Notificazione a più parti: da quando decorre il termine per la costituzione? Cassazione civile, SS.UU., sentenza

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1 Notificazione a più parti: da quando decorre il termine per la costituzione? Cassazione civile, SS.UU., sentenza n SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 18 maggio 2011, n Processo civile, notificazione a più parti, costituzione in giudizio, termini Cassazione civile, SS.UU., sentenza n In caso di notificazione a più parti, il termine di dieci giorni entro il quale l attore o l appellante devono costituirsi, decorre dalla prima notificazione, non dall ultima. NDR: la sentenza de qua va segnalata per importanza soprattutto sul piano pratico; bisognerà vedere cosa accadrà per le cause già instaurate seguendo un orientamento giurisprudenziale diverso da quello condiviso dalle Sezioni Unite; è probabile che si renderà applicabile l'istituto della rimessione in termini ex art. 153 comma 2 c.p.c., seppur in forma c.d. virtuale; si evidenzia, ad ogni modo, che sul tema delle sopravvenienze giurisprudenziali (seppur applicato al termine per l'opposizione a decreto ingiuntivo) si attende una pronuncia delle Sezioni Unite (ordinanza 6514/2011). ( 1-5 ) (*) Riferimenti normativi: artt c.p.c. (1) Per l'ordinanza di rimessione si veda Cassazione civile, sez. III, ordinanza 5 agosto 2010, n , in Massimario.it, 29, (2) In tema di notificazione ed avvocato deceduto, si veda Cass. civ., sez. II, ordinanza n (3) In materia di notificazione, nullità e sanatoria, si veda Cass.civ., sez. III, sentenza n (4) In tema di notificazione e posta, si veda Cass. civ., sez. II, sentenza n (5) In materia di notifica e portiere, si veda Cass. civ., sez. tributaria, ordinanza n Per approfondimenti in dottrina si vedano: - VIOLA, Costituzione dell attore entro dieci giorni: dalla prima o dall ultima notificazione?; - BATA', CARBONE, Le notificazioni, Milano, 2010, 840; - GRAMAGLIA, Diritto processuale civile, Milano, 2010, 178; - DI PAOLA, Notificazioni e termini. Questioni processuali, Milano, 2009, 126; - TARZIA, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2009, 139; - CURTI, Sul regime dei vizi della costituzione dell attore nel procedimento ordinario, in Giur. It., 2003, 11; - TARANTOLA, Mancata o tardiva costituzione dell'attore, improcedibilità ed effettiva conoscenza dell'inizio del decorso del termine di costituzione, in Giur. It., 1999, 5 (Fonte: Massimario.it - 21/2011. Cfr. nota di Simone Marani e nota su Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza) SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 18 maggio 2011, n Svolgimento del processo M.E. conveniva, davanti al giudice di pace di Taranto, L.G. e la spa Toro Assicurazioni, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un sinistro stradale. I convenuti, costituitisi, proponevano domanda riconvenzionale nei confronti del M. e della società SIAT, assicuratore della r.c.a. del veicolo del M.. Il giudice di pace accoglieva la domanda principale, ritenendo che l'esclusiva responsabilità dell'incidente fosse da attribuire al convenuto L..

2 Quest'ultimo proponeva appello al tribunale indicando, nella citazione, per la comparizione l'udienza del L'atto di impugnazione era notificato alla società Toro Assicurazioni il , ad M.E. il , ed alla società SIAT Assicurazioni il L'appellante, quindi, iscriveva a ruolo la causa in data e, contestualmente, si costituiva depositando, nella stessa data del , la nota di iscrizione a ruolo ed il fascicolo di parte contenente l'atto di citazione e l'atto di appello, come da attestazione del cancelliere. Il tribunale, con sentenza del , dichiarava improcedibile l'appello. Ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo il L. Resiste con controricorso il M. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Fissata la trattazione del ricorso per l'udienza del , la terza sezione civile della Corte ha emesso ordinanza interlocutoria depositata il , di rimessione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite. Il Primo Presidente ha provveduto in tal senso. Il ricorrente ha anche presentato memoria. Motivi della decisione 1. La questione di diritto posta dall'ordinanza di rimessione. Con l'ordinanza interlocutoria, la terza sezione civile della Corte ha posto la questione del termine di costituzione dell'appellante, in caso di notificazione a più parti, ai sensi de combinato disposto degli artt. 347 e 165 c.p.c.; vale a dire se il termine di dieci giorni, entro il quale l'appellante deve costituirsi, decorra dalla prima notificazione, ovvero dall'ultima. L'ordinanza di rimessione da conto che, fino ai 1997, la Corte di cassazione aveva aderito ad una interpretazione "liberale" dell'art. 165 c.p.c., ritenendo che il termine per la costituzione dell'attore dovesse decorrere dall'ultima delle notifiche dell'atto di citazione (Cass. 6 novembre 1958, n. 3601, cui segue nello stesso senso soltanto Cass. 18 gennaio 2001, n. 718). Successivamente, (a partire da Cass. 16 luglio 1997, n. 6481), invece, la Corte aveva mutato indirizzo, aderendo alla tesi "restrittiva", secondo cui il termine per la costituzione dell'attore decorre dalla prima delle notificazioni dell'atto di citazione; indirizzo, questo, consolidatosi nel tempo. Sono esposte, quindi, le ragioni di preferenza del primo dei due indirizzi. Le ragioni si fondano sui seguenti argomenti: a) costituzionale, del giusto processo, per il quale l'art. 111 Cost. impedisce di ritenere conformi a costituzione interpretazioni che, sanzionando ritardati adempimenti, finiscono per incidere sul diritto di difesa, precisando che l'adesione alla tesi più rigorosa, e finora dominante, non giova affatto alla speditezza del processo, perchè in ogni caso l'improcedibilità della domanda (o del gravame) andrebbe dichiarata con sentenza; b) logico, in ordine all'inutilità dei risultati cui conduce la tesi tradizionale, in quanto anche se l'appello fosse dichiarato improcedibile per essersi l'attore costituito oltre il decimo giorno dalla prima notificazione, egli potrebbe comunque proporre una nuova impugnazione, se il termine per impugnare non sia scaduto; c) letterale, per essere le ipotesi di improcedibilità dell'appello, in quanto eccezionali, tassative e di stretta interpretazione; d) sistematico. A tal fine, l'ordinanza richiama, sia il processo amministrativo (R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 36, n. 4; R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 18; L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21, comma 2), sia quello contabile (L. 14 gennaio 1994, n. 19, art. 5, come interpretato da C. conti, sez. riun n. 1). In questi casi la legge fa decorrere lo sviluppo del processo dall'ultima notificazione. Le critiche alla tesi restrittiva si sostanziano, poi, nei seguenti argomenti:

3 a) quello del "legislatore consapevole". Non è vero - si afferma - che il legislatore, lasciando immutato l'art. 165 cod. proc. civ. nell'ambito di una generale riforma del processo civile (attuata con la L. n. 353 del 1990), avrebbe, per ciò solo, manifestato la volontà di avallare l'orientamento dominante. Ed infatti fino al 1997 ad essere dominante era la tesi liberale, non quella restrittiva. Che il legislatore, poi, mai abbia inteso avallare la tesi restrittiva, si desume dal fatto che, con l'introduzione del rito societario, si sia prevista espressamente la decorrenza del termine per la costituzione dall'ultima notifica (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 3, comma 2). b) quello "ad absurdum". Nel caso di notifica della citazione a più persone, l'attore non può conoscere la data della prima notifica fino a quando l'atto non gli sia restituito; ma, a quel punto, il termine per costituirsi potrebbe essere già spirato, se lo si fa decorrere dalla prima notificazione. Per ovviare a tale inconveniente, la tesi dominante consente all'attore di costituirsi depositando un fascicolo incompleto, nel quale l'originale della citazione è sostituito da una copia non formale e non autentica (cd. "velina"). In questo modo, si sostiene nell'ordinanza di rimessione, la tesi restrittiva fomenta e legittima una prassi non consentita dalla legge e di per sè irragionevole, in quanto consente la costituzione prima del perfezionamento del rapporto processuale. c) quello del "convenuto svantaggiato". Secondo la tesi dominante, il termine per la costituzione dell'attore va fatto decorrere dalla prima notificazione perchè il convenuto, cui la citazione sia stata notificata per prima, decorsi dieci giorni da essa, deve essere messo in condizione di sapere con certezza se l'attore si sia costituito o meno; il che non potrebbe accadere aderendo alla tesi "liberale", in quanto il convenuto cui la citazione è stata notificata per prima non sa quando sia avvenuta od avverrà l'ultima notificazione; nè si potrebbe pretendere da quel convenuto che si rechi ogni giorno in cancelleria per verificare se la costituzione dell'attore sia avvenuta o meno. L'ordinanza di rimessione ritiene questo un mero "inconveniente pratico", per di più agevolmente superabile sol che il convenuto abbia cura di verificare che la costituzione dell'attore sia avvenuta o meno "non oltre i primi dieci giorni del periodo di tempo dei dovuti termini minimi da assicurare ex art. 163 bis c.p.c.". 2. Una considerazione di metodo. L'ordinanza di rimessione sottopone alle sezioni unite argomenti che sono apparsi giustificare una diversa lettura della disposizione, dettata dall'art. 165 cod. proc. civ., comma 2, compresa nel richiamo che, per il giudizio di appello, è operato dal successivo art. 347 cod. proc. civ.. La Corte osserva che la reinterpretazione così sollecitata riguarda una disposizione, relativa all'ordine del processo, che da oltre venti anni è stata letta, nella propria giurisprudenza, nel medesimo modo; così determinando le condizioni perchè le parti potessero e dovessero fare affidamento su di una corrispondente applicazione da parte dei giudici investiti della domanda di tutela. La Corte considera che, se la formula del segmento di legge processuale, la cui interpretazione è nuovamente messa in discussione, è rimasta inalterata, una sua diversa interpretazione non ha ragione di essere ricercata e la precedente abbandonata, quando l'una e l'altra siano compatibili con la lettera della legge, essendo da preferire - e conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario - l'interpretazione sulla cui base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile. Soltanto fattori esterni alla formula della disposizione di cui si discute -derivanti da mutamenti intervenuti nell'ambiente processuale in cui la formula continua a vivere, o dall'emersione di valori prima trascurati - possono giustificare l'operazione che consiste nell'attribuire alla disposizione un significato diverso. L'ordinanza di rimessione non manca di muoversi in questa ottica. Tuttavia, gli argomenti in essa proposti non appaiono alla Corte tali da imporre l'abbandono della precedente interpretazione. 3. La decisione di questa Suprema Corte. I punti salienti dell'interpretazione consolidatasi nel tempo sono i seguenti. L'art. 165 cod. proc. civ., comma 2, stabilisce che, in caso di notificazione della citazione a più soggetti, l'originale deve essere inserito nel fascicolo entro dieci giorni dall'ultima notificazione. Se fosse consentita la costituzione dell'attore o dell'appellante, entro dieci giorni dall'ultima notificazione, tale previsione sarebbe superflua, poichè l'inserimento della citazione in originale, previsto dal comma 2, presuppone necessariamente che il fascicolo di parte dell'attore, nel quale l'atto va inserito, sia già stato depositato e che, pertanto, la costituzione dell'attore debba essere già avvenuta. Diversamente, l'art. 165 cod. proc. civ., comma 2, acquista un senso, posto che - al fine di consentire all'attore il rispetto del termine di costituzione - lo esonera dal contestuale deposito della citazione in originale al momento dell'iscrizione della causa a ruolo.

