SUI REQUISITI DI AMMISSIBILITA DEL RICORSO

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1 SUI REQUISITI DI AMMISSIBILITA DEL RICORSO EX ART. 2450, 3 COMMA, COD. CIV. PER LA NOMINA DEI LIQUIDATORI, IN CASO DI IMPOSSIBILITA DI FUNZIONAMENTO O CONTINUATA INATTIVITA DELL ASSEMBLEA. L art cod. civ., al terzo comma, dispone che Nel caso previsto dal n. 3 dell art impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell assemblea- o quando la maggioranza prescritta non è raggiunta, la nomina dei liquidatori è fatta con decreto dal presidente del tribunale su istanza dei soci, degli amministratori o dei sindaci. La norma in esame costituisce la logica soluzione al problema rappresentato dalla necessità di una manifestazione di volontà da parte della società, proprio nel momento in cui l organo sociale a ciò deputato non è in grado di raggiungere tale risultato. Essa, infatti, attribuisce al presidente del tribunale un potere surrogatorio, il quale trova la sua giustificazione nella necessità di tutelare la società dai rischi cui potrebbe andare incontro a causa della protratta inattività dell assemblea. A fronte di un interpretazione rigorosa della norma, che riconosce la possibilità dell intervento del giudice unicamente al verificarsi di una delle situazioni indicate 1, la Suprema Corte ha in seguito prospettato una lettura maggiormente estensiva dell art. 2450, terzo comma, cod. civ.. Pur richiamando tale norma soltanto il n. 3 dell art cod. civ., infatti, secondo l orientamento della Cassazione non può ritenersi che al giudice non giudicante sia preclusa la verifica de plano della sussistenza di altra causa di scioglimento della società (prevista dal n. 2 dell art cod. civ.) costituente il presupposto stesso della nomina di liquidatore richiestagli. Il collegamento tra il comma 3 dell art cod. civ. ed il n. 3 dell art cod. civ., sulla base di espresso richiamo, si spiega nel senso che l intervento surrogatorio del presidente del tribunale si giustifica in tutti i casi di inattività dell assemblea sociale, sia che si tratti di impossibilità di funzionamento, sia che si tratti di mancato funzionamento di fatto e protratto (costituenti a loro volta causa di scioglimento della società); mancato funzionamento di cui l ipotesi specifica del comma 3, seconda ipotesi dell art 2450 cod. civ., costituisce situazione particolare. Poiché, peraltro, il mancato funzionamento dell assemblea previsto dal caso specifico dell art cod. civ. con la nomina dei liquidatori, attiene a situazioni di 1

2 scioglimento della società e non solo a quelle derivanti da mancato funzionamento assembleare, purché incidenti su quel tipico difetto di funzionamento riflettentesi sulla mancata nomina dei liquidatori, ben è consentito all organo di volontaria giurisdizione di verificare la sussistenza di una causa di scioglimento della società anche diversa da quelle dell art. 2448, n. 3, cod. civ., costituente il presupposto logico della nomina dei liquidatori. 2 Il fondamento logico di questa interpretazione estensiva risiederebbe nel fatto che il comma 3 dell art cod. civ. prevede due ipotesi alternative, per una delle quali, collegata all art. 2448, n. 3, cod. civ., la causa di scioglimento, proprio perché caratterizzata dal mancato funzionamento dell assemblea, è presupposto immediato e sufficiente dell intervento surrogatorio; per l altra, la causa di scioglimento può essere di natura del tutto diversa, ed allora per l intervento surrogatorio si richiede che il mancato funzionamento si verifichi quanto meno nella fase di nomina dei liquidatori 3. La particolare natura del procedimento, che si propone con ricorso, secondo lo schema tipico della giurisdizione volontaria, ha sollevato non pochi problemi in sede di applicazione della norma citata. Infatti, il presidente del tribunale può legittimamente provvedere alla nomina dei liquidatori della società per impossibilità di funzionamento dell assemblea, a norma dell art. 2450, comma 3, cod. civ., in relazione al precedente art. 2448, n. 3, con decreto che ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione, soltanto nel caso in cui risulti non controversa la sussistenza della causa di scioglimento della società 4. Conseguentemente, il potere del giudice sembrerebbe limitato ai soli casi in cui l organo assembleare appaia stabilmente ed irreversibilmente incapace di assolvere le sue funzioni essenziali 5. Tale situazione, peraltro, deve essere pacifica; non deve, cioè, sussistere alcuna contestazione in ordine alla paralisi del procedimento volitivo che affligge la società 6, dovendo il Presidente del Tribunale limitarsi ad accertare 1 Si veda Tribunale di Roma, 28 Luglio 1988, in Società 1989, In particolare, Cass. n. 3602/1991, in Giust. civ. 1991, I, 1683, dove la causa di scioglimento era quella prevista dall art. 2448, n.2, cod. civ. (sopravvenuta impossibilità di conseguire l oggetto sociale). 3 Cass. n. 3602/1991, cit.. 4 Così Cass. n /1993, in Nuova giur. civ. comm. 1994, I, 857, con nota di LIVIA COCO. 5 Cass. n. 9267/1996, in Giust. civ. Mass. 1996, Così Cass. n. 9627/1997, in Giust. civ. 1997, I, 1353, secondo cui l emanazione del decreto da parte del presidente del tribunale presuppone che non vi sia controversia tra le parti sulla sussistenza della causa di scioglimento per impossibilità di funzionamento dell assemblea. 2

