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1 LEZIONE DECENTRAMENTO PRODUTTIVO ED ESTERNALIZZAZIONE PROF. GIULIO QUADRI

2 Indice 1 Decentramento produttivo ed esternalizzazione Il quadro normativo antecedente il d.lgs. n. 276 del Interposizione e appalto dopo il d.lgs. 276 del Bibliografia di 16

3 1 Decentramento produttivo ed esternalizzazione. Con l espressione decentramento produttivo vengono generalmente designate tutte le iniziative tese a spostare all esterno dell azienda spezzoni produttivi prima ricompresi nel processo di fabbricazione interna. Determinate attività, cioè, in precedenza svolte all interno di un impresa, vengono trasferite a soggetti esterni, ad essa collegati attraverso una varietà di rapporti negoziali, che le assicurano l utilizzazione dei relativi risultati produttivi. Il decentramento produttivo, dunque, è un fenomeno della realtà economica, che incide sui modelli organizzativi dell impresa. Si tratta di un fenomeno che ha avuto una notevole diffusione nella realtà economica, manifestandosi sotto una molteplicità di forme ed assumendo una particolare fisionomia a seconda dell ambiente socio-economico in cui si è sviluppato. Vi si fanno generalmente rientrare il lavoro a domicilio, la fornitura di lavoro temporaneo nelle sue più varie estrinsecazioni, dalle più arcaiche e rozze, come quelle dei caporali e dei capi-cottimo, al più moderno e raffinato staff leasing, nonché le diverse forme di integrazione giuridica e di coordinamento negoziale tra imprese, anche se realizzato attraverso la stipulazione di semplici contratti di appalto. Ma la forma più significativa e maggiormente caratterizzante del decentramento produttivo dei nostri giorni è rappresentata dal fenomeno della esternalizzazione (o outsourcing) termine con il quale viene designato, in generale, il trasferimento a terzi di una o più funzioni precedentemente svolte all interno dell impresa, realizzato in maniera tale che le attività esternalizzate non scompaiano dal ciclo aziendale, perché i beni e i servizi che ne costituiscono il risultato possono essere nuovamente acquisiti dall impresa originaria attraverso una pluralità di strumenti negoziali, quali, ad es., l appalto, la somministrazione, la subfornitura. L esternalizzazione, infatti, tende a configurarsi come un procedimento caratterizzato da due fasi: una prima, propriamente detta esternalizzazione, caratterizzata dalla dislocazione all esterno dell impresa di una determinata attività, accompagnata dalla cessione dei mezzi strumentali attraverso lo strumento del trasferimento di ramo d azienda; la seconda, denominata internalizzazione, contrassegnata dalla riappropriazione dei risultati di tale attività, il più delle volte per mezzo di un contratto di appalto. L attività demandata all esterno, dunque, non scompare dal ciclo produttivo dell impresa, poiché i beni e i servizi che ne costituiscono il risultato sono da questa comunque acquisiti attraverso l instaurazione di un rapporto contrattuale di vario genere con 3 di 16

4 il soggetto cui essa è affidata, realizzando, così, il risultato del ridimensionamento e della riorganizzazione della struttura produttiva. In linea generale, si tratta di vicende che sembrano aver trovato, nel nostro Paese, sempre più largo sviluppo soprattutto in tempi piuttosto recenti, principalmente in seguito ai grandi processi di ristrutturazione industriale che hanno iniziato ad interessare le imprese italiane a partire dagli anni Settanta e Ottanta. E proprio in questo periodo, in effetti, che si assiste, in particolare, ad una nuova rivoluzione industriale, quella informatica, principale causa dei profondi mutamenti verificatisi nelle strutture organizzative imprenditoriali. Fino a tutti gli anni Settanta, il modello dominante di organizzazione imprenditoriale sembra essere stato rappresentato da quello c.d. fordista, espressione di una realtà economica incentrata sulla produzione di massa e caratterizzato dall accentramento della fase produttiva, prevalentemente industriale, in grandi strutture aziendali. Secondo un simile modello, tutte le funzioni dell impresa, anche non necessariamente inerenti al suo ciclo produttivo, vengono svolte all interno di essa e l intera organizzazione è incentrata sulle relazioni dirette, di tipo gerarchico, che intercorrono tra l imprenditore, da un lato, e i lavoratori, dall altro. Tale processo economico-giuridico di integrazione c.d. verticale, favorito in speciale misura da una congiuntura economica contraddistinta dalla forte espansione del settore industriale, viene frenato dalla crisi degli anni Settanta, che apre un periodo di ristagno per l economia nazionale. Si verifica, allora, un inversione di tendenza: la grande impresa, a causa principalmente della sua rigidità organizzativa, manifesta evidenti segnali di crisi. Il tessuto economico viene ad assumere, in effetti, una diversa fisionomia: flessibilità, professionalità, specializzazione ed innovazione tecnologica sono i caratteri di cui hanno bisogno le imprese per essere competitive sul mercato: caratteri, questi, che difficilmente si riscontrano nelle aziende di grandi dimensioni, le quali, dunque, per continuare ad operare sul mercato, danno avvio a processi di ristrutturazione e riorganizzazione della produzione, ispirati a modelli di frammentazione o destrutturazione del ciclo produttivo. Al rinnovamento della produzione industriale si affianca, poi, un altro fenomeno di grande rilevanza, quello, cioè, della crescita smisurata del settore del terziario, destinato ad assumere un ruolo di primaria importanza nell attuale realtà economica, in conseguenza della sempre maggiore richiesta di servizi da parte delle stesse imprese e della collettività nel suo complesso. La terziarizzazione dell economia, l accentuarsi della concorrenza internazionale in conseguenza del processo di globalizzazione e l incessante evoluzione tecnologica, sembrano, comunque, costituire 4 di 16

