LA LEGGE ED IL CONTRATTO COLLETTIVO

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1 LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO PROF. FRANCESCO MANICA

2 Indice PREMESSA LA GIURISPRUDENZA LA LEGGE ED IL CONTRATTO COLLETTIVO GLI USI GLI USI AZIENDALI LE FONTI INTERNAZIONALI LE CONVENZIONI O.I.L GLI STRUMENTI GIURIDICI COMUNITARI I PRINCIPI DI SUSSIDIARIETÀ E DI MUTUO SOCCORSO LA RICOSTRUZIONE DELL ORDINE DELLE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO IL PRINCIPIO DI FAVORE VERSO IL LAVORATORE L IDENTIFICAZIONE DELLA FONTE PIÙ FAVOREVOLE di 18

3 Premessa Affrontare la questione relativa alle fonti del diritto del lavoro è problematica di assoluto rilievo, sia in relazione alla sua importanza (tipica dello studio di qualsiasi diritto) e sia per quanto concerne l oggettiva difficoltà di ricostruire il sistema delle fonti giuslavoristiche. In particolare deve rilevarsi che l assenza di un codice del lavoro, vale a dire la mancanza di un testo che in modo sistematico disciplini gli aspetti fondamentali e quelli particolari della materia, rende complessa la soluzione di una qualsiasi questione giuridica afferente al diritto del lavoro, imponendo, pertanto, di fare chiarezza in ordine al c.d. sistema delle fonti. sono le stesse del diritto in generale previste dall art. 1 delle disposizione preliminari al codice civile : leggi, regolamenti, contratti collettivi, usi. La predetta elencazione non è, certamente, esaustiva. Ciò appariva evidente già prima dell entrata in vigore della Costituzione, con la conseguenza che nel periodo successivo il fenomeno si è ulteriormente rafforzato. La promulgazione della Carta Fondamentale ha introdotto una varietà di situazioni normative assolutamente ignota ai formulatori della prima norma delle disposizioni sulla legge in generale. Ad oggi, quindi, vi è una gerarchia di fonti che comprende: norme internazionali, la Costituzione, le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali, le leggi regionali, i regolamenti, i contratti corporativi rimasti in vigore per virtù dell art. 43 del d.lgs 23 novembre 1944 n. 369, i contratti collettivi la cui efficacia è stata estesa dalla legge 741 del 1959, i contratti collettivi stipulati dalle rappresentanze unitarie dei sindacati nell eventuale ipotesi di attuazione dell art. 39 Cost. Assistiamo, pertanto, ad un accentuazione di prospettive in senso pluralistico che ha determinato un arricchimento delle fonti con l inserzione, nel loro ordine, di quelle extratestuali o di quelle provenienti da nuovi centri di produzione legislativa (regioni, referendum popolare abrogativo). Esplicitata questa premessa teorica, passiamo ad analizzare le singole fonti del diritto del lavoro, il tutto tenendo conto che il diritto non proviene solo da fonti formali ma che può trovare da sé ed in sé le vie di manifestazione esteriore. 3 di 18

4 1 La giurisprudenza. La giurisprudenza occupa un posto specifico nell ambito delle fonti, svolgendo una funzione creativa di diritto. Il compito dell attività giurisprudenziale è quello di interpretare la legge per raggiungere un duplice scopo: quello teorico di accertamento del contenuto legislativo e quello pratico normativo di adattare la fattispecie astratta prevista dalla norma legale al sempre sfuggente e mutevole caso concreto. L ordinamento legale, inoltre, è immesso nella dimensione del divenire, ragion per cui spetta all interprete portare avanti il processo di adeguamento storico dell ordine legale alla mutata realtà sociale. 4 di 18