4 E, sotto questo profilo, è la disciplina della norma delle disposizioni di attuazione - art. 74 disp. att. c.p.c., comma 4, - a doversi adattare alla disciplina del codice. Al che consegue che, se la causa è iscritta a ruolo "con velina", le verifiche sulla regolarità degli atti saranno compiute dal cancelliere al momento dell'inserimento nel fascicolo dell'originale della citazione. Nè il deposito della copia della citazione impedisce al presidente di conoscere i termini della causa e designare il giudice istruttore. Inoltre, nessuna illegittimità deriva dalla costituzione, previo deposito di copie non autentiche (cd. "veline") della citazione; prassi, in un certo senso, sorretta proprio dall'art. 165 cod. proc. civ. Nè alcun rilievo può essere attribuito alla circostanza che l'attore non può mai sapere quando è avvenuta la prima notificazione, perchè l'ufficiale giudiziario gli restituisce l'originale soltanto quando la notificazione è stata eseguita nei confronti di tutti i convenuti. L'art. 165 cod. proc. civ. non impone affatto che la costituzione avvenga dopo che la prima notificazione si sia perfezionata. Nulla, pertanto, vieta all'attore, dopo aver consegnato l'originale della citazione all'ufficiale giudiziario, di procedere immediatamente all'iscrizione a ruolo depositando una copia. Il perfezionamento della notificazione non è, infatti, necessario ai fini della costituzione in giudizio ( ciò si desume anche dalla L. n. 890 del 1982, art. 5, comma 3,il quale consente al notificante di ottenere la restituzione della copia dell'atto prima dei ritorno dell'avviso di ricevimento per procedere all'iscrizione a ruolo). Anche l'interpretazione finalistica della norma depone nel senso di ancorare la costituzione dell'attore alla prima delle notificazioni. E ciò perchè il convenuto ha diritto di conoscere, quanto prima possibile, se l'attore si sia costituito o meno, al fine di stabilire le opportune strategie difensive, sul presupposto che, nella prassi, la mancata tempestiva costituzione dell'attore è sintomo della volontà di non dare più seguito all'esercizio dell'azione. In questa ottica - in un giudizio con pluralità di parti - per il convenuto, di norma, è irrilevante che un altro convenuto abbia deciso di iscrivere la causa a ruolo e coltivare il giudizio. Sul piano sistematico, poi, la norma così interpretata è coerente con la riforma processuale introdotta dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, che ridisegna un processo caratterizzato, non solo dall'esigenza che sia subito determinato il thema decidendum, ma anche dall'esigenza, strettamente funzionale alla prima, che l'attore ponga subito a disposizione dei convenuti la propria produzione documentale. La disposizione, così ripercorsa, nei suoi aspetti essenziali, non è ambigua, se si tiene conto delle peculiarità della fattispecie che disciplina. Non è neppure incompleta, non consentendo, quindi, il ricorso all'analogia. Il ricorso alla analogia, infatti, è ammesso dall'art. 12 delle preleggi soltanto quando manchi nell'ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo, altrimenti incolmabile in sede giudiziaria. In questa ottica, pertanto, il richiamo all'art. 369 cod. proc. civ., comma 1, - che prevede il deposito del ricorso per cassazione nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione - non è significativo. Non lo è sotto due profili. Il primo è che proprio i fatto che l'art. 369 cod. proc. civ. detti una regola dissonante rispetto alla previsione generale rende evidente che, quando il legislatore ha inteso assumere come punto di riferimento per la costituzione dell'attore l'ultima notificazione, lo ha previsto espressamente. Il secondo si sostanzia nella diversità del giudizio di cassazione, che non è un giudizio soggetto ad istruzione, rispetto ai giudizi di merito di primo grado e di appello, che, quindi, necessitano di una puntuale, specifica e diversa regolamentazione. Nè il richiamo al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 3, comma 2, in tema di processo societario è invocabile.

5 Da un lato, infatti, è difficilmente predicabile - in questo caso - richiamarsi all'analogia; e ciò per essere il modello processuale del rito societario un modello speciale rispetto a quello ordinario, la cui introduzione ha avuto l'effetto di sottrarre a quest'ultimo una certa tipologia di controversie. Non è, quindi, consentito ravvisare una eadem ratio fra una norma appartenente ad un sistema costituente lex specialis e quella generale. Dall'altro, sotto questo profilo, deve osservarsi che, dopo l'intervento del D.Lgs. n. 5 del 2003, si è verificato un complesso intervento normativo sul processo civile di cognizione ordinario (D.L. n. 35 del 2005, convertito con modificazioni nella L. n. 80 del 2005), in occasione del quale il legislatore non ha ritenuto di modificare la norma dell'art. 165 cod. proc. civ.; il che è sintomatico della conferma della diversità delle regole. Da ultimo, va segnalato che il legislatore, con la recente L. 18 giugno 2009, n. 69, non solo ha abrogato (art. 54, comma 5) - sia pure non con riferimento ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge stessa - il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 3, comma 2, ma ha anche omesso di intervenire sull'art. 165 cod. proc. civ. Omissione di interventi che ha investito anche l'art. 347 cod. proc. civ.. Eguali considerazioni valgono per il processo amministrativo e contabile richiamati. L'art. 165 cod. proc. civ. ha una valenza ed una rilevanza non eccezionale; non regola la fattispecie in modo incompleto e non compromette - secondo l'interpretazione consolidatasi nel tempo -, nè il principio della durata ragionevole del processo, nè il diritto di difesa delle parti. Anzi, in chiave di un equo contemperamento degli interessi delle parti stesse (balancing test), da un lato, la costituzione nei dieci giorni dalla prima notificazione non è un onere particolarmente gravoso da rispettare per l'attore. Questi, infatti, può costituirsi - immediatamente dopo la consegna dell'originale dell'atto di citazione all'ufficiale giudiziario ed indipendentemente dal perfezionamento della sua notificazione - con l'immediata iscrizione a ruolo, mediante deposito di copia non formale della citazione. Dall'altro, al convenuto, invece, giova in termini di tutela dell'affidamento e di conoscenza delle intenzioni che l'attore intende perseguire. La costituzione dell'attore entro i dieci giorni dall'ultima notificazione creerebbe, infatti, in ciascuno dei convenuti che riceve la notificazione della citazione, una situazione di incertezza. Questi, non sapendo se sia l'ultimo destinatario nei cui confronti la notifica si è perfezionata, non ha un dato certo per ricostruire quando l'attore si dovrà costituire. La previsione della costituzione nei dieci giorni dalla prima notificazione - ignorando ognuno dei convenuti se egli sia il primo destinatario raggiunto dalla notificazione - comporta, viceversa, che lo stesso debba considerarsi, nell'incertezza, il primo fra i destinatari, per il quale si è perfezionata la notifica. Se lo è effettivamente, avrà un dato certo per accertare se vi sia stata tempestiva costituzione dell'attore in relazione alla notificazione eseguita nei suoi confronti. Altrimenti troverà che la costituzione è già avvenuta, in relazione ad una precedente notificazione nei confronti di altro convenuto. La costituzione entro un termine dalla prima notificazione, quindi, appare anche più funzionale all'esercizio del diritto di difesa di ognuno dei convenuti, posto che pone ognuno di essi nella condizione di dover supporre che la notificazione eseguita nei suoi confronti sia la prima e che, quindi, l'attore debba costituirsi in relazione ad essa. Nè va sottovalutato che il diverso decorso consentirebbe anche comportamenti non lineari dell'attore, che potrebbe artatamente posporre la propria costituzione, ritardando la notifica ai convenuti successivi al primo. 4. L'esame del ricorso. Alla luce dei principi enunciati va, ora, esaminato il ricorso proposto. Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 347, 348, 101, 161, 168 c.p.c. e art. 72 disp. att. c.p.c.. Da atto, nel ricorso, che la causa di appello era iscritta a ruolo dall'appellante L.G. il con numero di R.G. 3226, e fissazione dell'udienza del davanti al Giudice dott. C..

