ORTOPEDIA E CLINICA TRAUMATOLOGICA VETERINARIA

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1 FACOLTA DI MEDICINA VETERINARIA MODULO PROFESSIONALIZZANTE 2 (Salute e benessere degli animali da compagnia) DISPENSE DEL CORSO DI ORTOPEDIA E CLINICA TRAUMATOLOGICA VETERINARIA Revisione 2004 Prof. Gerardo FATONE - 1

2 SOMMARIO SOMMARIO 2 FORMAZIONE DELL OSSO 7 Osso cartilagineo 7 Piastra di crescita (o Disco epifisario) 8 COMPOSIZIONE E STRUTTURA DELLA CARTILAGINE 10 COMPOSIZIONE E STRUTTURA DELL OSSO 11 OMEOSTASI OSSEA 11 Letture di approfondimento consigliate 12 Biomeccanica dell osso 13 Concetti base di biomeccanica 13 Proprietà meccaniche del tessuto osseo 14 Adattamento funzionale delle ossa 14 Potenziali elettrici generati dalle sollecitazioni 15 Potenziali bioelettrici dell osso 15 ESAME CLINICO DELL APPARATO LOCOMOTORE 17 Segnalamento 17 Anamnesi 18 Esame clinico 20 Ispezione con il soggetto in movimento 20 Ispezione con il soggetto in stazione 21 Palpazione in stazione 23 ESAME IN DECUBITO 24 Arto anteriore 24 Arto posteriore 25 SEMEIOLOGIA DELLE FRATTURE E LUSSAZIONI 29 Fratture ed eventi patologici associati 29 Lussazioni 31 Esami complementari 31 CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE 32 CAUSE 32 PRESENZA DI UNA SOLUZIONE DI CONTINUO COMUNICANTE CON L ESTERNO 32 LOCALIZZAZIONE, MORFOLOGIA E GRAVITA DELLA FRATTURA 32 IN BASE ALLA LOCALIZZAZIONE ANATOMICA 32 LINEA DI FRATTURA 33 DIREZIONE DELLA LINEA DI FRATTURA 33 NUMERO O TIPO DI FRAMMENTI 33 COINVOLGIMENTO DELL ARTICOLAZIONE 34 DISTACCHI EPIFISARI E FRATTURE NEI SOGGETTI IN ACCRESCIMENTO 34 STABILITA DOPO IL RIPRISTINO DELLA NORMALE POSIZIONE ANATOMICA 34-2

3 CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE PER L ANALISI COMPUTERIZZATA 35 Principi di trattamento di fratture e lussazioni 36 Fratture 36 Metodi d immobilizzazione esterna 36 Bendaggi 37 Fissazione scheletrica esterna 38 Metodi di fissazione interna 39 Lussazioni 41 Letture di approfondimento consigliate 41 Fissazione Scheletrica Esterna 42 Storia della Fissazione esterna 42 CLASSIFICAZIONE DEI FISSATORI ESTERNI 45 PRINCIPI DI BIOMECCANICA DELLA FISSAZIONE ESTERNA 48 PRINCIPI GENERALI 49 DIAMETRO DEI CHIODI 51 NUMERO DEI CHIODI 53 CONFORMAZIONE DEL CHIODO 53 ANGOLO DI INFISSIONE DEL CHIODO 55 DISTANZA TRA CHIODI 55 SPESSORE DELLE BARRE 57 NUMERO DELLE BARRE 57 DISTANZA BARRA DI CONNESSIONE-OSSO 57 CONFIGURAZIONE DEL FISSATORE ESTERNO 58 INDICAZIONI 58 INDICAZIONI ELETTIVE 58 OMERO 59 RADIO-ULNA 60 FEMORE 60 TIBIA 61 TECNICA 61 TECNICA DI INFISSONE DEI CHIODI 61 CURA DEI TESSUTI MOLLI 65 CURE POSTOPERATORIE 66 COMPLICANZE 67 INFEZIONE DEL TRAMITE ED ALLENTAMENTO DEL CHIODO 67 LESIONI VASCOLARI E NERVOSE ACCIDENTALI 70 ROTTURA O DEFORMAZIONE DI COMPONENTI DEL FISSATORE 70 Letture di approfondimento consigliate 71 TECNICA AO/ASIF 74 PRINCIPI BIOMECCANICI 74 VITI 76 PLACCHE 78 FRATTURE DELL OMERO 83 Terapia chirurgica: 83 Applicazione della fissazione scheletrica esterna: 84 FRATTURE DI RADIO-ULNA 88 Terapia 88 Frattura diafisaria 89 Fratture metafisarie ed epifisarie prossimali 90 Fratture metafisarie ed epifisarie distali 90-3

4 Distacco epifisario prossimale e distale 91 FRATTURE DEL FEMORE 92 Terapia: 93 Distacco epifisario prossimale: 93 Frattura del collo: 93 Frattura diafisaria 93 Applicazione di placche e viti da ossa 95 Distacco epifisario distale 95 FRATTURE DELLA TIBIA 97 Terapia 97 Frattura diafisaria 98 Fratture metafisarie ed epifisarie prossimali 99 Fratture metafisarie ed epifisarie distali 99 Distacco epifisario prossimale 100 Distacco epifisario distale 100 Distacco della tuberosità tibiale 100 PATOLOGIE DELLA CICATRIZZAZIONE DELL OSSO 101 Classificazione delle pseudoartrosi 103 Pseudoartrosi ipertrofica 104 Pseudoartrosi leggermente ipertrofica 104 Pseudoartrosi fibrosinoviale 105 Pseudoartrosi oligotrofica 105 Pseudoartrosi distrofica 105 Pseudoartrosi necrotica 105 Pseudoartrosi con perdita di sostanza 106 Pseudoartrosi atrofica 106 Diagnosi 106 TERAPIA 107 Biomeccanica delle lussazioni 109 Articolazione scapolo-omerale: 109 Trattamento: 110 Articolazione omero-radio-ulnare: 111 Trattamento 111 Carpo: 112 Trattamento: 112 Articolazione coxofemorale: 113 Trattamento 113 Articolazione femoro-tibio-rotulea 114 Trattamento 114 Tarso 115 Trattamento: 115 OSTEOCONDROSI E SINDROMI ASSOCIATE 116 Osteocondrosi dissecante della spalla: 117 Osteocondrosi dissecante del gomito (OCD) 118 Osteocondrosi dissecante del ginocchio 118 Osteocondrosi del tarso 118 OSTEODISTROFIE IN CANI IN ACCRESCIMENTO 121-4