5 le cause principali della comparsa di nuovi modi di produzione e di nuovi sistemi di organizzazione del lavoro, nettamente differenti da quelli riconducibili al modello fordista, e volti, principalmente, alla ricerca di due obbiettivi, la flessibilità e la qualità. E in un simile contesto economico a trovare diffusione il decentramento produttivo, come risposta delle grandi imprese alle esigenze di rinnovamento provenienti dal mercato, soprattutto nella prospettiva di una riduzione dei costi, trovando l imprenditore più conveniente acquistare all esterno i beni o servizi di cui ha bisogno, quando il loro costo sul mercato (buy) si dimostri inferiore a quello necessario per produrli (make). Si afferma, cioè, un nuovo modello organizzativo dell attività di impresa, nel quale assumono rilevanza una serie di rapporti negoziali con altri soggetti, cui sono affidati singoli segmenti del ciclo produttivo - esterni al c.d. core business (come nucleo di attività essenziali che assicurano all impresa il vantaggio competitivo) - che vanno dalla produzione di beni accessori o strumentali rispetto alla prodotto finale (o anche singole lavorazioni su tali beni) alla prestazione dei più diversi servizi indispensabili al funzionamento dell azienda: servizi semplici (quali la pulizia, il portierato, la ristorazione) e servizi più qualificati, concernenti il settore amministrativo (fatturazione e tenuta della contabilità, gestione delle buste paga), il settore commerciale (gestione e promozione delle vendite), il settore tecnico-produttivo (progettazione e design), ovvero il settore dei c.d. servizi generali (gestione del centralino telefonico, archivio). In tale prospettiva, dunque, si crea una struttura integrata, non più in senso verticale, bensì orizzontale, basata sulla cooperazione tra imprese, nella quale l imprenditore non si presenta più solo come il produttore, ossia come colui che organizza i fattori della produzione, il capitale e il lavoro, ma svolge il ruolo di general contractor, cioè di coordinatore dell opera di altre imprese, spesso, ma non necessariamente, di piccole dimensioni, caratterizzate da maggiore specializzazione tecnica e flessibilità organizzativa, e legate all impresa madre da rapporti contrattuali di vario genere. Ecco che, allora, il decentramento produttivo, visto in precedenza con decisa ostilità dagli operatori giuridici, inizia ad essere guardato con un certo, più o meno cauto, favore. Mentre, infatti, in un sistema di produzione accentrato, di tipo fordista, il trasferimento all esterno di spezzoni del ciclo produttivo o di servizi ad esso accessori non poteva non destare dei sospetti, trattandosi di una vicenda, in linea di massima, anormale, volta principalmente a liberare l imprenditore dal peso dell assunzione diretta dei lavoratori necessari al loro svolgimento, in una prospettiva post-fordista, invece, nel panorama di una sempre più accentuata tendenza alla frammentazione delle strutture 5 di 16

