INTERVENTO DELL AVVOCATO MARIO FEZZI (GIUSLAVORISTA)

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1 INTERVENTO DELL AVVOCATO MARIO FEZZI (GIUSLAVORISTA) Prosegue, a rate, l opera di smantellamento dei diritti dei lavoratori. Dopo il dannoso intervento legislativo condotto attraverso la c.d. Legge Fornero, siamo planati su una Riforma del Lavoro (Jobs Act di americana memoria) che sembra avere a cuore solo gli interessi delle imprese, senza tenere in alcun conto la vita e la dignità dei lavoratori. Siamo tutti d accordo sul fatto che eliminati tutti i lacci e i lacciuoli delle leggi sociali le imprese sarebbero in grado di produrre maggiori utili e quindi maggiori profitti. I diritti per i meno fortunati sono sicuramente un costo per le imprese; ma l eliminazione dei diritti rischia di riportarci in un epoca che sembrava superata e in cui un posto di rilievo era riservato al dovere sociale nel fare impresa nel nostro paese. I legislatori (democristiani) del 1969 erano alla ricerca di un sistema che in qualche modo proteggesse la dignità dei lavoratori e al tempo stesso riequilibrasse quell assetto sbilanciatissimo dei rapporti di forza in azienda. E quell equilibrio fu trovato nello Statuto dei diritti dei Lavoratori, approvato definitivamente nel maggio 1970, e fortemente voluto e proposto nel dicembre 1969 da un Governo democristiano presieduto da Mariano Rumor (Ministro del lavoro era Carlo Donat Cattin). Il voto finale avvenne il 14 maggio 1970 in un Parlamento in cui i rappresentanti del PCI si astennero dal voto ( il testo definitivo contiene carenze gravi e lascia ancora molte armi, sullo stesso piano giuridico, al padronato : l Unità del 15 maggio 1970) e la sinistra extra-parlamentare fu estremamente critica nei confronti della legge ( Lo Statuto è un capolavoro di ipocrisia parla- mentare, uno strumento di controllo dell iniziativa operaia : Lotte Operaie, giugno 1970, n.26). Cosa è successo dal 1969 ad oggi perché quella che appariva allora alla sinistra una legge troppo moderata, oggi appaia in diverse sue norme, articolo 18 in testa, come una legge eversiva e distruttrice di ricchezza che le imprese potrebbero invece produrre? Certo: è cambiato il mondo, ma i diritti son sempre quelli. Un omicidio era tale nel 1970 e tale è rimasto oggi: allo stesso modo, un licenziamento illecito oggi, non è diverso, sotto nessun aspetto, da un licenziamento illecito del Ed è mai possibile che quella che nel 1970 appariva come una norma elementare di civiltà (la reintegrazione nel posto di lavoro a fronte di un licenziamento illegittimo), tanto da passare in Parlamento senza particolari difficoltà (ben diversamente da altre norme molto più contrastate: l art. 28, l art. 2, l art. 5) oggi sia additata come il vero ostacolo allo sviluppo del benessere nel nostro paese? E a forza di parlarne male si è poco alla volta fatta strada nella gente l idea che la disoccupazione in Italia dipendesse dall art. 18 s.l., che le imprese estere non investissero in Italia a causa di una norma capestro come l art. 18, che le aziende fossero condannate al nanismo per la necessità di restare sotto i 15 dipendenti e non ricadere quindi nell art. 18, etc. etc. etc.