3 l impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell assemblea 7. Diversamente, infatti, il decreto del Presidente del Tribunale avrebbe carattere decisorio, assumendo la natura sostanziale di sentenza, incidendo su situazioni soggettive dei soci e divenendo, pertanto, suscettibile di ricorso per Cassazione: a norma dell art. 111 Cost. non essendo altrimenti impugnabile; ed a norma dell art. 382 c.p.c., con conseguente annullamento senza rinvio, per essere stato emesso eludendo i limiti della giurisdizione volontaria 8. L esperibilità del ricorso per Cassazione, con particolare riferimento a quello previsto dall art. 111 Cost., sarebbe in linea di principio esclusa avverso il decreto presidenziale, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione che non assume carattere decisorio 9, non rientrando, pertanto, nella previsione della citata norma costituzionale, secondo la quale tale mezzo di impugnazione può essere utilizzato contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale. Tale strada, però, è stata ritenuta percorribile tutte quelle volte in cui l atto, pur presentandosi nella veste formale del provvedimento di volontaria giurisdizione, possieda le caratteristiche sostanziali della sentenza 10. Nella materia in esame, ciò avviene quando il decreto di nomina dei liquidatori ha preliminarmente inteso dirimere il contrasto di posizioni soggettive insorto tra i soci, o tra alcuni di essi e la stessa società, in ordine all effettivo verificarsi della causa di scioglimento, dovendosi, pertanto, considerare illegittimo, ed impugnabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell art. 111 Cost.. Pertanto, in ossequio a tale consolidato orientamento giurisprudenziale, in difetto di concorde riconoscimento da parte dei soci, l avvenuto scioglimento del rapporto societario e la conseguente necessità di porre in liquidazione la società -attesa la loro natura obbiettiva- devono essere accertati in sede contenziosa, mediante l instaurazione di un giudizio di cognizione, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel quale si 7 Così come previsto anche dall art. 2449, sesto comma, cod. civ.. 8 Cass. n. 8147/1993, in Giust. civ. Mass. 1993, 1209 e Cass. n. 593/1992, in Società 1992, 778, con nota di RICCIARDELLI ed in Nuova giur. civ. comm. 1993, I, 100, con nota di COLLEONI, nonché in Giur. comm. 1993, II, 29 con nota di LAMBERTI. 9 Cass. n /1996, in Giust. civ. Mass. 1996, 1648; Cass. n. 463/1992, in Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 5 (ord). 10 Cass. n. 4137/1995, in Giust. civ. Mass. 1995, 802; Cass. n /1993, in Nuova giur. civ. comm. 1994, I, 857; Cass. n. 8147/1993, in Giust. civ. Mass. 1993, 1209; Cass. n /1992, in Mass. Foro it. 1992; Cass. n. 593/1992, cit.. 3