6 produttive, il ricorso ad imprese di piccole e medie dimensioni viene considerato, in sostanza, quale fenomeno assolutamente naturale. Si è ritenuto opportuno, così, distinguere tra un decentramento patologico, posto in essere al fine di eludere le normative di tutela del lavoratore, ed un decentramento fisiologico, motivato da adeguate ragioni tecniche, organizzative ed economiche, derivanti dalle mutate esigenze del mercato. 6 di 16

7 2 Il quadro normativo antecedente il d.lgs. n. 276 del 2003 Il decentramento produttivo, fenomeno di origine piuttosto antica, ha trovato grande diffusione in Italia principalmente a partire dagli anni Settanta, come conseguenza dei profondi mutamenti verificatisi nelle strutture organizzative imprenditoriali in seguito alla rivoluzione informatica e tecnologica. Nel sistema di produzione fondato sul modello fordista, in effetti, risultando il trasferimento all esterno di segmenti del ciclo produttivo una vicenda, per lo più, anormale, il decentramento produttivo viene visto con un certo sospetto, quasi come un insieme di artifici utilizzati dagli imprenditori per liberarsi della responsabilità economica e giuridica della forza lavoro occupata. La forma più significativa di elusione delle tutele del prestatore di lavoro è rappresentata dal fenomeno dell interposizione nel rapporto di lavoro, consistente nella imputazione della titolarità formale del rapporto di lavoro ad un soggetto diverso dall effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa. L imprenditore, invece di assumere direttamente il personale necessario per la propria attività, si serve di un soggetto interposto, che assume e retribuisce i lavoratori, le cui prestazioni sono, però, utilizzate dall imprenditore interponente, il quale, di fatto, si comporta sostanzialmente come datore di lavoro, inserendo i lavoratori nella sua organizzazione imprenditoriale ed esercitando il potere direttivo. Per designare tale fenomeno si parla anche di appalto di manodopera o pseudoappalto, che si differenzia dalla fattispecie del contratto di appalto, nel quale l appaltatore assume con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio, il compimento di un opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro (art c.c.). Mentre l appaltatore è un vero imprenditore che svolge un autonoma attività economica organizzata consistente nella realizzazione di opere o servizi in favore del committente, l interposto è, invece, un mero intermediario, che si limita a mettere a disposizione dell interponente alcuni lavoratori da lui assunti e retribuiti, lucrando sulla differenza tra il compenso pattuito con l imprenditore e la retribuzione effettivamente corrisposta ai lavoratori. Già con l emanazione del codice civile viene introdotta una prima, anche se limitata, disciplina repressiva del fenomeno dell interposizione nel rapporto di lavoro. L art c.c., infatti, stabilisce che è vietato all imprenditore di affidare ai propri dipendenti lavori a cottimo da eseguirsi da prestatori di lavoro assunti e retribuiti direttamente dai dipendenti medesimi. La 7 di 16

8 norma risultava, a dire il vero, del tutto inadeguata, sia perché presentava un campo di applicazione fortemente limitato, concernente la sola fattispecie dell interposizione nel lavoro a cottimo, sia per via della debolezza della sanzione, consistente in una responsabilità diretta dell imprenditore, nei confronti dei prestatori di lavoro, per gli obblighi derivanti dai contratti di lavoro da essi stipulati. E in quest ultimo contesto che è intervenuto il legislatore, introducendo, con la l. 23 ottobre 1960, n. 1369, una disciplina fortemente repressiva dei fenomeni interpositori, stabilendo un divieto assoluto di interposizione ed intermediazione nelle prestazioni di lavoro. A norma dell art. 1, co. 1, era vietato all imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall appaltatore o dall intermediario, qualunque sia la natura dell opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. Le ragioni di un simile divieto, per lungo tempo una delle norme fondamentali dell intero ordinamento giuslavorista, possono essere ricercate, principalmente, oltre che nell eliminazione della rendita parassitaria dell intermediario, nel rispetto del principio di necessaria coincidenza tra il datore di lavoro formale e l effettivo utilizzatore delle prestazioni di lavoro, espressione di una generale esigenza di trasparenza nella titolarità del rapporto di lavoro, e finalizzato, quindi, ad impedire all imprenditore di servirsi dell utilità derivante dalla prestazione di lavoro senza assumere tutti gli obblighi e le responsabilità derivanti dalla formale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato. Se si analizza la struttura dell illecito, occorre rilevare come il divieto posto dall art. 1 prendesse in considerazione una fattispecie complessa, costituita principalmente da tre elementi: un contratto tra l interponente e l interposto, avente ad oggetto la fornitura di mere prestazioni di lavoro; un contratto di lavoro tra l interposto e il lavoratore; l effettiva utilizzazione da parte dell interponente delle prestazioni di lavoro. Nell ipotesi di sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie interpositoria, trovavano applicazione le sanzioni civili e penali previste dalla medesima legge e, in primo luogo, la riconduzione ex lege della titolarità del rapporto di lavoro in capo all interponente (art. 1, co. 5: i prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni ). 8 di 16