2 Con la conseguenza che dopo vari tentativi andati male dei governi presieduti da D Alema e poi da Berlusconi, oggi il governo Renzi, nominalmente di centrosinistra, riesce, senza colpo ferire, a inventarsi un contratto a tutele crescenti, che di tutele crescenti non ne ha proprio, e che si limita invece a escludere l art. 18 per tutti i nuovi assunti. E per fare bene le cose, in sovraccarico, vengono fatti anche tanti altri provvedimenti che riducono via via gli spazi di libertà e di dignità dei lavoratori. Come è noto il Decreto Legislativo n.23/2015 è stato definito a tutele crescenti dallo stesso Governo, ma di tutele crescenti in verità non c é traccia. L aumentare dell indennità risarcitoria con il crescere dell anzianità aziendale non può essere considerato una crescita di tutele, ma solo un aumento proporzionale dell indennità. Con questo decreto il sistema previsto dall art. 18 L n. 300 viene rottamato e ne viene introdotto uno nuovo basato sul pagamento di un indennità risarcitoria. La reintegrazione resta solo per i licenziamenti discriminatori (inesistenti, non nella loro essenza, ma nella realtà processuale), per quelli orali e per quelli disciplinari basati su un fatto materiale che venga dimostrato come non accaduto o non determinatosi. Attenzione, però: si esclude che il Giudice possa valutare la proporzionalità del fatto disciplinare addebitato. Ciò significa (oltre alla evidente manifestazione di aperta sfiducia del potere esecutivo nei confronti del potere giudiziario) che l addebito di un fatto vero, ma disciplinarmente poco rilevante (portarsi a casa una matita, fare una telefonata personale con l apparecchio aziendale, utilizzare per cinque minuti il pc aziendale per uso personale, entrare in ritardo, prolungare di poco la pausa pranzo, etc. etc.) se dimostrato vero come fatto storico materiale, impedisce al giudice di reintegrare il lavoratore, essendo obbligato a dichiarare risolto il rapporto di lavoro se il fatto in sé risulta vero (anche se disciplinarmente di scarso rilievo). Nel caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e soggettivo e per giusta causa, se il giudice ritiene che il licenziamento sia illegittimo deve condannare al pagamento di un indennità pari a due mesi per ogni anno di servizio (con un minimo di 4 e un massimo di 24). Se il licenziamento è illegittimo per vizi formali (mancanza di motivazione, mancanza di contesta- zione del fatto disciplinare, etc.) il giudice deve condannare a un indennità tra 2 e 12 mensilità, sempre partendo dalla base di un mese per ogni anno di servizio. Per i licenziamenti collettivi è stato previsto lo stesso regime di quelli per giustificato motivo e per giusta causa: anche se manifestamente illegittimi non danno luogo a reintegrazione ma solo a una indennità, secondo l anzianità aziendale, tra 4 e 24 mensilità. Una novità assoluta è l offerta di conciliazione da parte del datore di lavoro. Dopo aver licenziato un dipendente può fargli un offerta di un indennità di un mese per

3 ogni anno di anzianità (con un minimo di 2 e un massimo di 18); se il lavoratore accetta e rinunzia ad impugnare il licenziamento, questa indennità è totalmente esentasse e esente anche da contributi. Il che sembra dare un vantaggio ingiustificato, in danno di coloro che ritengono di voler comunque impugnare il licenziamento, in caso di conclamata illegittimità. Come detto all inizio, di tutele crescenti non c è traccia (a meno che non voglia chiamarsi così l aumento dei mesi dell indennità che è progressiva con l anzianità aziendale). Si parlava invece di tutele crescenti per il contratto a tempo indeterminato che per i primi 3 anni prevedeva una indennità in caso di licenziamento illegittimo e a partire dal terzo anno, invece, doveva prevedere la reintegrazione con l applicazione integrale dell art. 18. Questo tipo di tutele crescenti è completamente scomparso. L abrogazione sostanziale dell art. 18 (per i licenziamenti individuali e collettivi) dovrebbe garantire la ripresa dell occupazione e di tante nuove assunzioni. Ma perché mai? Come è dimostrato da studi e ricerche è solo il trend positivo economico che può fare da incentivo alla ripresa delle assunzioni. Qualunque altra ragione ha rilievo insignificante. È bensì vero che la situazione economica in apparente ripresa dovrebbe di per sé determinare nuove assunzioni. E a questo dovrebbe aggiungersi l effetto positivo della decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato del 2015 prevista dalla legge di stabilità. Se ci sarà ripresa dell occupazione, sarà dunque per effetto di questi due fenomeni e non certo dell eliminazione dell art. 18. Suscita comunque perplessità il fatto che il Governo non abbia voluto fare marcia indietro almeno per quanto concerne i licenziamenti collettivi, sui quali un chiaro segnale era arrivato dal Parlamento (per la loro eliminazione dal pacchetto che esclude l art. 18). Successivamente il Governo ha approvato gli altri decreti di attuazione della legge delega 183/2014. Uno di questi dovrebbe riordinare le tipologie contrattuali, attraverso l impegno assunto dalla legge delega di eliminare buona parte degli svariati contratti parasubordinati per convogliare tutti i lavoratori all interno del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Difficilmente comprensibile in proposito è l affermazione del Capo del Governo secondo cui, con il decreto sul riordino delle tipologie contrattuali, si eliminerebbe la gran parte dei contratti parasubordinati per convogliare tutti verso il contratto a tempo indeterminato. In realtà i contratti di parasubordinazione restano tutti, eccezion fatta per job-sharing e associazione in partecipazione, oltre ai contratti a progetto. E non è stato minimamente toccato nemmeno il contratto a termine (riducendo, come era stato suggerito, ad almeno 24 mesi il termine massimo di durata del contratto privo di causale): come si pensa di portare tutti nel contratto a tempo