4 accerti, altresì, se la causa di scioglimento sia o meno rimuovibile e se sia da imputare esclusivamente ad alcuni soci 11. Tale soluzione, sicuramente aderente al dato normativo, può, invero, dar adito ad opposizioni di carattere strumentale da parte dei soci che non abbiano interesse a veder messa in liquidazione la società. Per costoro, infatti, sarà sufficiente contestare genericamente l esistenza della causa di scioglimento di cui all art. 2448, n. 3, cod. civ., affinché il presidente del tribunale -in sede di volontaria giurisdizione- sia costretto a dichiarare la propria incompetenza in favore del giudice ordinario, con l unica alternativa di vedere il proprio provvedimento oggetto di ricorso ex art. 111 Cost., e con il risultato di lasciare il socio ricorrente prigioniero del proprio investimento, all interno di una compagine sociale non più funzionante, composta di soggetti tra i quali l affectio societatis è ormai venuta meno. Il problema era stato avvertito da una non recente giurisprudenza 12, secondo la quale il decreto presidenziale di cui all art. 2450, terzo comma, cod. civ. si sarebbe potuto emettere anche in presenza di disaccordo circa l esistenza della causa di scioglimento della società, essendo sufficiente che il presidente rilevasse la situazione di impossibilità di funzionamento, o di protratta inattività, dell assemblea. Al socio dissenziente, però, sarebbe stato precluso il reclamo ex art. 739 cod. proc. civ. 13 ; ciò in quanto, come visto, il decreto emanato in tali circostanze avrebbe natura di volontaria giurisdizione soltanto formalmente, atteso il suo contenuto sostanzialmente decisorio, rimanendo come unica forma di difesa l instaurazione di un giudizio ordinario di accertamento negativo dell esistenza della causa di scioglimento. A tale proposito, deve considerarsi che la Suprema Corte ebbe modo di affermare la completa autonomia dei due procedimenti (volontaria giurisdizione e giudizio ordinario), i quali si svolgono su oggetti connessi, ma distinti, ciascuno con il mezzo tecnico per esso predisposto 14. Da ciò deriva che il giudizio di cognizione può essere incardinato anche a prescindere dalla definizione di 11 Così Corte di Appello Roma 7 Dicembre 1994, in Dir. fall. 1995, II, 267; cfr. anche Corte di Appello Roma 20 Febbraio 1989, in Riv. dir. comm. 1991, II, 175; Tribunale di Napoli 12 Gennaio 1993, in Dir. giur. 1994, 401; Tribunale di Ascoli Piceno 7 Agosto 1982, in Dir. fall. 1983, II, Cass. n. 2703/1967, in Dir. fall. 1968, II, 255; Cass. n. 3473/1958, in Riv. dir. proc. 1959, II, 622, con nota di CARNELUTTI, ed in Giur. it. 1958, I, 1, 1377; Tribunale di Milano 31 Ottobre 1991, in Società 1992, Corte di Appello di Catania 28 Novembre 1988, in Dir. fall. 1989, II, 617 ed in Società 1989, 292, nonché in Foro it. 1990, I,

5 quello di volontaria giurisdizione, non esistendo alcun carattere di pregiudizialità dell uno nei confronti dell altro. E per il caso in cui -come avviene di frequente- i tempi del giudizio di merito si protraggano rispetto a quelli del procedimento speciale, non sono mancate pronunce di merito che hanno ammesso il ricorso al provvedimento cautelare di cui all art. 700 cod. proc. civ. 15, al fine di ottenere la sospensione del decreto di nomina del liquidatore giudiziale. Della materia si è occupata anche la Corte Costituzionale 16, la quale, chiamata a giudicare se l azione combinata della tesi formatasi circa la non reclamabilità del decreto, da un lato, e dell art cod. civ., dall altro, si ponesse in contrasto con l art. 24 Cost., che tutela il diritto alla difesa, ha confermato l indicato orientamento giurisprudenziale. Nonostante ciò, la giurisprudenza ha successivamente modificato il proprio orientamento 17, stabilendo che il decreto di nomina dei liquidatori possa essere emesso soltanto nel caso in cui risulti non controversa la sussistenza della causa di scioglimento della società 18. E stato, altresì, precisato in quali casi possa parlarsi di impossibilità di funzionamento dell assemblea; in particolare, non deve considerarsi tale la mancata nomina di un nuovo amministratore da parte della stessa assemblea che ha revocato quello in carica 19, né il mancato raggiungimento del quorum deliberativo necessario al fine di porre volontariamente la società in liquidazione 20. L organo assembleare si considera, invece, non funzionante quando non sia stato in grado di provvedere alla sostituzione degli amministratori dimessi da oltre un anno 21, ovvero nel caso in cui sia definitivamente 14 Cass. n. 2703/1967, cit.. 15 Tribunale di Bologna 16 Luglio 1991 (ordinanza), in Società 1991, 1706, con nota di SALAFIA. 16 Corte cost. n. 77/1968, in Foro it. 1968, I, 2051 ed in Giur. cost. 1968, 1116, con nota di ANDRIOLI, con la quale la Corte ha ritenuto che la possibilità di instaurare un giudizio di cognizione, relativamente a quanto deciso con il decreto in sede di volontaria giurisdizione, avrebbe garantito al socio dissenziente una maggiore tutela sotto il profilo del diritto alla difesa: in tal modo, infatti, non si sarebbero dovuti osservare i brevissimi termini (dieci giorni) previsti per la presentazione del reclamo, potendosi proporre la domanda in sede ordinaria senza limiti di tempo, con il miglior risultato di avere la possibilità di ottenere una decisione presa in osservanza delle regole -e con le garanzie- del contraddittorio. 17 Cass. n. 403/1987, in Società 1987, 369, con nota di CARBONE, e in Foro it. 1988, I, Cass. n /1993, cit.. 19 Tribunale di Milano 18 Luglio 1991, in Giur. comm. 1992, II, Cass. n. 9267/1996, cit., secondo la quale ciò implicherebbe soltanto la mancata adesione dell assemblea alla proposta di scioglimento dell impresa. 21 Trib. Roma 11 Luglio 1984, in Foro it. 1985, I, 870, dove tale causa di scioglimento viene data per avvenuta, nonostante l assemblea sia stata in grado di deliberare su altri argomenti. 5

