi rimediabili in futuro, mentre i motivati all evitamento dell insuccesso lo attribuiscono alla propria (cronica) mancanza di capacità in questo modo ciascuno rinforza, autoalimentandola, la direzione del proprio motivo
29 Teoria delle attribuzioni causali Localizzazione della causa Interno Esterno Stabilità della causa Stabile CAPACITA DIFFICOLTA COMPITO Variabile SFORZO CASO
30 Strutture motivazionali complesse L obiettivo della ricerca più recente è lo sviluppo di modelli motivazionali che permettano di rendere conto della complessità delle situazioni di vita reale, fuori dai laboratori, in cui possono essere in gioco strutture motivazionali complesse con molteplici incentivi che interagiscono in varia misura con il comportamento Facendo ricorso alla teoria della strumentalità (che definisce l aspettativa, ovvero il grado di sicurezza individuale o probabilità attribuita, riguardo a quanto sia stretto il rapporto causale tra un determinato evento X e un altro Y), e al concetto di valenza delle conseguenze del risultato come incentivo, diventa possibile elaborare un modello che tenga conto di incentivi tematicamente diversi
31 Nel modello si introduce la differenziazione tra, da una lato, l aspettativa che sia la propria azione a portare (o evitare) il risultato, e dall altro lato l aspettativa (che viaggia in direzione contraria rispetto alla motivazione all azione) che il risultato sia invece determinato dalla situazione e quindi la propria azione serva a poco Rheinberg sviluppa un versione logico-proposizionale applicativa (scuole), che permette di diagnosticare in quale fase avviene la caduta di motivazione e quindi di intervenire in modo mirato
32 Tipico modello che rinuncia a fondarsi su una grande teoria generale, come i motivi della psicologia motivazionale classica, ma in compenso mostra alta capacità predittiva nelle situazioni individuali, poiché tiene conto del fatto che aspettative e conseguenze dipendono in modo più o meno rilevante dalle condizioni oggettive contingenti; proprio per questo però i risultati non sono generalizzabili
33 Strutture motivazionali complesse Heckhausen e Rheinberg modello motivazionale cognitivo allargato A R Aspettativa che la propria azione porti al risultato R C Aspettativa che il risultato abbia determinate conseguenze SITUAZIONE AZIONE RISULTATO CONSEGUENZE S R Aspettativa che la situazione porti al risultato VALORE ATTRIBUITO ALLE CONSEGUENZE (INCENTIVO)
BISOGNI E PULSIONI (1 di 2)
ISTINTI (2 di 3) Il primo a parlare di istinto fu James (1890) che lo considerava come la facoltà di agire in modo da produrre certi effetti finali senza aver preveduto e senza previa educazione ad agire
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