(Milano, 17 aprile 2012)

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1 "PRINCIPALI NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI ACCERTAMENTO DELLA RESPONSABILITÀ PENALE PER INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI. DAL "CASO THYSSEN" ALLE MALATTIE DA AMIANTO" (Milano, 17 aprile 2012)

2 Il convegno è presieduto dall Avv. Baccaredda Boy (del Foro di Milano) il quale, nell intervento introduttivo, segnala come la recente giurisprudenza abbia aperto nuovi scenari in tema di responsabilità penale per infortuni sul lavoro e malattie professionali. La materia, come noto, pone rilevanti problemi in quanto chiama in causa interessi contrapposti: da un lato, il bisogno di pena che l opinione pubblica avverte di fronte a fenomeni di portata tale da assumere le fattezze di una vera e propria tragedia collettiva (si pensi alle vicende relative fabbrica di Casale Monferrato dove si produceva il cemento-amianto: l Eternit ); dall altro, l esigenza di rispettare i principi e le garanzie fondamentali del diritto penale. A questo proposito, se in Italia si è assistito ad un vero e proprio stiramento, da parte della giurisprudenza, delle categorie e dei paradigmi fondamentali dello ius puniendi se non addirittura ad un loro stravolgimento al solo fine di giungere a sentenze di condanna, in altri paesi (ad esempio, negli Stati Uniti, come autorevole dottrina ha da tempo osservato) non si sono mai celebrati processi penali per malattie cagionate dall amianto, proprio in ragione dell impossibilità di oltrepassare, in simili giudizi, la soglia del ragionevole dubbio. Più in particolare, i problemi relativi all accertamento della responsabilità del datore di lavoro per omicidio o lesioni colposi, determinati da patologie asbesto-correlate, si registrano sia sul piano della causalità sia su quello della colpa. Invero, simili malattie si caratterizzano per manifestarsi dopo molti anni dal momento del loro innesco nell organismo (il mesotelioma, ad esempio, presenta una latenza che va dai trenta ai quarant anni); ciò rende difficile, se non impossibile, ricostruire, a distanza di molto tempo, il luogo e le condizioni in cui il lavoratore si trovava a svolgere le proprie mansioni all epoca della contrazione della patologia. Peraltro, sempre ai fini della ricostruzione del nesso causale, occorre tener conto del fatto che la mera presenza, in un certo ambiente, di materiali contenenti amianto non implica di per sé l esposizione sostanze cancerogene la quale, invece, avviene solo con l aerodispersione delle fibre di asbesto (a seguito, ad esempio, di manipolazione dei manufatti, di deterioramento dei materiali, ecc.). 2

3 Sempre sul piano della causalità, è opportuno accennare al contrasto giurisprudenziale determinato da leggi scientifiche contrapposte sul rapporto tra l esposizione all amianto e l innesco della cancerogenesi. Secondo una prima teoria scientifica, sussisterebbe un rapporto esponenziale tra dose di sostanza cancerogena assorbita e risposta tumorale (teoria della dose-risposta ): aumentando l intensità e la durata dell esposizione a fibre di amianto sarebbe maggiore l incidenza dei mesioteliomi che ne derivano e soprattutto minore la durata della latenza, con conseguente anticipazione della morte. Di conseguenza, ogni singolo pericolo di esposizione, anche di tenue durata, rileverebbe quantomeno come concausa nella determinazione dell evento morte hic et nunc verificatosi (la teoria della dose-risposta è seguita come noto dalla Corte di Cassazione nella sentenza Macola, Cass., Sez. IV, , dep , n. 998). Peraltro, va segnalato come, nelle pronunce che seguono tale orientamento, non si accerti propriamente la riconducibilità di un certo evento ad una determinata condotta: in esse, invero, il giudice non afferma che, in presenza del comportamento doveroso, il lavoratore non avrebbe contratto oltre ogni ragionevole dubbio la patologia asbesto-correlata, ma piuttosto si limita a constatare che se il datore di lavoro avesse tenuto la condotta richiesta dalla legge, si sarebbero ridotte le probabilità di verificazione dell evento. Un altro filone giurisprudenziale, invece, segue l opposta teoria scientifica secondo la quale il mesotelioma sarebbe dose-indipendente : iniziato il processo di cancerogenesi, anche per effetto dell inalazione, nei primissimi tempi di esposizione, di un unica dose, ancorché minina, le successive esposizioni alle fibre di asbesto non avrebbero alcuna incidenza nello sviluppo della malattia (teoria della dose-grilletto, seguita, ad esempio, da C. App. Torino, sent ottobre 2001, n. 3037). Tuttavia, questa tesi è stata disattesa dalla giurisprudenza maggioritaria, sulla base però di criteri del tutto vaghi e non obiettivi: generalizzate massime di esperienza, rispondenza alla logica, conformità ai precedenti giurisprudenziali, (talvolta persino) intuizioni soggettive del giudice, ancorché contrastanti con le conclusioni dei periti. In tali casi, emerge con tutta evidenza lo stravolgimento dei ruoli nel processo penale: l interprete, da mero fruitore della legge scientifica, si pone come artefice della stessa. Solo nel 2010 come di seguito si dirà la Corte di Cassazione è arrivata a fissare criteri più rigidi ai fini della corretta valutazione delle leggi scientifiche. 3