5 Rachitismo 121 Osteodistrofia ipertrofica 122 Ipovitaminosi A 123 Ipervitaminosi A e D 123 Osteodistrofia fibrosa 124 Disturbi di crescita e deformità dell avambraccio 125 Ritenzione della cartilagine encondrale ulnare. 132 Osteodistrofia ipertrofica. 132 Letture di approfondimento consigliate 137 LA DISPLASIA D ANCA 140 MORBO DI LEGG-PERTHES-CALVE 145 LUSSAZIONE DELLA ROTULA 148 Lussazione mediale della rotula 148 Lussazione laterale della rotula 150 Trattamento chirurgico 151 ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO CRANIALE 156 Fisiopatologia 156 Diagnosi 158 Trattamento conservativo 158 Trattamento chirurgico 159 Tecniche intra-articolari 162 ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO CAUDALE 169 Fisipatologia 169 Diagnosi 169 Trattamento 169 LESIONI DEI MENISCHI 171 Fisiopatologia 171 Diagnosi 172 Trattamento 173 LESIONI DEI LEGAMENTI COLLATERALI DEL GINOCCHIO 175 Fisiopatologia 175 Diagnosi 175 Trattamento 175 Letture di approfondimento consigliate 176 OSTEOMIELITE 180 Eziologia 180 Patogenesi 180 Osteomielite ematogena 180 Post - Traumatica 181 Sintomatologia 183 Diagnosi 183-5

6 Clinica 183 Radiologica 184 Scintigrafica 185 Citologica 185 Batteriologica 185 Istopatologica 186 Ematologica 186 Terapia 186 Prevenzione 188 Letture di approfondimento consigliate 189 PATOLOGIE DELLA COLONNA VERTEBRALE 190 MALFORMAZIONI 190 Instabilità atlantoepistrofea 190 Patologie di sviluppo 191 Sindrome di Wobbler 191 FRATTURE E LUSSAZIONI 198 PATOLOGIA DEI DISCHI INTERVERTEBRALI 201 Sindrome cervicale 203 Sindrome toracolombare 204-6

7 (revisione 2004) FORMAZIONE DELL OSSO Durante lo sviluppo embrionale, l osso origina in aree già occupate da tessuto connettivale o da cartilagine, tessuti che nella cronologia dello sviluppo embrionale stesso, sono preesistenti. L osso formato nel tessuto connettivale ha origine intramembranosa ed è denominato osso membranoso. Molte delle ossa della teca cranica e della faccia, compresa una parte della mandibola, sono ossa membranose. Tutte le altre ossa del corpo si formano in zone dapprima occupate da cartilagine, che l osso gradualmente sostituisce. Queste ossa d origine encondrale sono dette ossa cartilaginee. L osso membranoso nasce con la produzione, da parte delle cellule embrionali dell abbozzo mesenchimale, di una matrice mucoproteica nella quale si trovano immerse fibre collagene. All interno di questa matrice organica detta osteoide, vi è poi la deposizione di cristalli inorganici di fosfato di calcio (idrossiapatite) che s insinuano perfino all interno delle stesse fibre collagene contribuendo così, in maniera fondamentale, a quel processo di mineralizzazione da tutti conosciuto come ossificazione. Le cellule mesenchimali coinvolte nel processo d osteoformazione, sono denominate osteoblasti, queste, col procedere dell ossificazione si moltiplicano ed alcune rimangono completamente circondate dall osteoide. La sintesi di fosfatasi alcalina, da parte degli osteoblasti, è fondamentale per la preparazione alla mineralizzazione della matrica. Gli osteoblasti intrappolati nella matrice sono definiti osteociti, che emettendo in ogni direzione lunghi ed esili prolungamenti, vengono in contatto coi prolungamenti degli osteociti adiacenti. Con il completarsi dell ossificazione, gli osteociti si trovano intrappolati in piccole aree definite lacune (parte contenente il nucleo), mentre gli spazi occupati dai prolungamenti sono detti canalicoli. Una volta che la matrice è ossificata, non è più possibile la diffusione attraverso essa di ioni e di sostanze nutritive dirette agli osteociti, tuttavia i canalicoli fungono anche da collegamento con gli spazi ossei nei quali sono accolti i capillari sanguigni. Durante la formazione d osso membranoso avviene la strutturazione in trabecole che, unendosi tra loro a vari livelli, costruiscono una rete d osso trabecolare primario. Sulla superficie esterna dell abbozzo osseo vi è un denso rivestimento di tessuto connettivale che presenta uno strato interno costituito da osteoblasti, da questo strato originerà il periostio. Osso cartilagineo Gli abbozzi cartilaginei dell osso d origine encondrale sono rappresentazioni in miniatura del futuro osso definitivo. Tutte le ossa lunghe hanno origine encondrale. L ossificazione comincia da alcuni punti ben precisi detti centri d ossificazione, il primo dei quali compare nella diafisi. In corso di ossificazione diafisaria il tessuto osseo è depositato dal connettivo che riveste esternamente l abbozzo cartilagineo detto pericondrio. Quando il pericondrio inizia la deposizione d osso, sotto forma d anello sottile che circonda il centro della diafisi, prende il nome di periostio. Profondamente a tale anello la matrice cartilaginea si calcifica, mentre i condrociti vanno incontro ad ipertrofia. All interno dell anello osseo, si formano dei canali attraverso i quali capillari e cellule mesenchimali vanno dal periostio alla cartilagine ossificata, che via via scompare, facendo posto all osso in formazione. Tale processo porta alla formazione di cavità midollari contenenti osteoblasti e midollo Formazione dell osso - 7

