tesine del corso di biologia e genetica

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1 g a pablo cirrone tesine del corso di biologia e genetica corso integrato di biologia e genetica, scuola di medicina e chirurgia, università di catania Anno Accademico

2 Tesine del corso di Biologia e Genetica, Corso integrato di Biologia e Genetica, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università di Catania c Anno Accademico website: pablo.cirrone@lns.infn.it

3 I N D I C E 1 procarioti, eucarioti e virus Introduzione I procarioti Gli Archaea Bacteria Caratteristiche dei Procarioti Gli Eucarioti Strutture principali di una cellula eucariota Differenze più significative tra Procarioti ed Eucarioti I Virus 16 2 ciclo cellulare e duplicazione del dna Il ciclo cellulare Fasi del ciclo cellulare I punti di controllo Duplicazione del DNA Introduzione Il DNA (o Acido Dessosiribonucleico) La replicazione del DNA 25 3 il concetto di gene e trascrizione degli rna Il concetto di Gene La trascrizione degli RNA Caratteristiche generali della trascrizione Un esempio approfondito: la trascrizione negli eucarioti Funzionamento della RNA polimerasi II Termine della trascrizione 39 4 codice genetico e sintesi proteica Il codice genetico Introduzione 41 iii

4 iv Indice Definizione Il processo di traduzione L apparato di traduzione: i ribosomi e il trna La traduzione La traduzione negli eucarioti 49 5 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche Le mutazioni Introduzione Le mutazioni geniche o puntiformi Le mutazioni cromosomiche Le mutazioni genomiche Altri fenotipi patologici legati a mutazioni Tabelle riassuntive di alcune patologie Il polimorfismo in biologia molecolare Il DNA ricombinante Introduzione Schema semplificato della DNA ricombinante Metodologie analitiche associate al DNA ricombinante Gel elettroforesi Ibridazione molecolare o metodo di Southern blot Amplificazione del DNA in vivo Amplificazione del DNA in vitro Il sequenziamento enzimatico 73 6 genetica umana formale e molecolare Introduzione Gli esperimenti di Mendel Caratteri, Loci, geni Le tre leggi di Mendel Variazioni alla Genetica Mendelliana Dominanza incompleta Codominanza Allelia multipla Pleiotropia L epistasi Il linkage e il crossing over I cromosomi umani 83

5 indice v 7 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari Introduzione I vari modelli di membrana Il modello a mosaico fluido Struttura delle membrane biologiche Il doppio strato lipidico Le proteine di membrana I carboidrati di membrana Meccanismi di trasporto Diffusione semplice Diffusione facilitata Preteine trasportatrici o carrier o permeasi I canali ionici Caratteristiche più importanti della diffusione facilitata Il trasporto attivo Il trasporto attivo diretto La pompa Na + /K Il ciclo della pompa Na + /K I ruoli funzionali della pompa Na + /K Il trasporto attivo indiretto trasduzione del segnale Introduzione I tipi di segnalazione cellulare I Recettori Funzionamento dei recettori Meccanismi molecolari di trasduzione del segnale 110 indice analitico 114

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7 indice vii glossario allele In genetica si definisce allele o fattore ogni variante di sequenza di un gene. allelia multipla Si parla di allelia multipla quando a un solo carattere fenotipico corrispondono più di due alleli dello stesso gene. alcune dimensioni utili Genoma umano: coppie di basi; Cromosoma X: 150 M coppie di basi; Cromosoma Y: 50 M coppie di basi; Genoma di E. Coli: 4.6 M di coppie di basi in 1 cromosoma circolare eritrociti I globuli rossi (o eritrociti o emazie) sono delle cellule del sangue (nei Mammiferi sono prive di nucleo e si chiamano emazie, nei Vertebrati non Mammiferi, come ad esempio gli uccelli, sono nucleate e si chiamano eritrociti, nell uso comune questi termini sono intesi come sinonimi), adibite al trasporto dell ossigeno dai polmoni verso i tessuti e di una parte dell anidride carbonica dai tessuti ai polmoni, che provvedono all espulsione del gas all esterno del corpo. I globuli rossi sono prodotti dal midollo osseo rosso (eritropoiesi), hanno una vita media di 120 giorni e vengono distrutti dal fegato e dalla milza (eritrocateresi). introne Si definiscono introni le regioni non codificanti di un gene (eucariotico o di archeobatteri e cianobatteri) che, insieme agli esoni, vengono trascritte dalle RNA polimerasi. A differenza degli esoni, gli introni, in seguito al processo di splicing del trascritto primario (pre mrna), non si ritrovano negli mrna maturi. leucociti I leucociti (dal greco, leukós bianco e kytos cellula, cavità ) ovvero i globuli bianchi o WBC, sono cellule del sangue. La funzione principale dei leucociti è quella di preservare l integrità biologica dell organismo tramite l attuazione di meccanismi di difesa diretti contro microorganismi patogeni di varia natura (virus, batteri, miceti, parassiti) e contro corpi estranei penetrati nell organismo previo superamento delle barriere costituite dalla cute e dalle mucose.

8 viii indice nucleoplasma E quella parte di una cellula eucariotica separata dal citoplasma da una doppia membrana. Il nucleoplasma contiene il nucleolo, la coromatina e in esso avviene la sintesi dell RNA e la sua maturazione. pleiotropia La pleiotropia (dal greco pleion - molteplice, e tropein, - cambiamento) è un fenomeno genetico per il quale un unico gene è in grado di influenzare aspetti multipli del fenotipo di un essere vivente. Tale capacità, in realtà, è soltanto apparente perché l effetto primario del gene rimane unico, ma determina una serie di conseguenze. Un tipico caso di malattia che mostra effetti pleiotropici è la Fenilchetonuria (o PKU). La fenilchetonuria (OMIM ), causata nella maggior parte dei casi da una mutazione recessiva di un gene sul cromosoma 12 (un autosoma), determina negli individui omozigoti per l allele mutato l assenza dell enzima fenilalanina idrossilasi. Ciò impedisce la conversione dell aminoacido fenilalanina in tirosina. La mancanza di questo aminoacido causa effetti pleiotropici quali problemi nella sintesi di proteine, degli ormoni tiroxina e adrenalina, e carenza di melanina. pirofosfato L idrolisi dell ATP (Adenosin Three Phosfate) in AMP (Adenosin Mono-Phosfate), produce l anione P 2 O 4 7, detto pirofosfato: ATP AMP + PP i (0.1) Quando un nucleotide è incorporato all interno di una catena nascente di DNA o RNA attraverso l azione di una polimerasi viene rilasciato PP i promotore Si indica con promotore il sito del DNA ove si lega l RNA polimerasi prima di iniziare la trascrizione. stroma Tessuto che forma l impalcatura di sostegno di un organo, entro la quale si dispongono le cellule proprie dell organo stesso che nel loro insieme costituiscono il parenchima. A parte il sistema nervoso centrale, il cui lo stroma è costituito dalle cellule della neuroglia, in tutti gli altri organi la struttura di sostegno è formata da tessuto connettivo le cui fibre si dispongono in vario modo a

9 indice 1 formare tralci, sepimenti, reticolati, a seconda dell organizzazione strutturale della parte. Nello stroma di un organo decorrono vasi sanguigni, vasi linfatici e nervi propri dell organo stesso. tripsina La tripsina è un enzima, appartenente alla classe delle idrolasi, che catalizza il taglio proteolitico con specificità per l arginina e la lisina. Nel sito attivo presenta una sequenza specifica che prende il nome di triade catalitica, ovvero Ser195-His57-Asp102. Questi residui amminoacidici, nonostante siano distanti nella struttura primaria, si trovano vicini nella struttura terziaria della proteina. Il substrato della tripsina è rappresentato da una proteina basica. Il ph ottimale per l attività catalitica della tripsina è in un range tra 7 e 9; in realtà ha attività catalitica anche ad altri ph ma l idrolisi mediata da tale proteasi, a ph differenti da quello ottimale, risulta più lenta. La tripsina è dunque in grado di ridurre le proteine a polipeptidi più piccoli o singoli aminoacidi che possono essere assimilati dall intestino: è pertanto un enzima fondamentale nella digestione delle proteine. È prodotta dal pancreas sotto forma di tripsinogeno inattivo, che viene quindi secreto nell intestino tenue dove viene attivato e trasformato in tripsina per mezzo di un taglio proteolitico operato dall enzima enteropeptidasi. La tripsina risultante, con lo stesso meccanismo di taglio proteolitico, è in grado di attivare altre molecole di tripsinogeno. Questo meccanismo di attivazione è comune a molte serin proteasi, ed è utile a prevenire l autodigestione nel pancreas. In laboratorio, viene utilizzata per staccare dalla piastra le cellule in coltura, che crescono per adesione. In primo luogo bisogna rimuovere il terreno di coltura residuo il quale contiene un inibitore della tripsina (alfa-1 antitripsina), poi lavare le cellule con soluzione salina e aggiungerci la tripsina che staccherà le cellule.

