Università Commerciale Luigi Bocconi Econpubblica Centre for Research on the Public Sector SHORT NOTES SERIES

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1 Università Commerciale Luigi Bocconi Econpubblica Centre for Research on the Public Sector SHORT NOTES SERIES L ltalia è un Paese con alto costo del lavoro? Giampaolo Arachi Massimo D Antoni Short note n. 6 November

2 L Italia è un paese con alto costo del lavoro? Il taglio del cuneo fiscale (ossia la differenza fra il costo del lavoro per l impresa e la retribuzione netta che il dipendente trova in busta paga) rappresenta uno degli elementi caratterizzanti la Finanziaria Nonostante le polemiche che hanno riguardato le modalità di attuazione proposte dal governo (revisione della struttura dell Irpef e degli assegni familiari per i lavoratori e soprattutto deduzione di parte del costo del lavoro dall Irap per le imprese) sulla necessità di questo intervento si registra un consenso pressoché unanime. Molte delle motivazioni che vengono spesso proposte per sostenere l opportunità di una riduzione del cuneo fiscale si fondano su due ipotesi comunemente accettate: la prima è che il costo del lavoro in Italia sia più alto che in altri Paesi, la seconda che anche il cuneo fiscale sia superiore a quanto si osserva a livello internazionale. Non può che sorprendere quindi il constatare che le statistiche internazionali non forniscono un evidenza chiara della validità di questi presupposti. Si consideri in primo luogo il costo del lavoro. I confronti internazionali sono resi difficili dalla molteplicità delle voci che concorrono ad influenzare questa variabile: oltre alla remunerazione per le ore effettivamente lavorate gravano sull impresa i costi per ferie e permessi, per varie forme di incentivazione, per fringe benefits, per contributi a forme di assicurazione e previdenza obbligatori per legge o concessi sulla base di contratti individuali e collettivi. È ovvio che ogni stima del costo del lavoro che tenga conto di tutte queste dimensioni presenterà un elevata variabilità fra settori e fra imprese operanti all interno dello stesso settore. Non è quindi banale ottenere un indicatore sintetico per ogni singolo paese. Occorre inoltre individuare un opportuno tasso di cambio per rendere confrontabili i valori ottenuti in valute nazionali. Se l'obiettivo è quello di misurare la competitività dei prodotti italiani sui mercati internazionali, o l'incentivo per le imprese multinazionali a scegliere come luogo di produzione un paese piuttosto che un altro, sarà preferibile utilizzare tassi di cambio correnti nominali per tradurre tutti i costi per il lavoro in una valuta comune. In alternativa, si può effettuare la conversione usando la parità di potere d'acquisto: questa soluzione è più indicata se l'obiettivo è quello di misurare il costo del fattore lavoro in relazione al prezzo dei beni consumati nel paese, quantità che incide ad esempio sull'adozione di tecnologie a più alta o bassa intensità di lavoro. In entrambi i casi, i dati pubblicati dagli istituti di statistica forniscono per l'italia l immagine di un paese con un costo del lavoro contenuto. Nella tabella 1 sono riportati i dati pubblicati dal Bureau of Labor Statistics del Dipartimento del Lavoro americano sul costo del lavoro orario per un operaio dell industria espresso in dollari in 30 paesi per il Fatto 100 il costo orario negli Stati Uniti, l Italia si colloca al 18 posto con un costo pari a 88. Tutti i paesi europei, con l eccezione di Spagna, Portogallo e dei paesi dell Est, hanno un costo più elevato. In alcuni casi (Norvegia, Danimarca, Germania) la differenza supera il 40%. L Italia risulta anche più competitiva rispetto ad Australia, Canada e Giappone. Un indicazione simile viene da uno studio condotto da Kpmg e pubblicato sul sito in cui si confrontano i costi di produzione fra nove dei maggiori paesi industrializzati (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Olanda, Regno Unito, Singapore, Stati Uniti). Fra i paesi con più basso costo del lavoro l Italia si piazza terza dopo Singapore e Canada.