4 Per altro verso, sul piano della colpa, si tratta di accertare se fosse prevedibile ed evitabile l evento (lesioni o morte) sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili all epoca dei fatti; invero, solo di recente (e, precisamente, dal 1978, anno in cui viene pubblicato lo studio di Salikoff, Asbestos and desease ) è stata dimostrata l associazione del mesotelioma (anche) alle basse dosi di esposizione. In questo senso, la giurisprudenza di merito ha osservato: «l homo eiusdem condicionis et professionis non può essere un astrazione ma va calato nella realtà concreta, e quella realtà (...) ignorava che dalle basse o bassissime esposizioni potessero insorgere malattie ben più gravi dell asbestosi. Ragionando altrimenti si verrebbe a rimproverare al datore di lavoro di non aver adottato, ad esempio già negli anni 70, misure preventive come ( ) la completa abolizione dell uso dell amianto, quando è dimostrato che una misura del genere è stata accettata dalla comunità sociale ed imposta quindi dallo stesso legislatore soltanto dopo molti anni (1992), a dimostrazione del fatto che detto accorgimento è diventato patrimonio cognitivo generale solo quando le tesi scientifiche sulla correlazione tra bassi livelli di esposizione all amianto e mesotelioma pleurico hanno evidentemente oltrepassato i confini della fase sperimentale confinata nei convegni internazionali per divenire patrimonio comune» (Trib. Pistoia, sent ). Tuttavia, tale orientamento dei giudici di merito non è accolto dalla Corte di Cassazione secondo la quale, ai fini dell imputazione colposa, è sufficiente la «rappresentazione della potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non la rappresentazione ex ante dell evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estesione» (Cass., Sez. IV, ). Il ragionamento del giudice di legittimità osserva il relatore non è condivisibile: l imprenditore, agli inizi degli anni 70, non poteva certo prevedere le conseguenze dannose per la salute derivanti dall esposizione a basse dosi alle fibre di amianto. Quanto all evitabilità dell evento, occorre tener conto del fatto che l adozione, negli stabilimenti industriali in cui veniva impiegato l amianto, delle misure di prevenzione prescritte dagli artt. 19 e 21 del D.P.R. n. 303 del 1996 (volte a ridurre, per quanto possibile, la concentrazione di polveri nell ambiente di lavoro) era certamente idonea a scongiurare il rischio di asbestosi, ma non quello di mesotelioma, che iniziò ad essere efficacemente contrastato solo con l introduzione delle tecnologie messe a disposizione negli anni 90 (le maschere MP3). Ciononostante, nelle pronunce della Suprema Corte non vi è traccia di un giudizio controfattuale alla luce del quale si possa dimostrare che, a seguito della riduzione del livello di esposizione (per l introduzione di 4