5 2 La legge ed il contratto collettivo Una delle prerogative tipiche del diritto del lavoro è quella di garantire al lavoratore, quale parte debole del rapporto contrattuale, condizioni minime inderogabili. Si tratta, quindi, di un atteggiamento di garanzia che trova la sua giustificazione nell art c.c., norma secondo cui debbono intendersi inserite nel contratto clausole previste dalla legge. Il senso di questa norma si coglie nella sua pienezza collegandolo con la disposizione contenuta nell art comma c.c., secondo cui la nullità delle singole clausole non comporta la nullità delle residue clausole del contratto, allorché le clausole nulle siano sostituite per imperio di legge. La lettura combinata delle due norme citate sancisce il principio della conservazione del contratto, indipendente da una indagine diretta ad accertare l essenzialità delle clausole sostituite rispetto agli interessi perseguiti dal regolamento negoziale nella sua formulazione originaria. Il mantenimento coattivo del contratto non può spiegarsi se non in ragione della tutela di esigenze diverse da quelle dell interesse comune dei contraenti. In particolare, risulta chiaro l intento di protezione di un soggetto (il lavoratore quale contraente debole) dal rischio che l altro possa invocare la nullità dell intero contratto e quindi la mancata costituzione del rapporto. Ciò presuppone che in contraenti non vengano considerati in posizione di parità sostanziale. Infatti, l invalidità dell accordo posto in essere si risolverebbe in uno svantaggio per il contraente debole, non consentendogli di conseguire altrimenti il risultato al quale egli tende per il tramite della stipulazione del contratto. La funzione esplicata dal diritto del lavoro di assicurare al lavoratore condizioni minime inderogabili non investe solo gli aspetti economici del rapporto, ma riguarda anche il profilo della garanzia della libertà e dignità del lavoratore. Anzi è soprattutto in quest ultimo senso che si è mosso il legislatore più recente, nell ambito della direttiva costituzionale, che impone la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l effettiva partecipazione dei lavoratori all organizzazione politica, economica e sociale del paese (art. 3 comma 2 della Costituzione). Fra gli episodi salienti di quest ultima linea di tendenza va menzionato lo Statuto dei lavoratori legge 20 maggio 1970 n Occorre, infine, rilevare che la tutela delle condizioni di lavoro è affidata anche alla contrattazione collettiva, la quale può considerarsi espressione del principio di libertà sindacale ex art. 39 Cost. 5 di 18

6 La funzione del contratto collettivo è proprio quella di stabilire minimi di trattamento economico e normativo migliorativi rispetto a quelli fissati dalla legge e non derogabili da parte del contratto individuale di lavoro. Infatti, le clausole del contratto collettivo si sostituiscono automaticamente a quelle del contratto individuale di lavoro, a meno che queste ultime non contengano condizioni più favorevoli, come espressamente prevede l art c.c., considerato applicabile dalla concorde giurisprudenza non solo al contratto collettivo corporativo, ma anche al contratto collettivo attuale cosiddetto di diritto comune. 6 di 18

7 3 Gli usi. Gli usi richiamati dall art. 1 disp. prel. c.c. sono gli usi normativi, che secondo l opinione prevalente della dottrina e della giurisprudenza, sono caratterizzati dalla reiterazione costante ed uniforme di un comportamento da parte di una generalità di soggetti, accompagnata dal convincimento dell obbligatorietà della condotta stessa. Oltre a quelli normativi, esiste una ulteriore categoria di usi: i cosiddetti usi negoziali. Sia la giurisprudenza che la dottrina propendono per una netta differenziazione tra le due tipologie di usi. Al contrario, un vivace contrasto sussiste in ordine alla elaborazione dei criteri distintivi. Per quanto riguarda i criteri strutturali, si afferma che gli usi negoziali sarebbero privi del carattere della generalità, per il fatto di essere limitati ad alcune categorie di persone. Secondo altri, essi sarebbero dettati da ragioni di opportunità e convenienza, invece che dalla convenzione di osservare un precetto giuridico. C è invece chi afferma che l uso normativo deriva la sua autorità ed efficacia direttamente dalla legge, mentre l uso negoziale disciplina il contratto solo se esplicitamente o implicitamente richiamato dai contratti e quindi opera in base alla presunta volontà di questi ultimi. La maggio parte della dottrina nega invece la possibilità di una differenza di tipo strutturale fra usi negoziali ed usi normativi e afferma che la distinzione fra le due fattispecie risiede unicamente nella diversità della funzione svolta dall uno e dall altro tipo di usi. L uso normativo agisce sul piano delle fonti dell ordinamento giuridico, l uso negoziale sul contenuto del contratto. Passando all analisi di alcuni esempi concreti, è opportuno prendere in esame gli usi cui agli artt. 1340, 1368 e 1374 c.c. Si tratta, senza ombra di dubbio, di fattispecie ascrivibili alla categoria degli usi. L aspetto problematico è quello della loro classificazione tra i normativi ed i negoziali. Le clausole d uso ex art c.c. hanno effetto nel contratto a condizione che le parti non abbiano manifestato la volontà di escluderne l applicazione. Svolgono, pertanto, una funzione integrativa della volontà contrattuale, operano sul piano della formazione della fattispecie negoziale e sono, pertanto, annoverabili tra gli usi contrattuali. Nell art c.c. (integrazione del contratto) gli usi sono richiamati in funzione integratrice degli effetti del contratto, nel presupposto della mancanza di disposizioni 7 di 18