6 Ulteriore dato di fatto, però, era che " il convenuto M. E. il ritenendosi evidentemente parte diligente, iscriveva a ruolo la medesima causa con n. 4616/2005 di R.G. che veniva assegnata alla terza sezione al giudice dott. P. per l'udienza del ". In tale udienza, nella contumacia dell'appellante L. e degli altri appellati, compariva esclusivamente l'appellato M. Il giudizio si concludeva con sentenza del , con la quale, sul presupposto dell'omessa costituzione in giudizio dell'appellante L., e della costituzione dell'appellato nel termine di cui all'art. 166 cod. proc. civ., era dichiarata l'improcedibilità - ai sensi dell'art. 348 cod. proc. civ. - dell'appello proposto dal L.. Il ricorrente contesta che l'iscrizione a ruolo effettuata su iniziativa dell'appellato M. successivamente a quella effettuata dall'appellante fosse conforme a legge; di qui la nullità della sentenza impugnata. Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono. L'attuale ricorrente, nel giudizio di appello di R.G. n. 3226/2005, si è costituito iscrivendo la causa a ruolo il 2 giugno La prima delle notificazioni agli appellati si è perfezionata il 20 maggio 2005 (alla società Toro Assicurazioni). La costituzione in tale giudizio del L. - sulla base delle precedenti considerazioni - era, quindi, tardiva. L'unica corretta iscrizione a ruolo, pertanto, restava quella ad opera dell'appellato M.. Al che consegue l'irrilevanza delle censure avanzate dal ricorrente in ordine alle conseguenze di una duplice iscrizione a ruolo. Nè la tardività della costituzione dell'appellante poteva ritenersi sanata dalla tempestiva costituzione dell'appellato, posto che, nel giudizio di appello, non valgono le corrispondenti regole del giudizio di primo grado, di cui all'art. 171 cod. proc. civ.. La mancata costituzione in termini dell'appellante, ai sensi dell'art. 348 cod. proc. civ., comma 1, nel testo sostituito - con efficacia dal 30 aprile dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 54, infatti, determina automaticamente l'improcedibilità dell'appello, senza che possa trovare applicazione l'art. 171 cod. proc. civ., comma 2, con la conseguente possibilità della costituzione dell'appellante fino alla prima udienza, qualora l'appellato si sia costituito nei termini. Il richiamo alle forme ed ai termini del procedimento avanti il tribunale, contenuto nell'art. 347 cod. proc. civ., comma 1, deve ritenersi riferito solo agli artt. 165 e 166 cod. proc. civ., mentre la previsione dell'art. 171 cod. proc. civ., comma 2, è incompatibile con il tenore dell'art. 348 cod. proc. civ., il quale esclude, in ogni caso, la possibilità di una ritardata costituzione di una delle parti, o l'applicazione dell'istituto dell'estinzione per la loro inattività, stabilendo espressamente l'improcedibilità dell'appello, senza attribuire alcun rilievo al comportamento dell'altra parte (fra le tante Cass. 21 gennaio 2010, n. 995; Cass. 14 dicembre 207, n ; Cass. 24 gennaio 2006, n. 1322). Correttamente, quindi, il giudice del merito ha dichiarato l'improcedibilità dell'appello proposto dal L.. Conclusivamente, il ricorso è rigettato. La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione, fra le parti costituite, delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Compensa le spese. XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX Impugnazione e notificazione alla controparte Cassazione civile, SS.UU., sentenza n (Manuela Rinaldi) Nella ipotesi in cui la notifica della sentenza sia stata effettuata alla controparte e non al legale costituito, la stessa non può essere atta a far decorrere il termine breve di impugnazione (per il notificante quanto per il notificato).

7 Così la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha precisato con la sentenza 13 giugno 2011, n Con tale decisione è stato accolto il ricorso (causa risarcimento danni in seguito ad incidente stradale) avverso la decisione della Corte territoriale che, invece, aveva dichiarato l inammissibilità della doglianza in appello, in quanto tardiva (ossia eseguita oltre il termine di 30 giorni dalla notificazione della sentenza avvenuta, come visto, nella fattispecie in oggetto, alla parte personalmente). Secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte (in seguito ad ampio excursus giurisprudenziale sul tema), la notificazione della sentenza in forma esecutiva, direttamente alla controparte, anziché, ex artt. 170, comma primo (dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti) e 285 c.p.c. (La notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l impugnazione, si fa, su istanza di parte, a norma dell articolo 170), (anteriormente alla legge 23 febbraio 2006, n. 51) non è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione né per il notificante, né per il notificato. Tale principio è tuttora coerente con le finalità acceleratorie dell art c.p.c. e compatibile con il novellato art. 111 Costituzione sotto il profilo della ragionevole durata del processo. In base a quanto precisato dalla Corte, quello che rileva non è la effettiva conoscenza, bensì la predisposizione di quegli schemi legali tipici a cui un tale effetto viene riconosciuto. SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 13 giugno 2011, n Notificazione personale, sentenza in forma esecutiva, termine breve Cassazione civile, SS.UU., sentenza n La notificazione della sentenza in forma esecutiva, eseguita alla controparte personalmente, anziché al procuratore costituito ai sensi degli artt. 170, primo comma, e 285 cod.proc.civ., - nel regime anteriore alla I. 23 febbraio 2006, n non è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione né per il notificante, né per il notificato. Tale principio è tuttora coerente con le finalità acceleratorie dell'art. 326 cod.proc.civ. e compatibile con il novellato art. 111 Cost. sotto il profilo della ragionevole durata del processo. (*) Riferimenti normativi: artt c.p.c. (1) In tema di notificazione a più parti, si veda Cass. civ., SS.UU., sentenza n SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 5 aprile 13 giugno 2011, n (Presidente Vittoria Relatore Vivaldi) Svolgimento del processo La Corte d'appello di Napoli, con sentenza del , dichiarava inammissibili le impugnazioni proposte - in relazione ad un giudizio di risarcimento danni da incidente stradale - da D.G.A. e V.I. in via principale, e dalla società Toro Assicurazioni spa

8 in via incidentale, avverso la sentenza del tribunale di Napoli del Il primo giudice - nella controversia in esame, promossa da M.V., A.D.G. e V.I. nei confronti delle società Cirio spa e Toro Assicurazioni spa - aveva accolto la domanda degli attori, di risarcimento del danno subito a seguito di sinistro stradale, rigettando le domande di garanzia avanzate dalla Toro Assicurazioni spa nei confronti della chiamata in causa Levante - Norditalia Assicurazioni (ora Carige Assicurazioni spa), e da quest'ultima, nei confronti della chiamata in causa Cidas Assicurazioni. L'inammissibilità dell'appello principale era dichiarata per la rilevata tardività della notificazione dell'impugnazione, da parte degli appellanti, alla Toro Assicurazioni, eseguita oltre il termine di trenta giorni fissato dall'art. 325 cod.proc.civ. e decorrente, ai sensi dell'art. 326, primo comma cod.proc.civ., dalla notificazione della sentenza avvenuta, nella specie, alla parte personalmente, unitamente al precetto, ma, come tale, ritenuta dal giudice dell'impugnazione utile a far decorrere il termine breve per la sola parte notificante. L'inammissibilità dell'appello incidentale era, invece, dichiarata per la mancata esposizione delle ragioni sulle quali lo stesso si sarebbe dovuto fondare. Hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo A.D.G. e V.I. Resistono con controricorso la Toro Assicurazioni spa e la Carige Assicurazioni spa. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Fissata la trattazione del ricorso per l'udienza del , la terza sezione civile della Corte ha emesso ordinanza interlocutoria depositata il , di rimessione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite. Il Primo Presidente ha provveduto in tal senso. I ricorrenti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. La questione di diritto posta dall'ordinanza di rimessione. Con l'ordinanza interlocutoria è posta la seguente questione di diritto: " Se - valorizzando la portata precettiva del principio di durata ragionevole del processo (art. Ili Cost.), nonché l'argomento che fa leva sulla circostanza per cui il notificante, proprio con l'effettuazione della notificazione ai sensi dell'art. 479 cod.proc.civ., dimostra di avere completa ed effettiva conoscenza del contenuto della sentenza, rendendo così inutile la scissione, sul piano diacronico, della tutela in executivis e, per la parte residua, di quella impugnatoria, da differirsi eventualmente in base al termine lungo ex art. 327 cod.proc.civ. - possa enunciarsi, contrariamente a quanto afferma l'attuale prevalente indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui la notificazione della sentenza in forma esecutiva, eseguita alla controparte personalmente, anziché al procuratore costituito ai sensi degli artt. 170, primo comma, e 285 cod.proc.civ., sia idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione nei confronti del solo notificante". L'ordinanza dubita che l'orientamento attuale "sia coerente alle finalità acceleratorie dell'art. 326 cod.proc.civ. e soprattutto che esso sia compatibile con il novellato art. Ili Cost. sotto il profilo della ragionevole durata del processo". La questione esige alcune precisazioni. L'indirizzo che, fino alla fine degli anni l70 del secolo scorso, risultava consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, era nel senso che il principio di inidoneità della notificazione della sentenza al domicilio reale della parte, anziché al procuratore costituito (come previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 285 e 170 cod. proc. civ.), in funzione della decorrenza dei termini abbreviati di impugnazione di cui agli artt. 325 e 326 cod. proc. civ., dovesse trovare applicazione nei soli confronti del notificato. E ciò perché nel suo interesse esclusivo era posto l'obbligo della notificazione al procuratore costituito, mentre una tale esigenza non sussisteva per il notificante, il quale, "con il fatto stesso di prendere l'iniziativa della notificazione, dimostra di avere avuto la possibilità di valutare l'opportunità di impugnare o meno la sentenza nel termine breve" (così Cass. 11 dicembre 1978, n. 5844). Era anche evidenziato che la notificazione della sentenza effettuata alla parte personalmente era affetta da nullità, e non già da inesistenza. Al che conseguiva, per un verso, l'assenza di prova legale della conoscenza dell'atto da parte del destinatario e, per altro verso, emergeva la conoscenza dello stesso da parte del notificante; in tal modo, facendo decorrere soltanto per quest'ultimo il termine breve per impugnare; notificante che, del resto, non poteva opporre una nullità alla quale aveva dato causa (Cass. 4 gennaio 1978, n. 15). Nessun rilievo era attribuito alla circostanza che l'istanza di notificazione provenisse dalla parte stessa e non dal difensore, poiché, anche la sola iniziativa in tal senso, "dimostra la conoscenza e la utilizzazione di istituti e strumenti tecnico-giuridici che presuppongono necessariamente quanto meno l'assistenza se non proprio l'attività diretta di un difensore" (Cass n. 2957).