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11 1 P R O C A R I OT I, E U C A R I OT I E V I R U S 1.1 introduzione La cosiddetta teoria cellulare individua nella cellula l unità fondamentale, sia funzionale che morfologica, degli organismi viventi. Una cellula, infatti, può essere definita, come la più piccola unità vitale di un organismo che: ha un programma genetico; è in grado di attuarlo in maniera autonomo; è in grado di trasferirlo alla progenie; Tale definizione di cellula è, peraltro, avvalorata dalla esistenza degli organismi unicellulari, come i batteri e i protozoi, dove ogni cellula corrisponde ad un individuo: in questo caso, infatti, ogni cellula risulta essere funzionalmente indipendente a svolgere una attività vitale. Anche negli organismi pluricellulari, tuttavia, dove le singole attività vitali sono affidate a gruppi di cellule, le cellule sono potenzialmente in grado di vivere in maniera indipendente quando rimosse dall individuo di cui fanno parte e se sono mantenute in ambiente appropriato. In base alla loro organizzazione interna e al loro grado di complessità della loro regione nucleare, le cellule dei diversi organismi possono essere divise in due gruppi principali: Quello del gruppo dei Procarioti (da pro = prima e karyon= nucleo); Le cellule procariotiche possiedono infatti il DNA di forma circolare e di dimensioni molto ridotte rispetto quello degli eucarioti, che si trova libero nel citoplasma in una regione definita nucleoide. Il citoplasma delle cellule procariotiche è privo di strutture membranose, ad eccezione dei mesosomi, che derivano dal ripiegamento della membrana plasmatica. I principali organismi procarioti sono i batteri, che si dividono per scissione binaria. 3

12 4 procarioti, eucarioti e virus Quello del gruppo degli Eucarioti (da eu = tipico, vero e karyon = nucleo); le cellule eucariotiche possiedono un involucro nucleare che separa le diverse molecole di DNA lineare, organizzate in cromosomi, dal resto della cellula. L interno della cellula eucariotica è caratterizzato dalla presenza di numerosi organelli intracellulari rivestiti da membrana, come l apparato di Golgi ed il reticolo endoplasmatico. Le cellule eucariotiche si dividono mediante il processo di mitosi e costituiscono la maggior parte degli organismi pluricellulari, come ad esempio protisti, funghi, piante ed animali. Esistono, inoltre, più piccoli e più semplici agglomerati di materia vivente: i virus. Essi possiedono un patrimonio genetico, ma per esprimerlo hanno bisogno di un altra cellula: essi quindi non possono rientrare nella definizione data di cellula come unità vitale fondamentale. 1.2 i procarioti I procarioti, generalmente classificati in due gruppi principali o sottoregni (i Bacteria e gli Archaea), rappresentano i più semplici organismi esistenti. Essi sono tutti unicellulari, anche se possono frequentemente trovarsi in forme aggregate. Essi sono caratterizzati dall avere dimensioni ridotte, da 0.2 µm a 30m e una struttura molto semplice. I procarioti si distinguono quindi in due gruppi: archaea, archaeobacteria: vivono spesso in situazioni di temperatura e ph molto inospitali, hanno caratteristiche (metaboliche, genetiche, strutturali) differenti da batteri (eubatteri) ed eucarioti. Secondo le recenti classificazioni, non fanno parte del regno dei batteri. bacteria, batteri: alcuni gruppi sono i micoplasmi, le rickettsie, gli attinomiceti, le spirochete, le pseudomonas e gli azotofissatori Gli Archaea Gli archei o archibatteri (Archaea o Archaeobacteria) sono una suddivisione sistematica fondamentale, al più basso livello, della vita cellulare.

13 1.2 i procarioti 5 Possono considerarsi regno o dominio a seconda degli schemi classificativi, ma mostrano strutture biochimiche tali da considerarsi un ramo basilare, presto distaccatosi dalle altre forme dei viventi. Secondo alcuni degli schemi classificativi, peraltro piuttosto fluidi e soggetti alla revisione basata sulle più recenti tecniche biomolecolari potevano considerarsi uno dei due regni in cui sono divisi gli organismi procarioti. Nonostante non sia del tutto sicura la filogenesi del gruppo, gli archei sono (insieme agli eucarioti e agli eubatteri) uno dei fondamentali gruppi degli esseri viventi. Sono costituiti da singole cellule mancanti di nucleo e assieme ai batteri sono stati in passato classificati come procarioti o monere. Originariamente sono stati classificati esaminando gli ambienti più estremi di vita, ma successivamente sono stati trovati in tutti gli habitat Bacteria Il regno bacteria, dei batteri (sing. batterio o battere) o eubatteri, comprende microrganismi unicellulari, procarioti, in precedenza chiamati anche schizomiceti, di dimensioni solitamente dell ordine di pochi micrometri, ma che possono variare da circa 0, 2µm dei micoplasmi fino a 30µm di alcune spirochete. Secondo la tassonomia proposta da Robert Whittaker nel 1969, assieme alle cosiddette alghe azzurre o cianoficee, oggi più correttamente chiamate cianobatteri, i batteri costituivano il regno delle monere. La classificazione proposta da Thomas Cavalier- Smith riconosce invece due domini: Prokaryota (comprendente i regni archaea e bacteria) ed eukarya (comprendente tutti gli eucarioti, sia monocellulari che pluricellulari). Fra loro si distinguono per forma in: Bacilli: a bastoncino; si dividono in Clostridia (anaerobi) e Bacilli (anaerobi e/o aerobi) Cocchi: a sfera; se si dispongono a coppia si chiamano diplococchi, a catena si chiamano streptococchi, a grappolo si chiamano stafilococchi, a forma di cubo si chiamano sarcine Vibrioni: a virgola Spirilli: a spirale

14 6 procarioti, eucarioti e virus Spirochete: con più curve Un altra importante suddivisione è quella che li raggruppa secondo l optimum di temperatura alla quale possono crescere. Per questa suddivisione si hanno, tre sottoclassi: batteri criofili o psicrofili batteri mesofili batteri termofili Un ultima classificazione è basata sulla loro relazione rispetto a un organismo: Batteri commensali (simbionti), batteri che sono normalmente presenti sulla superficie di un determinato tessuto, senza causare malattia e/o possono svolgere funzioni che possono essere utili all organo stesso. Batteri patogeni, batteri la cui presenza indica patologia e infezione Patogeni facoltativi, non causano sempre malattia, dipende dall individuo e dalla loro concentrazione Patogeni obbligati, causano in modo indipendente un processo morboso Caratteristiche dei Procarioti In quasi tutti i procarioti il plasmalemma (o membrana plasmatica, o membrana cellulare) è circondato da una membrana, detta parete cellulare composta da peptidoglicano (una molecola formata da una matrice di zuccheri legate tra di loro da catene polipeptidiche trasversali). Il plasmalemma svolge funzioni che negli eucarioti sono svolte da organelli specifici: è sede di numerosi processi molecolari, può avere un ruolo importante nella sua replicazione e svolge buona parte delle funzioni vitali della cellula. La più importante fra queste è indubbiamente quella di trasporto, in cui il movimento delle sostanze idrosolubili (dall esterno verso il citoplasma e viceversa) è sia facilitato che controllato.

15 1.2 i procarioti 7 Figura 1: 1.Capsula, 2.Parete cellulare, 3.Membrana citoplasmatica, 4.Citoplasma, 5.Ribosomi, 6.Mesosoma, 7.Nucleoide (DNA), 8.Flagello Il plasmalemma è anche la sede di particolari molecole proteiche, i recettori, in grado di riconoscere e legare chimicamente composti di varia natura (ligandi)provenienti dal mezzo esterno e penetrati attraverso la parete. Il legame ligando/recettore innesta all interno della cellula una serie di reazioni il cui svolgimento permetterà alla cellula di rispondere adeguatamente alle sollecitazioni ambientali. La Figura 1 rappresenta lo schema di una tipica cellula propcariote Una delle caratteristiche principali delle cellule procariotiche, indice della loro semplicità strutturale e funzionale, è la mancanza di organelli e compartimenti isolati che invece sono una caratteristica delle cellule eucariotiche. Vale infatti su di esse, una osservazione generale: in esse il DNA, gli enzimi e gli altri costituenti sono liberi nel citoplasma; tutte le reazioni metaboliche quindi, non sono compartimentalizzate e l intera cellula opera come una unità singola Le cellule procariotiche contengono una singola e grande molecola di DNA circolare (cui eventualmente si aggiungono repliconi autonomi), localizzato all interno di una struttura a contorni irregolari, immersa nel citoplasma senza la presenza di membrane limitanti e chiamata nucleoide. La dimensione del DNA procariotico può variare da 250m a 1500m e si presenta, a differenza del DNA eucariotico, privo di proteine associate.

16 8 procarioti, eucarioti e virus La zona del citoplasma attorno al nucleoide, che appare elettron-densa al microscopio elettronico, è caratterizzata dalla presenza di piccole particelle, approssimativamente sferiche e dal diametro di nm che sono chiamate ribosomi (da ribo- + sòma=corpo; dimensioni 25 50nm). Nei batteri i ribosomi contengono più di 50 proteine differenti in combinazione con vari tipi di acido Ribonucleico (RNA o rrna). Come nel caso delle cellule procariotiche, i ribosomi rappresentano i siti cellulari dove gli amminoacidi vengono assemblati a costituire le proteine. Altra caratteristica delle cellule procariotiche è quella di essere in grado di muoversi rapidamente grazie all azione di un lungo flagello filiforme che si diparte dalla sua superficie. I flagelli dei batteri sono costituiti da una lunga catena di molecole proteiche. Generalmente la loro struttura è costituita da un unica proteina, la flagellina. I flagelli batterci, che producono movimento avvitandosi nel mezzo acquoso, sono strutturalmente differenti dai più grandi complessi di flagelli eucariotici. 1.3 gli eucarioti La transizione dai procarioti agli eucarioti ha rappresentato una delle transizioni evolutive più importanti; questa transizione, secondo molti studiosi, è seconda solo a quella dell evoluzione delle cellule fotosintetiche. Il problema di come possa essere avvenuto questo passaggio è stato fonte di un accesa discussione. Secondo l ipotesi più diffusa, per circa 2 miliardi di anni, quindi per un tempo maggiore alla metà di quello trascorso dall inizio della vita, sono esistite solo cellule procariota. L origine della cellula eucariota, secondo la teoria attuale e unica accettata per questo salto evoluzionistico, risalirebbe secondo le stime all incirca 1,5 miliardi di anni fa in pieno precambriano, quando alcuni batteri procarioti si stabilirono all interno di altri organismi in una sorta di simbiosi interna permanente. Vi sono attualmente sufficienti prove, analisi ed osservazioni per affermare che gli eucarioti derivano dai procarioti, attraverso il meccanismo di endosimbiosi (Serial Endosymbosis Theory), postulato in forma completa da Lynn Margulis negli anni sessanta. Questa origine può essere distinta in due tappe: la prima comporta la formazione del fagocita primario