8 (revisione 2004) osseo ricco di vasi. Quale risultato della deposizione ossea da parte degli osteoblasti, l osso encondrale diviene trabecolare. Inoltre, mentre la formazione dell osso diafisario avviene dal centro alle due estremità dell osso lungo, un ampia cavità midollare si forma al centro della dialisi. Dal termine della vita intrauterina alla maturità scheletrica, altri centri d ossificazione sono presenti alle due estremità cartilaginee, o epifisi, dell osso lungo. Tra l osso formatosi nella diafisi e quello formatosi nell epifisi vi è la piastra di crescita epifisaria, formazione circolare di cartilagine posta nella regione dell osso lungo denominata metafisi. A questo livello avviene la crescita nel senso della lunghezza della diafisi. Piastra di crescita (o Disco epifisario) La piastra di crescita può essere suddivisa in tre componenti anatomiche: a) componente cartilaginea, con zone istologicamente differenti b) componente ossea o metafisi c) componente fibrosa, che ne circonda la parte periferica ed è costituita dalla Doccia di ossificazione del Ranvier e dall Anello pericondrale di La Croix. Ognuna di queste tre componenti della piastra di crescita, presenta un proprio differente sistema di vascolarizzazione, ed è proprio grazie a queste differenze che vi sono importanti implicazioni nell attività metabolica della piastra stessa. Componente cartilaginea. Zona di riserva. Le funzioni di questa zona sono principalmente l immagazzinamento e la produzione della matrice. Le cellule presenti in questa zona sono piccole e leggermente ellittiche immerse senza un preciso ordine in abbondante matrice. La matrice è ricca, in questa zona, di proteoglicani aggregati (mucopolisaccaridi neutri) che fungono da inibitori della calcificazione. I vasi passano attraverso questa zona ma non la vascolarizzato, perciò, vi è un metabolismo cellulare di tipo anaerobio, infatti, la tensione d ossigeno è molto ridotta. I condrociti presenti in questa zona non vanno incontro a proliferazione oppure lo fanno sporadicamente. Zona proliferativa. Tra le funzioni di questa zona, vi sono la produzione di matrice e la proliferazione cellulare, sono proprio queste, infatti, a determinare la crescita longitudinale dell osso. Le cellule che ne fanno parte, cominciano ad appiattirsi disponendosi in colonne longitudinali in modo tale da avere il proprio asse maggiore perpendicolare all asse maggiore dell osso. Tranne rare eccezioni, possiamo affermare che i condrociti di questa zona sono le uniche cellule della porzione cartilaginea della piastra di crescita che vanno incontro a divisione. Le cellule poste all apice di ogni colonna, rappresentano il vero strato germinativo della piastra di crescita. Grazie alla ricca rete vascolare, presente nella parte apicale della zona in questione, vi è il più elevato valore di PO 2 che associato alla presenza di glicogeno nei condrociti, crea le giuste condizioni metaboliche per un ottimale crescita cellulare. Zona ipertrofica. In questa zona avvengono tutti quei processi biochimici che permetteranno poi i fenomeni di calcificazione e decalcificazione. I condrociti di questa zona sono sferici ed ipertrofici fino a raggiungere, nella parte più profonda, dimensioni fino a cinque volte quelle di un normale condrociti della zona proliferativa. Alla base di ogni colonna vi è una cellula non vitale, con membrana frammentata ed involuzione del nucleo con perdita dei componenti citoplasmatici, mentre restano solo Formazione dell osso - 8

9 (revisione 2004) i mitocondri. La zona ipertrofica non è vascolarizzata, perciò la PO 2 risulta ridotta. La matrice di questa zona, contiene proteoglicani disgregati che risultano meno efficaci nell impedire la deposizione minerale, contrariamente ai proteoglicani aggregati presenti nella zona di riserva. La calcificazione iniziale, avviene all interno o su vescicole poste nei setti longitudinali della matrice. Queste vescicole sono piene di fosfatasi alcalina che può fungere da pirofosfatasi per la distruzione del pirofosfato, altro inibitore della precipitazione di fosfato di calcio. La calcificazione della matrice, contribuisce a rendere tutta questa zona relativamente impermeabile ai metaboliti. Componente Metafisaria. La metafisi svolge tre funzioni fondamentali: a) l infiltrazione vascolare dei setti trasversali nella profondità della parte cartilaginea b) la formazione ossea c) il rimodellamento osseo La metafisi inizia appena distalmente all ultimo setto traverso integro, posto alla base di ogni colonna cellulare della parte cartilaginea della piastra di crescita, e termina alla giunzione con la diafisi. Dalla metafisi partono zaffi di capillari, rivestiti da uno strato di cellule endoteliali e perivasali, che invadono la base della porzione cartilaginea della piastra di crescita. Da tali cellule originano processi enzimatici lisosomiali, che provvedono alla disgregazione ed alla rimozione dei setti traversi non mineralizzati. Questa regione metafisaria prende il nome di spongiosa primaria. Immerse in questo strato di osteoblasti e di capillari, sono presenti le cellule ossee progenitrici. Appena distalmente ai setti calcificati, si trova la regione definita spongiosa secondaria; qui, gli osteoblasti incominciano a stratificarsi inferiormente al tessuto osseo tramite un processo di formazione di tessuto osseo entro e sulla cartilagine (ossificazione encondrale). Il tessuto osseo che si forma sulle travate di cartilagine procede verso la metafisi, contemporaneamente, la cartilagine calcificata, si assottiglia gradualmente finché non scompare del tutto. In un altra zona più distale della metafisi, l osso fibroso primitivo è rimpiazzato da quello lamellare. Grossi osteoclasti, infatti, appaiono distribuiti in queste zone della metafisi, affinché si possa attuare quel rimodellamento interno che completerà la formazione del tessuto osseo. Componente fibrosa periferica. La zona periferica della piastra di crescita è circondata da due strutture: un solco cuneiforme formato da cellule in accrescimento denominato solco di ossificazione del Ranvier, ed una striscia di tessuto fibroso chiamata anello fibroso pericondrale di La Croix. Il solco di ossificazione del Ranvier, sembra contribuire, con i suoi condrociti, all aumento di dimensioni della piastra di crescita, infatti, anatomicamente, il solco sembra confluire nella zona di riserva. L anello fibroso pericondrale di La Croix, invece, funge da membrana limitante dando un importante supporto meccanico alla linea di giunzione tra osso e cartilagine della piastra di crescita. Contiene fibre collagene disposte con andamento verticale, obliquo e circolare, in modo da contrapporsi a tutte le possibili sollecitazioni del disco stesso. Ad una delle estremità, la struttura si continua con il solco di ossificazione, mentre all estremità opposta si continua nel periostio e col tessuto sottoperiostale della metafisi. Formazione dell osso - 9

10 (revisione 2004) COMPOSIZIONE E STRUTTURA DELLA CARTILAGINE La cartilagine è un tessuto connettivo complesso e versatile, ed è altamente specializzato in relazione alle funzioni che deve svolgere. Tutta la cartilagine, comunque, è costituita da una parte cellulare (condrociti e condroblasti) che sintetizza e depone una matrice, formata da macromolecole, che risultano essere le più grandi fin ora riscontrate in natura. Le proprietà meccaniche del tessuto cartilagineo, derivano principalmente dalle capacità, di ritenere acqua, di questa complessa matrice extracellulare. Tale matrice, è composta di una struttura fibrillare, a sua volta costituita da un intreccio di fibre collagene e da proteoglicani giganti presenti in quantità equivalente. L acqua rappresenta una componente fondamentale della cartilagine, infatti, circa l ottanta per cento del peso della cartilagine è dato dall acqua. Il collagene tipo II, che è il principale componente fibrillare della matrice, dà solidità e forma al tessuto. I proteoglicani invece, grazie alle loro caratteristiche osmotiche, riescono a trattenere grosse quantità di acqua, conferendo alla cartilagine la capacità di adattarsi agli stimoli compressivi. La cartilagine articolare presenta una complessa struttura interna suddivisa, a partire dal margine libero, in quattro zone: - zona tangenziale - zona intermedia o di transizione - zona verticale - zona calcificata Nella prima zona, i condrociti e le fibre collagene sono orientate parallelamente alla superficie articolare. Nel secondo livello, sia i condrociti che il collagene si dispongono obliquamente. Nella zona verticale vi è invece una disposizione delle fibre perpendicolare alla superficie articolare. Questa particolare architettura, permette alla cartilagine articolare, di sopportare stress pressori notevoli. Formazione dell osso - 10