9 Né la conclusione sarebbe stata diversa se la sentenza fosse stata notificata in forma esecutiva, ai sensi dell'art. 479 cod. proc. civ., ed, ancor più, se avesse anche contenuto una espressa riserva di impugnazione, poiché con essa si realizzava, sostanzialmente, lo scopo dell'art. 326 cod. proc. civ., che condiziona la decorrenza del termine breve per l'impugnazione all'avvenuta notifica della sentenza e la connessa indisponibilità, per la parte notificante, degli effetti a tal riguardo conseguenti alla notificazione stessa, così da rendere irrilevante, ai fini della conservazione del termine di impugnazione annuale, il particolare fine processuale perseguito dalla parte notificante (possibilità di immediata esecuzione della sentenza, dimostrazione di non acquiescenza ad essa, od altro) (così ancora la citata Cass. n del 1978). A partire dagli anni '80, l'indirizzo giurisprudenziale così ripercorso è stato oggetto di un nuovo intervento da parte della Suprema Corte che ha ribaltato il principio in precedenza enunciato, affermando che la notificazione effettuata alla parte personalmente in forma esecutiva (art. 479 cod. proc. civ.) deve ritenersi inidonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, non soltanto nei confronti del notificato, ma anche nei confronti del notificante. Il principio è affermato, inizialmente, dalle Sezioni Unite con la sentenza del 20 maggio 1982, n. 3111, e la giustificazione s'incentra, essenzialmente, nel principio di comunanza, per entrambe le parti, del termine per l'impugnazione. Inoltre, si contesta la tesi sostenuta dal contrario indirizzo, evidenziandosi che, seppur è vero che le formalità imposte dagli artt. 285 e 170 cod. proc. civ., sono "nell'interesse del notificato, parimente è vero che il notificante, adottando, ai fini esecutivi, quelle dell'art. 479 stesso codice, non ha di certo inteso interporre in mora la controparte ad impugnare la sentenza nel termine breve - sollecitatorio in tal senso - e, tanto meno, ha voluto mettere in mora se stesso". Ulteriori conferme in tal senso sono contenute nelle pronunce successive (Cass. 17 agosto 1982, n. 4630; cass. 28 gennaio 1983, n. 786; Cass. 1 dicembre 1984, n. 6290; Cass. 6 marzo 1985, n. 1859; Cass. 11 giugno 1986, n. 3870; Cass. 4 novembre 1987, n. 8091; Cass. 26 febbraio 1988, n. 2043; Cass. 13 febbraio 1989, n. 886; Cass. 19 gennaio 1990, n. 305; Cass dell'8 giugno 1995, n. 6480; Cass. 9 luglio 1997, n. 6213; Cass. 13 gennaio 1999, n. 276; Cass. 18 aprile 2000, n. 4975). Nel tempo, questo indirizzo è stato costantemente ed ininterrottamente seguito dalla giurisprudenza della Corte di legittimità. Fra le pronunce più recenti Cass. 1 giugno 2010, n ; Cass. 27 aprile 2010, n ; Cass. 29 marzo 2010, n. 7527; Cass. 25 settembre 2009, n ; Cass. 2 aprile 2009, n. 8071; Sez. Un., ord. 19 novembre 2007, n ; Cass. 25 agosto 2006, n La decisione di questa Suprema Corte. La Corte ritiene che l'attuale indirizzo interpretativo - per il quale la notificazione della sentenza in forma esecutiva eseguita alla controparte personalmente anziché al procuratore costituito ai sensi degli artt. 170, primo comma, e 285 cod. proc. civ., sia inidonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione nei confronti, sia del notificante, sia del destinatario - sia tuttora da seguire. Le ragioni sono le seguenti. Dato di partenza è che tale inidoneità si basa sul principio per il quale la conoscenza di fatto della sentenza, acquisita con modalità diverse da quelle specifiche alle quali la legge riconnette l'effetto particolare della decorrenza del termine breve per l'impugnazione ai sensi degli artt. 325 e 326 cod. proc. civ., ha funzione propedeutica all'esecuzione, ai sensi dell'art. 479 cod. proc. civ. La notificazione ai sensi dell'art. 479 c.p.c., infatti, ha il fine esclusivo di indicare alla controparte la volontà di procedere in executivis nei suoi confronti, proprio per consentirle di valutare l'eventualità di un adempimento spontaneo. La notificazione della sentenza ai fini della sua impugnazione, invece, è finalizzata a realizzare l'effetto acceleratorio, nell'ottica della formazione del giudicato; ed a questo fine le modalità ordinamentali da rispettare sono esclusivamente quelle previste dagli artt. 170 e 285 cod. proc. civ.( v. anche per un'analoga tematica Sez. Un. 22 giugno 2007, n ). Il sistema processuale, in sostanza, pone in risalto proprio questo dato. Ai fini della decorrenza del termine breve d'impugnazione, l'iniziativa della parte che, in funzione sollecitatoria, mette in mora la controparte ad impugnare, mediante notificazione della sentenza nei modi stabiliti dall'art. 285 cod. proc. civ., è l'unica modalità di notificazione che consenta di acquisire la scienza legale della sentenza, alla quale è condizionata l'impugnazione nel termine breve. E, per conoscenza legale, deve intendersi la conoscenza acquisita per effetto di un'attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria, o che la stessa ponga in essere, normativamente ritenuta idonea a determinare tale conoscenza, con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale. Al che consegue l'irrilevanza di una diversa scienza effettiva conseguita aliunde e, quindi, anche per effetto della notificazione della stessa sentenza a fini esecutivi, nei modi stabiliti dall'art. 479 cod. proc. civ.. Né, sotto questo profilo, è predicabile il concetto di nullità - inesistenza affrontato dalla giurisprudenza della Corte di legittimità per escludere che il notificante possa far valere la nullità della notificazione, alla quale egli stesso ha dato causa (art. 157 cod. proc. civ.), ovvero il principio della sanatoria della nullità della notificazione per il raggiungimento dello scopo (art. 156 cod. proc. civ.). Il concetto, infatti, attiene al tema della sanatoria ed, a tale fine, può essere postulato; non investe, invece, il diverso ambito del procedimento notificatorio e delle modalità allo stesso imposte dall'ordinamento positivo. La notificazione alla parte personalmente - e non al procuratore costituito - non è nulla; realizza soltanto una diversa forma di notificazione rispetto a quella prevista dagli artt. 285 e 170 c.p.c., come tale, inidonea a realizzare quella funzione acceleratoria in grado di fare decorrere il termine breve per impugnare la sentenza (v. anche Cass. n del 2010).

