Il controllo giudiziale e la certificazione

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1 Il controllo giudiziale e la certificazione renzo la costa L art. 32 del collegato lavoro che ci si appresta a trattare, esordisce con i primi quattro commi complessivamente mirati alla delimitazione dei poteri dell organo giudicante nelle controversie di lavoro, per poi adottare due ulteriori commi riferiti alla certificazione dei rapporti di lavoro. Per tali distinte materie, non si osserva preliminarmente il nesso logico che ha portato il legislatore ad accomunarle in un unico articolato, posto che altre parti del provvedimento trattano ulteriormente la certificazione. DDL 1167.B Art. 32. (Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro) 1. In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all articolo 409 del codice di procedura civile e all articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princıpi generali dell ordinamento, all accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente. 2. Nella qualificazione del contratto di lavoro e nell interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. 3. Nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto, oltre che delle fondamentali regole del vivere civile e dell oggettivo interesse dell organizzazione, delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento ai sensi dell articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, il giudice tiene egualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l anzianità e le condizioni del lavoratore, nonchè il comportamento delle parti anche prima del licenziamento. 4. L articolo 75 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, e` sostituito dal seguente: «Art. 75. (Finalità). 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo» 5. All articolo 76, comma 1, lettera c-ter), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e comunque unicamente nell ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l attribuzione a quest ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi». 6. Dall attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. 54 numero marzo 2010

2 Il controllo giudiziale La delimitazione dei poteri del giudice operata dai primi quattro commi, va letta dapprima complessivamente. L obiettivo legislativo non è certo volto alla definizione delle competenze del giudicante, ma alla limitazione delle stesse, intesa quale riduzione. Innanzitutto, viene definita la sfera di applicazione cui è rivolta la norma, espressamente individuata nei rapporti indicati nell art. 409 del c.p.c. e nella devoluzione al giudice del lavoro di controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, operata dall art. 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n I rapporti individuati dall art. 409 c.p.c. sono: 1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all esercizio di una impresa; 2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie; 3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato; 4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica; 5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice. Le clausole generali cui fa riferimento il comma 1, sono ormai una tecnica acquisita del nostro ordinamento giuridico. Nella relazione introduttiva dell A.C. n. 1441, venivano definite le clausole generali come disposizioni legislative che, al fine di definire l ambito di legittimità del ricorso a particolari tipologie di lavoro o a decisioni delle parti, non fanno riferimento a specifiche causali tipizzate, bensì stabiliscono requisiti di carattere generale e quindi flessibili, seppur effettivi e verificabili. Esse possono essere individuate - nella materia del lavoro - ad es. nella disciplina della giusta causa o giustificato motivo in tema di licenziamenti, nella rilevanza dell inadempimento, nei principi di buona fede e correttezza. Trattandosi quindi le clausole generali di norme elastiche, e ricomprendendo tra queste anche le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, la limitazione del controllo giudiziale disposta dal comma 1 all esclusivo accertamento del presupposto di legittimità senza che il medesimo accertamento possa essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente, apparirebbe mirata alla maggiore uniformità dei giudicati, proprio perché viene esclusa la valutazione di merito. Ma, questa prima, appare una lettura ben riduttiva delle complicazioni che invece aspettano i giudici in applicazione a tale nuovo percorso decisionale. Le medesime preoccupazioni avevano formato anche oggetto di dibattito all interno del Comitato legislativo della Camera, nel corso di formazione del provvedimento. Non va infatti tralasciato che nell ambito del proprio sindacato di legittimità, il Giudice ha spesso la necessità di svolgere accertamenti sulle valutazioni tecniche poste alla base dei provvedimenti adottati dal datore o committente, anche, ad esempio, al fine di individuare quelle valutazioni viziate da inattendibilità o irragionevolezza che minano la fondatezza o la sostenibilità del provvedimento. Accertamenti, questi, che non nascono quindi per ragioni opinabili, ma che divengono prodromiche all accertamento scientifico dell attendibilità. Si lascia ai lettori, pensare alla formazione di una decisione giudiziale in materia di licenziamento (ad esempio per riduzione di personale) assunta attraverso la sola valutazione di legittimità del provvedimento, disgiuntamente dalle valutazioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo. Se questa è una norma che vuole soddisfare le pressanti richieste del mondo datoriale mirate ad ottenere sempre maggiore flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro, si ritiene che resteranno presto delusi i sostenitori di tale disposizione, che a parere di chi scrive ha solo un modesto impatto psicologico sull organo giudicante, ma non certo sostanziale. Non mancheranno gli amplificatori mediatici a vanto della disposizione in commento, ma gli operatori del diritto, i professionisti della amministrazione del personale e della consulenza del lavoro (compreso chi scrive) avvertono già sapori di anticostituzionalità. numero marzo