11 (revisione 2004) COMPOSIZIONE E STRUTTURA DELL OSSO Lo scheletro contiene due tipi di tessuto osseo: osso corticale (o compatto) e osso trabecolare. (o spugnoso) Il tessuto osseo corticale, nelle ossa lunghe, forma la parete della diafisi, mentre quello trabecolare è concentrato a ciascun estremità. La superficie articolare, è coperta da un cappuccio di cartilagine ialina che è in grado di resistere ai fenomeni d attrito che si realizzano durante il movimento. Il resto della superficie ossea è rivestita da periostio, un denso tessuto connettivo fibroso. Lo strato interno della diafisi ossea è rivestito dall endostio, uno strato sottile di cellule con capacità osteogenetiche. L unità funzionale fondamentale dell osso corticale è l osteone, o sistema di Havers, questa struttura è costituita da strati concentrici di lamelle ossee che circondano un canale centrale detto canale di Havers. Questo canale è deputato ad accogliere vasi e nervi del tessuto osseo ed è provvisto di alcune diramazioni laterali (canali di Volkmann) che provvedono al passaggio dei vasi sanguigni da un osteone all altro. Ogni lamella cilindrica è variamente circondata da osteociti. L osso trabecolare, invece, è un complesso sistema di lamine e tubuli ricurvi, tra loro variamente collegati, gli osteociti risultano orientati concentricamente ed hanno un sistema canalicolare ben sviluppato. OMEOSTASI OSSEA Lo scheletro funge da banca dinamica di riserva minerale, nella quale, l organismo accumula i suoi ioni calcio e fosforo in una forma metabolicamente stabile e strutturalmente funzionale. Anche se ognuna delle popolazioni cellulari ossee è sotto il controllo di numerosi fattori endocrini, ed è influenzata da fenomeni biochimici e bioelettrici, tutte le cellule sono soggette a programmi genetici che ne determinano la capacità di produrre, riassorbire o mantenere l osso. Per quanto il calcio extracellulare corrisponda a meno dell 1% delle riserve organiche, esso, è la componente metabolicamente attiva che riveste un ruolo fondamentale in numerosi processi vitali comprendenti reazioni enzimatiche, conservazione delle membrane cellulari, funzionalità mitocondriale, comunicazione intercellulare, contrazione muscolare e coagulazione ematica. Nonostante le considerevoli variazioni giornaliere nell apporto di calcio, l organismo riesce a mantenere costanti le quote di calcio metabolicamente attivo. A tale scopo è deputato un complesso sistema endocrino, nel quale rientrano l ormone paratiroideo (PTH), la Calcitonina e la Vitamina D che aumentano l assorbimento gastrointestinale, renale e dalle stesse ossa, del calcio. Vi sono, però, anche altre sostanze minori che svolgono in qualche modo un ruolo nella regolazione della calcemia, come gli steroidi gonadici, l ormone della crescita, i glicocorticoidi e l insulina, la vitamina C, e le innumerevoli proteine che legano il calcio. Ogni giorno, grazie a questo sistema complesso, avviene un reciproco scambio, tra ossa e liquido extracellulare. La maggior parte del calcio mobilitato, per poter diffondere nel comparto extracellulare, ha bisogno di un riassorbimento cellulo-mediato. Non esiste però, fino ad oggi, alcun processo biologico per mezzo del quale si possano rimuovere in maniera selettiva le componenti minerali dell osso, proprio per questo, quando per qualche motivo c è un elevata richiesta di calcio, l osso è riassorbito in tutte le sue componenti minerali poiché viene scissa l idrossiapatite. Composizione e struttura dell osso - 11

12 (revisione 2004) La calcitonina è l ormone secreto dalle cellule parafollicolari (anche dette cellule C) della tiroide, ma presenti in piccola quantità anche nelle paratiroidi, essa inibisce il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti, lo stimolo alla sua secrezione è dato da un elevata concentrazione di calcio ematico. La provitamina D, assunta con gli alimenti, è immagazzinata nella cute, la luce solare trasforma questa provitamina in vitamina D 3 la quale agisce tramite un suo metabolita attivo la 1,25(OH) 2 D, che regola l assorbimento intestinale di calcio e di fosfati ed attiva il riassorbimento osseo stimolando la formazione dei preosteoclasti. Questo metabolita, che si forma a livello di tubuli prossimali renali da un altro metabolita, la 25(OH)D (formatosi nel fegato), per mezzo di un enzima che è a sua volta attivato dall aumento sierico di PTH e dall ipofosfatemia, stimola, nel tratto distale del duodeno ed in quello prossimale del digiuno, la sintesi della proteina legante il calcio ( o CBP) di Wasserman. Il meccanismo mediante il quale questa proteina agisce, è in parte regolato dal PTH che opera, rendendo la parete cellulare maggiormente porosa al calcio. Inoltre, a livello renale, aumenta il riassorbimento del calcio filtrato mentre aumenta l escrezione urinaria dei fosfati. La complessa interazione tra tutti i fattori citati fa comprendere come l osso non sia mai metabolicamente a riposo, ma va incontro ad un costante rimodellamento lungo le linee di sollecitazione meccanica, in tal modo, uno scheletro sano risulta essere in perfetto equilibrio dinamico. Letture di approfondimento consigliate Brinker, Piermattei, Flo: Ortopedia e trattamento delle fratture dei piccoli animali. Masson/Edizioni Veterinarie, Bojrab M.J.: Le basi patogenetiche delle malattie chirurgiche dei piccolo animali Ed. italiana a cura di Spadari, Lamagna, Fatone, Modenato. Giraldi Editore 2001 Netter F.H.: Atlante di anatomia fisiopatologica e clinica (VIII volume). Collezione Ciba; Ciba- Geigy Edizioni, Olmstead M.L.: Small animal orthopedics. Mosby, Composizione e struttura dell osso - 12