10 D'altra parte, sotto un ulteriore profilo, non può ipotizzarsi neppure un'ipotesi di decadenza "interpretativa", per essere legate, le cause di decadenza, al principio di tassatività. Acquisito, dunque, questo punto fermo, il passo successivo non può che essere quello per cui l'inidoneità valga per entrambe le parti notificante e destinatario -; e ciò perché il termine di impugnazione è comune ad entrambe le parti. Diversamente, nei confronti del notificante opererebbe una sorta di disparità di trattamento che non troverebbe addentellati ordina mentali giustificativi, creando una grave disarmonia sistematica. Per una parte (notificante), infatti, decorrerebbe il termine breve e, per l'altra parte (notificato), il termine lungo. L'unità dei termini per l'impugnazione assicura e tutela, invece, l'equilibrio e la parità processuale fra le parti, coniugandosi con il principio della conoscenza legale della sentenza ai fini dell'impugnazione quale quella acquisita soltanto attraverso l adozione degli schemi legali tipici a tal fine predisposti dal legislatore (Artt. 285 e 170 cod. proc. civ.). In sostanza, si vuole sottolineare che il legislatore, per assicurare alla notificazione della sentenza una funzione acceleratoria e sollecitatoria, ha previsto l'utilizzo di un determinato paradigma procedimentale, quale unico modulo in grado di garantire il diritto di difesa a fini impugnatori, rimettendo alla valutazione ed all'interesse delle parti di attivare un tale meccanismo, attraverso il rispetto delle forme tipiche previste dall'art. 326 cod.proc.civ. Né ad avvalorare una supposta diversità di termini (per il notificante e per il notificato) può essere invocato il c.d. principio della scissione della notificazione affermato dalla giurisprudenza costituzionale (tra le varie, Corte cost., sent. n. 28 del 2004), in forza del quale il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il notificante deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario. La produzione degli effetti collegati alla notificazione stessa, infatti, è comunque condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e, sotto questo profilo, l'art. 326, primo comma, cod. proc. civ. integra proprio l'ipotesi in cui si richiede che la notificazione si sia perfezionata nei suo complesso; convalidando, anche per questa via, il principio della comunanza del termine d'impugnazione. A sostenere la diversa tesi, prospettata con l'ordinanza di rimessione, non vale richiamare neppure quella giurisprudenza della Corte di legittimità (Cass. ord. 18 settembre 2009, n ; Cass. 11 giugno 2009, n ; Cass. 8 maggio 2008, n ) per la quale l'effetto acceleratorio della notificazione della sentenza "si consegue anche nei casi in cui la stessa notificazione sia stata fatta alla parte presso il suo procuratore costituito". E ciò anche se la sentenza sia munita di formula esecutiva. In questo caso, ciò che rileva, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, non è infatti la volontà della parte che ha chiesto la notifica, ma la circostanza che l'opportunità dell'impugnazione possa essere verificata da un soggetto qualificato a farlo; ciò rendendo effettiva, per la parte, la tutela a tal fine predisposta dall'ordinamento. Anche il principio della ragionevole durata del processo richiamato dall'ordinanza interlocutoria non apporta elementi utili alla tesi prospettata. La disciplina dettata dall'art. 327, primo comma, cod. proc. civ. è compatibile con l'art. 111, secondo comma, Cost., perché l'impugnabilità della sentenza nel termine massimo - che ritarda la formazione del giudicato - non deriva dal comportamento di una sola delle parti, ma è il frutto della decisione consapevole di entrambe. Ciascuna parte, infatti, può azionare gli strumenti a sua disposizione per abbreviare i tempi dell'impugnazione: se vincitore attraverso la notificazione della sentenza; se soccombente tramite l'impugnazione immediata (v. anche Cass. n del 2004). In sostanza, quindi, l'attuale disciplina dei termini non è in contrasto con il principio espresso dal secondo comma dell'art. 111 Cost., poiché i tempi del processo, in questo caso, non conseguono all'interpretazione normativa prescelta, ma sono rimessi all'opzione privilegiata dalle parti. Neppure il termine, ancor più lungo, concesso al contumace involontario dall'art. 327, secondo comma, cod. proc. civ. pone, del resto, dubbi di compatibilità costituzionale, essendo esso preordinato alla tutela del diritto di difesa. Le considerazioni svolte trovano, poi, ulteriore ed indiretto riscontro in due recenti interventi legislativi (non applicabili, però, ratione temporis al caso in esame). Il primo, in ordine temporale, è quello (di cui all'art quater, d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, conv., con mod., dalla l. 23 febbraio 2006, n. 51) che ha inciso sull'art. 479 cod. proc. civ., con l'eliminazione, nell'ambito del secondo comma, della disposizione che consentiva la notificazione della sentenza in via esecutiva, ai sensi dell'art. 170 cod. proc. civ.. La circostanza che, attualmente, la notificazione in executivis sia consentita soltanto nei confronti della parte personalmente, rende evidente che la legge ancora gli effetti della notificazione al dato oggettivo dello schema legale (quello previsto dall'art. 479 cod. proc. civ., ovvero quello di cui agli artt. 285 e 170 stesso codice) utilizzato. Il secondo intervento del legislatore è quello - di cui alla L. 18 giugno 2009 n relativo all'abbreviazione a sei mesi del c.d. termine lungo di impugnazione, ex art. 327 cod. proc. civ., elemento questo che, in un'ottica anch'essa acceleratoria, attenua (non eliminandola comunque del tutto) l'analoga esigenza sulla quale si fonda l'opzione ermeneutica che vorrebbe, in caso di

11 notifica della sentenza alla parte personalmente, imporre al solo istante l'onere di impugnare nel termine breve. Per l'ordinamento ciò che rileva, dunque, - al fine della decorrenza del termine breve di impugnazione - non è la conoscenza effettiva, ma la predisposizione di quegli schemi legali tipici ai quali un tale effetto è riconosciuto. Il rispetto della forma è, in definitiva, un modo di esercizio del potere stesso. Conclusivamente, va enunciato il seguente principio di diritto: "La notificazione della sentenza in forma esecutiva, eseguita alla controparte personalmente, anziché al procuratore costituito ai sensi degli artt. 170, primo comma, e 285 cod.proc.civ., - nel regime anteriore alla I. 23 febbraio 2006, n non è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione né per il notificante, né per il notificato. Tale principio è tuttora coerente con le finalità acceleratorie dell'art. 326 cod.proc.civ. e compatibile con il novellato art. 111 Cost. sotto il profilo della ragionevole durata del processo". 3. L'esame del ricorso. Alla luce dei principii enunciati va, ora, esaminato il ricorso proposto. I ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 285, 325, 326, 327 e 479 c.p.c. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.(error in procedendo). Sostengono l'erroneità della decisione impugnata che ha ritenuto che la notificazione della sentenza in forma esecutiva al domicilio del soccombente, anziché al procuratore costituito, ai sensi dell'art. 285 cod.proc.civ., mentre non fa decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti del destinatario, produce, invece, tale effetto nei confronti del notificante; e ciò perché quest'ultimo, per il fatto stesso di avere assunto tale iniziativa, ha dimostrato di avere potuto valutare l'utilità di proporre o meno l'impugnazione nel proprio interesse. Il motivo è fondato sulla base della soluzione adottata dalle Sezioni Unite con la presente decisione. Erroneamente, quindi, la Corte di merito ha dichiarato inammissibile l'appello principale proposto da D.G.A. e I.V. per tardività, per essere stato proposto con atto notificato "a distanza di più mesi dopo la notifica della sentenza in forma esecutiva nei confronti della Toro Ass.ni s.p.a.". La notificazione in forma esecutiva alla parte personalmente - come nella specie - è, come si è visto, inidonea, come tale, a far decorrere il termine breve per l'impugnazione; e ciò per entrambe le parti. Ne deriva la piena ammissibilità del proposto appello, che dovrà essere esaminato nel suo fondo dal giudice del rinvio. Conclusivamente, il ricorso è accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione. Le spese del giudizio di cassazione vanno rimesse al giudice del rinvio. P.Q.M. La Corte di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione. XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX Notifica al familiare: nel momento in cui "apre la porta" c è validità Cassazione civile, sez. tributaria, sentenza n La mancata indicazione della qualità di familiare convivente, nell avviso di ricevimento, non comporta la nullità della notifica, nel momento in cui la consegna venga effettuata nei confronti del parente che si trovi presso il domicilio del destinatario. In una simile ipotesi, infatti, salvo prova contraria, vi è la presunzione che tale soggetto sia convivente, seppur temporaneamente.

12 Così la Suprema Corte di Cassazione, nella sezione tributaria, ha precisato con la sentenza 30 giugno 2011, n , circa un contenzioso originato dalla emissione di avvisi di mora conseguenti a cartelle di pagamento IVA. In primo grado la Commissione tributaria provinciale provvedeva al rigetto del ricorso; esito, però, ribaltato nel successivo grado; i giudici della Commissione tributaria regionale hanno ritenuto illegittima la notifica degli atti prodromici presupposti rappresentati dalle cartelle di pagamento. Da ciò, ritenuto tempestivo il ricorso della parte privata, rilevavano la decadenza dell ufficio dal potere di riscossione dell IVA; la notificazione a mezzo posta della cartella di pagamento sarebbe stata invalida in quanto, negli avvisi di ricevimento, non era stata indicata la qualità di familiare convivente. Avverso tale decisione l Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione; i giudici della Corte, cassando la pronuncia della Commissione tributaria regionale, provvedevano al rigetto del ricorso introduttivo del contribuente, considerando perfettamente valide le notifiche delle cartelle di pagamento e, quindi, legittimi gli avvisi di mora. Nella sentenza che qui si commenta la Corte, ricordando precedente giurisprudenza (Cfr. Cass. n. 5791/2008) si considera che in tema di riscossione delle imposte, l omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale, che comporta la nullità dell atto consequenziale notificato. Pertanto, rilevata la nullità, sarebbe facoltà del ricorrente impugnare solo l atto consequenziale notificatogli ovvero, come accaduto nella fattispecie in esame, impugnare cumulativamente anche gli atti presupposti la cui notifica sia invalida, per contestarne il merito della pretesa tributaria. Nella fattispecie oggetto di controversia la Corte ha, però, precisato che la semplice mancata indicazione, nell avviso di ricevimento, della qualità di convivente del familiare che riceve il plico, non comporta di per sé la nullità della notifica, in quanto il rapporto di convivenza (seppur temporanea) può presumersi dal solo fatto che si trovasse in casa e abbia preso consegna dell atto da notificare. Al contribuente al quale viene indirizzato l atto non è, altresì, preclusa la possibilità di vincere tale presunzione; ma non può essere sufficiente la mera e semplice negazione della qualità di familiare convivente. SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Sentenza 30 giugno 2011, n Svolgimento del processo Il Ministero dell'economia e delle Finanze in persona del Ministro e l'agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Emilia Romagna dep. il 16/02/2005 che aveva, accogliendo l'appello di T.S., riformato la sentenza della CTP di Modena che aveva rigettato il ricorso del medesimo avverso gli avvisi di mora relativi alle cartelle di pagamento per IVA per l'anno 1982 ritenendolo precluso dalla mancata impugnazione dell'atto prodromico.