9 Oltre al divieto di interposizione, la l. n del 1960, stabiliva, nell art. 3, pure una disciplina specifica per l ipotesi dei c.d. appalti interni, quei contratti di appalto di opere o di servizi da eseguirsi nell interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell appaltatore. Tale disciplina, diretta ad evitare che il ricorso al contratto di appalto potesse rivolgersi a danno dei diritti dei lavoratori, determinando, così, un abbattimento del costo del lavoro, era contrassegnata dal riconoscimento di due fondamentali tutele: il diritto dei dipendenti dell appaltatore di ricevere un trattamento minimo inderogabile retributivo ed un trattamento normativo non inferiori a quelli spettanti ai dipendenti del committente; la responsabilità solidale tra il committente e l appaltatore per la corresponsione ai lavoratori di tali trattamenti e per l adempimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali. Si doveva trattare, quindi, di veri e propri contratti di appalto, caratterizzati dalla organizzazione dei mezzi e dalla gestione a proprio rischio (a norma dell art c.c.), ulteriormente connotati dal requisito della endoaziendalità, intesa, in un primo tempo, in base al criterio topografico del materiale svolgimento dell attività appaltata nei locali del committente e, successivamente, in base al prevalente criterio funzionale, dell inerenza al ciclo produttivo dell impresa committente. Pure quest ultimo, comunque, soprattutto in seguito al diffondersi dei processi di segmentazione dell impresa, è parso inadeguato, principalmente a causa del riferimento ad una nozione incerta, relativa e mutevole, come quella di ciclo produttivo. Punto nevralgico del sistema normativo introdotto con la l. n del 1960 era rappresentato dall individuazione dei criteri per distinguere, nel caso concreto, l appalto (lecito) dall interposizione (illecita). Al riguardo, la giurisprudenza prevalente, partendo dalla nozione di appalto contenuta nell art c.c., aveva riconosciuto rilievo essenziale alla natura imprenditoriale o meno della prestazione dell opera o del servizio oggetto del contratto di appalto, verificando la sussistenza degli elementi della organizzazione dei mezzi necessari e della gestione a proprio rischio. In tale accertamento, poi, particolare importanza era assunta dall ulteriore criterio dell esercizio da parte dell appaltatore del potere direttivo sui propri dipendenti, ritenuto decisivo nelle ipotesi di appalti di attività c.d. labour intensive, aventi, cioè, ad oggetto servizi il cui svolgimento non richiede, per loro natura, in aggiunta alle prestazioni di lavoro, l utilizzo di un cospicuo apparato materiale, costituito da mezzi e capitali. E, infatti, in queste ipotesi, della cui legittimità non si dubita più in dottrina e in giurisprudenza, essenziale si rivela la sola attività di direzione ed organizzazione delle prestazioni di lavoro, concretante, dunque, 9 di 16