13 (revisione 2004) BIOMECCANICA DELL OSSO La biomeccanica è la disciplina che studia la meccanica applicata ai sistemi biologici. In generale, la meccanica è applicata allo studio di qualsiasi sistema dinamico. Molti studiosi hanno oramai da tempo dimostrato, che l osso non è una struttura statica, bensì un vero e proprio organo in grado di modificarsi, rimodellarsi continuamente. L osso è sotto il controllo di svariati fattori sia chimici (ormoni, ecc.) che fisici (forze di carico, ecc.). Le influenze meccaniche sull osso sono importanti poiché un eccessivo carico potrebbe determinare il cedimento strutturale, e quindi la frattura. Il carico che agisce su qualsiasi materiale, ne determina sempre una qualche deformazione; le deformazioni risultanti devono essere piccole e permettere all osso di continuare la sua funzione biologica. In questo paragrafo, prenderemo in esame proprio questi fattori. Concetti base di biomeccanica Quando ad un qualsiasi oggetto, si applica una forza, l oggetto tende a deformarsi rispetto al suo stato originale. La risposta meccanica dell oggetto a questa forza è valutata quantitativamente attraverso la curva forza/deformazione. Questa curva rappresenta i parametri della resistenza e delle caratteristiche strutturali di un oggetto. In breve, quando ad un oggetto applichiamo una forza, durante la sollecitazione iniziale, la deformazione è tale che, alla rimozione della forza, l oggetto riprende la sua posizione e la sua conformazione originale. Questo fenomeno è noto come deformazione elastica. Se però, applichiamo un carico maggiore, si raggiunge un punto in cui, l oggetto in questione, non è più capace di tornare alla sua conformazione originale; questo punto è definito: punto limite di elasticità. Quando aumentiamo il carico fino a superare questo punto di riferimento, determiniamo una deformazione permanente definita deformazione plastica Se la sollecitazione continua, si raggiungerà il punto di resistenza finale dell oggetto, in questo caso l oggetto si rompe o non è più in grado di resistere ad un ulteriore deformazione. La rigidità, intesa come la resistenza di un materiale o di una struttura all azione di forze tendenti alla deformazione, è espressa dalla pendenza della curva nel suo tratto lineare. La curva forza/deformazione rappresenta il comportamento meccanico di una struttura che varia in relazione alla geometria ed alle dimensioni della struttura stessa. Quando si analizzano campioni con forma e dimensioni simili si utilizza la curva stress/sforzo che definisce le caratteristiche meccaniche del materiale. Lo stress è la misura delle forze interne o delle interazioni interne che si creano quando un oggetto è deformato ed è espresso come forza per unità dell area. Il rapporto tra l allungamento di un oggetto e la sua sua lunghezza originale, è definito sforzo. Esistono due tipi di stress e di sforzo: normale e di taglio. Lo stress normale agisce perpendicolarmente alla superficie di un oggetto e può essere compressivo e tensile. Lo stress da taglio è la misura della tendenza di un materiale a scivolare sulla parte adiacente. Lo sforzo normale deriva da uno stress applicato in maniera perpendicolare ad un oggetto e rappresenta una modificazione relativa alla lunghezza dell oggetto, è quindi la misura della sua modificazione geometrica. La curva stress/sforzo è simile a quella sollecitazione/deformazione, la pendenza della porzione lineare nella regione elastica, rappresenta il modulo elastico o modulo di Young. Il modulo rappresenta la misura della rigidità del Biomeccanica dell osso - 13

14 (revisione 2004) materiale e, più grande è il suo valore (cioè maggiore è la pendenza), più rigido è il materiale. In effetti possiamo affermare che la curva stress/sforzo rappresenta le proprietà materiali di un oggetto, mentre quelle strutturali sono rappresentate dalla curva sollecitazione/deformazione. Proprietà meccaniche del tessuto osseo Fattori diversi influenzano le proprietà materiali dell osso corticale, uno di questi è la velocità con la quale l osso è sottoposto a carico. Per questa sua caratteristica l osso rientra nel gruppo dei materiali viscoelastici o materiali tempo dipendenti (dipendenti dalla velocità di carico). Il comportamento dell osso corticale dipende molto anche dall orientamento degli elementi microstrutturali dell osso stesso rispetto alla direzione della sollecitazione. L osso corticale resiste meglio alle forze che agiscono lungo il suo asse longitudinale (direzione dell orientamento degli osteoni) rispetto alla direzione trasversale. Gli oggetti come l osso, che hanno proprietà materiali che dipendono dalla direzione del carico applicato, si definiscono anisotropi. L osso corticale resiste meglio a stress compressivi ed è più debole se sottoposto a stress di taglio. L osso trabecolare, ha una struttura cellulare e porosa che è destinata primariamente ad assorbire energia ed a trasmettere gli stress compressivi. La porosità ha un importante effetto sul comportamento stress/sforzo compressivo. Inizialmente, questa curva, nell osso spongioso, presenta un comportamento elastico, una volta raggiunto il punto limite di elasticità, segue un lungo plateau a causa della progressiva frattura e del collasso delle trabecole. Con un ulteriore incremento del carico, le trabecole si compattano, determinando un aumento della rigidità del materiale. In tensione, invece, una volta raggiunto il punto limite di elasticità, si verifica una frattura progressiva dell osso spongioso ed una volta separato l osso spongioso è incapace di assorbire ulteriore energia. Bisogna aggiungere che le proprietà materiali dell osso, variano con l età. Nei soggetti in accrescimento, l osso, resiste al cedimento anche se sovraccaricato, per la sua maggiore capacità di assorbire energia e deformarsi. Il modulo elastico aumenta velocemente durante la prima fase di crescita (prime 24 settimane), dopo di che non c è più una modificazione significativa. L invecchiamento è associato alla diminuzione della resistenza in conseguenza di un aumento della porosità ossea, mentre la diminuzione della capacità di assorbire energia è dovuta alle modificazioni del collagene e della mineralizzazione che determinano una maggiore fragilità del tessuto. Adattamento funzionale delle ossa Fu Galileo che per primo si accorse della relazione esistente tra le forze di carico e la morfologia dell osso sul quale erano applicate. Nel 1683 egli notò la diretta correlazione tra peso corporeo e dimensioni ossee. Durante i secoli successivi molti altri poterono osservare che l osso subiva dei rimodellamenti, fu però Julius Wolff, un anatomista tedesco, il primo a notare che le modificazioni della massa ossea, si accompagnavano a quelle del carico mediante il rimodellamento scheletrico. Nel 1892 Wolff pubblicava queste sue osservazioni conosciute come Legge di Wolff : ogni variazione della funzione di un osso è seguita da alcune precise modificazioni della sua architettura e della sua conformazione esterna in accordo con leggi matematiche. Biomeccanica dell osso - 14