17 1.3 gli eucarioti 9 la seconda comporta la non digestione degli organelli (perossisomi, mitocondri, cloroplasti) Strutture principali di una cellula eucariota La caratteristica principale di una cellula eucariotica è quella di essere costituita da un complesso sistema di membrane che, oltre a separare la cellula dal mezzo esterno, concorre a definire, da un punto di vista morfologico, la regione nucleare e suddivide il citoplasma in compartimenti distinti detti organelli. La figura 1 rappresenta uno schema riportante le caratteristiche principali di una cellula Eucariote. Il plasmalemma o membrana cellulare La membrana più esterna è quella detta, come nel caso dei procarioti, membrana plasmatica. Essa è adibita a molteplici funzioni tra le quali quella del trasporto, appare la più importante. tale funzione è attuata grazie alla presenza di canali proteici che attraversano il film lipidico della membrana. Nel plasmalemma alloggiano anche numerosissime proteine a funzione recettrice, molte delle quali sono funzionalmente connesse a sistemi biochimici interni che vengono attivati non appena il recettore sulla superficie cellulare, si accoppia al suo specifico ligando. Allo stesso modo, anche le interazioni cellula/cellula sono affidate al plasmalemma e questo è cruciale sia nella formazione degli organismi pluricellulari che nello sviluppo di sistemi di aticorpo. In contrasto con i procarioti, il plasmalemma eucariotico non contiene molecole implicate nel metabolismo energetico. Il nucleo Nelle cellule eucariote esiste, all interno del cistoplasma, una zona separata chiamata regione nucleare, nucleoplsma o nucleo. Tale zona è separata dal citoplasma da una membrana nucleare costituita da due membrane concentriche. Citoplasma e nucleoplasma possono comunicare attraverso piccole aperture (70 90nm di diametro) poste sulla mebrana nucleare detti annulus. L annulus sembra controllare il passaggio delle

18 procarioti, eucarioti e virus 10 Tabella 1: Schema di una tipica cellula Eucariote

19 1.3 gli eucarioti 11 molecole più grosse come RNA e proteine. Nel nucleo, la maggior parte dello spazio è occupato da agglomerati di fibre sottili, irregolarmente ripegate. Tali fibre, che hanno un diametro compreso tra i 10ei30nm, contengono il DNA nucleare associato a due tipi principali di proteine: gli istoni e le proteine non-istoniche. Gli istoni svolgono una funzione prevalentemente strutturale. Le proteine non-isoniche, al contrario, sovraintendono ad una delle più importanti funzioni cellulari: la regolazione della attività genica. L insieme del DNA e delle proteine ad esso associato costituisce la cromatina nucleare. A differenza dei procarioti, il DNA eucariotico non è concentrato in una singola molecola circolare ma suddivisa in un certo numero di molecole lineari. Ogni singola molecola, unita alle proteine associate, costituisce un cromosoma. All interno della cromatina sono poi presenti i nucleoli, corpuscoli fortemente addensati che, pur non possedendo alcuna membrana, mostrano contorni chiaramente ben definiti. I nucleoni rappresentano quella parte di cromatina specializzata nella sintesi ed assemblaggio delle subunità ribosomiali. Il nucleo occupa il più alto livello gerarchico fra i centri di controllo di tutte le attività cellulari. Le informazioni per la sintesi delle proteine cellulari sono codificate nel DNA cromatinico. Ogni segmento di DNA contenente l informazione per sintetizzre una particolare molecola proteica, costituisce un gene. L informazione genica viene copiata tramite un RNA messaggero o mrna, molecola che raggiunge il citoplasma attraversando la membrana nucleare al livello del complesso del poro. Il citoplasma Il citoplasma occupa circa la metà del volume totale della cellula e vi si trovano disperse tutte le sostanze chimiche vitali tra cui sali, ioni, zuccheri, una grande quantità di enzimi e proteine e la maggior parte dell RNA. Il liquido costituisce circa il per cento delle sostanze contenute nel citoplasma, ed è formato inoltre da sali minerali, sostanze organiche e inorganiche. La matrice citoplasmatica può essere definita plasmagel o plasmasol a seconda dello stato di aggregazione delle proteine.

20 12 procarioti, eucarioti e virus Nelle cellule eucariote, il citoplasma contiene un intelaiatura formata da una complessa rete di filamenti costituiti da proteine fibrose e/o globulari che costituiscono il citoscheletro. Il citoscheletro conferisce alla cellula la sua forma caratteristica, rende possibili gli spostamenti degli organuli cellulari e coordina funzioni biologiche fondamentali. Gli organuli cellulari principali contenuti nel citoplasma sono: I Mitocondri (da mitos = filo e chondros = granulo): lunghi tra 1 µm e 4 µm, essi sono spesso chiamati le centrali energetiche della cellula, in quanto sono la sede di quelle reazioni ossidative che rilasciano l energia necessaria allo svolgimento delle diverse attività cellulari. Il combustibile che loro usano per queste reazioni è rappresentato dai derivati chimici di tutte le più importanti molecole biologiche, come i carboidrati, i grassi, le proteine e gli avidi nucleici. Il nome che hanno, riflette la sua variabile morfologica: essi infatti possono presentarsi come corpuscoli filiformi o come granuli compatti, in relazione al tipo cellulare considerato o, nella medesima cellula, in funzione del momento metabolico. I mitocondri sono organelli parzialmente autonomi e sono provvisti di un loro DNA, di ribosomi, di enzimi e di altri fattori richiesti dai processi di trascrizione e sintesi proteica. i Ribosomi eucariotici: di diametro compreso tra i 25 nm e i 35 nm, sono organelli che possono travarsi liberi nel citoplasma - o ancorati al reticolo endoplasmatico ruvido - e sono le particelle responsabili della sintesi proteica. La loro funzione è quindi quella di sintetizzare le proteine leggendo le informazioni contenute in una catena di RNA messaggero (mrna). I ribosomi liberi sintetizzano quelle proteine che faranno parte integrante delle strutture cellulari (proteine strutturali). Quelli invece legat agli elementi membranosi, verranno impegati nell assemblaggio di quelle molecole proteiche destinate alle membrane (come i recettori di membrana), o che verranno racchiuse in vescicole e stipate nel citoplasma o, infine, che andranno a far parte dei materiali secreti dalla cellula. I Lisosomi (da lysis=dissoluzione e soma=corpo; dimensioni tipiche tra 50 nm e 1µm di diametro): è una vescicola presente in numerose copie in cellule eucariote e rappresenta il sistema digerente della cellula in quanto è responsabile della degradazione e

21 1.3 gli eucarioti 13 della digestione (distruzione) di molecole estranee e macromolecole ingerite dalla cellula via endocitosi così come di macromolecole endogene. I lisosomi si occupano del turnover degli altri organelli della cellula stessa. Attraverso questo stesso processo i globuli bianchi sono in grado di disfarsi di microrganismi patogeni o cellule morte precedentemente fagocitate. La degradazione avviene per mezzo di enzimi idrolitici (chiamati per questo idrolasi acide) contenuti nell organello in grado di degradare proteine, lipidi e carboidrati nei loro costituenti elementari per poi, quando possibile, venire riutilizzati in altro modo o essere espulsi. Questi enzimi si attivano a ph bassi (4,8), e questo è importante poiché riduce il pericolo della distruzione della cellula ospitante qualora vi sia la liberazione accidentale di tali enzimi nel citoplasma (che ha ph 7). Per Il Perossisoma (o microbodies) è un organello cellulare vescicolare di circa 0,5-1 µm di diametro separato dal citoplasma da una membrana che contiene almeno 50 enzimi ossidativi. In generale i perossisomi sono considerati comparti metabolici specializzati, contenenti enzimi in grado di trasferire idrogeno da diverse sostanze e legarlo all ossigeno per la formazione di perossido di idrogeno (H2O2). In una cellula epatica vi possono essere fino a 600 perossisomi all interno dei quali è a volte rintracciabile un nucleo denso che contiene vari enzimi come l urato ossidasi, la catalasi, il D-amminoacido ossidasi. I perossisomi esercitano molte azioni che vanno dall ossidazione degli acidi grassi a lunga catena (detta beta-ossidazione), alla sintesi del colesterolo e degli acidi biliari nelle cellule epatiche, alla produzione di plasmalogeni. Intervengono altresì nel metabolismo degli amminoacidi e delle purine e prendono parte al processo di smaltimento dei composti metabolici tossici. I perossisomi elaborano al loro interno il perossido di idrogeno (H2O2), (da cui presero il nome) a seguito dei processi di ossidazione, catalizzati da vari enzimi (urato ossidasi, glicolato ossidasi, amminoacido ossidasi) che per svolgersi necessitano di ossigeno molecolare (O2). Il perossido di idrogeno è altamente reattivo ed ha azione ossidante per cui viene subito eliminato dall enzima catalasi

22 14 procarioti, eucarioti e virus L apparato di Golgi: è un organulo di composizione lipo-proteica. Esso è formato da cisterne membranose appiattite, impilate le une sulle altre, deputate alla glicosilazione, cioè produzione di glicolipidi e glicoproteine (mediante l aggiunta di residui glucidici). L apparato di Golgi ha una funzione molto importante ovvero di rielaborare, selezionare ed esportare i prodotti cellulari. Questo organulo può interagire con altri (come il reticolo endoplasmatico rugoso) per indirizzare ed etichettare certe vescicole contenenti prodotti cellulari verso la loro destinazione, che può essere quello di confluire in altri organi o ingranare nella membrana plasmatica e farne uscire il contenuto. Il centriolo: è un organello presente nella maggior parte delle cellule animali, in alcuni funghi, alghe e piante inferiori. Nella variante base ha struttura cilindrica cava (lunga circa 0,5 micron e larga 0,2) la cui parete è formata da nove triplette di microtubuli ed è dotato di appendici all estremità distale. I centrioli si trovano in coppia e solitamente sono disposti tra di loro a formare un angolo retto. Assieme ad un materiale elettrondenso che li circonda, chiamato materiale pericentriolare (PCM), costituiscono ciò che Theodor Boveri denominò centrosoma, il più importante centro organizzatore dei microtubuli della cellula. Essi svolgono una funzione essenziale durante la mitosi, in quanto sono coinvolti nell assemblaggio del fuso mitotico, pur non enucleando direttamente i microtubuli Differenze più significative tra Procarioti ed Eucarioti Gli eucarioti si distinguono dai procarioti anche per numerose caratteristiche a livello molecolare quali, ad esempio: diverse proprietà delle sequenze genomiche regolatrici geni organizzati in introni ed esoni con conseguente processamento (splicing) del trascritto primario trascrizione e traduzione di un trascritto sono eventi separati nello spazio e nel tempo

23 1.3 gli eucarioti 15 i trascritti eucariotici non sono (quasi) mai policistronici, ossia portano una sola ORF percentuale di DNA non codificante molto più elevata DNA associato ad istoni diversa percentuale di G-C nel genoma presenza di colesterolo nella membrana cellulare, tranne che nei funghi, nelle piante e in alcuni protisti che, pur essendo eucarioti non presentano colesterolo nella membrana. Solo negli eucarioti si ha riproduzione sessuale: le cellule eucariote presentano due modi di divisione: la mitosi e la meiosi. Tutte le cellule possono dividersi attraverso il processo di mitosi, ma solo quelle diploidi possono subire la meiosi.