3 Il comma 2 susseguente della norma in commento, reca disposizioni volte a rafforzare il valore vincolante (nei confronti del giudice) dell accertamento effettuato in sede di certificazione dei contratti di lavoro. Con tale disposizione, si prevede che il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell interpretazione delle clausole in esso contenute, non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse nell ambito della certificazione dei contratti di lavoro, salvo nei casi di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra la previsione negoziale certificata e la sua attuazione. Anche tale norma, si ritiene, sia stata adottata più per un valore psicologico nei confronti dell organo giudicante, che per un valore sostanziale. Si chiede al giudice, sostanzialmente, di non discostarsi nella qualificazione del rapporto di lavoro individuato in sede di instaurazione, se il rapporto di lavoro è certificato. Il rafforzamento del valore della certificazione dei rapporti di lavoro dettata dalla recente direttiva Sacconi (che, tra l altro particolare di non poco conto escludeva ulteriori accertamenti in sede di ispezione ove vi si trovasse dinanzi a rapporti certificati) sembra tuttavia deprimere le competenze del giudice. Cioè un giudice non ha libertà (ed il termine ha il suo peso) nel suo esercizio di accertamento della natura del rapporto di lavoro, di ritenere che quel rapporto sia diversamente qualificabile (ad es. da parasubordinato a subordinato) in quanto deve attenersi alla volontà espressa dalle parti in sede di certificazione. Ovvero se in sede di certificazione, le parti adottano un modello contrattuale di co.co.pro, ed il rapporto di lavoro si svolge nel concreto diversamente, ovvero con le caratteristiche della subordinazione, il giudice non può discostarsi. La domanda nasce spontanea: ma che giudice sarebbe? Annullato. Nel merito, nelle competenze, nel diritto. Si pretende, con un semplice comma, di annullare un patrimonio di giurisprudenza equo ed imparziale, neanche sospetto perché ispirato alla tutela del soggetto debole del rapporto di lavoro, ma posto a fondamento del generale diritto del lavoro: il principio consolidato ed ineccepibile per il quale l esatta qualificazione del rapporto è data dalle modalità di concreto svolgimento dello stesso, senza commi che tengano. Cassazione n del 18 aprile 2007 Allorquando le parti che, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, abbiano simulatamente dichiarato di volere un diverso rapporto lavorativo al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia, sia nel caso in cui l espressione verbale abbia tradito la vera intenzione delle parti, sia nell ipotesi in cui, dopo avere voluto realmente il contratto di lavoro autonomo, durante lo svolgimento del rapporto le parti stesse, attraverso fatti concludenti, mostrino di aver mutato intenzione e di essere passate ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione, il giudice di merito, cui compete di dare l esatta qualificazione giuridica del rapporto, deve a tal fine attribuire valore prevalente rispetto al nomen iuris adoperato in sede di conclusione del contratto al comportamento tenuto dalle parti nell attuazione del rapporto stesso. Il nomen iuris, nei limiti sopra specificati, risulta quindi soltanto uno degli elementi da valutare dal giudice di merito al fine di individuare l esatta volontà delle parti e con essa il vero rapporto che con esso hanno voluto instaurare gli autori negoziali. Cassazione n del 20 giugno 2003 L indagine centrale ai fini della qualificazione del rapporto è quella diretta ad accertare l assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con la conseguente limitazione della sua autonomia ed il suo inserimento nell organizzazione aziendale. Ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il c.d. nomen iuris attribuito alle parti allo stesso, assume un ruolo nei casi, peraltro marginali, in cui ogni altra circostanza complessivamente valutata non offra elementi decisivi in un senso o nell altro. E ancora tra le molteplici pronunce: le Sezioni Unite nella sentenza n. 61 del 1999 hanno preso decisamente posizione a favore dell orientamento che nega la preminenza della volontà dichiarata rispetto alle concrete vicende del rapporto di lavoro. La Corte ha rilevato che la divergenza tra il nomen juris e l effettivo contenuto del rapporto può verificarsi in tre casi: a) quando le parti, nel contratto, facciano formale riferimento a un rapporto di collaborazione autonoma per evitare i maggiori costi derivanti dal regime della subordinazione; b) quando l espressione letterale 56 numero marzo 2010