15 (revisione 2004) Più semplicemente nasce uno dei concetti basilari dell anatomia moderna: La forma è l immagine plastica della funzione. L architettura dell estremità prossimale del femore mostra egregiamente il principio generale per il quale la morfologia dell osso, come organo, e la sua conformazione interna, come tessuto, si adattano alle forze che agiscono su di esso. L osso è, infatti, sottoposto sia a sollecitazioni dinamiche interne, generate dalla contrazione muscolare, che statiche esterne dovute al campo gravitazionale terrestre ed alle forze compressive sviluppate dal carico. La rete di trabecole, rappresenta, infatti, la risposta biologica alla somma delle forze interne ed esterne agenti su questa regione scheletrica. La diminuzione di carico, dovuta al non uso o all immobilizzazione, conduce ad un progressivo assottigliamento e, infine, alla scomparsa delle trabecole; le trabecole sottoposte a minor carico sono, infatti, le prime ad essere riassorbite (osteoporosi da non uso, effetti dell assenza di peso durante i viaggi aerospaziali). La legge di Wolff trova ulteriore dimostrazione nella correzione della deformità cui va incontro un osso viziosamente consolidato. Con il tempo, la crescita ed il carico, un consolidamento vizioso, con angolazione >30, nell osso giovane, è in grado di correggersi completamente. Tale fenomeno contrasta con le leggi della fisica, secondo le quali il carico protratto su di una struttura angolata è causa di un aumento dell angolazione fin tanto che il carico stesso è applicato. Tuttavia avviene l esatto opposto e l osso si raddrizza con la crescita. Molti studiosi hanno affrontato questo paradosso riuscendo finalmente a stabilire la presenza nell osso di due generi di segnali elettrici (potenziali d azione): potenziali generati dal carico, o dovuti a compressione, e potenziali bioelettrici, o statici. Potenziali elettrici generati dalle sollecitazioni Quando un osso è sottoposto a carico, il lato concavo (compressione) assume carica negativa, diviene cioè elettronegativo, mentre il lato convesso (tensione) assume carica positiva. In un osso lungo viziatamente consolidato, quindi, l area di compressione, in cui vi è neoformazione ossea, è elettronegativa e l area di tensione, dove avviene il riassorbimento osseo, è elettropositiva. Questi potenziali generati dalle sollecitazioni nascono quando l osso è sottoposto a carico e non sono dipendenti dalla vitalità cellulare. Le ricerche hanno inoltre dimostrato che i segnali elettrici insorgono nella componente organica e non nella componente minerale dell osso. Per questo motivo, i segnali generati dalle sollecitazioni origineranno anche da un osso totalmente decalcificato. Potenziali bioelettrici dell osso I potenziali che originano dall osso non sottoposto a sollecitazioni, sono detti potenziali bioelettrici, intendendo che essi originano dall osso vivente. Tali potenziali dipendono quindi dalla vitalità cellulare e non dalle sollecitazioni. Le zone in cui si svolgono i processi di crescita e di riparazione sono elettronegative, le zone meno attive, invece, sono elettricamente neutre o elettropositive. Molti studi hanno inoltre dimostrato che l applicazione di deboli correnti elettriche (5-20µA) sull osso stimolano l osteogenesi in corrispondenza dell elettrodo negativo (catodo). Nelle ossa lunghe, le regioni della placca di crescita metafisaria sono elettronegative, mentre la diafisi non lo è. Quando però una frattura interessa la diafisi, l intera superficie dell osso diviene elettronegativa, con un picco in corrispondenza della linea di frattura, che persiste fino al suo consolidamento. Un secondo picco elettronegativo, si forma a livello della placca di crescita più lontana dal focolaio di frattura. Quest ultimo reperto ci spiega come in soggetti giovani, l estremità fratturata va frequentemente incontro a crescita eccessiva; tale crescita non avviene nel sito di frattura, ma nella piastra di crescita Biomeccanica dell osso - 15

16 (revisione 2004) all estremità dell osso interessato. Il meccanismo con il quale l elettricità induce l osteogenesi non è chiaro. E noto che al catodo avverrà consumo d ossigeno e produzione di radicali idrossilici, secondo l equazione 2H 2 O + O 2 + 4e- 4OH -. In questo modo, la tensione d ossigeno, nel tessuto interessato, è diminuita ed il ph al catodo è aumentato. Ed è proprio questa bassa tensione d ossigeno tessutale che stimola la produzione d osso, infatti, le cellule della placca di crescita, seguono vie metaboliche generalmente anaerobiche, con un ph elevato, il che suggerisce che un ambiente alcalino è favorevole alla mineralizzazione dell osso. Queste variazioni del microambiente locale in prossimità del catodo, portano direttamente a modificazioni cellulari che, in definitiva, hanno come risultato l osteogenesi. Biomeccanica dell osso - 16

17 ESAME CLINICO DELL APPARATO LOCOMOTORE Segnalamento Il segnalamento consiste nella raccolta di una serie di dati utili sia per quanto concerne l indirizzo diagnostico che le aspettative prognostiche. In particolare con l esame segnaletico vengono considerati la razza, la taglia, l età, il sesso e le attitudini del paziente. Razza: vi sono delle condizioni patologiche geneticamente determinate. In particolare, nel cane, vi è un ampia variabilità e molte di queste razze sono predisposte a malattie specifiche. Razze come il Labrador, il retriver, il rottweiler sono predisposte alla displasia del gomito; mentre il terranova ed il San Bernardo sono predisposti alla displasia d anca, il Bassotto è un condrodistrofico e va incontro a patologie del disco intervertebrale, etc. Taglia: ci sono cani che pesano meno di un chilo, mentre altri, come l alano ed il mastino napoletano che possono arrivare a pesare intorno ai 70 kg. Questi ultimi nella fase dello sviluppo corporeo, hanno delle variazioni di peso che sono notevolissime. Nei cani di taglia piccola (toy) possiamo osservare con frequenza il morbo di Legg Perthes, displasia del ginocchio con lussazione mediale di rotula, incongruità del gomito. Nei soggetti di taglia grande sono frequenti le lesioni osteoarticolari da osteocondrosi, la displasia d anca, il genu valgum, il radio curvo, l osteodistrofia ipertrofica. Non si aspetterà mai di osservare un caso osteodistrofia ipertrofica (morbo di Moller Balwol o scorbuto osseo) in un soggetto di taglia piccola, o un caso di morbo di Legg Perthes in un soggetto di grossa taglia. Età: vi sono patologie che hanno una correlazione più o meno stretta con una determinata età. Tipiche patologie giovanili sono le affezioni dei dischi epifisari, le patologie dello sviluppo accrescitivo (displasia dell anca, del ginocchio, osteocondrosi, morbo di Legg Perthes Calvè). E difficile che nei soggetti giovani o giovanissimi vi sia la rottura del legamento crociato. Infatti, per un trauma di tale intensità, cederà prima del legamento crociato, il disco epifisario distale di femore. Nei soggetti anziani è più frequente l artropatia degenerativa primitiva. Tutte queste informazioni non vanno interpretate in termini assoluti, nel senso che ci sono alcune patologie caratteristiche dell età giovanile che possono manifestarsi, talvolta, anche in soggetti adulti. Sesso: In genere il sesso non ha particolare importanza al fine dell esame ortopedico. Va ricordato, in linea generale che vi è una maggiore frequenza di riscontro delle affezioni ortopedica nei maschi. Così come sono noti gli aggravamenti di instabilità articolari in femmine in calore. Attitudine: Una prima grossa distinzione può essere effettuata tra cani da lavoro (guardia, caccia etc. ) e cani da salotto o da compagnia. E intuibile che un problema ortopedico non grave può costituire motivo di riforma dall attività lavorativa per un soggetto adibito ad attività agonistica mentre può non costituire affatto un problema per soggetti da compagnia. Va considerato anche che le affezioni non significativamente invalidanti vengono segnalate più precocemente in un soggetto da lavoro. Esame clinico dell apparto locomotore - 17