24 16 procarioti, eucarioti e virus La tabella 3 riporta in forma schematica le principali caratteristiche morfologiche e molecolari e le principali differenze tra eucarioti e procarioti. 1.4 i virus I virus (o vira, virales, virii a seconda degli schemi tassonomici ed ambiti di indagine) sono entità biologiche con caratteristiche di parassita obbligato, la cui natura di organismo vivente o struttura subcellulare è discussa, così come la trattazione tassonomica. Per tale ragione sono considerati l anello di congiunzione tra composto chimico e organismo vivente. La singola particella virale viene denominata virione. Le dimensioni dei virus partono da circa 10 nm, i più grandi possono raggiungere i 450 nm e il mimivirus i Alcuni virus filamentosi superano di poco in lunghezza il micron. Possono essere responsabili di malattie in organismi appartenenti a tutti i regni biologici: esistono infatti virus che attaccano batteri (i batteriofagi, vedi Figura 2), funghi, piante e animali, compreso l uomo. Figura 2: Tipico Virus Batteriofago

25 1.4 i virus 17 Tabella 2: Principali difference tra una cellula procariotica e una eucariotica Procarioti Eucarioti Nucleo non ben definito e la zona dove è concentrato il DNA è chiamato nucleoide La membrana plasmatica è rivestita da una parete che ne conferisce una grossa rigidità Sono più strutturati e complessi Hanno maggiori dimensioni (fino a 10 volte) Non presentano compartimentalizzazione La compartimentalizzazione è una loro caratteristica fondamentale Contengono i cosiddetti organuli: compartimenti specializzati in funzioni specifiche Nucleo ben definito e diviso dal citoplasma da una membrana specifica Questo non è vero per gli eucarioti (tranne che per i funghi, le piante e la maggior parte dei protozoi) I cromosomi sono contenuti nel nucleoide Cromosomi contenuti nel nucleo Il patrimonio genetico è costituito da un singolo cromosoma: un DNA di forma circolare a doppio filamento Contengono vari cromosomi solitamente in forma lineare e il loro numero è specie-specifico Il DNA è quasi privo di proteine associate Il DNA è associato a proteine istoniche e non istoniche I ribosomi eucariotici sono più grandi di quelli procariotici perchè contengono più proteine Il plasmalemma contiene molecole implicate nel metabolismo energetico La lunghezza massima del DNA è di circa 1500 mu m Il plasmalemma non le contiene Il DNA totale può arrivare fino ad 1 metro

26 18 procarioti, eucarioti e virus I virus sono mediamente circa 100 volte più piccoli di una cellula e possiedono di alcune caratteristiche fondamentali: tutti posseggono un relativamente piccolo genoma costituito da DNA o RNA, che trasporta l informazione ereditaria; tutti posseggono, quando all esterno della cellula ospite, una copertura proteica (capside) che protegge questi geni; entità simili ma prive del capside appartengono ai viroidi. alcuni posseggono un ulteriore rivestimento che si chiama pericapside, di natura lipoproteica; alcuni posseggono strutture molecolari specializzate ad iniettare il genoma virale nella cellula ospite. Il loro comportamento parassita è dovuto al fatto che non dispongono di tutte le strutture biochimiche e biosintetiche necessarie per la loro replicazione. Tali strutture vengono reperite nella cellula ospite in cui il virus penetra, utilizzandole per riprodursi in numerose copie. La riproduzione del virus spesso procede fino alla morte della cellula ospite, da cui poi dipartono le copie del virus formatesi. I virus sono tutti parassiti endocellulari obbligati. All esterno delle cellule ospiti sono costituiti da un virione, formato da una capsula proteica (detta capside) contenente il RNA. I virus degli Eucarioti possono possedere anche una membrana che avvolge il capside detta peplos o pericapside. Talvolta tra il capside e il peplos presentano un ulteriore strato proteico che prende il nome di tegumento. I virioni non possiedono metabolismo: vengono quindi trasportati passivamente finché non trovano una cellula da infettare. L infezione di una cellula ospite richiede il legame con proteine specifiche di membrana. Nelle cellule infettate i virus perdono la loro individualità strutturale: consistono negli acidi nucleici e nei loro prodotti che assumono il controllo di parte dell attività biosintetica cellulare al fine di produrre nuovi virioni. In alternativa, alcuni virus possono inserire fisicamente il loro genoma in quello dell ospite in modo che sia replicato insieme ad esso. Il genoma virale inserito in quello dell ospite, detto provirus, riprende la sua individualità e produce nuovi virioni in caso di danneggiamento della cellula ospite. Una particella virale completa, o virione, è costituita da una o più molecole di acidi nucleici, rivestite da subunità di natura proteica (cap-

27 1.4 i virus 19 someri) legate all acido nucleico ed ordinate in modo da formare un elemento di rivestimento, detto capside. Questo svolge innanzi tutto una funzione di protezione dell acido nucleico virale (il genoma del virus); interviene anche nei processi di traslocazione del virus all ospite e al vettore; determina le caratteristiche antigeniche del virus. I virus possono avere un rivestimento lipidico - fosfolipidico derivante dalla membrana cellulare della cellula ospitante; eventuali Glucidi di superficie presenti provengono interamente da essa. Virus con detto rivestimento possono essere subordinati ad esso per la loro infettività, ingannando il sistema immunitario dell organismo ospite. Il capside è composto da proteine codificate dal genoma virale e la sua forma può servire come base per la distinzione morfologica. Proteine associate con acidi nucleici sono noti come nucleoproteine e l associazione di proteine del capside virale con acido nucleico virale è chiamato nucleocapside. In generale abbiamo quattro fondamentali tipi morfologici di virus: Elicoidali, Poliedrici, Dotati di rivestimento e Complessi, come i batteriofagi.

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29 2 C I C L O C E L L U L A R E E D U P L I C A Z I O N E D E L D N A 2.1 il ciclo cellulare Il ciclo cellulare, o ciclo di divisione cellulare, è la serie di eventi che avvengono in una cellula eucariote tra una divisione cellulare e quella successiva. La durata del ciclo cellulare varia col variare della specie, del tipo di cellula e delle condizioni di crescita. Negli organismi pluricellulari alcune cellule una volta raggiunta la maturità perdono la capacità di dividersi. Il ciclo cellulare è un processo geneticamente controllato, costituito da una serie di eventi coordinati e dipendenti tra loro, dai quali dipende la corretta proliferazione delle cellule eucariotiche. Gli eventi molecolari che controllano il ciclo cellulare sono ordinati e direzionali: ogni processo è la diretta conseguenza dell evento precedente ed è la causa di quello successivo. È caratterizzato da cinque fasi: G1,S,G2, mitosi e citodieresi(non presente in figura) G sta per GAP (Intervallo). Molti geni coinvolti nella progressione del ciclo cellulare sono stati individuati agli inizi degli anni settanta grazie ad uno studio condotto da Lee Hartwell e collaboratori sul lievito Saccharomyces cerevisiae, un microrganismo eucariotico unicellulare che si presta molto bene alle analisi genetiche; grazie a questo lavoro furono isolati e caratterizzati mutanti che presentavano alterazioni nelle diverse fasi del ciclo cellulare (Hartwell, 1974). Nelle cellule eucariotiche la progressione attraverso le varie fasi del ciclo cellulare risulta essere finemente regolata dalle chinasi ciclina-dipendenti o CDK (Cyclin-dependent Kinases) una famiglia di proteine chinasi la cui attività dipende dalla loro associazione con delle subunità proteiche regolative dette cicline; queste ultime sono proteine instabili, sintetizzate e degradate periodicamente, che si accumulano in fasi del ciclo specifiche e che non solo attivano le CDK, ma ne determinano anche la specificità di substrato. Leland H. Hartwell, R. Timothy Hunt e Paul M. Nurse hanno vinto il 21

30 22 ciclo cellulare e duplicazione del dna Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2001 per la loro scoperta del ruolo centrale di queste molecole nel ciclo cellulare. Le scoperte sono state ottenute studiando il ciclo cellulare rispettivamente nel lievito gemmante Saccharomyces cerevisiae, nelle uova del riccio di mare Sphaerechinus granularis ed nel lievito a fissione Schizosaccharomyces pombe. Negli eucarioti multicellulari la necessità di rispondere a una maggiore quantità di stimoli esterni ed interni ha permesso l evoluzione di molteplici e diverse CDK: i vari complessi CDK - ciclina che si formano durante il ciclo cellulare di tali organismi cambiano sia per quanto riguarda la subunità regolatoria (ciclina) sia per quanto riguarda la subunità catalitica (CDK). In ogni periodo del ciclo cellulare è presente quindi un solo tipo di complesso CDK - ciclina cataliticamente attivo e, a seconda del complesso formatosi, vengono fosforilate molecole bersaglio differenti. Oltre all azione regolatoria della ciclina, il complesso CDK - ciclina è anche soggetto all azione di inibitori in grado di legarsi a tale complesso e di renderne inattiva la subunità catalitica: questa classe di proteine prende il nome di CKI (CDK Inhibitors). Inoltre, determinati siti della subunità catalitica delle CDK risultano essere bersaglio di molte chinasi e fosfatasi che, determinando lo stato di fosforilazione del complesso, ne modulano più finemente la sua attività Fasi del ciclo cellulare vil ciclo cellulare è un evento molto importante, per questo motivo è regolato in tutte le sue dimensioni. Affinché l informazione genetica venga correttamente trasmessa dalla cellula madre alle cellule figlie, il genoma deve essere prima duplicato durante il periodo di tempo denominato fase S e in seguito i cromosomi devono venire segregati nelle due cellule figlie durante la fase M. La fase M è a sua volta composta da due processi, strettamente collegati: la mitosi, durante la quale i cromosomi della cellula sono divisi tra le due cellule figlie e la citodieresi, che comporta la divisione fisica del citoplasma della cellula.