8 legislative al riguardo; è chiaro, quindi, che essi assumono valore normativo, cioè di fonti suppletive di leggi. La loro operatività si manifesta sul piano dell esecuzione del contratto già formato, dettandone la disciplina per il caso che la legge non disponga. Si tratta, quindi, di usi normativi. Le pratiche generali indicate nell art c.c. acquistano rilievo in funzione interpretativa, al fine di attribuire un significato alle clausole contrattuali rimaste ambigue pur dopo l applicazione delle norme tendenti a ricostruire la volontà storica delle parti (artt c.c.). presuppongono, cioè, non la mancanza, come nei casi precedenti, di una dichiarazione contrattuale, ma l esistenza di una dichiarazione di volontà espressa in maniera non adeguata rispetto all intento perseguito. Di conseguenza, lungi dallo svolgere una funzione normativa, gli usi interpretativi operano come indizio, come elemento di valutazione. Si tratta di modi di vedere e di esprimersi propri di singoli ambienti dai quali viene tratta non una regola di condotta, ma un criterio per attribuire il significato più corretto ed adeguato ad un atto negoziale. Conclusa l analisi degli aspetti teorici degli usi, passiamo allo studio delle modalità di applicazione degli stessi. A tal fine è opportuno partire dall art. 8 delle disp. prel. c.c. il quale così recita nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia in quanto sono da essi richiamati. Le norme corporative prevalgono sugli usi. A sua volta l art c.c. prevede poi che in mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo prevalgono gli usi. Tuttavia gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge. Gli usi non prevalgono sul contratto individuale di lavoro. Sulla scorta delle richiamate disposizioni di legge, il conflitto ta gli usi e le altre fonti di legge è così regolamentato: Usi e Leggi: la legge imperativa prevale sugli usi anche se più favorevoli al prestatore di lavoro. Questi ultimi prevalgono, invece, sulle norme dispositive di legge (art comma c.c.). in mancanza di disciplina legislativa, gli usi spiegano la loro piena efficacia, cìoè sono fonte autonoma di diritto; Usi e Contratto Collettivo: gli usi si applicano in mancanza di contratto collettivo e cedono di fronte a quest ultimo, anche se sono più favorevoli; 8 di 18

9 Usi e Contratto Individuale: gli usi non prevalgono sui contratti individuali di lavoro anche se sono più favorevoli. Tale regolamentazione riguarda gli usi normativi. Le clausole d uso previste dall art c.c. in quanto inserite a tutti gli effetti nel contratto individuale di lavoro possono sempre derogare in senso più favorevole sia alla legge unilateralmente inderogabile, sia la contratto collettivo. Esse non possono, invece, modificare in contratto individuale, quando risulta che non siano state volute dalle parti implicitamente od esplicitamente. 9 di 18