13 La CTR aveva ritenuto invece nulla la notifica di questo ultimo atto e pertanto tempestivo il ricorso e decaduto l'ufficio dal potere di riscossione dell'iva dell'anno 1982, conseguenziale a dichiarazione integrativa del contribuente, per decadenza quinquennale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, richiamato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17. I ricorrenti pongono a fondamento del ricorso quattro motivi fondati sulla violazione di legge e il vizio motivazionale. Il contribuente ha resistito con controricorso e ha proposto appello incidentale in ordine alle spese. La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza. Motivi della decisione Devono essere previamente riuniti il ricorso principale e quello incidentale perchè relativi alla medesima sentenza. Preliminarmente deve essere rilevata la inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero, che non era parte nel giudizio di appello dal quale doveva intendersi tacitamente estromesso perchè iniziato dopo il 01/01/2001, e, pertanto, dopo l'entrata in funzione delle Agenzie delle Entrate (Cass. SS.UU. 3116/2006, 3118/2006). Le spese relative possono giustamente compensarsi, essendosi la superiore giurisprudenza consolidata dopo la presentazione del ricorso. Col primo motivo di ricorso, l'agenzia deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e vizio motivazionale assumendo che gli atti impugnati erano mere stampe di cartelle notificate regolarmente otto anni prima,e, pertanto, con effetto meramente reiterativo ai fini della messa in mora e dell'interruzione della prescrizione, erano impugnabili solo per vizi propri o per mancata impugnazione dell'atto atto presupposto. Col secondo motivo di ricorso, l'agenzia deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 139 e 157 c.p.c. e segg., L. n. 890 del 1992, art. 7, e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e vizio motivazionale per avere la CTR ritenuto illegittima la notifica sopradetta relativamente all'atto presupposto (le cartelle). Assume, in particolare, l'agenzia che contra legem la CTR avrebbe ritenuto invalida la notifica delle cartelle per non essere stata nell'avviso di ricevimento indicata la qualità di familiare convivente di Te.Pi. che nell'abitazione del ricorrente aveva ricevuto la notifica. E' di preliminare esame il secondo motivo, che, sostanzialmente, assorbe il primo in quanto il riconoscimento della valida impugnazione degli atti del 1992, renderebbe inammissibile l'impugnazione degli avvisi di mora. Il motivo è fondato. Anzitutto deve essere osservato che le SS.UU di questa Corte (n.5791/2008) hanno ritenuto che, in materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l'omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell'atto consequenziale notificato. Tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, di impugnare solo l'atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante

14 dall'omessa notifica dell'atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell'ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest'ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria. Di poi, questa Corte (Cass. n.23578/2007, n.24852/2006) ha ripetutarnente affermato che in tema di notificazione a mezzo del servizio postale "la semplice mancata indicazione della qualità di convivente della persona di famìglia che riceve il piego non comporta alcuna nullità" ritenendo nella fattispecie esaminata nella sent. n /2007 valida la notifica a familiare abitante in diverso appartamento nel medesimo condominio, e ritenendo(cass /2006, 1508/2005, 22069/2004, 9928/2001, 2348/1994) che il rapporto di convivenza almeno temporanea può essere presunto sulla base del fatto che il familiare si sia trovato nell'abitazione del destinatario ed abbia preso in consegna l'atto da notificare, mentre la suddetta presunzione può essere vinta dalla prova, posta a carico del destinatario della notifica, dell'insussistenza del rapporto di convivenza con il familiare consegnatario dell'atto. Prova non certamente fornita dal contribuente non essendo sufficiente la mera negazione della qualità di parente convivente della Te., senza mai indicare a che titolo la predetta stesse nella residenza del contribuente, laddove la documentazione indicata dal medesimo nel controricorso, pur nella evidente non autosufficienza della deduzione per omessa trascrizione del contenuto integrale ditali atti, appare del tutto irrilevante sia per quanto concerne la deduzione circa la inesistenza di altra condomina col nome predetto sia l'esistenza di portiere(fattispecie estranee a quella in esame) laddove la produzione della "situazione storica" non escluderebbe la qualità di parente della Te. (con la consequenziale insorgenza della presunzione di convivenza di cui sopra). Va osservato anche che non appare farsi questione della sua qualità di addetta alla casa, comunque mai contestata dal contribuente, che potrebbe analogamente presumersi in mancanza di indicazione del titolo della presenza di un "terzo" nell'abitazione del contribuente. Invero, secondo i principi di lealtà e buona fede regolanti il processo a norma dell'art. 88 c.p.c., la deduzione difensiva circa la invalidità di una notifica effettuata al domicilio del contribuente e ricevuta da persona ivi rinvenuta, non può prescindere dalla specifica e plausibile, in base all'id quod plerumque accidit, deduzione della qualità della medesima e delle ragioni di presenza della predetta, non potendo il destinatario della notifica limitarsi ad una - necessariamente parziale deduzione negativa, inidonea a soddisfare l'onere deduttivo e probatorio a suo carico. La ritenuta legittimità della notifica delle cartelle, esclude che gli atti notificati nel 2000 possano assumere la natura dei primi atti con cui si è manifestata la pretesa erariale, come tali autonomamente impugnabili (in relazione agli stessi invero il contribuente aveva eccepito la decadenza dell'ufficio dal potere di riscossione, riconosciuta essersi verificata, su tale presupposto, dalla CTR) onde ne è preclusa ogni impugnazione,non essendo stato dedotto alcun vizio proprio degli atti a norma del succitato D.Lgs. n. 542 del 1992, art. 19. Col terzo motivo di ricorso, l'agenzia deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 137 c.p.c. e segg., L. n. 890 del 1992, art. 7, e D.P.R. n. 546/2, art. 19, e vizio motivazionale per avere la CTR ritenuto illegittima la notifica degli avvisi di mora notificati nel 1992 in contraddizione col comportamento della parte che aveva prodotto gli avvisi medesimi. Il motivo è assorbito. Invero la riconosciuta inoppugnabilità degli avvisi di mora, per rituale notifica delle cartelle, rende irrilevante la questione della eventuale definitività dei precedenti avvisi di mora del 1992, anche in

15 base alla considerazione che la circostanza che il contribuente, col ricorso relativo agli avvisi di mora del 2000, abbia prodotto gli avvisi di mora del 1992(senza però alcun elemento, come rilevato dalla CTR, che dimostri non solo una valida notifica, ma addirittura che siano stati notificati) non può fare inferire, come assume l'ufficio, che gli stessi siano stati notificati, e che sia anche scaduto il temine per ricorrere con la conseguenza che anche il ricorso avverso gli avvisi del 2000 avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Anche a volere richiamare la giurisprudenza (Cass. 2006/15489, 7498/2005, 17762/2002, 17501/2002) relativa alla sanatoria della nullità degli atti per raggiungimento dello scopo, questa non potrebbe far presumere una decadenza per una non databile conoscenza dell'atto. Col quarto motivo di ricorso, l'agenzia deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 429 del 1982, art. 20, conv. in L. n. 516 del 1982, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, e vizio motivazionale per avere la CTR ritenuto la decadenza non essendo applicabile alla materia dell'iva la decadenza prevista per le imposte dirette e in ogni caso essendo stata interrota la prescrizione. Il motivo è assorbito in quanto la decadenza, come sopra visto, andava riferita alle cartelle, laddove la CTR l'ha ritenuta riferita agli avvisi di mora, sull'erroneo presupposto (ora superato) della mancata notifica delle cartelle. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto per quanto di ragione e, non abbisognando la causa di ulteriore attività istruttoria, può essere deciso nel merito, col rigetto del ricorso del contribuente. Il ricorso incidentale relativo alle spese deve ritenersi assorbito nell'accoglimento del ricorso dell'agenzia, laddove l'iter altalenante del giudizio e la natura delle questioni trattate impongono una giusta compensazione delle spese. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce il ricorso principale e quello incidentale. Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Accoglie il ricorso dell'agenzia e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa interamente le spese. XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX Notifica al portiere e infruttuosa ricerca del destinatario Cassazione civile, sez. II, sentenza n 8284 E' nulla la notifica effettuata a mezzo posta con la sola consegna al portiere dello stabile, senza attestazione dell'avvenuta ricerca delle altre persone abilitate. E' quanto ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 12 aprile 2011, n con la quale si afferma come l'attestazione possa avvenire anche con la crocettatura delle apposite caselle nel relativo modulo. Il caso vedeva un avvocato impugnare una sentenza del Giudice di Pace di Roma che rigettava una sua opposizione avverso una cartella esattoriale, deducendo di non aver mai ricevuto la raccomandata circa l'avvenuta notifica al portiere, ex art. 139, quarto comma, c.p.c.. Tale norma, infatti, dispone che, nel caso in cui la notifica sia effettuata al portiere dello stabile ove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda del destinatario dell'atto, il portiere medesimo debba sottoscrivere