5 particolari misure antinfortunistiche), il singolo evento-morte da malattia asbesto-correlata non si sarebbe verificato. Tali orientamenti della giurisprudenza di legittimità sono stati seguiti anche nei processi celebratisi per infortuni sul lavoro determinati dall esposizione ad un altra sostanza cancerogena: il cloruro di vinile monomero (CVM). Nel famoso processo relativo al Petrolchimico di Porto Marghera, il Tribunale di Venezia aveva inizialmente assolto gli imputati perché era stato dimostrato che, non appena consolidatesi le conoscenze scientifiche relative alla cancerogenicità di questa sostanza (nel 1974), l azienda si era prontamente attivata con interventi strutturali e procedurali volti ad abbassare drasticamente l esposizione del lavoratori alla stessa. Tuttavia, la Corte di Appello ribaltò il giudizio di primo grado, giungendo a condannare gli imputati sulla base della constatazione che, all epoca dei fatti, era possibile rappresentarsi non il danno da angiosarcoma del fegato ma un generico danno alla salute (ancorché non grave) cagionato dall esposizione al CVM. Invero, qualche anno prima rispetto alla scoperta della cancerogenicità di tale sostanza, si era accertato che i lavoratori delle autoclavi, nelle quali veniva trattato il cloruro di vinile, si ammalavano di acroosteolisi, patologia che comportava un certo tremolio ed irrigidimento degli arti, sicuramente non letale, anzi regressiva. La sentenza del giudice d appello fu confermata dalla Cassazione proprio in base all assunto che se gli amministratori di azienda avessero adottato le cautele per prevenire l acroosteolisi, avrebbero prevenuto anche l angiosarcoma del fegato. Segue l intervento del Prof. Enrico Pira, ordinario di Medicina del Lavoro presso l Università di Torino, chiamato ad illustrare lo stato dell arte della scienza rispetto alle patologie asbesto-correlate. Il relatore chiarisce, anzitutto, che per asbesto (amianto) si intende un insieme di cristalli idrati di silice che formano fibre. Sulla base degli studi epidemiologici sinora eseguiti, l'esposizione professionale all'asbesto può dererminare: placche fibrose localizzate o, raramente, fibrosi pleurica diffusa; versamenti pleurici; fibrosi interstiziale parenchimale (asbestosi); carcinoma polmonare; mesoteliomi; neoplasia della laringe e probabilmente altre neoplasie extrapolmonari, tra cui il carcinoma del colon. Più in dettaglio, esistono distinte forme geometriche di asbesto: serpentino (fibre ricce e flessibili) e anfibolo (fibre rigide e fragili). La forma chimica di crisotile serpentino è la forma di 5

6 amianto più utilizzata nell'industria. Gli anfiboli comprendono la crocidolite, l'amosite, la tremolite, l'antofillite e l'actinolite. Questo complesso elenco di termini è importante poiché gli anfiboli, benché meno frequenti, sono più patogeni del crisolito, in particolare nell'indurre tumori pleurici maligni (mesotelioma). La maggior patogenicità degli anfiboli sembra correlata alle loro proprietà aerodinamiche e alla loro solubilità. Ciononostante, sia le fibre di anfiboli che quelle di serpentini sono fibrogeniche e, quindi, all aumentare della quantità inalata, si incrementa l incidenza di tutte le patologie amianto-correlate, tranne il mesotelioma, che deriva esclusivamente all'esposizione alle fibre di anfiboli. Per quanto riguarda in particolare il mesoteliona, non v è dubbio, sul piano scientifico, che esso sia riconducibile all esposizione alle fibre di amianto, pur non essendo quest ultima l unica eziologia nota della patologia: vi è, infatti, un diffuso consenso intorno all affermazione secondo la quale, nel 60-70% dei casi, il tumore pleurico maligno sia riferibile all esposizione alle fibre di asbesto. L aspetto estremamente problematico riguarda la natura dose-dipendente o doseindipendente del mesotelioma, ossia la questione se all aumento della dose di amianto inalata (per concentrazione e durata) corrisponda o meno un effetto acceleratore sul decorso della cancerogenesi e, quindi, un anticipazione dell evento letale. Dalla soluzione di tale quesito dipende la rilevanza con-causale delle esposizioni successive a quella che ha innescato il tumore e, quindi, la responsabilità o meno per l evento morte di coloro che rivestirono posizioni di garanzia durante tutto il periodo di esposizione del lavoratore a fibre di asbesto. Ebbene, rispetto al mesotelioma, persiste un profondo contrasto in seno alla comunità scientifica circa la rilevanza eziologica delle dosi successive all insorgenza della patologia. Invero, allo stato attuale manca un affidabile e verificata legge scientifica di copertura in base alla quale attribuire efficacia causale anche alle esposizioni successive a quella iniziale che ebbe ad innescare il processo di cancerogenesi. Infatti, mentre asbestosi e carcinoma polmonare sono ritenute malattie dose-dipendenti, per il mesotelioma non v è certezza scientifica circa il rapporto tra entità dell esposizione e durata della latenza, anzi la letteratura più recente propende per qualificare il tumore della pluera come patologia dose-indipendente. 6