10 quel valore aggiunto che permette di escludere la configurabilità di una mera fornitura di manodopera. Volendo, allora, esprimere, in termini sintetici, l incidenza della disciplina del 1960 sul fenomeno del decentramento produttivo, non si può mancare di sottolinearne la valenza fortemente repressiva, contrassegnata da due linee direttive di fondo: da un lato, si sono considerate come vietate tutte quelle forme di decentramento produttivo comportanti una dissociazione tra la figura del datore di lavoro, titolare, cioè, del rapporto di lavoro, e quella dell effettivo utilizzatore delle relative prestazioni, contrastanti, dunque, con il divieto generale di interposizione contenuto nell art. 1; dall altro, con l art. 3, si è inteso regolare, predisponendo una incisiva disciplina di tutela del lavoratore contraddistinta dalla garanzia di trattamento e dalla responsabilità solidale, tutte quelle ipotesi caratterizzate, invece, dalla presenza di un genuino contratto di appalto, i cui risultati, però, risultassero variamente integrati nell organizzazione aziendale del committente. Le ragioni del carattere particolarmente limitativo della disciplina in questione nei confronti decentramento produttivo possono essere ricercate, soprattutto, nel ricordato clima di sospetto e di sfavore che risulta aver circondato tale fenomeno nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, fino alla fine degli anni Settanta, momento in cui, in seguito ai mutamenti determinati nella realtà produttiva soprattutto dalla rivoluzione informatica, si è iniziato ad intravedere la possibilità dell esistenza di un decentramento, non più essenzialmente patologico, ma anche fisiologico, motivato, cioè, da adeguate esigenze tecniche, organizzative ed economiche. L interesse crescente nei confronti del fenomeno ha, quindi, spinto gli interpreti ad incentrare la propria attenzione sulla l. n del 1960, in particolare, al fine di realizzare, attraverso un interpretazione tendenzialmente restrittiva delle disposizioni ivi contenute, un equilibrato coordinamento tra le rigidità della disciplina da questa introdotta e le esigenze di rinnovamento delle organizzazioni produttive emergenti dalla realtà economica. Anche il legislatore, in effetti, non è rimasto del tutto insensibile a simili mutamenti verificatisi nelle strutture organizzative delle imprese. Così, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, ha emanato una serie di provvedimenti che testimoniano una certa progressiva disponibilità nei confronti di alcune manifestazioni del fenomeno del decentramento produttivo. In tale prospettiva deve essere letta la l. 24 giugno 1997, n. 196, che apre la via, nel nostro ordinamento, ad una particolare tipologia di lavoro subordinato, il c.d. lavoro interinale, caratterizzata da un rapporto trilaterale, mediante il quale un impresa di fornitura di lavoro temporaneo, iscritta all apposito albo, pone uno o più lavoratori da essa assunti a disposizione di 10 di 16

11 un impresa, che ne utilizzi la prestazione lavorativa, per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo specificamente individuate (art. 1). Si trattava, dunque, di una sostanziale deroga al divieto generale di interposizione, risultando la fornitura di lavoro temporaneo contrassegnata da una scissione tra il titolare del rapporto di lavoro e l utilizzatore delle relative prestazioni (una sorta di interposizione autorizzata ). Per bilanciare, poi, la dose di flessibilità così introdotta nel mercato del lavoro, la medesima legge prevedeva, oltre a stringenti limiti all esercizio dell attività di fornitura, tutta una serie di garanzie per la tutela dei diritti dei c.d. lavoratori temporanei, quali, principalmente, la responsabilità solidale del fornitore e dell utilizzatore per l adempimento degli obblighi retributivi e contributivi (art. 6, comma 3) e la corresponsione di un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell impresa utilizzatrice (art. 4, comma 2). Nel medesimo senso, poi, possono essere lette anche la l. 18 giugno 1998, n. 192, che, nel disciplinare la subfornitura nelle attività produttive, sembra già tener conto del mutato atteggiarsi delle strategie organizzative imprenditoriali, articolate, adesso, su una integrazione contrattuale delle diverse imprese, tutte concorrenti, con la propria attività, alla realizzazione di un unico processo produttivo, nonché il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, che modifica la disciplina del trasferimento d azienda, anche in vista di una chiarificazione del problema concernente la relativa applicabilità ai processi di esternalizzazione. 11 di 16