18 Anamnesi L anamnesi consiste nell acquisizione di una serie di informazioni, dal proprietario, che possono chiarire molti aspetti della storia recente e passata del paziente che si sta esaminando. In primo luogo è importante quale arto è stato individuato dal proprietario quale sede di zoppia. Altre possibili domande da porre al proprietario sono: 1) traumi subiti in precedenza. Bisogna porre particolare attenzione nel filtrare le informazioni fornite dal proprietario. Vi possono essere delle condizioni traumatiche legate, realmente, alla patologia dell arto per il quale il paziente ci viene portato a visita. Talvolta, però, il proprietario può fornire informazioni circa traumi pregressi omettendo, dal racconto, correlazioni temporali o di sede anatomica che le renderebbero improbabili da rapportare con la lesione in atto. 2) terapie effettuate in precedenza e, eventualmente, il tipo di risposta. Un attenuazione della sintomatologia conseguente ad una terapia a base di antiinfiammatori può far orientare verso una zoppia legata al dolore più che ad una zoppia meccanica; se la risposta è stata positiva a bassi dosaggi di antiinfiammatori si può pensare che il problema non è altamente invalidante. La risposta alla somministrazione di antibiotici potrebbe indurre a formulare una ipotesi settica. 3) sintomi pregressi e presenza o meno di fattori che possono condizionare la zoppia. Se la zoppia peggiora su terreni ghiaiosi, terreno duro ed irregolare, è possibile pensare a lesioni alle falangi o ai cuscinetti che subiscono sollecitazioni più marcate. Difficoltà a salire le scale: siccome, per la salita delle scale, è importante la piena efficienza dell apparato di propulsione che è costituito, fondamentalmente, dal treno posteriore, in caso di difficoltà ci si orienta su una patologia localizzata agli arti posteriori. In questi casi, però, va posta la diagnosi differenziale rispetto ad affezioni neurologiche (sindrome lombo-sacrale) che talvolta possono confondersi con affezioni ortopediche mentre altre volte possono coesistere aggravandone la sintomatologia. In particolare, nella sindrome lombosacrale, vi è, in genere, un accentuazione del dolore all iperestensione della colonna vertebrale; ciò spiegherebbe la riluttanza al salire le scale. 4) zoppia stabilizzata su un solo arto o su più arti 5) la zoppia è persistente, continua, intermittente o recidivante. Vi sono delle zoppie che sono continue e delle zoppie che sono intermittenti. In un caso o nell altro, queste informazioni possono essere utili dal punto di vista diagnostico. La zoppia continua è sostenuta da una lesione abbastanza grave che non si modifica o si modifica poco nel tempo come fratture, lussazioni, marcata instabilità articolare dovuta a rottura di un legamento. Se, invece, la zoppia è intermittente, vi possono essere delle condizioni esogene, come il cambio di clima (un clima umido o freddo può determinare un peggioramento di determinati tipi di zoppie, in particolare quelle articolari), che possono modificare la gravità della zoppia stessa. Una condizione endogena che può modificare la zoppia è la fase del movimento. Ci sono delle zoppie definite a caldo e altre a freddo. Le zoppie a caldo si manifestano o peggiorano con il lavoro, mentre quelle a freddo sono le zoppie che manifestano il massimo dell intensità appena comincia il lavoro e, poi, man mano, con l esercizio, si attenuano o scompaiono. Generalmente le zoppie a freddo sono zoppie di origine articolare come l artropatia degenerativa. In questo caso il proprietario riferirà che il soggetto fa fatica ad alzarsi, zoppica ai primi passi, dopo di che, la deambulazione diviene sempre più sicura. Le zoppie a caldo, invece, sono dovute, generalmente, ad affezioni muscolari, Esame clinico dell apparto locomotore - 18

19 tendinee. Altra condizione endogena è rappresentata dalla possibile modificazione, nel tempo, della meccanica che sostiene la zoppia. Nella lussazione di rotula, ad esempio, la zoppia è sostenuta dalla posizione paratopica della rotula, mentre, quando questa si riporta in posizione normale spontaneamente (lussazione di I e II grado), la zoppia scompare. 6) modificazioni delle condizioni generali. Vi possono essere delle condizioni sistemiche, spesso di natura infettiva o parassitaria, che possono determinare un coinvolgimento di strutture dell apparato locomotore. E importante sapere riconoscere queste condizioni, perché, in tali casi, l approccio terapeutico potrebbe mutare completamente rispetto ad altre patologie dell apparato locomotore. Le affezioni sistemiche più comuni che possono determinare artropatie sono la Borrelliosi e la Leismaniosi (artriti). Similmente, in corso di batteriemia, si possono osservare delle localizzazioni ossee metafocali responsabili di zoppia. 7) modalità di insorgenza. Vi sono affezioni che insorgono improvvisamente, e altre che insorgono in maniera progressiva. Tra le prime dobbiamo considerare le lesioni di origine traumatica, come fratture e lussazioni, ma non vanno escluse, a priori, quelle affezioni su cui un trauma, spesso banale e non segnalato all anamnesi, può agire come fattore scatenante, come nel caso della riacutizzazione di un focolaio di artropatia degenerativa conseguente a frattura di un osteofita. Tra le cause di zoppia ad insorgenza progressiva vanno ricordate affezioni a carattere evolutivo come la displasia dell anca, del ginocchio, morbo di Legg Perthes, le manifestazioni articolari di osteocondrosi o, ancora, le neoplasie primitive o secondarie dell osso o delle strutture articolari fatto salvo i casi in cui l esordio è l espressione di una frattura patologica secondaria alla neoplasia stessa. Un altra condizione tra le responsabili di zoppia ad insorgenza acuta che va, sicuramente, sottolineata, in quanto è un evenienza clinica frequentemente riscontrabile nella pratica, è la zoppia connessa alla rottura del legamento crociato in soggetto affetto da displasia del ginocchio, nei soggetti di piccola taglia. In questi casi la displasia s instaura in fase di sviluppo corporeo (5-7 mesi). A circa 7-8 anni d età, l alterazione spesso ben compensata, soprattutto per lo scarso peso corporeo di questi soggetti, diviene, improvvisamente, manifesta e l esame clinico mette in evidenza, in prima istanza, una lussazione ricorrente mediale di rotula per cui, si attribuisce spesso, alla paratopia rotulea, la causa della zoppia. Analizzando più a fondo l articolazione spesso, ci si rende conto che alla lussazione di rotula si associa la rottura del legamento crociato craniale che ha reso improvvisamente instabile l articolazione. Esame clinico dell apparto locomotore - 19