7 È quindi intervenuto il dott. Piero Basilone, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, il quale, nell esercizio della sua attività professionale, si è a lungo occupato della materia in esame. Il relatore evidenzia come nell ambito delle malattie professionali, con particolare riferimento a quelle dovute all esposizione da amianto, da una parte sia davvero arduo accertare la sussistenza di un nesso di causalità individualizzante, dall altra, sotto il profilo della colpa, sia difficile reperire precise regole cautelari. Per quanto concerne il primo aspetto problematico non vi sono dubbi che l esposizione all amianto possa provocare il tumore ai polmoni, l asbestosi e il mesotelioma pleurico. Tuttavia il tumore cagionato dall amianto non presenta caratteristiche specifiche e differenziali rispetto al tumore dovuto all esposizione ad altri fattori di rischio. Tale circostanza rende particolarmente difficile discernere tra i casi che possono essere ricondotti alla esposizione ad amianto da quelli che possono essere imputabili ad altre cause quali, ad esempio, il tabacco. In tale contesto si evidenzia, inoltre, la mancanza, ad oggi, di una regola di carattere scientifico che indichi un quantitativo di fibre di amianto al di sotto della quale si ha la certezza che non possa sorgere il tumore. Per quanto riguarda, invece, l asbestosi c è una legge scientifico statistica che correla l insorgere della patologia con l esposizione ad una certo quantitativo di sostanza. Tuttavia l approssimazione maggiore si verifica con riferimento al periodo di latenza che caratterizza tutte le patologie amianto correlate. Difatti le incertezze scientifiche sulla eziopatogenesi delle malattie derivanti dall amianto si ripercuotono inevitabilmente sull accertamento delle responsabilità poiché non è sempre possibile accertare con precisione il momento in cui è insorta la patologia. Se manca una regola in base alla quale è possibile affermare che al di sotto di un certa soglia di esposizione all amianto vi è la certezza che la malattia non sorgerà, se nemmeno è possibile individuare il momento preciso dell innesco della malattia, e il periodo di latenza è lunghissimo, basti pensare che nel mesotelioma può arrivare sino ai 50 anni, non è ragionevole formulare una accusa nei confronti di un soggetto determinato. Pertanto secondo il dott. Basilone sarebbe arbitraria la prassi della formulazione dell accusa nei confronti di tutti i soggetti che hanno svolto funzioni apicali durante tutto il periodo della latenza. Ciò premesso è evidente che le indagini finalizzate ad individuare i responsabili delle lesioni o della morte sono oltremodo complesse perché occorre investigare sulle condizioni del luogo di lavoro che si verificarono fino a 50 anni dall insorgere della patologia. È difficile accertare quante fibre di amianto abbia inalato il lavoratore, mancando dati che riguardano la concentrazione delle polveri di amianto negli anni 50. Anni or sono, la 7

8 amministrazione sanitaria, quando procedeva ai controlli secondo la normativa allora vigente, si occupava genericamente di rilevare una eccessiva presenza di polveri all interno delle zone di lavoro. Sempre nell ambito della fase delle indagini, occorre poi accertare se si è trattato di un esposizione diretta o indiretta poiché svolgere un attività ove si lavora direttamente l amianto è ben diverso dal lavorare in un ufficio ed entrare in contatto con l amianto in modo del tutto casuale. È altresì di estrema difficoltà verificare se sono state adottate misure di protezione prescritte dalla normativa all epoca vigente. Difatti il d.p.r. n. 303 del 1956, il cui art. 21 è rubricato difesa contro le polveri imponeva l utilizzo della maschera individuale e la presenza in loco di aspiratori e sistemi di ventilazione. Tuttavia all epoca di emanazione della normativa non esistevano maschere idonee ad evitare l inalazione delle fibre di amianto. Il relatore si sofferma poi sulla rilevanza degli studi epidemiologici nei processi relativi alle malattie professionali, i quali spiegano la correlazione, in base a regole di carattere frequentista, di determinati eventi, senza dare una risposta scientifica sul nesso di causalità. Le regole epidemiologiche vengono spesso utilizzate quando non è certa la causa di una patologia, come nel caso dei tumori. L epidemiologia è stata molto usata nel corso degli anni 90 dalla giurisprudenza nei settori della malattie professionali e della responsabilità medica. In questo filone deve essere menzionata la sentenza del Pret. di Torino, dott. Bruno Giordano, nel caso Barbotto, già citata dell Avv. Baccaredda Boy, che ha valorizzato un aspetto del contenuto della colpa che è quello omissivo. La responsabilità colposa è sempre caratterizzata da un omessa adozione di un comportamento che è doveroso e la cui adozione avrebbe evitato con certezza o con probabilità vicina alla certezza il verificarsi del risultato. Il dott. Giordano, valorizzando il dato omissivo della colpa ha proposto una soluzione innovativa nella ricostruzione della causalità omissiva muovendo dalla premessa che essa avrebbe una natura doppiamente ipotetica. Se così è allora si dovrebbe pretendere, nell accertamento della causalità omissiva, un coefficiente di probabilità inferiore rispetto a quello che si dovrebbe richiedere nella ricostruzione del nesso di causalità attiva, proprio per la difficoltà di accertamento che caratterizza l omissione. Secondo il Pretore di Torino, nella ricostruzione del nesso di causalità nell ambito delle malattie professionale, si può affermare che l omissione è causa dell evento quando il mancato compimento dell azione doverosa ha aumentato il rischio del verificarsi della malattia. Negli anni successivi alla suddetta sentenza vi sono state diverse critiche da parte sia della giurisprudenza sia della dottrina alle conclusione cui è pervenuta la sentenza Barbotto. Da una parte si contesta la violazione del principio di legalità, poiché si trasformano surrettiziamente i reato di danno in reati di pericolo. Dal altra parte non viene condiviso l utilizzo di regole 8