31 2.2 duplicazione del dna I punti di controllo Il ciclo cellulare è un processo estremamente importante; errori in questo processo potrebbero compromettere la vitalità cellulare. Per tale motivo, nel ciclo cellulare, sono presenti dei punti di controllo o checkpoints, localizzati a livello delle transizioni G1/S e G2/M. Infatti, tra le fasi S ed M ci sono normalmente due periodi di tempo detti gap: G1 fra la fine della mitosi e l inizio della fase S e G2 fra il termine della fase S e l inizio della fase M. In questi periodi di tempo si ha la maggior parte della sintesi proteica con conseguente aumento della massa cellulare e la realizzazione dei controlli che impediscono l inizio della fase successiva se non è stata completata quella precedente. Le fasi G1 e G2 sono quelle che possono subire la maggior variabilità di durata e in alcuni casi particolari possono anche essere eliminate, contrariamente alle fasi S e M che sono essenziali e che rappresentano due eventi chiave del ciclo cellulare. L insieme delle fasi G1, S e G2 è globalmente identificato come interfase. Si dice che le cellule che hanno smesso di dividersi, in modo temporaneo o irreversibile, sono in uno stato di quiescenza (fase G0). Le cellule nervose e quelle striate dei muscoli scheletrici, ad esempio, rimangono in questo stadio per tutta la vita dell organismo. Le cellule che non vanno più incontro a divisione in seguito ad invecchiamento o a danneggiamento del DNA sono invece chiamate senescenti. È da osservare che la mitosi produce sempre due cellule geneticamente identiche alle cellula madre e che la maggior parte degli organuli citoplasmatici si distribuisce casualmente nelle cellule figlie. 2.2 duplicazione del dna Introduzione Durante la fase S dell interfase, le cellule replicano il loro DNA in preparazione alla divisione mitotica e meiotica, con un accurato ed efficiente processo. Una volta completata la replicazione, la maggior parte dei pochi errori introdotti viene corretta da meccanismi di riparazione che analizzano il DNA al fine di trovare appaiamenti errati nelle basi ed altre irregolarità. Il risultato è una duplicazione quasi perfetta dell informa-

32 24 ciclo cellulare e duplicazione del dna zione genetica L accurato ed efficiente processo di replicazione del DNA, che avviene immediatamente prima del processo di divisione cellulare, permette ad ogni cellula il mantenimento di quel grado di ordine che è necessario al trasferimento della informazione genetica della cellula parentale che si trova pronta a essere suddivisa in due cellule figlie. I pochi errori che rimangono dopo la duplicazione e la riparazione del DNA (le mutazioni), sono molto importanti per il processo evolutivo, in quanto rappresentano la principale sorgente di variabilità su cui agisce la selezione naturale. Le mutazioni, parimenti, sono alla base della comparsa dei fenotipi patologici caratterizzanti la maggior parte delle malattie cui un essere vivente incorre durante la sua vita Il DNA (o Acido Dessosiribonucleico) Il DNA è un lungo polimero lineare costituito da subunità ripetute, i nucleotidi e esso rappresenta, insieme all RNA (acido ribonucleico), la molecola informazionale di tutti gli esseri viventi. La sequenza dei nucleotidi negli acidi nucleici costituisce un codice che conserva e trasmette le istruzioni necessarie per assemblare tutti i tipi di proteine. Un nucleotide, da un punto di vista chimico, è costituito da tre unità legate tra di loro da legami di tipo covalente (Figura 3): 1. Una base contenente azoto 2. uno zucchero a cinque atomi di carbonio 3. Uno o più gruppi fosfato Per formare il DNA e l RNA i nucleotidi si uniscono tra di loro attraverso legami detti fosfodiesterici che si formano tra il carbonio 5 dello zucchero (ribosio o desossiribosio) e il carbonio 3 dello zucchero successivo. Sono cinque le basi che formano gli acidi nucleici, due appartenenti alla classe delle purine (l adenina e la guanina) e tre appartenenti a quella delle pirimidine (l uracile, la timina e la citosina). Nel DNA l accoppiamento delle basi avviene attraverso legami ad idrogeno doppi o tripli e sempre in modo che la Citosina è legata alla Guanina e l Adenina alla Timina. Nell RNA la Timina è sotituito dall Uracile. Come fu proposto per la prima volta nel 1953, nelle cellule il DNA esiste come una doppia elica che contiene due catene di nucleotidi intrecciate. Le basi sono attaccate agli zuccheri e si estendono all interno

33 2.2 duplicazione del dna 25 Figura 3: Struttura chimica di un nucleotide (adenina). verso l asse dell elica. Nella doppia elica del DNA, le due catene nucleotidiche procedono in direzioni opposte e sono, quindi, antiparallele: i legami fosfato di una catena, per esempio, se disegnati dal basso verso l alto, si estendono dal carbonio 5 dello zucchero inferiore al carbonio 3 dello zucchero superiore per ciascun legame. Sull altra catena i legami 5 3 procedono in direzione opposta dall alto verso il basso. Questa caratteristica della struttura del DNA ha un importante significato sia per la sua replicazione sia per la trascrizione dell RNA, poichè una nuova catena di DNA o RNA che si sta copiando deve procedere nella direzione opposta rispetto quella del suo stampo (3 5 ) La replicazione del DNA Il meccanismo di duplicazione è di tipo semiconservativo Il cosidetto stampo del DNA o DNA templating è il meccanismo che le cellule adoperano per copiare la sequesnza nucleotidica di una delle catene del loro DNA in una complementare (Figura 4). Poichè i due filamenti nucleotidici che costituiscono il DNA, sono complementari, ognuno di esso può servire come stampo per la sintesi della metà mancante quando questi si separano dopo lo srolotamento. Il meccanismo che da origine a molecole replicate, ognuna delle quali formate dal vecchio filamento nucleotidico usato come stampo ( o template) e da quello nuovo è indicato come replicazione semiconservativa.

34 26 ciclo cellulare e duplicazione del dna Figura 4: La doppia elica del DNA agisce da stampo per la propria duplicazione. Schema della replicazione L assemblaggio dei singoli nucleotidi del DNA nel filamento è catalizzato da un gruppo di enzimi noto come DNA polimerasi. Questi enzimi utilizzano come substrati i quattro nucleotidi nella nella forma di nucleosidi trifosfati: la dedossiadenosina trifosfato (datp), la desossiguanosina trifosfato (dgtp), la desossicitidina trifosfato (dctp) e la timidina trifosfato (TTP). Le DNA polimerasi differiscono dalle RNA polimerasi (gli enzimi che come vedremo, sintetizzano le catene di RNA) oltre che per la presenza del desossiribosio al posto del ribosio come zucchero, principalmente per la necessità della oresenza di un innesco, o primer, per iniziare la sintesi. Esse sono in grado, in fatti, di iniziare una sintesi solo aggiungendo nucleotidi alla fine di un filamento nucleotidico preesistente che agisce da innesco per la reazione. In natura è l RNA usato come innesco e ad un certo punto, dopo che la sintesi del DNA ha avuto inizio, esso è degradato e sostituito da DNA. Lo schema della polimerizzazione di una nuova catena di DNA è mostrato in Figura 5. Essa procede a partire dall innesco (primer strand). L enzima DNA polimerasi (non mostrato in figura) si lega al gruppo 3 -OH dell innesco e riconosce la prima base che deve essere copiata sullo stampo. Nella Figura 5 questa prima base è la guanina. La presenza della guanina, determina il legame dell enzima con il substrato dctp (desossicitidina trifosfato) che viene prelevato dal gruppo di nucleotidi circostanti. E da

35 2.2 duplicazione del dna 27 Figura 5: La doppia elica del DNA agisce da stampo per la propria duplicazione.

36 28 ciclo cellulare e duplicazione del dna notare come, tutti e quattro i nucleotidi trifosfati (datp, dgtp, dctp e TTP) collidono e legano debolmente la DNA polimerasi, ma normalmente solo il nucleotide che da luogo al corretto appaimento con la base presente nello stampo (in questo caso dctp), si legherà. Il forte legame che si viene a creare tra enzima e substrato, mantiene il dctp appaiato alla guanina dello stampo in una posizione tale da favorire la formazione del legame covalente tra il gruppo 3 -OH (che si trova al termine dell innesto) ed il gruppo fosfato più interno legato al carbonio 5 del dctp. A questo punto gli ultimi due fosfati (il pirofosfato) vengono eliminati, mentre il rimanente fosfato viene legato all ossigeno del 3 -OH, dando luogo al legame fosfodiesterico 3 5 tra l innesco e il nucleotide aggiunto. In seguito alla formazione del primo legame fosfodiesterico, l enzima si sposta verso la successiva base dello stampo di DNA (che nel nostro caso è una adenina). In questo caso l enzima preleverà una TTP e catalizzerà la formazione del secondo legame fosfodiesterico tra la timina e l adenina. Il processo quindi si ripete continuando ad aggiungere nucleotidi complementari in successione al filamento nascente di DNA. E chiaro che ogni nucleotide che viene aggiunto ad un gruppo 3 -OH fornisce, a sua volta, un gruppo 3 -OH necessario alla successiva reazione. Ne consegue che un gruppo 3 -OH è sempre presente sull estremità della catena crescente e che quindi la sintesi procede in direzione 5 3. Tutte le DNA polimerasi aggiungono i nucleotidi solo in questa direzione. La reazione che aggiunge nucleotidi al filamento nascente di DNA si svolge secondo la stessa procedura che viene seguita dalla cellula nel corso della trascrizione dell RNA. Essa si differisce tuttavia per la presenza dell innesco (o primer) e per il fatto che nella duplicazione del DNA, la doppia elica stampo deve srotolarsi completamente affinché la replicazione sia semiconservativa. Sdrolotamento e duplicazione del DNA procedono in prossimità di una forcella che si muovo in modo unidirezionale lungo lo stampo di DNA. Per oroginare una forcella unidirezionale, i due filamenti nucleotidici dello stampo di DNA si devono srotolare e reoplicare simultaneamente nella stessa direzione. Tuttavia, poichè i due filamenti sono antiparalleli, solamente uno di essi si presenta al meccanismo di replicazione nella direzione richiesta 3 5 mentre l altro mostra una direzione non funzionale. Questo problema viene risolto da un meccanismo specifico che fa in modo di replicare questo fila-