4 abbia tradito la vera intenzione della parti; c) quando le parti pur avendo voluto, al momento della conclusione del contratto, costituire un rapporto di lavoro autonomo, nella fase esecutiva, attraverso fatti concludenti mostrino di avere mutato intenzione e di essere passate ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione. Nel primo caso ha affermato la Corte deve applicarsi l art primo comma c.c. secondo cui il contratto simulato non produce effetto tra le parti; negli altri due casi deve applicarsi l art c.c. secondo cui deve farsi riferimento all effettiva volontà delle parti e al comportamento da loro tenuto anche dopo la conclusione del contratto. Queste norme - ha osservato la Corte - impongono di qualificare il rapporto in base al contenuto effettivo delle prestazioni rese ed al concreto atteggiamento delle parti: plus valet quod agitur quam quod concipitur (Vale di più ciò che si compie, che ciò soltanto fittiziamente voluto). Cassazione n del 12 maggio 2008 Ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo non si può comunque prescindere dalla volontà delle parti contraenti e sotto questo profilo va tenuto presente il nomen iuris utilizzato, il quale, però, non ha mai un rilievo assorbente, poiché deve tenersi conto, sul piano della interpretazione della volontà delle parti, del comportamento complessivo delle stesse, anche posteriore alla conclusione del contratto, con la conseguenza che in caso di contrasto tra dati formali e dati fattuali relativi alle modalità della prestazione occorre dare prevalenza ai secondi. Cassazione n del 16 giugno 2003 Ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, qualunque sia il tenore delle pattuizioni intervenute tra le parti, assume rilevanza primaria il concreto atteggiarsi del rapporto stesso, il che impone la necessità di verificare, alla stregua delle effettive modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, l esattezza della qualificazione effettuata dalle parti. Infine: è dato discostarsi dalla qualificazione del rapporto di lavoro delle parti in sede di certificazione dice la norma salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Quindi il giudice può discostarsi solo nei casi di erronea qualificazione o, da erronea rappresentazione del rapporto in sede di certificazione, oppure nei casi di vizi del consenso (una delle parti attive della certificazione è oggetto di pressioni e/o condizionamenti o non ha compreso o frainteso l esatto contenuto dei caratteri del rapporto di lavoro) o dulcis in fundo nei casi di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Ma, in tutta onestà: dov è la novità? D.Lgs. n. 276/ Art. 80 (Rimedi esperibili nei confronti della certificazione) 1. Nei confronti dell atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l autorità giudiziaria di cui all articolo 413 del c.p.c., per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso la medesima autorità giudiziaria, le parti del contratto certificato potranno impugnare l atto di certificazione anche per vizi del consenso. 2. L accertamento giurisdizionale dell erroneità della qualificazione ha effetto fin dal momento della conclusione dell accordo contrattuale. L accertamento giurisdizionale della difformità tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato ha effetto a partire dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità stessa. (...) Il comma 3 in commento, introduce ulteriori limitazioni. Nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto, oltre che delle fondamentali regole del vivere civile e dell oggettivo interesse dell organizzazione, delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento ai sensi dell arti- numero marzo