9 epidemiologiche nell accertamento del nesso di causalità, le quali non sarebbero in grado di fornire con certezza la prova della derivazione causale tra eventi. La reazione della giurisprudenza negli anni successivi è stata così forte che si è preteso, nella spiegazione del nesso causale nei reati omissivi, che fosse provato che l esecuzione della condotta doverosa avrebbe impedito il verificarsi dell evento con probabilità vicino alla certezza. Una soluzione equilibrata l hanno trovata le Sezioni Unite nella nota sentenza Franzese, la quale parte dalla distinzione tra una probabilità frequentista tra determinati antecedenti ed eventi e la c.d. probabilità logica. Per l accertamento del nesso causale la Franzese offre un metodo bifasico che richiede innanzitutto la ricerca di una solida regola causale e in secondo luogo che si escludano spiegazioni alternative all evento. Mentre fino agli anni 90 lo studio epidemiologico era sufficiente per affermare la sussistenza del nesso di causalità, ora lo studio epidemiologico può coprire solo la prima fase del giudizio, ossia quella probabilitistico frequantista cui si affianca la ricerca di una causalità di tipo individualizzante. Il dott. Basilone si sofferma poi su un ulteriore aspetto della materia oggetto dell incontro. In ragione delle notevoli difficoltà nell accertamento del nesso di causalità nell ambito delle malattie professionali in alcune sentenze si legge che ogni soggetto che si è avvicendato nel corso degli anni nella posizioni di garanzia deve essere ritento responsabile dell evento lesivo in base al fatto che le esposizioni successive alla prima avrebbero comunque aggravato l evolversi della patologia. Il relatore evidenzia però che, ad oggi, non esiste una legge scientifica sulla base della quale possa affermarsi che l esposizione successiva diminuisca la latenza o aggravi la malattia. Anche in tema di colpa vi sono molte incertezze. Manca una normativa alla stregua della quale sia possibile individuare una condotta chiara e precisa imposta al datore del lavoro. Di regola nei capi di imputazione si cita l art. 21 del d.p.r. 303 del 1956 e l art del c.c. L art. 21, secondo il relatore, non può fondare una valida posizione di garanzia poiché esso, presentando una formulazione aperta senza indicare quali siano le misure da adottare è priva del carattere di specificità che dovrebbe caratterizzare una norma fondante una posizione di garanzia. Inoltre la fonte dell obbligo di garanzia dovrebbe essere dotata di una certa specificità in ordine alle misure precauzionali da adottarsi. L art. 21, invece, è norma obsoleta la quale consente addirittura nella adozione delle misure precauzionali, un bilanciamento degli interessi legati alle esigenze della produzione. L art c.c. e poi troppo generico per fondare una posizione di garanzia perché non individua quale sono le condotte che l imprenditore deve porre in essere per evitare l evento lesivo. 9

