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CARLO OSSOLA La Rivista del Clero Italiano 12 2016 Ricorrono in questo 2016 trent anni dalla morte del card. Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino dal 1965 al 1977. Pubblichiamo qui la relazione che Carlo Ossola (docente di Letterature moderne dell Europa neolatina al Collège de France di Parigi) ha tenuto al convegno organizzato dalla comunità di Bose su questa luminosa fi gura di vescovo (Michele Pellegrino: memoria del futuro, 8-9 ottobre 2016). Il contributo di Ossola è dedicato a Pellegrino interprete della religiosità popolare, un aspetto particolare ma signifi cativo del suo ministero. Per Pellegrino infatti l attenzione alla religiosità popolare è parte di quella scelta dei poveri che nel postconcilio fu istanza caratterizzante dell azione pastorale. Pellegrino apprese questa sensibilità nell esercizio stesso del suo servizio di pastore, facendosi istruire dall ascolto della concreta vicenda umana, che il Vaticano II ha chiesto e continua a chiedere alla Chiesa. Vorrei iniziare questo mio ricordo con una frase che padre Pellegrino compone, e proietta retrospettivamente sul proprio ministero, nella conferenza ginevrina (1979) su Sant Ambrogio: Comincio con una confessione colta sulle labbra del vescovo ancora all inizio del suo ministero. Si trova nell introduzione al trattato De officiis, Sui doveri, ch è indirizzato anzitutto agli ecclesiastici. «Ora non possiamo sottrarci al compito d insegnare che il dovere sacerdotale ci ha imposto, nonostante la nostra resistenza» (I,1). E subito dopo: «Strappato ai tribunali e all amministrazione e chiamato all episcopato, ho cominciato con l insegnarvi ciò che io stesso dovevo imparare Devo dunque nello 850

12 Dicembre 2016 stesso tempo apprendere e insegnare, non avendo avuto prima il tempo d imparare» (I,3-4) 1. È una sorta di autoritratto: divenuto vescovo applicava (con coerenza e rigore ha osservato Enzo Bianchi in un bel profilo) quello che dal Concilio aveva con fedele determinazione imparato, senza aver avuto altro tempo per sperimentare che quello dell obbedienza. Giuntovi da professore, si trovò subito di fronte a una Chiesa, a parrocchie, con forti contrasti: i pellegrinaggi a Lourdes sotto la sigla FIAT, la benedizione delle auto a San Pancrazio e a Santa Rita, retaggi di una religiosità popolare vicina a riti di antica memoria; e insieme le nuove comunità di base, come quella di don Vittorino Merinas (Via Vandalino fine 1967-primavera 1970; e poi Via Arnaz estate 1970-gennaio 1973). La conciliazione non era spesso possibile e non poche furono le tumultuose rotture 2. Talvolta con ripensamenti da parte dello stesso Pellegrino. Ricordo ad esempio la vicenda di Santa Rita 3 : La festa di Santa Rita è essenzialmente giornata di preghiera. Qualcuno sarà stato un po meravigliato e anche un pochino dispiaciuto, lo comprendo, perché quest anno non si fa più la processione con la fiaccolata. La ragione è molto semplice. La festa dei Santi si celebra con la preghiera: e nella processione, nella fiaccolata, come si fa in questi casi, c è sì qualcuno che prega, ma non oserei dire che sia veramente una preghiera di tutti quelli che sfilano in processione e tanto meno di quelli che vi assistono con curiosità come assisterebbero ai fuochi artificiali. Ecco perché si è voluto ridurre la festa di Santa Rita a quello che è proprio preghiera: per richiamarci al significato vero del culto dei Santi e della vera devozione a Santa Rita. Con l effervescenza sessantottina del tempo, circolava la battuta: «San Gaetano tiene, santa Rita non più» 4. Padre Pellegrino scrisse poi che aveva ripensato a quel gesto e che non si poteva andare ai poveri con una coscienza troppo ricca di consapevolezza, poiché a tradizioni povere corrispondono gesti poveri ai quali occorre dare senso e accoglienza 5 ; e spesso a santa Rita tornò a celebrare. Ricorda nel seminario inedito che tenne a Ginevra, nel mio corso nel 1979, dedicato a La religiosità popolare nell esperienza di un vescovo: 851