5 colo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, il giudice tiene egualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l anzianità e le condizioni del lavoratore, nonchè il comportamento delle parti anche prima del licenziamento. Anche qui la costruzione letterale della disposizione si presta a più d una interpretazione, specie con riguardo ai principi generali del vivere civile e dell oggettivo interesse dell organizzazione. Tralasciamo il richiamo al primo, che appare lapalissiano se rivolto proprio ad un giudice che è l organo deputato a far rispettare le predette regole. Appare invece ben più concreta la portata del secondo. Dalla prima lettura, sembra emergere una nuova condizione posta a legittimazione del licenziamento, ovvero quando sussista l interesse dell organizzazione al licenziamento. Se per organizzazione va intesa l impresa e quindi il datore, l interpretazione sopra data è compiutamente formata. Si assisterebbe quindi alla legittimità del licenziamento nelle ipotesi di giusta causa, o giustificato motivo o interesse dell organizzazione. La tipizzazione - e quindi la caratterizzazione - di tali cause così come previste nel CCNL o nei contratti di lavoro stipulati con la consulenza delle Commissioni di Certificazione, assumono valore vincolante per il giudice il quale, ancora, non può discostarsene. In merito va osservato che la Corte di Cassazione in numerose e concordi pronunzie, ha ribadito che la nozione di giusta causa è nozione legale e conseguentemente il giudice non è invece vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi. La stessa Corte di Cassazione ha anche precisato più volte che ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità. Appare evidente che la facoltà del giudice di prendere a riferimento le previsioni contrattuali o di pervenire a decisione senza tenerne conto, è cosa ben diversa dal doverne tenere egualmente conto. Ulteriori condizionamenti nella decisione giudiziale dovrebbero essere connessi alla valutazione di elementi aggiuntivi. Mancando nella disposizione l espresso obiettivo cui si intende pervenire, l interpretazione appare ulteriormente ardua. Nel definire quindi le conseguenze da riconnettere al licenziamento - cita la norma - il giudice tiene egualmente conto anche dei seguenti elementi: le dimensioni e le condizioni dell attività esercitata dal datore di lavoro. Quanto al parametro dimensionale, ci sono dubbi circa il rinvio alle diverse ipotesi di rimedi al licenziamento illegittimo di cui all art. 18 St.Lav. Diviene difficile assumere a parametro le condizioni dell attività esercitata, non comprendendosi obiettivamente a quali condizioni ci si riferisce. Potrà trattarsi di condizioni economiche/finanziarie dell impresa che, ove provate, attenuerebbero le suddette conseguenze? Condizioni soggettive dell impresa in difficoltà produttiva? Condizioni generali di incertezza economica? Condizioni di sopravvenuto esubero di personale? Allo stato, come si comprenderà, non vi può essere colta l esatta valenza di tale parametro. la situazione del mercato del lavoro locale, l anzianità e le condizioni del lavoratore, nonchè il comportamento delle parti anche prima del licenziamento. Quale incidenza - secondo il legislatore - deve avere la situazione del mercato del lavoro sulle conseguenze del licenziamento individuale: di natura positiva o negativa? Se cioè il licenziamento è avvenuto in un territorio ad alto tasso di disoccupazione, ciò dovrà comportare una maggiore propensione per il reintegro o un maggior indennizzo al lavoratore? E nell ipotesi inversa, ove cioè il licenziamento sia avvenuto in un territorio a più alta occupazione, ciò dovrebbe comportare una diversa valutazione del giudice in ordine alle conseguenze in senso della attenuazione della sanzione, poste le migliori opportunità occupazionali della zona? Ed ancora: in che senso deve incidere l anzianità e le condizioni del lavoratore? Nel senso che per un lavoratore tanto è più anziano quanto debba essere più o meno tutelabile? Né si comprende quale possa essere l incidenza del comportamento delle parti anche prima del licenziamento. Il giudice dovrebbe valutare una sorta di pagella del lavoratore e della sua esperienza lavorativa in azienda, ed anche valutare il complessivo comportamento del datore di lavoro rispetto alle norme legali e contrattuali che disciplinano il rapporto di lavoro per - evidentemente - graduare le conseguenze da illegittimo licenziamento. 58 numero marzo 2010

6 È appena il caso di ricordare che - proprio di recente - la Corte Costituzionale ha abrogato l art. 4 bis del D. Lgs. n. 368/01 introdotto dalla legge n. 133/08 (Disposizione transitoria concernente l indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine) che introduceva nei soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della disposizione, l indennizzo del lavoratore in luogo del diritto a vedersi riconoscere a tempo indeterminato il rapporto. Tra le altre motivazioni adottate dai Giudici delle Leggi, vi è, su tutte, la violazione del parametro costituzionale della parità di trattamento. Si assumeva cioè che lavoratori a parità di condizioni, non potevano essere destinatari di un trattamento differente. Si ritiene, quindi, che perlomeno il medesimo criterio costituzionale sia nuovamente violato dalla norma in commento; e che - a ben vedere - a parità di condizioni (illegittimo licenziamento) pone ora non solo uno, ma ben più elementi discriminanti. La certificazione Il comma 4 provvede a riscrivere l articolo 75 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni: Nuovo) Art. 75 D. Lgs. n. 276/ (Finalità) 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo. (Previgente) Art. 75 D. Lgs. n. 276/ (Finalità) 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro le parti possono ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo. A parte differenze di carattere prettamente formale, la novella sembrerebbe voler ampliare, anche sul piano definitorio, l ambito di intervento della certificazione, dal momento che, mentre il testo previgente fa riferimento al contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, la disposizione in esame, in maniera più generale, si riferisce al contenzioso in materia di lavoro. Il comma 5, infine, inserito dalla Camera, novella la lett. c-ter) dell art. 76, comma 1, del citato D. Lgs. n. 276/2003, lettera concernente la costituzione di commissioni di certificazione presso i consigli provinciali dei consulenti del lavoro. La norma previgente consentiva che le commissioni fossero costituite presso tali consigli esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell ambito territoriale di riferimento. La nuova disposizione aggiunge che tali costituzioni potranno ora avvenire unicamente nell ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l attribuzione a quest ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi. numero marzo

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