16 una ricevuta e l'ufficiale giudiziario debba dare notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto, a mezzo di lettera raccomandata. Secondo l'interpretazione sostenuta dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, per principio generale, in caso di notifica nelle mani del portiere, l'ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che dell'assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l'atto, onde il relativo accertamento, sebbene non debba necessariamente tradursi in forme sacramentali, deve, nondimeno, attestare chiaramente l'assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dal secondo comma dell'art. 139 c.p.c., secondo la successione preferenziale tassativamente stabilita da tale norma, con conseguente nullità della notificazione eseguita nelle mani del portiere quando la relazione dell'ufficiale giudiziario non contenga l'attestazione del mancato rinvenimento delle persone di cui sopra (Sez. un., 30 maggio 2005, n ; confermato anche da Cass. civ., 20 novembre 2009, n ). E' bene ricordare come, in tema di notificazione nelle mani del portiere, sussista un contrasto giurisprudenziale, del quale si intende qui di seguito dare nota. Secondo un primo orientamento, nell'ipotesi di consegna al portiere dell'atto da notificare, con contestuale spedizione della prescritta raccomandata, la spedizione di questt'ultima non si configura come elemento costitutivo della fattispecie notificatoria, in quanto tale ipotesi di notificazione si perfeziona con la modalità e nel momento della consegna dell'atto al portiere (Cass. civ., 5 luglio 2006, n ). In senso contrario altra giurisprudenza di legittimità secondo la quale l'omessa spedizione della raccomandata prescritta dal quarto comma dell'art. 139 c.p.c., non costituisce una mera irregolarità, ma un vizio dell'attività dell'ufficiale giudiziario che determina, fatti salvi gli effetti della consegna dell'atto dal notificante all'ufficiale giudiziario medesimo, la nullità della notificazione nei confronti del destinatario (Cass. civ., 30 giugno 2008, n ). I giudici della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, nell'aderire all'orientamento da ultimo citato, ritengono nulla la notificazione eseguita al portiere dello stabile, non seguita dalla spedizione della raccomandata al destinatario originario dell'atto, e non accompagnata dall'attestazione dell'avvenuta ricerca degli altri soggetti abilitati. SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Sentenza 12 aprile 2011, n Fatto e diritto 1. - L'avvocato T.M. impugna la sentenza n del 2005, depositata il 14 marzo 2005, del Giudice di Pace di Roma che rigettava la sua opposizione avverso la cartella esattoriale ****, deducendo di non aver mai ricevuto la notifica dei verbali di violazione alle norme del Codice della Strada che avevano dato luogo a tale richiesta Il Giudice di Pace rigettava il ricorso, rilevando che dalla documentazione esibita dal Comune di Roma, costituitosi a giudizio con funzionario, risultava che "i verbali erano stati ritualmente notificati a mezzo servizio postale nei termini di legge, ai sensi dell'art. 149 c.p.c., che prevede tale notifica quando, come nel caso di specie, la stessa non sia vietata". Non era quindi applicabile l'art. 139 c.p.c. "in quanto lo stesso prescrive l'invio della raccomandata quando l'ufficiale giudiziario notifica nelle mani del portiere o di un vicino che accetti l'atto".

17 3. - Il ricorrente articola due motivi di ricorso. Col primo lamenta la nullità della notifica dei verbali contravvenzionali, avvenuta a mani del portiere del suo stabile, senza che l'ufficiale postale effettuasse alcuna ricerca del notificando o di un suo familiare o addetto alla casa. Aggiunge che non gli era stata inviata alcuna raccomandata circa l'avvenuta notifica al portiere ex art. 139 c.p.c., comma 4. Deduce quindi violazione e falsa applicazione dell'art. 139 c.p.c., commi 2 e 3 e della L. n. 890 del 1992, art. 7, comma 3. Col secondo deduce vizi di motivazione Resiste con controricorso il Comune di Roma, il quale deduce la regolarità del procedimento di notifica, posto che l'ufficiale postale con "l'apposizione della crocettatura della casella stampata sulla busta concernente il verbale di accertamento, relativa alla consegna al portiere, presuppone ovviamente la infruttuosa ricerca del destinatario e il mancato preventivo rinvenimento delle persone indicate dall'art. 139 c.p.c.". 5. Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., la Procura Generale ha concluso per iscritto per l'accoglimento del ricorso Il ricorso è fondato. Infatti, deve intendersi nulla la notifica effettuata a mezzo posta con la sola consegna al portiere dello stabile, senza attestazione dell'avvenuta ricerca delle altre persone abilitate, attestazione che può avvenire anche con la crocettatura delle apposite caselle nel relativo modulo. In tal senso il costante orientamento di questa Corte (vedi tra le altre, Cass. Sezioni unite 2005 n ). Nè può desumersi il compimento di tale attività dal solo fatto che la consegna sia stata effettuata al portiere, come deduce la difesa dell'avvocatura, non risultando alcunchè dalla notifica Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto - in quanto dall'accoglimento del ricorso deriva logicamente il giudizio di fondatezza dei motivi posti a base dell'opposizione - è consentito in questa sede pronunciare nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, ed accogliere l'originaria opposizione Le spese seguono la soccombenza anche per il merito. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, in accoglimento dell'opposizione originariamente proposta al Giudice di Pace, annulla la cartella esattoriale opposta. Condanna la parte intimata alle spese di giudizio, liquidate in 500,00 Euro per onorari e 100,00 Euro per spese per il giudizio di merito, nonché in 400,00 Euro per onorari e 200,00 Euro per le spese del giudizio di legittimità, oltre accessori di legge. XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX Diritto all abitazione è un diritto inviolabile: parola della Cassazione Cassazione civile, sez. II, sentenza n 9908 Non è legittima la richiesta effettuata dall amministratore giudiziario (dei beni in sequestro di prevenzione) al preposto di pagamento (previa stipula di un contratto di locazione) di un canone concernente un immobile avuto in custodia da quest ultimo e adibito ad uso abitativo.

18 L abitazione rimane a disposizione del preposto sino alla confisca e non può dirsi che la stessa venga posseduta sine titulo come se fosse di proprietà dell amministrazione dei beni. La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 24 febbraio 2011, n (depositata l 11 marzo 2011) ha precisato che contravviene a tali principi l'ordinanza impugnata che ha sviluppato il criterio subordinato della vantazione delle condizioni economiche e reddituali del preposto per gravarlo del canone locativo per il riconoscimento del diritto alla abitazione dell immobile. Continua ancora la Corte affermando che L'art. 47, L. Fall. non prevede testualmente la possibilità di richiedere un canone di locazione al proprietario dell'appartamento che non può ritenersi ricompreso, nella logica dell'incremento, tra i beni del patrimonio del preposto che devono essere "gestiti" dall'amministratore. Il sopra menzionato diritto alla abitazione, come può leggersi nella motivazione della sentenza che qui si commenta, rientra nella categoria dei diritti fondamentali concernenti la persona, in forza delle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell Uomo (CEDU) e delle sentenze n. 348/2007 e n. 349/2007 della Corte Costituzionale, sui rapporti tra ordinamento interno e diritto sopranazionale. Da ciò ne deriva che tale diritto deve essere ricompreso tra quelli individuati ex articolo2 della nostra carta costituzionale (sul punto cfr. citate in sentenza - Corte cost. 28 luglio 1983, n. 252; Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 217; Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404; Corte cost. 14 dicembre 2001, n. 410; Corte cost. 21 novembre 2000, n. 520; Corte cost. 25 luglio 1996, n. 309). In linea con tale pensiero per i giudici della Corte deve essere escluso che il proposto debba corrispondere il canone di locazione per quanto concerne la propria abitazione, indipendentemente se sia in grado di far fronte con il suo patrimonio o con il suo reddito a tale spesa, non potendo, ex art. 47, comma 2, L. Fall., essere privato della propria abitazione, senza che possa essere imposto allo stesso il pagamento di un canone locativo, indipendentemente dalla sua solvibilità. Sentenza 24 febbraio - 11 marzo 2011, n SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Sicurezza pubblica, sequestro beni, membro associazione mafiosa Cassazione civile, sez. II, sentenza n 9908 È illegittima la richiesta rivolta dall'amministratore giudiziario dei beni in sequestro di prevenzione al proposto di pagamento, previa stipula di un contratto di locazione, di un canone per l'immobile avuto da quest'ultimo in custodia e adibito ad uso di abitazione per sé e per la famiglia, perché la casa di abitazione resta a disposizione del proposto fino alla confisca e non può dirsi che sia da questi posseduta "sine titulo" come se fosse divenuta di proprietà dell'amministrazione dei beni. (*) Riferimenti normativi: art. 47 L. Fall. SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Sentenza 24 febbraio - 11 marzo 2011, n REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