La Rivista del Clero Italiano Io entrai arcivescovo a Torino nel 1965. L anno dopo fui invitato a celebrare la festa di santa Rita, la santa degli impossibili. Vi confesso che per un anno o due non ebbi il coraggio di andarci perché temevo di avallare con la mia presenza qualche cosa che era difficile impedire ma che, per lo meno, non volevo avallare perché sapevo, più o meno, come avvenivano le cose: la benedizione delle macchine fatta sul piazzale da un prete in cotta e stola, col chierichetto che porta l aspersorio dell acqua santa e un altro che porta il vassoio per il soldi. Sapevo per esempio cose che sentivo dire di prostitute che andavano là, a quella festa, a confessarsi, a far la comunione, senza alcuna intenzione di cambiare mestiere. E mi dicevo: «se vado io là, poi cosa succede?». Sapevo di certi tipi di processioni. E poi ho pensato e qui cominciamo a entrare in qualche sforzo di valutazione, in base all esperienza : in questo santuario passano (perché vengono anche da lontano) non meno di diecimila persone in quella giornata; e perché io, vescovo, che ho come principale mia missione il servizio della Parola sto al di fuori di questa gente, non ne approfitto per prendere contatto, per portar loro una parola veramente evangelica? E allora ho accettato di andare e ho continuato, e andrò anche quest anno (ci andrà l arcivescovo mio successore, ci andrò anch io), perché mi sono accorto e adesso anticipo cose che vorrei dire più tardi che c è modo di purificare certe usanze, di correggere certe mentalità. E ho avuto persino il coraggio di pubblicare in un libretto 6 cinque omelie tenute in quell occasione per aiutare i preti che devono predicare nella festa di santa Rita 7. Nella stessa lezione arrivava tuttavia a più importanti definizioni: Carlo Ossola Una caratteristica della religione popolare è il suo collegamento con il mondo dei poveri. Dico importante, perché se nella pastorale ha qualche significato un motto diventato programmatico da parte di molti (e io credo che sia impegnativo), cioè la scelta dei poveri, in senso evangelico, bisogna tener conto della religiosità popolare in quanto è collegata particolarmente al mondo dei poveri. Dice Mattai, in quel Dizionario di Spiritualità: «La religiosità popolare appare altra dalla religiosità ufficiale perché in sintonia con l alterità e gli stigmi caratteristici dei poveri: le sue note specificanti, quindi, risentono della discriminazione, dell impossibilità di scelta e della scarsa fruizione di beni culturali che appunto contrassegnano la cultura della miseria sia pure con notevoli variazioni in proporzione alle maggiori o minori disponibilità economiche» 8. E concludeva con Bolgiani: 852