37 2.2 duplicazione del dna 29 mento in piccoli frammenti disposti in direzione opposta al movimento della forcella. I meccanismi specifici della replicazione Ricerche specifiche in sistemi procariotici ed eucariotici hanno suggerito un modello che, pur essendo diverso nei dettagli, è applicabile ad entrambi i gruppi di organismi ed anche a molti virus che li infettano. Tale modello che include tre meccanismi peculiari (svolgimento del DNA, sintesi dell innesco e movimento unidirezionale della forcella), coinvolge l attività coordinata di fattori ed enzimi specializzati. Svolgimento del DNA Tale meccanismo dipende da un enzima detto elicasi che si muove lungo lo stampo a doppia elica, proprio di fronte alla DNA polimerasi, separando al suo passaggio i filamenti dello stampo. Per effettuare la reazione di svolgimento, l elicasi utilizza una molecola di ATP per ogni giro di elica svolto. Il processo di svolgimento causa degli arrotolameneti forzati della doppia elica del DNA e, quindi, delle zone nelle quali c è una addensamento forzato della catena. Al fine di allentare la tensione meccanica che così si viene a creare, intervengono degli enzimi, detti DNA topoisomerasi, che producono una rottura di fronte alla forcella permettendo il rilascio degli avvolgimenti. Sintesi dell innesco e polimerizzazione Quando il DNA si svolge una RNA polimerasi specializzata, chiamata primasi sintetizza gli inneschi. La primasi si attacca al filamento stampo e catalizza la sintesi di un innesco di RNA (l RNA primer) lungo da 5 a 10 nucleotidi. Gli inneschi vengono assemblati su entrambi i lati della forcella in direzione 5 3 : lungo un filamento nella direzione di svolgimento, lungo l altro nella direzione opposta. La DNA polimerasi aggiunge nucleotidi in modo sequenziale agli inneschi. Come per la sintesi degli inneschi, la polimerizzazione procede in direzione 5 3 su ambedue i lati della forcella, in modo che i nucleotidi siano aggiunti ad un filamento nella direzione dello srotolamento e all altro nella direzione opposta. Dopo aver svolto la propria funzione gli inneschi vengono rimossi o dalle molecole di DNA polimerasi oppure da una RNAasi specializzata in questa funzione in questa funzione. Una differente

38 30 ciclo cellulare e duplicazione del dna DNA polimerasi colma le lacune (gap) originate dalla rimozione degli inneschi aggiungendo nucleotidi sino ad appaiare anche le ultime basi rimaste. Poichè la DNA polimerasi, poi, non è in grado di collegare l estremità 3 del gap riempito all estremità 5 del frammento successivo, rimane una interruzione nel singolo filamento. Questa interruzione viene riparata dal ultimo enzima principale coinvolto nella duplicazione del DNA, la DNA ligasi. Utilizzando ATP o NAD quali fonti di energia, essa determina la formazione dell ultimo legame diesterico necessario all assemblaggio dei frammenti in un unica catena nucleotidica di DNA.

39 3 I L C O N C E T TO D I G E N E E T R A S C R I Z I O N E D E G L I R N A 3.1 il concetto di gene Allo stato attuale delle nostre conoscenze sulla biologia molecolare, molti autori preferiscono non fornire una definizione univoca e precisa del concetto di gene. Se agli inizi degli anni 60, in fatti, si tendeva a definire un gene come un concetto che prevedeva una esatta corrispondenza tra un tratto di catena DNA e la catena polipeptidica risultante, via via che lo studio sui meccanismi relativi all epressione del gene veniva approfondito, appera chiaro ch tale concetto non era sempre verificato. E il caso per esempio della formazione degli rrna o dei trna che derivano da tratti di DNA a cui non corrispondono proteine. Negli anni successivi si cercò di dare una definizione più generale di gene, cercando di associare ad esso il concetto di unità trascrizionale. Anche questa definizione non è immune da critiche perchè c è chi tende ad inserire nella struttura del gene tutte le varie sequenze regolative e va anche considerato la condizione in cui lo stesso gene dia più prodotti. Tutto ciò porta molti autori a non dare una definizione univoca del concetto di gene ritenendo che sia impossibile abbracciarne tutti gli aspetti con una semplice frase che ne esaurisca le caratteristiche. 3.2 la trascrizione degli rna In biologia molecolare, la trascrizione è il processo mediante il quale le informazioni contenute nel DNA vengono trascritte enzimaticamente in una molecola complementare di RNA. Concettualmente, si tratta del trasferimento dell informazione genetica dal DNA all RNA. Nel caso in cui il DNA codifichi una proteina, la trascrizione è l inizio del processo che porta, attraverso la produzione intermedia di un mrna, alla sintesi di peptidi o proteine funzionali. 31

40 32 il concetto di gene e trascrizione degli rna Figura 6: Esempio della struttura di un gene codificante RNA. Il promotore è localizzato a monte della sequenza codificante mentre la sequenza terminatrice è a valle. La sequenza codificante inizia con il nucleotide +1. L espressione del programma genetico cellulare, localizzato nella molecola del DNA, è effettuata attraverso una serie di processi che possono essere raggruppati in due funzioni principali: 1) la trascrizione, 2) la traduzione, secondo un flusso di espressione che coinvolge diverse strutture della cellula. In questo capitolo analizzeremo il processo della trascrizione, che consiste nella sintesi di una molecola di RNA, la cui sequenza ribonucleotidica è complementare a quella di uno stampo a DNA. Non tutto il DNA di una cellula è trascrivibile: lo è solo quello che possiede un organizzazione che contraddistingue strutture complesse chiamate geni. Sebbene i geni presentino organizzazione diversa nelle cellule procariotiche ed eucariotiche e, nell ambito della stessa cellula, siano differentemente strutturati in relazione con il tipo di RNA da sintetizzare, è possibile individuare una organizzazione generale se si tiene conto delle loro regioni funzionali. La Figura 6 riporta un esempio della struttura di un gene. Come dette in precedenza, fino a poco tempo fa la funzione degli RNA era strettamente connessa con la sintesi proteica e essi venivano classificati in tre rigide categorie tutte coinvolte in questa funzione: l RNA messaggero (o mrna), l RNA ribosomiale (rrna) e l RNA transfer (o trna). Tale suddivisione oggi può essere considerata obsoleta in quanto nella cellula sono presenti numerosi altre classi di RNA che hanno anch esse un ruolo importante nel metabolismo cellulare: i

41 3.3 caratteristiche generali della trascrizione 33 piccoli RNA nucleari (snrna), i piccoli RNA citoplasmatici (scrna), i piccoli RNA nucleolari (snorna). Il ritrovamento in cellule eucariotiche di doppi filamenti di RNA-RNA di difficile interpretazione funzionale (i microrna) fa intuire la complessità delle attività (ancora in parte sconosciute) in cui questa molecola è coinvolta. 3.3 caratteristiche generali della trascrizione La sintesi degli RNA segue regole che sono generali per la polimerizzazione degli acidi nucleici e che riguardano la necessità dell esistenza di uno stampo che detta la direzione della crescita della catena polinucleotidica e la direzione stessa di crescita che avviene dal terminale 5 P al terminale 3 OH. i nucleotidi che vengono adoperati sono ribonucleosidi trifosfato in 5 e precisamente l adenosina trifosfato (ATP), la Guanosina trifosfato (GTP), la Citidina trifosfato e l Uridina Trifosfato UTP). Contrariamente alla duplicazione del DNA, la reazione generale della polimerizzazione non richiede alcuna molecola che faccia da innesco. Il processo di trascrizione avviene grazie all enzima RNA-polimerasi. Nelle cellule eucarioti ci sono tre diverse molecole di RNA-polimerasi, che occupano diversi siti. Ciascuno di questi enzimi è responsabile della trascrizione di una differente classe di geni. L RNA-polimerasi I, che risiede nel nucleolo, è responsabile della trascrizione dei geni per la produzione di tutto l RNA ribosomiale (o rrna). Questo è l enzima con la più elevata attività di sintesi. L RNA-polimerasi II, localizzata nel nucleoplasma (la parte di nucleo che esclude il nucleolo), è responsabile della sintesi del precursore dell RNA messaggero (mrna). l RNApolimerasi III, l enzima con l attività minore, anch essa presente nel nucleoplasma, che sintetizza l RNA di trasporto (trna). Nella fase di inizio l RNA-polimerasi si lega alla doppia catena del DNA, aprendola in corrispondenza di una particolare sequenza, chiamata promotore. Il promotore è una speciale sequenza di nucleotidi che non verrà trascritta, situata sul DNA all inizio del gene. Successivamente l RNA-polimerasi scorre lungo il DNA rompendo i ponti Idrogeno tra le basi azotate complementari ed aprendo la doppia elica come una cerniera. In questo modo una delle due catene viene esposta alla copiatura e fa da stampo

42 34 il concetto di gene e trascrizione degli rna per la sintesi di una molecola di RNA messaggero ad essa complementare. Mentre l RNA-polimerasi scorre sul filamento-stampo del DNA vengono agganciati ad esso dei ribonucleotidi complementari. Quando, durante la trascrizione, nel DNA si incontreranno particolari sequenze di basi alla fine del gene (terminatore) si avrà il termine della trascrizione. Il filamento di RNA messaggero si stacca ed il DNA si richiude e si riavvolge Poiché i due filamenti si legano tramite appaiamento delle basi azotate complementari, questi sono tra loro antiparalleli. Il prodotto della trascrizione è denominato trascritto primario e consiste probabilmente in un filamento di RNA che si estende dal promotore al terminatore. Non si ha dimostrazione di ciò perché esso è molto instabile e quindi difficile da isolare. La fase cruciale della produzione delle diverse forme di RNA è la maturazione a partire dai precursori. I complessi trascritti primari degli rrna e trna di procarioti ed eucarioti vengono modificati in forme mature più semplici. Gli mrna dei procarioti non subiscono quasi mai modificazioni, mentre l assemblaggio dell mr- NA degli eucarioti è piuttosto complesso. Negli eucarioti la trascrizione genera dei precursori nucleari degli mrna (trascritti primari), che vengono in seguito convertiti negli mrna maturi attraverso un processo (splicing) che prevede la rimozione degli introni e il ricongiungimento delle parti codificanti (esoni). Lo splicing avviene grazie a un apparato enzimatico complesso in grado di riconoscere sequenze specifiche presenti nelle zone di giunzione esone-introne, di rimuovere gli introni e di ricongiungere correttamente tra loro i vari esoni. Una volta maturati, gli mrna, come le subunità ribosomiche e i trna, passano nel citoplasma per svolgere la loro funzione nella sintesi proteica. L RNA messaggero (mrna) rappresenta la classe di RNA più eterogenea; infatti è costituita da filamenti contenenti tanti codoni quanti sono gli amminoacidi delle proteine da loro codificate. RNA messaggeri codificanti per piccole proteine sono costituiti da alcune centinaia di nucleotidi, quelli codificanti per proteine grandi ne comprendono varie migliaia. Ogni mrna è caratterizzato dal codone d inizio. I tre codoni UAA, UGA e UAG rappresentano invece il segnale di terminazione della sintesi della catena polipeptidica. La precisione nell andamento lineare dei ribonucleotidi in gruppi di tre, non solo determina il corretto allineamento degli amminoacidi in una proteina, ma anche un esatto punto di inizio e di conclusione della sua sintesi. L RNA di trasporto (trna) trasferisce ai ribosomi i vari amminoacidi che, uniti tra loro con