20 Esame clinico Un corretto approccio clinico al paziente ortopedico prevede l esecuzione dell esame in varie fasi: ISPEZIONE con il soggetto in movimento in stazione (in piedi) PALPAZIONE del soggetto in piedi per le valutazioni generali e della simmetria delle strutture anatomiche. Con la prima parte dell esame clinico, ed i dati forniti dal segnalamento ed anamnesi, si acquisiscono dati sufficienti sul/i possibile/i arto/i coinvolto/i e, quindi si passa alla seconda fase: ESAME IN DECUBITO focalizzato sull area/e ritenuta/e coinvolta/e. Ispezione con il soggetto in movimento Molte di queste fasi dell esame clinico, con l esperienza, sono svolte in maniera pressocchè automatica; mentre si raccolgono i dati anamnestici, si osserva il soggetto che si muove in ambulatorio, e ci si comincia ad orientare sull arto sede della zoppia, o di come viene utilizzato l arto claudicante. Si fa muovere il cane con e senza guinzaglio in quanto, il movimento con guinzaglio, può condizionare, in taluni casi, la modalità di deambulazione. Si fa camminare il soggetto al passo ed al trotto, poiché le zoppie,soprattutto quelle lievi, sono più evidenti al trotto che al passo. Ciò è dovuto a due motivi: il primo è che nella deambulazione al passo sono poggiati sempre tre arti a terra e, quindi, l arto coinvolto condivide il carico con gli altri due; mentre al trotto sono poggiati solo due arti per volta, per cui, la condivisione del carico dell arto zoppo avviene solo con il controlaterale dell altro bipede. Il secondo motivo è che essendo il trotto, un andatura più veloce del passo, l accelerazione di gravità cui è sottoposto l arto che viene in contatto con il suolo è maggiore e, quindi, la forza di reazione del suolo aumenterà. Tutto questo esita in un incremento delle sollecitazioni meccaniche sulle strutture sede della lesione con aggravamento della zoppia. Si può far camminare il soggetto in cerchi più o meno stretti e, se l arto coinvolto è disposto all interno del cerchio la zoppia può peggiorare. Anche la prova delle scale è utile: le affezioni localizzate agli arti posteriori sono caratterizzate da una maggiore difficoltà a salire le scale. Durante la deambulazione bisogna osservare: Esame clinico dell apparto locomotore - 20

21 1) trasferimento del carico dal bipede anteriore al posteriore o viceversa; se vi è zoppia bilaterale localizzata agli arti posteriori coesisterà il trasferimento di parte del carico sugli arti anteriori. In questi soggetti, infatti, si può avere una tendenza a sovracaricare gli arti anteriori mediante lo spostamento del baricentro in avanti, assumendo una posizione di falsa cifosi, il bipede anteriore viene portato sotto di sé, il collo e la testa abbassati. E molto evidente quest atteggiamento in caso di artropatia bilaterale delle anche (displasia) o delle ginocchia. 2) colpo di testa: nel momento in cui è caricato un arto anteriore zoppo, il soggetto solleva la testa per alleviare il peso sull arto sede della lesione mentre quando carica il controlaterale sano, la abbassa. 3) trasferimento del moto su un altra articolazione. In corso di displasia d anca, l andatura del soggetto si esplica con una discreta oscillazione in senso laterale del rachide lombare. Questa modalità di movimento consente un minore impegno delle articolazioni coxofemorali in quanto, la fase anteriore del passo (spostamento in avanti dell arto), viene agevolata dalla flessione laterale del rachide riducendo così i movimenti dolorosi dell articolazione coxofemorale. Ne consegue che il soggetto con artropatia bilaterale assume un atteggiamento ondeggiante con il treno posteriore. 4) riduzione del range di flesso-estensione: in casi di dolore articolare, il soggetto nella fase anteriore del passo, anziché flettere l articolazione coinvolta per portare l arto in avanti, modifica il movimento amplindo l oscillazione di un altra articolazione, per cui l arto è portato in avanti con un movimento di rotazione esterna, definito falciante. Quando la sede della zoppia è il gomito, si ha spesso una sensibile riduzione della mobilità di quest articolazione che viene mantenuta, durante le varie fasi della deambulazione, con angolo pressoché invariato. Talvolta aumenta la mobilità del carpo come fenomeno compensatorio. 5) accorciamento del passo: la fase anteriore del passo può risultare più corta in caso di affezioni articolari che determinano dolore all estensione dell articolazione coinvolta. Più chiaramente, in corso di OCD della spalla o di frammentazione del processo coronoideo mediale dell ulna l estensione, rispettivamente, della spalla o del gomito si verifica con dolore e la fase anteriore del passo dell arto coinvolto sarà più breve. 6) rumore di strofinio dell unghia sul terreno. questo fenomeno è legato ad un deficit della propriocezione e, quindi, a problemi neurologici. E un parametro da considerare ai fini diagnostico differenziali. 7) durata della fase d appoggio: è ridotta nell arto coinvolto. Ispezione con il soggetto in stazione Si considerano: lo stato di nutrizione la conformazione fisica l atrofia muscolare. L individuazione di atrofia muscolare, può essere utilizzata quale parametro sia per l individuazione dell arto sede di zoppia, sia per la datazione della patologia. In un soggetto a pelo corto, nel quale le dimensioni dell arto non sono condizionate dalla presenza del pelo abbondante, si può avere, già all ispezione, un orientamento diagnostico ben preciso; tale parametro può anche essere dirimente rispetto all eventuale cronicità dell affezione che sostiene la Esame clinico dell apparto locomotore - 21

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