12 Dicembre 2016 Insomma, la religiosità popolare «è la religione della cultura della povertà» 9. Questo andare ai poveri divenne molto rapidamente stare con i poveri. Non solo rendendo visita alle tende degli operai Fiat davanti a Porta Nuova, ma assumendo la povertà come il segno più universale di un umanità dolente e bisognosa di diritti e di redenzione. Osservava ancora nella lezione ginevrina su sant Ambrogio: Si partiva dal principio che soltanto la verità ha dei diritti e che l errore non ha diritti di sorta. Si trascuravano i diritti inalienabili dell uomo, anche quando egli si trova nell errore 10. Al principio discriminante della verità si sostituisce quello dei documenti conciliari e anche di Paolo VI, della sollicitudo: Nella sollecitudine che ha per i bisogni del prossimo, Ambrogio critica severamente le misure prese a Roma durante la carestia del 384, essendo prefetto Simmaco: «Da questa grandissima città furono cacciate delle persone che vi erano vissute per tanto tempo; esse partirono piangendo con i propri figli», quando invece si sarebbe potuto assicurare il sostentamento a tutti quanti (De officiis, III,49) 11. Varrebbe la pena esaminare, in prospettiva storica, questa mutazione di vocabolario: da verità (da preservare ) a sollecitudine 12 (exaltare, tollere) ed oggi a misericordia 13 *** Una importante sezione degli scritti raccolti in Dire il Concilio ha l opportuno titolo: «Un Concilio per l uomo» 14, l uomo ascoltato nel mistero della propria individua esperienza; ricorda subito Pellegrino uno dei passi più ispirati della Gaudium et Spes: ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di interrogativi sopra ricordato. A questi problemi soltanto Dio dà una 853

La Rivista del Clero Italiano risposta piena e certa, lui che chiama l uomo a una riflessione più profonda e a una ricerca più umile 15. Carlo Ossola È il te tandem tibi restitue, l anelito agostiniano del Secretum del Petrarca, ma anche un attenzione più autentica all opera dell uomo e non soltanto a ciò che di esso dice la teologia dogmatica. Sintomatico (e a tratti esemplare) il modo, tutto terreno, con il quale la Gaudium et Spes pensa ai rapporti con coloro che si professano atei: «Quanto agli atei, essa [la Chiesa] li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto» 16 ; cortesia, virtù delle buone maniere, virtù piccola, secondo il bel Trattato di Giovan Battista Roberti (1719-1786), ma essenziale al vivere in società. Di questo mondo, il Concilio e il pensiero di Michele Pellegrino ascoltano finalmente la voce e non di rado le parole della letteratura sono citate come più efficaci (non diversamente papa Francesco nella sua prima intervista ad Antonio Spadaro) che i trattati apologetici. D un tratto, un lungo passo di Dino Buzzati, sul fuggire del tempo, è citato da padre Pellegrino: «e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai» 17. Ecco, ciò che l uomo ha pensato dell uomo entra nella meditazione dell eredità del Concilio, e la vita stessa degli Evangeli è definita con le parole di Anna Achmatova, nella «possente vecchiezza del Vangelo» 18. Da un celebre libro di Charles Moeller 19 vengono le definizioni più parenetiche sulla presenza stessa di Dio nel cuore dell uomo; così citando Julien Green: «Se io dovessi partire questa sera e mi si chiedesse che cosa mi commuove di più al mondo, direi forse che è il passaggio di Dio nel cuore degli uomini» 20. Non solo dunque l uomo sa parlare dell uomo, ma sa anche parlare di Dio; direi che una delle correnti profonde dell eredità del Concilio (da Paolo VI a Michele Pellegrino a Carlo Maria Martini) è proprio la rinnovata capacità di ritrovare le parole dell uomo capaci di Dio, sino alla chiosa di Bernanos che tutto compendia rispetto alle pratiche, alle norme, ai riti: «Nessun rito dispensa dall amore» 21. 854