3 Il quadro non cambia se si passa a considerare i dati a parità di potere d acquisto. La seconda colonna della tabella 1 riporta il costo del lavoro annuo per il lavoratore medio pubblicato dall Ocse nell ultima edizione del suo studio annuale sulla tassazione dei salari. Sebbene il dato soffra del limite di non tener conto delle ore effettivamente lavorate, esso fornisce comunque l indicazione chiara di come il costo del lavoro nel nostro paese non sia tra i più elevati a livello internazionale: l Italia si piazza solo al 16 posto fra le 25 nazioni rilevate. La stessa pubblicazione dell Ocse sembra invece confermare la tesi di un cuneo fiscale molto ampio: il nostro paese si colloca infatti al settimo posto con il 45,4%. Qual è la ragione di questa apparente anomalia? Se si decompone il cuneo fiscale complessivo nelle componenti dovute alle imposte sul reddito e ai contributi sociali, sono questi ultimi (pari al 31,8% del costo del lavoro) a risultare nettamente superiori sia alla media dei paesi dell Europa dei 15 1 (il 17.8%) che a quella dei paesi Ocse (il 15.2%). A prima vista quindi l alto cuneo fiscale sembra rimandare a quella che viene spesso citata come un altra debolezza del nostro sistema economico: un elevata spesa per il welfare e, in particolare, per le pensioni. Questa lettura appare rafforzata dal confronto fra l Italia e gli Stati Uniti: l Ocse calcola per gli U.S.A. un cuneo fiscale pari al 29%, e dunque inferiore a quello italiano di ben 16 punti percentuali. Questa differenza è dovuta interamente ai contributi sociali, più bassi negli Stati Uniti di 17 punti percentuali. A ben guardare, tuttavia, l immagine descritta dai dati ha contorni del tutto diversi. In primo luogo occorre osservare come in ambito Europeo la media sia condizionata da tre paesi che per diversi motivi hanno un livello di contributi obbligatori nettamente più basso degli altri 12: Danimarca, Irlanda, Regno Unito. La Danimarca, a differenza della maggioranza dei paesi industrializzati, utilizza principalmente le imposte (e fra queste le indirette) per il finanziamento della spesa sociale pubblica; l Irlanda ha un livello di spesa sociale pubblica nettamente inferiore alla media UE; il Regno Unito associa un più ampio ricorso alla fiscalità generale con la compresenza di una diffusa previdenza complementare non obbligatoria. Se si escludono questi tre paesi la media del cuneo contributivo fra gli 11 paesi rimanti (esclusa l Italia) risulta pari al 31.2%, perfettamente in linea con il valore del cuneo contributivo in Italia. In secondo luogo, nella valutazione del costo del finanziamento della spesa sociale è necessario considerare non solo le componenti pubbliche ma anche quelle private. Ad esempio Roberto Artoni e Alessandra Casarico nel working paper 106 di Econpubblica illustrano come la spesa sociale complessiva degli Stati Uniti si collochi a livelli molto vicini a quelli italiani. Gli Stati Uniti si differenziano dall Italia per il mix fra spesa pubblica e privata, che risulta più sbilanciato verso la seconda. Al finanziamento della spesa privata concorrono in maniera decisiva i piani pensionistici e le assicurazioni mediche promosse dai datori di lavoro che coprono la metà circa dei lavoratori (quota che sale al 60% per i lavoratori a tempo pieno e all 80% per i lavoratori sindacalizzati). Secondo il Bureau of Labor Statistics, i contributi e i premi pagati dai datori di lavoro incidono in media per il 10,9% sul costo del lavoro (il 16,7% per i lavoratori sindacalizzati). È del tutto evidente che se questi contributi versati su 1 Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia.

4 base contrattuale fossero considerati equivalenti ai contributi sociali versati su base obbligatoria e quindi inclusi nelle statistiche presentate, il cuneo fiscale italiano e quello statunitense risulterebbero molto simili. L'intera questione sembra dunque ruotare in ultima analisi sulla differenza tra contributi volontari e obbligatori. In cosa consiste tale differenza? Entrambi i tipi di contributi finanziano prestazioni pensionistiche o assicurative. Tuttavia, gli economisti sottolineano che, mentre i contributi volontari sono percepiti dagli individui come impieghi del reddito finalizzati all'acquisto di prestazioni pensionistiche o assicurative, ciò non vale per i contributi obbligatori, visto che in molti casi l'accesso di un lavoratore alle prestazioni sociali e l'ammontare di queste non dipendono direttamente dai contributi obbligatori versati. Di conseguenza i contributi obbligatori (ma non quelli volontari) sarebbero percepiti dal lavoratore alla stregua di un imposta, con effetti negativi sull offerta di lavoro, sul livello di occupazione e quindi sul benessere sociale. Questa argomentazione trascura tuttavia due aspetti essenziali. In primo luogo nei paesi in cui la contribuzione volontaria raggiunge livelli significativi, come negli Stati Uniti, questa risulta fortemente incentivata fiscalmente. L incentivo fiscale determina distorsioni dirette ed indirette, visto che esso va a sua volta finanziato aumentando le imposte o i contributi, e visto che rompe il legame fra contributi e prestazioni e comporta quindi una perdita di benessere della stessa natura di quella determinata dall'obbligatorietà. In secondo luogo, si trascura il fatto che anche nel caso della contribuzione obbligatoria ci può essere un legame stretto fra prestazioni e contributi versati. È il caso ad esempio del nostro paese con riferimento al sistema introdotto con la riforma Dini del A seguito della riforma le pensioni future saranno commisurate ai contributi versati durante la vita lavorativa, analogamente a quanto accade per i contributi a fondi pensione privati. In tale situazione, equiparare i contributi pensionistici alle imposte sembra poco giustificabile sotto il profilo economico. Giampaolo Arachi, Università di Lecce e Econpubblica-Università Bocconi Massimo D Antoni, Università di Siena e Econpubblica-Università Bocconi

5 Tabella 1: Costo del lavoro e cuneo contributivo Costo del lavoro orario, al cambio nominale (1) medio per lavoratore, in PPP (2) Cuneo fiscale (3) Cuneo contributivo USA=100 in % di (2) in % di (2) Norvegia Danimarca Germania Olanda Finlandia Svizzera Belgio Svezia Austria Lussemburgo Gran Bretagna Francia Stati Uniti Australia Giappone Irlanda Canada Italia Spagna Nuova Zelanda Corea Portogallo Ungheria Repubblica Ceca Messico (1) Anno 2004, fonte: (2), (3) e (4) Anno 2005, fonte: OECD, Taxing wages Table I.3 (4)

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