10 Il dott. Basilone ricorda poi che solo nel 1991 il legislatore vieta la presenza di fibre di amianto nei luoghi di lavoro. Da ciò si potrebbe affermare che, almeno sino agli anno 90, lo stesso legislatore non avesse la contezza che l amianto potesse portare all insorgere di gravi patologie. Prende la parola l avv. Baccaredda Boy il quale si sofferma sul noto caso Montefibre, nel quale il Tribunale di Verbania assolve tutti gli amministratori e direttori di stabilimento succedutisi dagli anni 60 sino agli inizi degli anni 80 dall accusa di omicidio colposo per la morte di alcuni operai, provocata da mesotelioma pleurico. Secondo il Tribunale non sarebbe infatti possibile affermare con certezza che le fibre inalate nel periodo in cui i vari imputati hanno svolto la loro funzione di vertice abbiano determinato l insorgere della malattia o l aggravamento di una patologia già in atto, ciò in quanto la validità della cd. teoria della dose-risposta o delle dosi successive non ha una sicura certezza scientifica. Di qui il dubbio sulla sussistenza della causalità delle singole condotte omissive, e la conseguente assoluzione di tutti gli imputati. La Corte d appello riforma la sentenza di primo grado fondando la condanna sull argomento per cui, dato che gli operai deceduti sono stati esposti per lungo tempo alle polveri contenenti fibre di amianto, per escludere l operatività della teoria della dose-risposta bisognerebbe dimostrare che la inalazione della sola dose iniziale sia stata da sola sufficiente a fare insorgere la malattia e portare al decesso. Di contro valutazioni logiche consentono di ritenere che il prolungarsi nel tempo dell esposizione ad amianto abbia provocato l aggravamento del rischio dell insorgenza di neoplasie, costituendo quanto meno una concausa dei decessi. La Cassazione annulla la decisione perché i giudici di secondo grado hanno dichiarato di aderire alla teoria della dose-risposta senza indicare le ragioni dell opzione facendosi, invece che utilizzatori della legge scientifica veri e proprio artefici. In conclusione, la Suprema Corte afferma che «la funzione strumentale e probatoria del sapere scientifico impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di motivare la scelta ricostruttiva della causalità, ancorandola ai concreti elementi scientifici raccolti. Una opzione ricostruttiva fondata sulla mera opinione del giudice attribuirebbe a questi, in modo inaccettabile, la funzione di elaborazione della legge scientifica e non, invece, come consentito, della sola utilizzazione». Nel giudizio di rinvio, i periti nominati a seguito della rinnovazione dell istruzione dibattimentale hanno concluso nel senso che non è possibile, in termini scientificamente accettabili, affermare in quale epoca si sia verificata la modificazione cellulare che ha dato inizio alla patologia tumorale, anche se l epidemiologia indica che, per ciascuno dei casi, l esposizione rilevante sia da collocare vicino all epoca di inizio dell esposizione stessa. Secondo i periti, inoltre, non esiste una legge scientifica di copertura secondo cui le esposizioni successive alle prime modifichino l evoluzione della malattia, accorciando il periodo di latenza. Infine, nel caso di specie, l evoluzione della malattia nei singoli lavoratori sembra escludere che chi ha avuto una più lunga esposizione 10