10 4 Gli usi aziendali Con il termini uso, consuetudine, pratica o prassi aziendale, dottrina e giurisprudenza indicano un comportamento più volte attuato dal datore di lavoro nei confronti di tutti i lavoratori o di una sola parte di essi, che egli prescelga in base a criteri liberamente determinati. Per lo più tale comportamento si concreta nella concessione di gratifiche, di premi, di indennità o di attribuzioni a carattere previdenziale non obbligatorio (2123 c.c.). tuttavia, la prassi aziendale può riguardare anche le condizioni di lavoro in generale dei dipendenti del datore di lavoro (orario di lavoro richiesta di particolari prestazioni da parte dei dipendenti). Se la definizione di prassi aziendale non presenta particolari difficoltà di costruzione, assai controversa ne è la qualificazione giuridica. Il problema si complica anche perché sussiste, come già si è visto, una grande varietà di opinioni degli studiosi relativamente alla classificazione degli usi in esame fra i normativi o i negoziali e allo stesso criterio distintivo tra gli uni e gli altri. Secondo la giurisprudenza meno recente, gli usi aziendali, anche se tipici di un solo datore di lavoro, sono usi negoziali da ritenersi inseriti nel contratto individuale ai sensi dell art c.c. (vedi Cassazione sez. un. 17 marzo 1995 n. 3101, Cass. 02 febbraio 1996 n. 900, Cass. 25 luglio 1996 n. 6690). Pertanto, tali usi non sono suscettibili di essere modificati in senso peggiorativo né dal contratto collettivo nazionale e/o aziendale, ai sensi di quanto dispone l art. 2 7 c.c., né unilateralmente dal datore di lavoro. Essi sono, altresì, efficaci nei confronti dei lavoratori nuovi assunti, salvo volontà contraria delle parti. Il più recente orientamento della Suprema Corte (Cass, 17 febbraio 2000 n. 1773, Cass. 10 novembre 2000 n ) ritiene invece che all uso aziendale debba essere attribuita natura di fonte sociale collettiva, che opera sul piano dei singoli rapporti individuali di lavoro con le stesse modalità e la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Di conseguenza, le prassi aziendali sono modificabili sia in melius che in peius dai contratti collettivi di qualsiasi livello. 10 di 18

11 5 Le fonti internazionali La tendenza all uniformazione, tra i vari Stati Esteri, della regolamentazione di aspetti generalmente diffusi della vita comune, pone la questione delle fonti internazionali. Nell ambito del nostro sistema giuridico, la valenza delle fonti internazionali viene chiarita nella Carta Costituzionale, la quale ne distingue due diverse tipologie. L art. 10 comma 1 della Cost. il quale, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, riguarda le norme internazionali di origine consuetudinaria e gli artt. 80 e 87 Cost. relativi alle norme di diritto internazionale di origine pattizia. Per quanto concerne le prime (norme consuetudinarie), queste penetrano direttamente nell ordinamento interno e sono gerarchicamente superiori alle leggi ordinarie. Sul punto non vi sono particolari questioni, mentre assume profili controversi il loro rapporto con le norme costituzionali. In materia si sono sviluppati due diversi orientamenti. Alcuni collocano le norme internazionali in una posizione intermedia tra le fonti costituzionali e le leggi ordinarie. Altri, invece, le pongono sullo stesso piano della Costituzione e delle leggi costituzionali, attribuendogli, altresì, capacità di resistenza nei confronti di queste ultime col solo limite della conservazione dei cardini essenziali del sistema interno. Discorso diverso deve effettuarsi per le norme di origine pattizia. Si tratta di norme cui non è riconosciuto un potere tale da produrre effetti diretti nel nostro ordinamento. A tal fine è, infatti, necessario un formale atto di ratifica da parte del Presidente della Repubblica. L effetto della ratifica è, però, limitato al solo Stato contraente il quale deve provvedere all emanazione di una norma interna, successivamente alla cui entrata in vigore, sorge, per i singoli cittadini, l obbligo di rispettare quanto in essa previsto. 1 1 È ormai prassi generalizzata che il Parlamento, nei casi in cui autorizzi con legge la ratifica del trattato internazionale da parte del Presidente della Repubblica, inserisca nello stesso atto la formula tipica, secondo la quale piena ed intera esecuzione è data al trattato, pubblicando in allegato il testo del trattato stesso. In tal modo penetrano nel diritto interno le norme necessarie perché il trattato possa avere esecuzione. 11 di 18

12 6 Le convenzioni O.I.L. Il nostro paese fa parte dell Organizzazione internazionale del lavoro (O.I.L.), costituita nel 1919 con lo scopo principale di promuovere da parte di tutti i paesi aderenti, un regime di lavoro omogeneo e compatibile con le esigenze di vita dignitosa da parte dei lavoratori. Tale istituzione si articola in tre organi fondamentali: CONFERENZA INTERNAZIONALE DEL LAVORO Si tratta di un organo con prevalente funzione legislativa che si estrinseca nell elaborazione di norma internazionali o convenzioni (per le quali è necessaria una successiva ratifica da parte dei singoli stati) e che, in presenza di problemi sollevati dai singoli stati membri, può manifestarsi in forma di raccomandazioni, al fine di orientare l attività dei governi per l elaborazione di leggi nazionali o per l adozione di provvedimenti amministrativi. CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE È l organo attivo della conferenza, composto da 48 membri così ripartiti: il 50% rappresentano i governi degli stati membri, ¼ i datori di lavoro ed ¼ i lavoratori. I suoi compiti fondamentali sono: fissare l ordine del giorno della Conferenza, nominare il direttore generale dell Ufficio Internazionale del Lavoro, sorvegliare l applicazione delle convenzioni e raccomandazioni da parte dei singoli stati. UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO Si tratta dell organo di segreteria permanente, di studio e di documentazione della Conferenza Internazionale del Lavoro che è presieduta dal direttore dell ufficio stesso. 12 di 18