43 3.3 caratteristiche generali della trascrizione 35 legame peptidico, formano le proteine. Molti trascritti primari che originano dai geni per i trna sono discretamente più lunghi rispetto alle piccole molecole mature che si riversano nel citoplasma e che contengono molte basi modificate. Come tutte le macromolecole trasportate dal nucleo al citoplasma, anche i trna maturi vengono trasportati attraverso i pori nucleari, probabilmente associati a proteine specifiche che ne facilitano il passaggio. Una volta giunti nel citoplasma, i trna maturi si presentano come molecole piccole, costituite da nucleotidi che si appaiano tra loro in zone specifiche con ponti idrogeno tra basi complementari, interrotte da tratti a singolo filamento. Tale situazione determina una particolare conformazione a trifoglio, caratteristica per tutti i trna. Nella cellula, tuttavia, questa molecola ha una complessa organizzazione a forma di L rovesciata e contorta a spirale, poiché le due anse laterali del trifoglio si avvicinano tra loro formando l angolo fra i bracci della L. Si distinguono circa venti trna, ciascuno specifico per un determinato amminoacido. La parte più caratteristica della molecola del trna è l ansa terminale, detta anticodone poiché porta tre basi complementari ai codoni degli mrna. Gli RNA ribosomiali (rr- NA) costituiscono una famiglia di molecole che, assemblate insieme a più di 50 diverse proteine, formano i ribosomi. I ribosomi sono gli organuli citoplasmatici che utilizzano le informazioni genetiche dell RNA messaggero e gli amminoacidi portati dagli RNA di trasporto per assemblare le proteine. Sono costituiti da due subunità classificate in termini di Svedberg (S), una misura del coefficiente di sedimentazione di particelle in sospensione sottoposte a centrifugazione: gli organuli cellulari vengono infatti separati tramite centrifugazione in base alla loro diversa densità. La lunghezza delle molecole di rrna, la qualità delle proteine costituenti ciascuna subunità e di conseguenza la grandezza di queste ultime varia tra procarioti ed eucarioti. In base ai loro coefficienti di sedimentazione, i ribosomi sono stati suddivisi in due classi: - I ribosomi 70 S sono caratteristici dei procarioti e sono formati da una subunità 30 S e da una 50 S. - I ribosomi 80 S sono caratteristici degli eucarioti e sono formati da una subunità 40 S e da una 60 S. Negli eucarioti i geni che codificano gli rrna sono localizzati nel nucleolo, che si rappresenta come un corpicciolo sferico situato nel nucleo. Tale conformazione è dovuta all intensa attività trascrizionale che si attua al livello di questi geni e dal quasi contemporaneo assemblaggio degli RNA alle proteine ribosomiali.

44 36 il concetto di gene e trascrizione degli rna 3.4 un esempio approfondito: la trascrizione negli eucarioti Rispetto al caso dei procarioti, l apparato di trascrizione negli organismi eucariotici risulta molto più complesso. Tale complessità è legata da un lato all apparato enzimatico sia le sequenze non trascritte che modulano l attività del gene a questo livello. Per la trascrizione negli eucarioti esistono tre RNA polimerasi: la RNA polimerasi I, II e III. Esse hanno funzioni diverse e riconoscono, quindi, promotori diversi. Ciascuna polimerasi è deputata alla sintesi di un dato tipo di RNA come sintetizzato nella Tabella??. Tabella 3: Principali difference tra una cellula procariotica e una eucariotica Nome Localizz. Cellulare Tipo RNA trascritto RNA polimerasi I Nucleolo 45S(28S; 18S; 5.8S; rr- NA) RNA polimerasi II Nucleoplasma mrna, snrna, snorna, mirna RNA polimerasi III Nucleoplasma trna; 5S rrna; scr- NA e alcuni snrna Tutte e tre le polimerasi sono costituite da un core, capace di polimerizzare e da fattori generali di trascrizione: i cosiddetti GTG (General Transcription Factors). La differenza tra le varie polimerasi è proprio legata alle varie subunità GTF che le compongono. Per esempio, i GTF della RNA polimerasi II sono almeno sette: TFIIA, TFIIB, TFIID, TFIIE, TFIIF; TFIIH e TFIIJ. Questi lavorano di concerto con il core enzimatico, per riconoscere il promotore, legare saldamente il DNA, srdotolarlo ed interagire con altre proteine. L RNA polimerasi I riconosce tre sequenze come elemento promotore: due sequenze che costituiscono l elemento promotore core, situato da -35 a + 15 rispotto al punto di inizio della trascrizione, ed una sequenza detta elemento promotore a monte che si trova da -150 a -50.

45 3.4 un esempio approfondito: la trascrizione negli eucarioti 37 L RNA polimerasi II riconosce il promotore caratterizzato da una sequenza particolare definita TATA box. Tale sequenza è localizzata ad una distanza compresa tra -30 e -25 nucleotidi dal sito di inizio. Talvolta è necessaria anche un altra sequenza, distante circa -80 nucleotidi, definita CAAT box. Ma il funzionamento della RNA polimerasi II mostra ulteriori elementi di complessità: ci sono infatti altre sequenze del DNA, localizzate fino a -200 basi dall inizio, possono legare degli attivatori. Questi sono delle proteine che, a loro volta, possono essere connesse con l RNA polimerasi grazie all azione di coattivatori o corepressori. Le sequenze di DNA che sono coinvolte con la modulazione della trascrizione, possono arrivare ad essere distanti più di basi. Queste sequenze vengono definite enhancer e legano proteine regolatrici che incrementano l efficienza della trascrizione fino a 100 volte. I promotori per l RNA polimerasi I e per l RNA polimerasi III non hanno nè TATA box nè CAAT box Funzionamento della RNA polimerasi II Il momento più importante dell attività dell RNA polimerasi II è il riconoscimento della TATA box da parte della TATA-binding protein o TBP, che è una componente della TFIIB. A sua volta la TBP è associata ad altri 8-12 fattori, detti TAF (TBP Associated Factors). Il complesso TBP+TAF costituisce il fattore TFIID. In seguito al legame di TFIID si possono legare in sequenza TFIIA e TFIIB. Questo è un altro importante momento perchè TFIIB è in grado di legare un attivatore posizionato più a monte sul DNA. Ciò genera la formazione di una curva sul DNA che è essenziale per la trascrizione. Si legano poi TFIIE, TFIIF, TFIIH e TFIIJ ed il core dell RNA polimerasi II per consentire lo srotolamento del DNA e l inizion della sintesi dell mrna grazie all idrolisi di una molecola di ATP. Le Figure 7 e 8 schematizzano l azione della RNA polimerasi II in tutte le sue parti e le sue interazioni con le proteine attivatrici.

46 38 il concetto di gene e trascrizione degli rna Figura 7: Attività dell RNA polimerasi II ed interazione con l attivatore. Figura 8: Il coattivatore coopera nell induzione della trascrizione legando TFIIB all attivatore.

47 3.4 un esempio approfondito: la trascrizione negli eucarioti Termine della trascrizione la trascrizione di un frammento di DNA, che solitamente rappresenta un gene, inizia grazie ad una specifica sequenza di basi che prende il nome di promotore. Il fine ultimo della traduzione è quello di formare segmenti di RNA corrispondenti a specifici geni espressi e, di conseguenza, rendere possibile la formazione di materiale proteico, ribosomiale o altri tipi di RNA. Per questo motivo se esiste un promotore deve esistere anche un terminatore che possa indicare all RNA polimerasi dove fermare l assemblaggio di RNA. In effetti il terminatore esiste nella catena di DNA ma opera in maniera leggermente differente rispetto a quanto abbiamo visto per il complesso fattore sigma-promotore. Esistono, a tal proposito, due tipi di possibile terminazione: Terminazioni rho dipendenti. Terminazioni rho indipendenti od intrinseche. Le replicazioni rho-indipendenti In questo caso, un certo numero di coppi CG caratterizzano i siti ove la trascrizione termina. Questi siti sono formati da catene palindromiche che, sull RNA, portano alla formazione di anse. Sembra che il forte rallentamento della polimerasi al sito terminatore costituisca il segnale per il rilascio del trascritto. Le replicazioni rho-indipendenti La proteina ρ è strutturalmente un esamero di circa 275 KDalton. Ha caratteristica ATP-asica nel senso che può idrolizzare l ATP per ricavare energia ed è coinvolta nella cosiddette terminazione rho-dipendente. La possibilità di idrolizzare il nucleotide trifosfato appariva una particolarità insolita per una proteina che, in origine, sembrava dover bloccare la traduzione per semplice ingombro sterico, ovvero per interposizione tra la RNA polimerasi e la catena di DNA letta. In realtà la proteina rho riconosce una specifica sequenza nell RNA trascritto e grazie alla presenza di questo gruppo di basi si lega ad essa e prosegue in direzione opposta rispetto alla direzione di sintesi della molecola di mrna. In altre parole, la proteina ρ, una volta riconosciuta la sequenza tipica, si

48 40 il concetto di gene e trascrizione degli rna lega all RNA ed insegue la catena lungo il verso della propria sintesi fino a giungere alla RNA-polimerasi.