12 Dicembre 2016 Il ritorno alla vigna Sarebbe tuttavia riduttivo pensare a Michele Pellegrino come a un pastore che veglia sul proprio gregge solo guardando ai pascoli terreni. Nella conferenza su Cesario di Arles, egli ricorda in modo vibrante: Nel contesto del Discorso I,8, il vescovo scongiura i suoi preti a non lasciarsi prendere completamente dal lavoro manuale, neanche col pretesto di dar poi il guadagno in elemosina. Essi devono consacrarsi «alla lettura e alla preghiera assidua». «Quando sarà necessario andare ai campi, badiamo a non rimanerci troppo a lungo, ma torniamo al più presto al campo dello spirito e alla vigna celeste, cioè alla città e alla chiesa affidata da Dio alle nostre cure, da buoni e operosi agricoltori di Cristo» 22. Accanto a questa rinata attenzione all uomo, come conservus 23, è infatti la remissione fidente allo Spirito Santo, al suo tempo luminoso e ultimo, intimo e fervido di grazia e d abbandono. Nelle Lettere a suor Paola Maria, fondatrice del Carmelo di Montiglio 24, questo aprirsi all azione dello Spirito è premessa e dono essenziale: «Il suo piccolo sì consentirà allo Spirito di operare in Lei e, attraverso la comunione che lo Spirito suscita e promuove, nella Chiesa» 25. Si vede qui affiorare tutta la sintonia con l amico Oscar Cullmann, nel suo Cristo e il tempo, la coscienza che la Redenzione è in cammino verso una più aperta manifestazione irrorata dallo Spirito. Lo Spirito Santo è la traccia costante di questa direzione spirituale, e di ogni presenza divina: «Quando ciò Le costa, vuol dire che l azione purificatrice dello Spirito Santo tui amoris ignis si esercita con maggiore efficacia, per eliminare anche le ultime resistenze alla grazia» 26. Non era d altra parte, Padre Pellegrino, un pastore che pretendesse dalla Parola incarnata il senso definitivo della storia, in quella fretta di compimento che ha fiaccato e disperso tante energie nate dall entusiasmo seguito a Concilio. Era uomo che viveva nel tempo lungo della Parusia, che non esitava a scrivere: «Non c è bisogno di porsi dei problemi. L unione con Lui, la dedizione ai fratelli, l apertura semplice e spontanea l aiuteranno a dare ogni momento la risposta che Egli attende. Il segno? Forse il Signore non vuole che vediamo troppo chiaro. Vuole che viviamo di fede» 27. Di fede dunque e di Spirito: questa la Chiesa che Pellegrino deli- 855

La Rivista del Clero Italiano neava davanti a sé e nella sua azione pastorale: reagì con determinata semplicità a quella che egli stesso definì la «crisi del paternalismo», che implicava ormai un esercizio diverso della funzione sacerdotale 28. Si potrebbe osservare che di fronte a quelle meditazioni, sulla secolarizzazione, sull incertezza del credere, nulla sia mutato nei 50 anni trascorsi, e che anzi si siano aggravate le distorsioni sociali in nome delle quali Pellegrino richiamava severamente l Apostolicam Actuositatem 8: «Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» 29. Non si deve trarre da questi passi l impressione di un Pellegrino iustus iudex; al contrario egli fu persona e pastore mite, uomo del quotidiano come Charles de Foucauld, di cui ricorre ora il centenario della morte, attento ai poveri e al silenzio inerme che emana da Betlemme: «Mi pare così bello camminare nella semplicità e nel silenzio, come c insegna Gesù a Betlemme!». 