13 7 Gli strumenti giuridici comunitari Nel nostro ordinamento assumono una grande importanza le cosiddetta fonti comunitarie. Esse si distinguono in: NORME DI DIRITTO PRIMARIO Si tratta della norme contenute nello stesso trattato istitutivo della Comunità Europea (Trattato di Roma del 25 marzo 1957). Le norme di diritto primario hanno carattere programmatico nel senso che devono essere attuate per il tramite di atti di normazione derivata ovvero sono dotate di precettività immediata. NORME DI DIRITTO DERIVATO Si tratta delle norme emanate dal Consiglio. Al riguardo occorre fare riferimento all art. 249 del Trattato della Comunità Europea, il quale attribuisce alle istituzioni comunitarie il potere di emanare atti con diversa efficacia vincolante, che qui di seguito si enumerano: a. Regolamenti: hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili negli stati membri. (norme self-executing); b. Direttive: vincolano lo stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, senza intaccare la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi da utilizzare in relazione allo scopo prefissato. L unico limite è costituito dal divieto di ricorrere, al fine di dare attuazione alle direttive, alla prassi amministrativa. Tutto ciò per soddisfare le esigenze di chiarezza e di certezza delle situazioni giuridiche volute dalla direttiva; c. Decisioni: sono obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari in esse designati, siano essi individui o imprese. A differenza dei regolamenti, che hanno carattere generale, le decisioni hanno valenza individuale; d. Raccomandazioni e pareri: nessuna delle due tipologie è vincolante. Le prime sono emanate dal Consiglio e dalla Commissione di propria iniziativa ed invitano il destinatario a 13 di 18

14 tenere un determinato comportamento giudicato più rispondente agli interessi comuni, i secondi presuppongono una richiesta agli organi comunitari da parte dei soggetti interessati a conoscere la posizione delle istituzioni in merito ad una determinata questione. 14 di 18

15 8 I principi di sussidiarietà e di mutuo soccorso L Unione Europea (vedi art. 1 del Trattato Istitutivo) adotta il cosiddetto principio di sussidiarietà, in base al quale il suo intervento è previsto solo se gli stati membri non siano in grado di agire con pari efficacia (art. 5 Trattato Istitutivo). Più precisamente, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità agisce solo ove il suo intervento possa contribuire al raggiungimento dell obbiettivo in modo più soddisfacente degli stati membri e dunque in presenza di due presupposti fondamentali: se la dimensione dell azione proposta supera la possibilità di intervento dei singoli stati membri, i quali non hanno i mezzi necessari, anche sul piano finanziario, per realizzare gli obbiettivi (prova di efficacia comparata); se l intervento comunitario risulti più efficace di quello nazionale raggiungendo un risultato che lo stato da solo non potrebbe conseguire, qualora determinati settori richiedano un regolamentazione a livello comunitario che assicuri effettività di tutela ed armonizzazione normativa (prova del valore aggiunto). Il disegno complessivo del principio di sussidiarietà è pi quello di valorizzare non solo il livello nazionale rispetto a quello comunitario, ma anche e soprattutto il livello locale di rappresentanza e di governo, cioè le regioni. Il principio di sussidiarietà deve ritenersi, altresì, operante sul terreno delle competenze esclusive della Comunità e si specifica secondo due fondamentali indirizzi. Il primo è il perseguimento di un armonizzazione delle diverse legislazioni per il tramite di direttive flessibili, che consentano la salvaguardia delle specifiche esigenze nazionali. Il secondo indirizzo, di origine giurisprudenziale poiché introdotto dalla sentenza della Cote di Giustizia Europea del 20 febbraio 1979, è quello del mutuo riconoscimento delle norme. Secondo tale principio uno stato membro non ha il potere di limitare all interno del proprio territorio la circolazione di un prodotto proveniente da altro stato qualora esso sia stato fabbricato o confezionato in conformità alle norme legittimamente in vigore all interno del paese di origine e non già alle proprie norme. 15 di 18