11 all amianto abbia avuto una più breve latenza della malattia. Mentre questo giudizio di rinvio iniziava, il Tribunale di Verbania definiva il primo grado di un altro procedimento penale, sempre relativo a decessi per malattie asbesto-correlate, giungendo alle medesime conclusioni. Con la sentenza del , alla domanda se, venuta meno la condotta del singolo amministratore imputato, sarebbe venuto meno con certezza anche l evento morte dei lavoratori deceduti o si sarebbe verificato più tardi nel tempo, il giudice affermava essere impossibile fornire risposte scientificamente fondate precisando che: «ogni deduzione al riguardo sarebbe puro azzardo logico, e conseguentemente giuridico, irrimediabilmente foriero di una violazione del principio della responsabilità personale o per fatto proprio». Tra le sentenze di legittimità che devono essere menzionate nello studio della materia in esame vi è quella della IV sez. della Corte di Cassazione del , relatore Blaiotta, nella quale non si prende posizione sulla validità scientifica della legge delle dosi successive, ma vengono individuati i criteri alla stregua dei quali l interprete può ritenere la validità di una regola scientifica. Secondo la suddetta decisione: Per valutare l attendibilità di una teoria occorre esaminare gli studi che la sorreggono. Le basi fattuali sui quali essi sono condotti. L ampiezza, la rigorosità, l oggettività della ricerca. Il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi. La discussione critica che ha accompagnato l elaborazione dello studi, l attitudine esplicativa dell elaborazione teorica. Il grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica. E anche l identità, l autorità indiscussa, l indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalità per le quali si muove. Solo all esito di tali valutazioni il giudice potrà affermare se esista o meno una teoria sufficientemente affidabile e sulla quale si registra un preponderante condiviso consenso. Nell ambito di questo cambiamento deve essere segnalato un nuovo approccio da parte della Procura di Torino nel caso Eternit che consentirebbe di aggirare gli ostacoli in punto di ricostruzione del nesso causale. In particolare occorre segnalare il tentativo di riconduzione dei fatti nell ambito di fattispecie di pericolo, quali il disastro doloso e l omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, in sostituzione dei delitti dolosi di evento. È evidente che così si superano i problemi connessi alla prova del nesso di causalità. Sempre con riferimento al caso Eternit c è un ulteriore aspetto degno di nota. Le parti civili costituitesi in quel giudizio sono complessivamente 6.392, tra persone fisiche, enti, associazioni sindacali. Il Tribunale ha accertato il diritto al risarcimento dei danni subiti a di queste. Tra esse vi sono 284 cittadini del comune di Cavagnolo, perfettamente sane, ai quali pare sia stato riconosciuto il diritto al risarcimento di un danno non patrimoniale da esposizione a fibre di amianto. La domanda formulata dai suddetti cittadini è stata diretta ad ottenere il risarcimento non solo per danni derivanti dallo stress emotivo o sofferenza morale patiti, ma è stata espressamente proposta anche per il risarcimento dei danni non patrimoniali che sarebbero 11

12 connessi all esposizione in quanto tale, e dunque all oggettivo rischio di contrarre patologie amianto-correlate. Si lamenta cioè la lesione non di una tranquillità psicologica, quanto piuttosto si dice il diritto di ciascuno a non essere esposto da altri a rischio di malattia mortale. La richiesta di queste parti civili si muove nel solco della decisione della Corte d Assise di Torino relativa al caso ThyssenKrupp. Lì, infatti, molti lavoratori che non avevano subito danni fisici o psichici in conseguenza del rogo del , si erano costituiti parti civili richiedendo esclusivamente il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla prolungata violazione, contestata agli imputati, dell art. 437 c.p. La C.Assise ha riconosciuto la sussistenza di tale danno e lo ha liquidato in , in favore di chi aveva operato presso lo stabilimento torinese per l intero periodo contestato (due anni) e in 5.000, per chi si era dimesso nei mesi precedenti all incendio. Sempre nell ambito del caso ThyssenKrupp il relatore evidenzia la nuova tendenza giurisprudenziale che riconduce l evento morte del lavoratore dovuto alla violazione delle regole antinfortunistiche nell ambito della responsabilità dolosa in luogo di quella colposa. Quali sono le ragioni di fatto e di diritto che hanno portato la Corte ad affermare la responsabilità dolosa dell amministratore delegato? Gli addebiti sul piano oggettivo sono di natura omissiva, non avendo l amministratore effettuato le necessarie valutazioni di rischio di incendio, nonostante nello stabilimento si facesse uso di materiali altamente infiammabili. Né era presente un impianto automatico di rilevazione e spegnimento degli incendi. Si contesta, inoltre, la mancanza di dispositivi di sicurezza. Secondo la Corte l imputato si era sufficientemente rappresentato la situazione di fatto, si era rappresentato la possibilità di verificazione dell evento e ciò nonostante avrebbe preferito correre il rischio del verificarsi di un disastro piuttosto che spendere le somme necessarie per la sicurezza. Questo è il primo caso di condanna per omicidio con dolo eventuale nell ambito della sicurezza sul lavoro, mentre in materia di incidenti stradali vi sono stati diversi giudici di merito che hanno ritenuto la sussistenza del dolo eventuale in caso di omicidio causato dalla guida di in veicolo in stato di alterazione. Questo approccio ricostruttivo non è condiviso tuttavia dalla giurisprudenza di legittimità. Tornando al caso ThyssenKrupp la Corte d Assise di Torino, attribuisce importanza alla particolare situazione di fatto in cui è accaduta la vicenda. Poiché, secondo i giudici, l imputato avrebbe omesso gli interventi sullo stabilimento di Torino perché questo sarebbe stato chiuso a breve, e la ristrutturazione del sito avrebbe richiesto un grande impegno economico, l imputato avrebbe scelto comunque di far lavorare gli operai in un contesto pericoloso. Le circostanze di fatto da cui si possono ricavare questi giudizi sono principalmente: l inottemperanza alle direttive della Casa Madre (dopo il verificarsi di un precedente, gravissimo incendio in uno stabilimento tedesco, 12