12 3 Interposizione e appalto dopo il d.lgs. 276 del 2003 Il punto di arrivo di tale evoluzione legislativa è costituito dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, il quale, dopo aver abrogato la l. n del 1960 e gli artt della l. n. 196 del 1997, con l intento principale di realizzare una modernizzazione dei meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro, così da aumentare i tassi di occupazione e promuovere la qualità e la stabilità del lavoro (art. 1), introduce una nuova disciplina della materia dell interposizione, della somministrazione di lavoro e dell appalto, essenzialmente caratterizzata dai seguenti elementi: mancata riproposizione di un generale divieto di interposizione nelle prestazioni di lavoro; espressa definizione dei criteri distintivi tra l interposizione e il contratto di appalto (art. 29); deciso ampliamento dell ambito di liceità della somministrazione di lavoro (art. 20 ss.), anche attraverso l importazione nel nostro ordinamento dello staff-leasing (nelle forme della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato); nuova disciplina degli appalti di servizi, successivamente estesa, ad opera del d.lgs. n. 251 del 2004, pure agli appalti di opere (art. 29), in sostituzione di quella contenuta nell art. 3 della l. n del 1960 e relativa ai soli appalti interni. In primo luogo, al riguardo, bisogna domandarsi se l abrogazione del divieto di interposizione abbia realmente determinato una completa liberalizzazione dell attività di fornitura delle altrui prestazioni lavorative, comportando, così, il superamento del principio generale di imputazione del rapporto di lavoro in capo a colui che effettivamente utilizza le prestazioni che ne sono oggetto. Qualche autore ha ritenuto che il nuovo ruolo della somministrazione, posizionata al centro del sistema, avrebbe determinato il superamento del principio di non dissociazione tra titolarità ed utilizzazione, producendo, quale conseguenza fondamentale, un allargamento del tipo generale previsto dall art c.c., fino a ricomprendere, sulla base di un giudizio di normalità, anche le ipotesi di utilizzazione indiretta delle prestazioni di lavoro altrui. Ma una simile interpretazione del d.lgs. n. 276 del 2003 non pare condivisibile. In effetti, da una più attenta analisi del complesso di norme dedicato alla materia, sembrerebbe emergere un sistema ancora persistentemente imperniato sulla contrapposizione tra interposizione illecita, da una parte, e somministrazione di lavoro e appalto, dall altra. Ciò che muta, principalmente, peraltro, è la relazione intercorrente tra l interposizione e la somministrazione: la prima, infatti, da regola generale viene ad assumere, invece, carattere 12 di 16

13 residuale, rientrandovi, cioè, solo i rapporti che non siano qualificabili come appalto o somministrazione. Tutto il sistema, quindi, finisce col risultare incentrato sulla somministrazione di lavoro, valutata, comunque, lecita soltanto se esercitata da agenzie autorizzate e nel rispetto dei limiti formali e sostanziali previsti dagli artt. 20 ss. Il legislatore, dunque, se è vero che ha ampliato l ambito di liceità della somministrazione di lavoro, non pare essersi spinto determinando, così, il superamento del principio di imputazione del rapporto di lavoro in capo al reale ed effettivo datore di lavoro fino ad una generale legalizzazione della fornitura del lavoro altrui, considerata pur sempre illecita in tutte le ipotesi in cui non sia esercitata nelle forme della somministrazione regolare, anche quando sia inidonea a pregiudicare diritti inderogabili del prestatore di lavoro. In questa prospettiva, insomma, l interposizione illecita finisce, in sostanza, per coincidere con la somministrazione irregolare, quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, lettere a), b), c), d) ed e) (art. 27), con lo pseudoappalto, quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1 (art. 29, co. 3-bis, come introdotto dal d.lgs. n. 251 del 2004) e con la somministrazione fraudolenta, quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore (art. 28). La sanzione civilistica prevista per le ipotesi di interposizione illecita, richiamata sia dall art. 27, co. 1, per la somministrazione irregolare, che dall art. 29, co. 3-bis, per lo pseudoappalto, riprendendo sostanzialmente quella in precedenza stabilita per la violazione del divieto di interposizione (e, poi, riproposta dalla legge sul lavoro interinale), consiste nella costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione. Ma, mentre nella l. n del 1960 la riconduzione del rapporto di lavoro in capo all utilizzatore operava ex lege ( i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze ), nella nuova disciplina è riconosciuta al lavoratore la possibilità di scegliere se chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro con l utilizzatore, oppure se restare alle dipendenze del somministratore o pseudoappaltatore ( il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze ). In ogni caso, però, deve ritenersi che il contratto di somministrazione irregolare o di pseudoappalto sia affetto dal vizio della nullità. Tale quadro normativo non è rimasto comunque immutato. Negli ultimi anni, infatti, il legislatore è intervenuto più volte sulla materia della somministrazione e dell appalto, spinto dall intento di scongiurare i pericoli di precarietà del lavoro, conseguenti alla disciplina introdotta 13 di 16