30 Nient altro, ogni giorno, che «umile e serena pazienza e carità» 31. Carlo Ossola 1 Il card. Michele Pellegrino fu invitato dall allora decano della Facoltà di Teologia Protestante dell Università di Ginevra, François Bovon, a tenere un ciclo di conferenze (primo vescovo cattolico a prendere pubblicamente la parola nella riformata Ginevra dal lontano XVI secolo) sul tema, calcolato come pertinente da entrambe le parti: Le peuple de Dieu et ses pasteurs dans la patristique latine. I testi sono stati recentemente pubblicati, in italiano (M. Pellegrino, Il popolo di Dio e i suoi pastori. Cinque conferenze patristiche, a cura di C. Mazzucco, con la collaborazione di C. de Filippis, Effatà, Cantalupa 2011), e con altri documenti inediti in francese (M. Pellegrino, Le peuple de Dieu et ses pasteurs dans la patristique latine, préface de François Bovon, avec un témoignage du cardinal Georges Cottier et une note de Carlo Ossola, textes établis et annotés par Valerio Gigliotti et révisés par Nadine Le Lirzin, Olschki, Firenze 2014). 2 Di fronte a quelle rotture, suona anche più dolente il monito retrospettivo che il cardinale evoca nella conferenza ginevrina appunto su San Massimo di Torino: «Chiunque è fedele ai comandamenti di Cristo, aderisce al vescovo ; deve ritenersi separato dal vescovo chi è separato da Cristo con la sua cattiva condotta» (M. Pellegrino, San Massimo di Torino, in Id., Il popolo di Dio e i suoi pastori, p. 84). 3 3. Omelia del 22 maggio 1971, conservata nell Archivio Michele Pellegrino: Ms. «S. Rita 22/5/71» (cfr. A. Piola, Il fondo del cardinale Michele Pellegrino nella Biblioteca del Seminario di Torino, Effatà, Cantalupa 2013, p. 816; altre due omelie per la Festa di santa Rita pronunciate dal cardinale il 22 maggio 1976 e 22 maggio 1977; cfr. il citato Fondo, p. 817). L omelia da cui citiamo è pubblicata nel bollettino del santuario «Gli esempi e le grazie di santa Rita», XLVII, 7, luglio 1971. 4 La chiesa di San Gaetano è limitrofa al quartiere di immigrati di corso Taranto (periferia nord di Torino: Regio Parco Barriera di Milano), ove operavano, in un prefabbricato di legno, due giovani sacerdoti, don Fredo Olivero e don Piero Gallo, 856

12 Dicembre 2016 che saranno protagonisti, nei decenni successivi, della più attiva assistenza ai migranti nella città di Torino. 5 Lo ricorderà retrospettivamente nella ispirata conferenza ginevrina su San Gregorio Magno: «Così pure [dicasi] circa la consuetudine degli Angli di sacrificare agli idoli dei buoi. Si permetta loro, in occasione della consacrazione di una chiesa o del natale dei martiri, di immolare e mangiare dei buoi, per la gloria di Dio. Tali disposizioni vengono giustificate da una massima, molto indicativa per farci capire l atteggiamento di discretio, suggerito da Gregorio circa la religiosità popolare: Non è possibile proibire ogni cosa, tutto in una volta, a gente così rozza (Batiffol, p. 180)» (M. Pellegrino, San Gregorio Magno, console di Dio, in Id., Il popolo di Dio e i suoi pastori, p. 135. La citazione proviene da Ep. XI,76, in PL 77,1216A). 6 Cfr. M. Pellegrino, Il culto dei santi. Attualità di Santa Rita da Cascia, Elle Di Ci, Leumann (To) 1975, p. 3: «... mi venne, all improvviso, il pensiero di raccogliere le cinque omelie pronunciate, sempre in quell occasione [scil. il 22 maggio, festa di S. Rita, dopo la celebrazione della messa nel suo Santuario], dal 1971 al 1975». Si richiama qui la costituzione conciliare Lumen Gentium, per cui il culto dei santi può essere un valido alimento per la vita cristiana: «Quella religiosità popolare che ai nostri giorni si tende giustamente a rivalutare spogliandola degli elementi deteriori, e che nella devozione ad alcuni Santi trova un terreno particolarmente fecondo, può essere un mezzo per arginare il secolarismo invadente, può essere un cammino verso la comprensione e la pratica d un cristianesimo più autentico» (ibid., Perché queste pagine, p. 4). L ordine delle omelie: Chi è e che cosa ci insegna S. Rita; Attraverso i Santi avvicinarsi a Gesù Cristo; I nostri modelli; Rinnovamento e riconciliazione; La devozione ai Santi. 