19 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio Dott. MACCHIA Alberto - Presidente - del 24/02/2011 Dott. CAMMINO Matilde - Consigliere - SENTENZA Dott. TADDEI Margherita Bianca - Consigliere - N. 493 Dott. CHINDEMI Domenico - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. RAGO Geppino - Consigliere - N /2010 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) S. L. N. IL 28/04/1962; avverso l'ordinanza n. 160/2010 TRIBUNALE di BRINDISI, del 12/07/2010; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO CHINDEMI; lette/sentite le conclusioni del PG, Dott. Salvi Giovanni che ha chiesto il rigetto del ricorso. OSSERVA IN FATTO Il Tribunale di Brindisi, con provvedimento in data 12/7/2010, rigettava la richiesta, formulata nell'interesse di S. L. diretta ad ottenere la modifica del provvedimento emesso in data 17/3/2010, confermato in data 22/4/2010, con il quale il giudice delegato autorizzava l'amministratore a richiedere al proposto, previa stipula di un contratto di locazione, il canone di Euro 1000 mensile per il godimento dell'immobile sito in Brindisi, via Benedetto Brin, n. 1, sottoposto a sequestro preventivo. Proponeva ricorso per cassazione il difensore di S. L. deducendo violazione di legge con riferimento alla L. n. 575 del 1965, art. 2 sexies e art. 47, L. Fall. e art. 560 c.p.p., evidenziando come l'incremento della redditività dei beni sottoposti a sequestro non riguarda indistintamente tutti i beni del proposto, dovendo escludersi la possibilità di un canone a carico dello stesso gravante sulla propria abitazione. Evidenziava, inoltre, come non fosse stata richiesta alcuna indennità con riferimento all'immobile, in comproprietà del proposto con la prima moglie dello stesso, a quest'ultima concesso in uso perché abitato sin dall'epoca del matrimonio e che l'immobile in questione era inserito nel fondo patrimoniale a tutela dei figli minori. Lamentava, infine, in via subordinata, come il canone sia stato ipotizzato in base al valore dell'immobile e non con riferimento alle capacità reddituali del proposto. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è fondato. La L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-sexies introdotto dal D.L. 14 giugno 1989, n. 230, art. 1 convertito con modificazioni nella L. 4 agosto 1989, n. 282, ha previsto, con una tecnica mutuata dalla legge sul fallimento, quali organi dell'amministrazione dei beni sequestrati a soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso nel periodo intercorrente sino al momento della definitiva confisca, la figura del giudice delegato e dell'amministratore, con compiti e procedure analoghi a quelli stabiliti nel procedimento fallimentare. La L. n. 575 del 1965, art. 2 sexies richiama l'art. 47, L. Fall. (che, al comma 2, dispone che la casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui e necessaria alla abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione dell'attivo) al fine di garantire la tutela di fondamentale interessi del proposto e dei suoi familiari, consentendogli di mantenere il diritto di abitazione sulla casa, anche se l'immobile è oggetto di provvedimento cautelare finalizzato alla ablazione e fino alla definitiva confisca, prevedendosi anche l'assegnazione di un sussidio, tutte le volte che le condizioni economiche del predetto siano tali da render ciò necessario per l'assolvimento delle primarie necessità di vita. Trattasi di norme (L. n. 575 del 1965, art. 2 sexies e art. 47, L. Fall.) che hanno finalità e scopi diversi, in quanto mentre il proposto è privato temporaneamente della disponibilità dei soli beni che si sospettano provenire dalle attività illecite, il fallito è, invece, privato della disponibilità e dell'amministrazione di tutti beni esistenti al momento della dichiarazione di fallimento e anche di quelli che pervengono successivamente. Diversa è anche la finalità dell'attività dell'amministratore nominato L. n. 575 del 1965, ex art. 2 sexies rispetto a quella degli organi fallimentari. Nel procedimento di prevenzione il bene sequestrato (che

20 può essere un'attività imprenditoriale, un immobile o un bene comunque fruttifero) è attratto al patrimonio dello Stato per finalità che prescindono dalla sua redditività in rapporto al proposto e, quindi, deve essere fatto fruttare nell'interesse dello Stato, destinatario del bene e non nell'interesse del proposto. Quindi non vi è alcuna coincidenza necessaria tra il patrimonio del proposto e i beni oggetto di sequestro ai fini di prevenzione, potendo il proposto continuare a godere, senza alcuna interferenza con il procedimento di prevenzione, di beni o di redditi provenienti anche da diverse attività, non necessariamente lavorative, anche di entità tale da soddisfare ogni esigenza di vita del nucleo familiare. Nel fallimento,invece, a seguito dello stato di decozione, la continuazione dell'attività del fallito è un evento raro, condizionato al fatto che dall'esercizio temporaneo dell'impresa non possa derivarne un danno grave e irreparabile, subordinando l'esercizio temporaneo dell'impresa al parere favorevole del comitato dei creditori, nel cui interesse le ulteriore attività potranno essere intraprese. Tuttavia, gli interessi e i principi sottesi al riconoscimento del diritto di abitazione del proposto o del fallito e della loro famiglia sono simili in entrambe le normative citate. Si tratta di stabilire, nella specie, se rientri nei poteri dell'amministratore giudiziario, espressamente autorizzato all'uopo dal giudice delegato, di richiedere un canone, dietro regolare stipula di un contratto di locazione, per l'immobile avuto in custodia ed adibito ad uso di abitazione da parte del proprietario dell'appartamento. Il Collegio non ignora il diverso orientamento espresso da questa Corte, con riferimento, tuttavia, ai familiari del proposto, che ritiene legittimo il pagamento di un canone locativo, a fronte di regolare stipula contrattuale, in quanto, tra le possibilità di incrementare la redditività dei beni di cui all'art. 2-sexies, comma 1, della citata Legge, rientra quella di concedere in locazione un immobile, così da poter ricavare un corrispettivo dalla sua utilizzazione, poiché l'art. 2-septies consente l'alienazione di immobili, come il compimento di altri atti di amministrazione straordinaria, richiedendo soltanto che l'amministratore sia autorizzato per iscritto dal giudice delegato (Sez. 1, Sentenza n del 15/10/2003 Cc. (dep. 31/10/2003 ) Rv ; Cass. Sez. 1, 5 giugno 1995, Giuliano, in Cass. pen. mass. ann., 1996, n. 949, p. 1600). Nè risulta limitato alle sole aziende l'intervento dell'amministratore giudiziario al fine di incrementare la redditività dei beni oggetto di sequestro, risultando legittima, in via generale, ma con le eccezioni che saranno evidenziate, l'iniziativa di pretendere un canone per gli immobili in custodia, previa stipula di un contratto di locazione, al fine di incrementare la redditività dei beni, atteso che il legislatore, nel prevedere il conferimento all'amministratore giudiziario di poteri di gestione, ha inteso rapportare l'esercizio di tali poteri alle necessità del singolo caso, non potendosi ritenere che tale modalità di gestione del bene sia possibile solo per i beni confiscati, in quanto la confisca diventa esecutiva soltanto con la definitività della relativa pronuncia (L. n. 575 del 1965, art. 3-ter, comma 2), alla quale consegue la devoluzione del bene allo Stato (L. n. 282 del 1989, art. 4, comma 1) e la cessazione delle funzioni del giudice delegato, poiché la direzione passa al direttore generale delle entrate. Tuttavia tali considerazioni non valgono per il proprietario dell'appartamento e per i componenti della sua famiglia, per tali dovendosi intendere il coniuge, i figli e gli ascendenti, quest'ultimi se conviventi nel medesimo nucleo familiare del figlio. Deve, infatti, ritenersi non consentito, in forza della interpretazione letterale e costituzionalmente orientata della L. Fall., art. 47, che possa essere richiesto un canone di locazione per l'immobile avuto in custodia ed adibito ad uso di abitazione da parte del proprietario dell'appartamento o della sua famiglia, gravando sul diritto di abitazione dei predetti che l'ordinamento, con interpretazione sistematica, costituzionalmente e comunitariamente orientata, pone a titolo di gratuità a favore del proposto o fallito, in nome di principi costituzionali che non soffrono limitazioni nemmeno in caso di misure di prevenzione reali. La casa di abitazione è e resta a disposizione del proposto fino alla confisca e non può essere ritenuta posseduta "sine titulo", come se fosse divenuta di proprietà dell'amministrazione dei beni. Contravviene a tali principi l'ordinanza impugnata che ha sviluppato il criterio subordinato della vantazione delle condizioni economiche e reddituali del preposto - conformemente alla interpretazione del Giudice delegato - per gravarlo del canone locativo per il riconoscimento del diritto alla abitazione dell'immobile. L'art. 47, L. Fall. non prevede testualmente la possibilità di richiedere un canone di locazione al proprietario dell'appartamento che non può ritenersi ricompreso, nella logica dell'incremento, tra i beni del patrimonio del proposto che devono essere "gestiti" dall'amministratore. Trattandosi di norma di favore, l'interpretazione sistematica porta a ritenere, unitamente alla interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata, che il proposto/fallito abbia il diritto, unitamente alla sua famiglia, di abitare l'immobile di sua proprietà, senza la corresponsione di alcun canone. Il diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce dalla Corte Europea dei Diritti dell'uomo (CEDU) e nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra ordinamento interno e diritto sovranazionale. In forza di tale interpretazione il diritto all'abitazione rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali, dovendosi ricomprendere tra quelli individuabili ex art. 2 della Costituzione, la cui tutela "non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana..." (Cass., SS.UU civ., n /75 cit.). Il diritto all'abitazione è, quindi, protetto dalla Costituzione entro l'alveo dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost. (Corte cost. 28 luglio 1983, n. 252; Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 217; Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404; Corte cost. 14 dicembre 2001, n. 410; Corte cost. 21 novembre 2000, n. 520; Corte cost. 25 luglio 1996, n. 309). Alla luce di tali considerazioni deve escludersi che il proposto debba corrispondere il canone di locazione relativamente alla propria abitazione, ancorché bene fruttifero, indipendentemente se sia in grado di far fronte con il suo patrimonio o con il suo reddito a tale spesa, non potendo, ex art. 47, comma 2, L. Fall., essere privato della propria abitazione, senza che possa essere

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