16 9 La ricostruzione dell ordine delle fonti del diritto del lavoro Le indicazioni fornite e le considerazioni svolte fino ad ora, ci consentono di ricostruire l esatto ordine delle fonti del diritto del lavoro. A tale riguardo, superando l incompleto schema offerto dall art. 1 delle disposizioni preliminari del codice civile, è possibile proporre la seguente gerarchia: a. I principi generali del diritto: fra questi devono comprendersi sia i principi posti dalle leggi considerate nel quadro dell ordinamento, sia i principi dottrinali e giurisprudenziali. Entrambe queste due categorie di principi fra i quali non puo parlarsi di gerarchia, ma semmai di interazione, non servono solo a colmare le lacune, secondo quanto previsto dall art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, ma individuano il senso delle disposizioni di legge, che gli artt. 1 e 12, 3 comma sempre delle disposizioni preliminari, pongono come prima fonte; b. La Costituzione e le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute; c. I regolamenti, le direttive dotate di completezza di contenuto dispositivo e le decisioni generali degli organismi comunitari; d. Le leggi interne e i trattati internazionali ratificati; e. Le direttive comunitarie; f. I contratti collettivi corporativi e i contratti collettivi post-corporativi validi erga omnes ; g. L autonomia privata: si tratta dei contratti collettivi di diritto comune e dei contratti individuali di lavoro; h. Gli usi o consuetudini; i. L equità: non è fonte in senso proprio, ma si configura semmai come un altro modo di far penetrare nel diritto la funzione creativa della giurisprudenza. 16 di 18

17 10 Il principio di favore verso il lavoratore Sull ordine delle fonti così delineato incide il principio generale di favore verso il lavoratore, il quale è tale da sovvertirne la normale gerarchia, nel senso che la norma di grado superiore cede a quella di grado inferiore più favorevole al lavoratore, col solo limite delle leggi assolutamente inderogabili. Queste ultime, che sono tali in quanto perseguono interessi pubblici (ad esempio la legislazione previdenziale), non possono essere derogate né in senso peggiorativo, né in senso migliorativo. Al di fuori di tali limitate ipotesi, mentre nel diritto civile da luogo al processo della sostituzione della clausola contrattuale con il precetto imperativo, nel diritto del lavoro tale meccanismo si verifica unicamente nell ipotesi in cui l atto di autonomia privata modifichi in peius il precetto di legge. Invece, qualora, concorra con quest ultimo una qualsiasi altra fonte più favorevole, l imperativo al quale bisogna sottostare è quello della valorizzazione massima del soggetto tutelato, la quale si ottiene sostituendo il precetto inderogabile di legge con precetto più favorevole tradibile dalle varie fonti concorrenti. Il principio esaminato opera sul piano degli effetti del contratto di lavoro. Non si può invece ritenere che esso abbia rilevanza sul piano interpretativo, introducendo un criterio ermeneutica nuovo, in forza del quale si debba scegliere, fra più soluzioni possibili, quella più favorevole al prestatore di lavoro. Infatti, non solo non sussiste una espressa previsione legislativa in quest ultimo senso, ma non è nemmeno possibile affermare che nel nostro ordinamento l esigenza di favorire uno dei soggetti del rapporto sia necessariamente correlata all esigenza di fondare uno speciale trattamento in sede ermeneutica. Tale conclusione non comporta conseguenze pregiudizievoli per il lavoratore, poiché le norme generali dettate dal codice civile in tema di interpretazione dei contratti conducono a risultati sostanzialmente analoghi a quelli che si perseguirebbero con la supposta regola in dubio pro operaio. 17 di 18

18 11 L identificazione della fonte più favorevole Chiarita la portata del principio di favor del lavoratore, è necessario individuare il criterio attraverso il quale valutare, rispetto all interesse del lavoratore, quale sia la fonte più favorevole. Dottrina e giurisprudenza hanno fornito, al riguardo, molteplici soluzioni di raffronto: Fra intere discipline in contrasto; Fra istituti omogenei, intendendosi per istituto un complesso di disposizioni unificate ratione materiae (retribuzione, ferie, malattia ed infortunio, trattamento di fino rapporto); Fra le singole disposizioni o addirittura fra le varie parti di esse. 18 di 18

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