14 nel 2003, ritenuta, per certi aspetti, troppo incline a soddisfare le richieste di flessibilità delle imprese, a danno, invece, dell esigenza di sicurezza del lavoro. A dire il vero, l evoluzione della disciplina della materia ha risentito dell alternanza al Governo di forze politiche contrapposte, ideologicamente propense per una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro ovvero, al contrario, per la necessità di un incremento delle misure di protezione dei lavoratori, per scongiurare il rischio di un eccessiva precarizzazione del lavoro. Ciò ha comportato che, negli anni successivi all accennata riforma del mercato del lavoro, sono stati emanati dapprima dei provvedimenti volti ad introdurre una disciplina più favorevole per i lavoratori e meno sensibile per le esigenze manifestate dalle imprese di flessibilità nell utilizzo della forza lavoro. In tale prospettiva, i successivi interventi legislativi hanno inteso realizzare una responsabilizzazione delle imprese in caso di appalto e subappalto, con una pluralità di misure: l estensione della responsabilità solidale dell art. 29 d.lgs. 276 del 2003 anche alle ipotesi di subappalto (l. 27 dicembre 2006, n. 296, c.d. Finanziaria 2007); la previsione di responsabilità solidali e di obblighi di accertamento preventivo della regolarità del versamento delle ritenute fiscali, dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori (l. 4 agosto 2006, n. 248, c.d. legge Bersani, disciplina di recente parzialmente abrogata dal d.l. 3 giugno 2008, n. 97); l incremento delle norme a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori impiegati negli appalti e nei subappalti (l. 3 agosto 2007, n. 123 e d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, c.d. riforma della tutela della salute e sicurezza sul lavoro). Altra novità importante, introdotta con la l. 24 dicembre 2007, n. 247, recante le norme di attuazione del Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007, è costituita dall abolizione del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (c.d. staff leasing). L abrogazione di tale tipologia contrattuale, introdotta dal d.lgs. n. 276 del 2003, benché non sia destinata ad avere grosse ripercussioni, trattandosi di un contratto raramente utilizzato nella prassi, presenta un certo valore simbolico, in quanto volta a riaffermare il principio in base al quale un esigenza stabile di lavoro deve essere soddisfatta necessariamente con l assunzione diretta di lavoratori a tempo indeterminato da parte soggetto che ne utilizza le prestazioni. Con il nuovo cambio di Governo, però, si è realizzata un inversione di tendenza nelle politiche del lavoro, sempre più attente all esigenze manifestate dalle imprese di flessibilità nell utilizzo della forza lavoro. 14 di 16

15 Così, con specifico riferimento alla materia in oggetto, il legislatore, con la legge n. 191 del 2009 (finanziaria 2010), ha reintrodotto la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (c.d. staff leasing), ridando vita all originaria disciplina predisposta dal D.Lgs. n. 276 del Successivamente, un altro provvedimento legislativo di portata più generale ha avuto importanti ripercussioni sulla materia in oggetto. Si allude specificamente al c.d. Collegato lavoro (legge 4 novembre 2010, n. 183), che ha introdotto alcune misure destinate ad incidere specificamente sulla materia della somministrazione e dell interposizione: da un lato, infatti, con riferimento alle principali norme in materia di lavoro che prevedono clausole generali, si è stabilito espressamente di limitare il controllo giudiziale esclusivamente all accertamento del presupposto di legittimità, senza estenderlo al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro ; dall altro, con riferimento alla somministrazione irregolare, è stato esteso alle ipotesi in cui sia chiesta dal lavoratore la costituzione di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto il regime dei ristretti termini di decadenza previsti per il licenziamento individuale. Per approfondimenti: Santoni, F., (2008), Lezioni di diritto del lavoro, II, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 15 di 16

16 Bibliografia De Luca Tamajo, R., (2002) Le esternalizzazioni tra cessioni di ramo d azienda e rapporti di fornitura, in I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici (R. De Luca Tamajo), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, pp. 14 ss.; De Luca Tamajo, R., (2003), Metamorfosi dell impresa e nuova disciplina dell interposizione, in Rivista italiana di diritto del lavoro, I, 183; Ichino, P., (1999), Il diritto del lavoro e i confini dell impresa, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, pp. 203 ss.; Marinelli, M., (2002), Decentramento produttivo e tutela dei lavoratori, Giappichelli, Torino; Mazzotta, O., (2003), Il mondo al di là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità nei rapporti interpositori, in Rivista italiana di diritto del lavoro, I, 275; Nappi, S., (1999), Negozi traslativi dell impresa e rapporti di lavoro, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli; Quadri, G., (2004), Processi di esternalizzazione. Tutela del lavoratore e interesse dell impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli; Romei, R., (1999) Cessione di ramo d azienda e appalto, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, pp. 325 ss.; Scarpelli, F., (1999) Esternalizzazioni e diritto del lavoro: il lavoratore non è una merce, Diritto delle relazioni industriali, pp. 351 ss. 16 di 16

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