13 la Società Capogruppo aveva stanziato fondi per la ristrutturazione e il miglioramento dei vari siti industriali nazionali, ed aveva più volte convocato i dirigenti nazionali per fornire istruzioni in materia di sicurezza); una culpa in eligendo, perché l imputato non si è personalmente occupato della valutazione del rischio nello stabilimento, ma ha lasciato l incombente a due collaboratori, nonostante la loro limitata professionalità e competenza in materia; le ripetute violazioni di leggi e regolamenti, che imponevano l installazione di impianti antincendio automatici; il totale disinteresse mostrato dall imputato per la vita dello stabilimento torinese, nonostante lui fosse persona nota per l estrema precisione e lo scrupolo nel lavoro; l avere ignorato i segnali d allarme provenienti dalle Compagnie assicuratrici, che avevano mandato i loro periti per esaminare le linee produttive da assicurare e riscontrate gravi carenze di sicurezza triplicato l ammontare della franchigia. A ben vedere si rimprovera al datore di lavoro di non avere ottemperato alle norme tecniche, o di non avere scelto adeguatamente i propri delegati. Si rimprovera al datore di lavoro la deviazione da uno standard comportamentale. Uno schema molto simile a quello dell accertamento colposo. Anche nel caso Eternit di Casale Monferrato dalla lettura del capo d imputazione gli addebiti nei confronti degli imputati, accusati di disastro doloso sono descritti come se si trattasse di colpa, elencando le stesse omissioni di «provvedimenti tecnici, organizzativi, procedurali, igienici necessari per contenere l esposizione all amianto [ ], di curare la fornitura e l effettivo impiego di idonei apparecchi personali di protezione, di sottoporre i lavoratori ad adeguato controllo sanitario». Dalla analisi della giurisprudenza più recente, per dirla con le parole di Fiandaca sembra complessivamente emergere una presa di consapevolezza sempre più chiara dello strettissimo intreccio tra concetto sostanziale (di dolo eventuale) e corrispondente accertamento probatorio. È nei fatti che ci è dato di rinvenire il segno dell atteggiamento interiore del soggetto agente. L impostazione difensiva proposta nel caso ThyssenKrupp muove da una diversa ricostruzione dei rapporti tra dolo eventuale e colpa che segue l insegnamento di Frank, secondo il quale vi sarà colpa se davanti alla certezza assoluta di cagionare l evento il reo desista, in caso contrarario vi sarà dolo. Del resto la formula di Frank non è desueta bensì recentemente ribadita dalle Sezioni Unite della Cassazione, nella pronuncia che ha ravvisato la ricettazione anche in presenza di dolo eventuale. Se si applicasse la formula di Frank al caso ThyssenKrupp forse vi sarebbe spazio per l affermazione di una responsabilità colposa. Come si può pensare che l imputato, se in ipotesi fosse stato certo dell incendio mortale e della distruzione di un reparto industriale, avrebbe perseguito ugualmente l obiettivo della sua azienda e avrebbe trascurato il bene della vita dei lavoratori? Peraltro, le prospettazioni della difesa in punto di fatto si discostano completamente 13

14 dalla ricostruzione operata dalla Corte d Assise. E vero, infatti, che l anno prima del rogo di Torino anche un altra linea produttiva era stata devastata da un incendio; tuttavia, le indicazioni in materia di sicurezza antincendio provenienti dalla Casa Madre si erano soffermate sulle caratteristiche di quell evento; la tragedia piemontese, invece, è stata innescata da fattori diversi. Nemmeno la modifica contrattuale pattuita con le Assicurazioni ha rilievo decisivo: si trattava, infatti, di interventi che coinvolgevano una pluralità di stabilimenti, di situazioni non legate al solo impianto ed alla sola linea produttiva di Torino. Secondo il relatore è pertanto fondamentale accertare con estrema cura ed attenzione il fatto storico, così come avvenuto, non essendo comunque possibile escludere a priori il dolo eventuale nella configurazione dell elemento soggettivo del datore di lavoro per l infortunio occorso al dipendente. 14

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