6 impossibile il raggiungimento della maggioranza richiesta dallo statuto per la nomina dell amministratore 22. Si ritiene che tali situazioni determinino lo scioglimento della società di capitali soltanto se permanenti, e se costituiscono il risultato di contrasti tra i soci, di disordine e di rilassatezza 23. Come detto in precedenza, l impostazione -attualmente predominante- secondo cui il presidente del tribunale, al primo accenno di contestazione, non possa validamente pronunciarsi, dovendo dichiararsi incompetente in favore del giudice ordinario, suscita non poche perplessità. In primo luogo, per l accennata strumentalizzazione di cui la norma in esame rischierebbe di divenire oggetto. Basti pensare all ipotesi di una compagine sociale la cui assemblea sia non funzionante, dove uno soltanto dei soci sia interessato alla liquidazione della società; gli altri soci potrebbero agevolmente rendere vano il tentativo esperito ai sensi dell art cod. civ., opponendosi all esistenza della causa di scioglimento, allo scopo di piegare ai propri interessi la volontà del ricorrente (ad esempio, per farsi cedere le quote ad un prezzo inferiore al loro reale valore); a quest ultimo rimarrebbero sicuramente ulteriori rimedi (ad es. ex art cod. civ.) per tutelare le proprie ragioni, ma proprio il fatto che si debba far ricorso ad altri strumenti normativi conferma l inadeguatezza di un interpretazione così restrittiva della norma in esame. In secondo luogo, il potere surrogatorio del presidente può considerarsi tale soltanto quando all interno della società esista un organo istituzionalmente deputato allo svolgimento di un attività che, nel momento patologico, debba essere demandata al giudice. In altri termini, si esercita un potere surrogatorio quando sia previsto qualcuno che abbia il compito di operare nel regime ordinario, la cui inerzia rischia di pregiudicare gli interessi della società e dei soci, rendendo necessaria la sostituzione con qualcun altro. Orbene, mentre nelle ipotesi indicate ai nn. 1), 2), 4) e 6) dell art cod. civ. è stabilito 24 che siano gli amministratori ad accertare il verificarsi della causa di scioglimento -e, pertanto, in tali casi, può giustamente parlarsi di potere surrogatorio del giudice, il quale si sostituisce a loro, accertando la causa di scioglimento e nominando i liquidatori-, lo stesso non avviente con riferimento alla fattispecie di cui al n. 3) della medesima 22 Tribunale di Napoli 12 Gennaio 1993, cit.. 23 Trib. Roma 11 Luglio 1984, cit.. 24 Art. 2449, quinto comma, cod. civ.. 6

7 norma. Poiché, infatti, non esiste alcun organo societario incaricato di accertare l impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell assemblea, il potere che esercita il presidente in tale sede non può definirsi surrogatorio, essendo questi l unico legittimato a svolgere tale accertamento. Né appare opportuno parlare di giudice non giudicante 25 ; questi, infatti, come visto, ha il compito di accertare l esistenza della causa di scioglimento. Ciò sta a significare che, quantomeno nell ipotesi prevista al n. 3) dell art cod. civ., egli ha non soltanto il potere, ma anche il dovere di procedere a tale accertamento, esaminando nel merito la situazione. Pertanto, quand anche vi fosse il consenso di tutti i soci a chiedere che venga dichiarato lo scioglimento della società per impossibilità di funzionamento dell assemblea, il presidente non potrebbe limitarsi a prendere atto di tale assenso, dovendo valutare la sussistenza dell obbiettiva impossibilità di funzionamento dell organo assembleare; conseguentemente, sotto tale aspetto, il presidente è giudice giudicante, in quanto - ancorché non in sede contenziosa- esprime un giudizio sulla efficienza o meno del procedimento di formazione della volontà sociale. Ragionare diversamente significherebbe ridurre l intervento del presidente a quello di un mero verbalizzante, negando il ruolo di garante del corretto svolgimento del procedimento di liquidazione che l ordinamento intende attribuirgli. 25 Cass. n. 593/1992, cit.. 7

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