4 indeterminato se si mantiene un contratto (quello appunto a termine) che rappresenta oggi l 80% delle assunzioni e che resta più conveniente per le imprese? E inoltre c è anche da osservare da notare che il decreto approvato prevede che il superamento delle soglie previste per legge o per contratto non determini la conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato, ma venga semplicemente applicata una sanzione amministrativa. Il che rende sostanzialmente inutile l introduzione delle soglie. Per quanto riguarda il contratto a progetto poi, la sua abolizione, a partire dal gennaio 2016, è stata presentata con le medesime suggestioni che avevano visto, dodici anni fa, l eliminazione dei co.co.co. in favore dei co.co.pro. Ho sentito il capo del governo e il suo ministro del lavoro affer- mare che l eliminazione per legge dei co.co.pro produrrà la scomparsa delle false collaborazioni e il mantenimento solo delle genuine collaborazioni autonome. La stessa affermazione era stata fatta nel 2003, all entrata in vigore del D.Lgs.276 che cancellava i co.co.co: e abbiamo visto tutti come i contratti a progetto siano diventati rapidamente un numero incalcolabile. Allo stesso modo è ampiamente prevedibile che la cancellazione dei co.co.pro produrrà l obbligo per i lavoratori a progetto di dover aprire la partita IVA per mantenere una sorta di rapporto di lavoro. E a fianco di un aumento esponenziale di nuove partite IVA si aggiungerà una reviviscenza massiccia del lavoro nero. A questo si aggiunga che i co.co.co. che non diventeranno lavoratori subordinati perderanno anche le tutele oggi previste dalla disciplina del lavoro a progetto. È stato infatti sostanzialmente riscritto l art c.c.. Dal gennaio 2016 le collaborazioni che si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, rientrano nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Questa nuova definizione, che dovrebbe in teoria riportare nel lavoro subordinato le co.co.pro fasulle, potrebbe prestarsi a facili elusioni. Altra notazione negativa è rappresentata dalla modifica dell art c.c. con la previsione della possibilità per le imprese di assegnare al dipendente mansioni inferiori, nel caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali o nelle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, anche aziendale. Inoltre, possono essere stipulati nelle sedi di cui all art. 2113, ultimo comma, c.c. accordi individuali di modifica delle mansioni e del livello di inquadramento (quindi anche oltre un solo livello in meno) e della relativa retribuzione. Come sappiamo nel termine assetti organizzativi aziendali ci sta di tutto e basterà pertanto fare qualche operazione di maquillage per poter giustificare la dequalificazione e il demansionamento di molti lavoratori.

5 Nel saldo attivo (scarsissimo) di questa operazione di riscrittura del diritto del lavoro possiamo metterci la nuova regolamentazione delle dimissioni, che dovrebbe impedire le dimissioni in bianco e le altre forme di dimissioni... forzate. Ed è nuovamente da criticare la modifica sulle pari opportunità, in cui a dispetto delle parole, si creano meccanismi che impediranno l operatività concreta delle Consigliere di Parità. E infine la perla di cui si è parlato troppo poco e che non ha prodotto tutta l indignazione che meritava: la riforma sostanziale dell art.4 dello Statuto dei Lavoratori, quello che impediva i controlli occulti in danno dei lavoratori. Per sintetizzare basterà dire che tutti coloro che utilizzano strumenti elettronici ( e cioè quasi tutti i lavoratori dipendenti) quali Computer, Tablet, Smart-phone, macchine a controllo numerico etc. etc. saranno legittimamente soggetti al controllo a distanza del proprio datore di lavoro che potrà sapere cosa hanno fatto, quando, con quali pause, dove si sono spostati, se hanno fatto telefonate o e mail non di lavoro, potranno leggere le loro mail, o vedere che siti internet hanno visitato, etc, etc, etc. (in questo modo entrando anche nella sfera privatissima dei dipendenti, potendo in tal modo ricostruire gli interessi politici, sindacali, religiosi, sessuali e altro ancora).e i dati così raccolti dai datori di lavoro potranno essere usati per applicare sanzioni disciplinari. Quanto tutto questo possa servire a rendere più produttive le imprese, secondo l auspicio del nostro Capo del Governo, è totalmente incomprensibile. Una norma del genere costituisce invece un vero e proprio attentato alla dignità e alla libertà dei lavoratori. Ce n era proprio bisogno?

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