7 M. Pellegrino, La religiosità popolare nell esperienza di un vescovo, in Id., Le peuple de Dieu et ses pasteurs dans la patristique latine, pp. 143-163, qui pp. 152-153. 8 Ibid., p. 150; la citazione è tratta da G. Mattai, s.v. Religiosità popolare, in Nuovo Dizionario di spiritualità, a cura di S. De Fiores e T. Goffi, Edizioni Paoline, Roma 1979, pp. 1316-1331, qui pp. 1317-1318 (II.1: Caratteri della religiosità popolare). 9 Ibid., p. 151; la citazione è tratta F. Bolgiani, Il problema della religiosità popolare, n. 10, c. 21 (la conferenza di Bolgiani è conservata in forma dattiloscritta presso la Biblioteca del Seminario Arcivescovile di Torino, Archivio Michele Pellegrino, fald. 112, fasc. 1088). 10 M. Pellegrino, S. Ambrogio, in Id., Il popolo di Dio e i suoi pastori, p. 47-62, qui pp. 60-61. 11 Ibid., p. 55. 12 «Sollers e sollicitus da sall [ebraico]: exaltare, tollere, o da salahh, emittere» (L. Carfora, Sinopsi etimologica e glossogonica, ovvero Concordanza radicale di tutt i linguaggi, Cartiere del Fibreno, Napoli 1842). 13 Nel complesso rapporto che intreccia giustizia e misericordia: «misericors enim dicitur in natura, miserator in exhibitione. Deus ex quibusdam miserator ex quibusdam iustus» (S. Tommaso d Aquino, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, libro IV, dist. 43-50, ESD, Bologna 2002, vol. 10, p. 368). 14 M. Pellegrino, Dire il Concilio. Testi inediti (1966-1972), a cura di B. Gariglio e F. Traniello, Effatà, Cantalupa 2015, p. 95-113 (conferenza tenuta alla Pro Cultura Femminile, Torino, il 18 ottobre 1967). 15 Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes 21. 16 Ibid. 17 D. Buzzati, Il deserto dei tartari, 1940, cap. XXIV; cito dalle Opere scelte, Mondadori, «I Meridiani», Milano 1998, p. 184. 18 A. Achmatova, Di nuovo l autunno, in Io sono la vostra voce, a cura di E. Pascucci, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1990, p. 243. 857

La Rivista del Clero Italiano 19 Ch. Moeller, Letteratura moderna e cristianesimo, 5 voll.; vol. I: Il silenzio di Dio : Camus, Gide, Huxley, Simone Weil, Graham Greene, Julien Green, Bernanos, tr. it., Vita e Pensiero, Milano 1961. 20 J. Green, Journal, vol. V., 1946-1950, Plon, Paris 1951, nota dell aprile 1950; cito dall edizione in un sol tomo, Plon, Paris 1961, p. 819. 21 «Aucun rite ne dispense d aimer» (G. Bernanos, Jeanne, relapse et sainte, 1929, in Id., Œuvres, vol. V : Les grands cimetières sous la lune. Saint Dominique. Jeanne, relapse et sainte. Scandale de la vérité, Plon, Paris 1947, p. 275). 22 M. Pellegrino, S. Cesario di Arles: un predicatore popolare e umano, in Id., Il popolo di Dio e i suoi pastori, pp. 111-130, qui p. 119. 23 Cfr. Id., S. Agostino, in Id., Il popolo di Dio e i suoi pastori, pp. 87-109, in part. p. 96. 24 Cfr. Id., Lettere a suor Paola Maria. Il Cardinale Pellegrino e la fondazione del Carmelo di Montiglio. Corrispondenza (1959-1981), Effatà, Cantalupa 2014. 25 Ibid., p. 175 (lettera del 9 maggio 1973). 26 Ibid., p. 148 (lettera del 14 giugno 1971). 27 Ibid., (lettera del 10 novembre 1974). 28 Cfr. M. Pellegrino, Il senso di frustrazione del sacerdote di fronte al mondo odierno, in Id., Dire il Concilio, pp. 165-172. 29 Cfr. Id., Un Concilio per l uomo, in Id., Dire il Concilio, p. 110. 30 Id., Lettere a suor Paola Maria, p. 154 (lettera del 22 dicembre 1971). 31 Id., Lettere a suor Paola Maria, p. 112 (lettera del 23 settembre 1968). Carlo Ossola 858