49 4 C O D I C E G E N E T I C O E S I N T E S I P R OT E I C A 4.1 il codice genetico Introduzione Come detto nel Capitolo 3, l espressione del programma genetico di una cellula è effettuata attraverso due momenti principali: la trascrizione e la traduzione. Il processo di trascrizione cellulare porta alla sintesi di molecole di RNA a partire dal DNA. La traduzione è il passo in cui la molecla intermedia di RNA (in particolare l mrna) viene letta per sintetizzare le proteine. Si usa la parola traduzione in qanto il passaggo da RNA a proteina prevede, in effetti, una traduzione dal linguaggio in cui il DNA è scritto (il linguaggio dei nucleotidi che costituiscono gli acidi nuckeici) a quello in cui le proteine sono scritte (il linguaggio degli amminoacidi). Questa traduzione, inoltre, necessita la comprensione del codice necessario a passare dai nucleotidi agli amminoacidi e per questo si definisce codice genetico l informazione contenuta nel DNA e RNA che poi vengono tradotti in catene di amminoacidi, cioè in proteine Definizione Essendo 22 il numero di amminoacidi che costituiscono le proteine tradotte a partire dall mrna ed essendo solo 4 i nucleotidi che possono variare in una catena di RNA, è evidente che l unità elementare codificante deve essere costituita da un numero di nucleotidi maggiore di uno. Ad un solo nucleotide infatti, non può corrispondere un amminoacido perchè in tal caso avremmo una corrispondenza di quattro nucleotidi con quattro amminoacidi. Poichè le basi dell RNA sono quattro (adenina, guanina, citosina ed uracile, che nel DNA è sostituito dalla timina), un semplice calcolo combinatorio ci fa capire che l unità elementare deve essere costituita da tre nucleotidi. Sono quindi 4 3 = 64 le triplette (o codoni) che possono 41

50 42 codice genetico e sintesi proteica codificare in un amminoacido. In realtà 61 di essi codificano gli amminoacidi, mentre i restanti tre (UAA, UAG, UGA) codificano segnali di stop (stabiliscono, cioè, a che punto deve interrompersi l assemblamento della catena polipeptidica). Poiché gli amminoacidi che concorrono alla formazione delle proteine sono 20, essi in generale sono codificati da più di un codone (con l eccezione di triptofano e metionina). Il codice genetico è pertanto detto degenere e codoni distinti che codificano il medesimo amminoacido si dicono sinonimi. Possiamo a questo punto dare una definizione operativa di codice genetico come l insieme di codoni (o triplette) di acidi nucleici a cui corrispondono i vari amminoacidi più i codoni di termine. Due proprietà fondamentali del codice genetico sono: Per produrre la corretta sequenza di amminoacidi di una proteina i codoni sono letti in modo continuo E degenere perchè più triplette codificano per lo stesso amminoacidi La Figura 9 riporta tutte i 64 codoni con i corrispondenti amminoacidi codificati. La degenerazione del codice è evidente dal fatto che più codoni codificano per lo stesso amminoacido. I codoni UAA, UAG e UGA non codificano nessun amminoacido e sono detti codoni non-senso. I codoni non-senso rappresentano dei segnali di stop nella fase di traduzione anche se, talvolta, possono anche codificare per gli amminoacidi selenocisteina e pirrolisina. Il codice genetico descritto è universale, cioè in tutti gli organismi (procarioti ed eucarioti), il codice è esattamente identico con l eccezione di alcuni codoni mitocondriali che, invece, hanno un diverso significato rispetto quelli dell mrna citoplasmatici. 4.2 il processo di traduzione L mrna, sintetizzato nel nucleo cellulare e poi migrato all interno del citoplasma, sarà quindi letto e tradotto dal cosiddetto apparato di traduzione che interpreterà le varie triplette di nucleotidi. La lettura dell mr- NA avviene in direzione 5 P 3 OH, mentre la direzione della sintesi

51 4.2 il processo di traduzione 43 Figura 9: Figura che riporta i 64 codoni e gli amminoacidi corrispondenti ad ognuno di essi. della corrispondente proteina va dall estremo ammino-terminale (NH 2 ) a quello carbossi-terminale (COOH) L apparato di traduzione: i ribosomi e il trna I ribosomi I ribosomi sono organelli immersi nel citoplasma - o ancorati al reticolo endoplasmatico ruvido - e sono le particelle responsabili della sintesi proteica. La loro funzione è quindi quella di sintetizzare le proteine leggendo le informazioni contenute in una catena di RNA messaggero (m-rna). Furono messi in evidenza per la prima volta al microscopio elettronico nel 1953 dal biologo rumeno George Emil Palade, scoperta che gli valse il Premio Nobel. Il termine ribosoma fu invece proposto nel 1958 dallo scienziato Richard B. Roberts. I ribosomi sono formati da tre molecole di RNA ribosomiale e da

52 44 codice genetico e sintesi proteica proteine che si associano a formare due subunità di dimensioni differenti (una più grande dell altra). I ribosomi dei batteri, degli archea e degli eucarioti differiscono sensibilmente tra loro sia per la struttura sia per le sequenze di RNA. Un ribosoma batterico ha una massa di circa 2700 kda, un diametro di circa 20 nm ed un coefficiente di sedimentazione di 70 S. Esso si può suddividere in due parti o subunità, una più grande ed una più piccola: una subunità grande di 50 S avente almeno 34 proteine e due molecole di RNA (23 S e 5 S), una subunità piccola di 30 S contenente almeno 21 proteine (S1- S21) ed un RNA di 16 S. Il ribosoma della cellula eucariota (fatta eccezione per quelli contenuti nei mitocondri e nei cloroplasti), invece, è più grande ed ha una massa molecolare di 4000 kda, un diametro di 23 nm ed un coefficiente di sedimentazione di 80 S. Anch esso è composto da due subunità, maggiore a 60 S e minore a 40 S: la subunità maggiore è costituita da tre molecole di rrna, una a 28 S, una a 5,8 S e un ultima a 5 S. la minore consta di una sola catena di rrna 18 S. Nel complesso le due subunità presentano inoltre più di 80 proteine. Le singole molecole di rrna (tranne la 5 S) vengono sintetizzate nei nucleoli come RNA 45 S. Il DNA contenuto nel nucleolo viene trascritto dalla RNA polimerasi I a partire da più punti della catena di DNA, in strutture che vengono dette ad albero di Natale; il tronco verrebbe rappresentato dal DNA, i rami dalle molte catene di rrna che vengono trascritte nello stesso momento. rrna 45 S appena trascritto è detto prerrna; in seguito a tagli, esso darà origine a rrna 18 S (per la subunità minore del ribosoma) e 32 S, il quale verrà tagliato ulteriormente in 28 S e 5,8 S. Nel pre-rrna sono presenti pseudouridine e basi azotate metilate. La funzione di queste modifiche nelle basi si pensa sia di evitare il taglio enzimatico, o favorire le interazioni dell RNA interne alla catena o con altre molecole. La Figura 10 mostra un confronto tra le dimensioni delle varie parti dei ribosomi eucariotici e procariotici.

53 4.2 il processo di traduzione 45 Figura 10: Confronto tra le dimensioni dei ribosomi eucariotici e procariotici. I trna I trna o RNA transfer, sono quella categoria di acidi ribonucleici deputati al trasporto degli amminoacidi ai ribosomi dove le catene polipeptidiche verranno formate. Essi vengono generalmente raffigurati con una forma a trifoglio (vedi Figura 11) mentre analisi a diffrazione X mostrano che la loro struttura tridimensionale è ad L rovesciata come quella raffigurata in Figure 12. Partendo dalla estremità 3 -OH, la prima sequenza che si incontra è la 5 P-CCA-3 OH. Tale parte della molecola è definito accettore perchè è quello deputato a legare l amminoacido (Figura 11). L enzima che lega l amminoacido al sito accettore si chiama amminoacil-trna-sintetasi. l primo braccio che si incontra (a sinistra della Figura 11, è quella che è definita l ansa TΨC (Ψ = pseudouracile). Si ritiene che la funzione principale dell ansa TΨC abbia la funzione principale di ancorare meglio il trna al ribosoma interagendo l rrna 5S della sub-unità maggiore. Proseguendo ancora verso l estremità 5 si incontra un ansa variabile la cui funzione è quella di mantenere costanti le dimensioni dei vari trna. Proseguendo ancora si giunge all ansa dell anticodone: questa possiede tre nucleotidi che si appaiono in disposizione antiparallela, ai tre nucleotidi del codone dell mrna. ll quarto e ultimo braccio termina con l ansa

54 46 codice genetico e sintesi proteica Figura 11: Rappresentazione a trifoglio del trna. D che contiene diidrouracile. Essa contribuisce a influenzare il ripiegamento della molecola del trna. Con il riarrangiamento dello scheletro dell ansa dell anticodone, inizia una serie di cambiamenti conformazionali nel trna che portano allo smascheramento dei siti di legame per il ribosoma in altre posizioni del trna, come l ansa D e l ansa TphiC. Dal momento che questi cambiamenti conformazionali sono dipendenti dall interazione corretta codone-anticodone, essi contribuiranno alla specificità dipendente dal codone della reazione di legame del trna. Quindi, il rafforzamento dell interazione del trna complementare con il ribosoma è ottenuta attraverso siti di legame non specifici che vengono messi in gioco dai cambiamenti conformazionali dipendenti dal codone del trna La traduzione Il processo di traduzione che porterà alla formazione di una proteina a partire dalla lettura di un tratto di mrna, può essere concettualmente e temporalmente diviso in due fasi:

55 4.2 il processo di traduzione 47 Figura 12: Rappresentazione tridimensionale di una molecola di trna (L inserto riporta, per confronto, la struttura bidimensionale a trifoglio). 1. La fase ATP dipendente 2. La fase GTP dipendente La fase ATP-dipendente è quella che porta al legame di un certo amminoacido con uno specifico trna. Tale complesso, anche detto amminoaciltrna, è mediato da una specifica classe di enzimi detti amminoaciltrna sintetasi. La formazione del complesso avviene in due fasi: la prima è la formazione dell anidride mista tra il COOH dell amminoacido ed il residuo fosforico dell AMP (che deriva dall ATP per liberazione del pirofosfato). La seconda fase è la reazione (mediata dall amminoaciltrna sintetasi) del complesso amminoacil-amp con il terminale 3 OH del trna con conseguente perdita dell AMP ed idrolisi del pirofosfato formatosi in precedenza. La fase GTP-dipendente può essere a sua volta divisa in tre fasi: L inizio L allungamento Il termine

56 48 codice genetico e sintesi proteica L inizio L inizio della traduzione avviene a seguito di una corretta interazione, all interno del citoplasma, tra ribosoma, trna e mrna. Inoltre la giusta cornice di lettura sull mrna deve essere individuata. Sull mrna deve essere indiviaduato il corretto codone che rappresenta il segnale di inizio della traduzione (generalmente la tripletta AUG o GUG). Si è inoltre visto che (Shine e Dalgarno, 1974) che al 5 dell mrna, prima della tripletta di inizio, c è un segnale specifico costituito da basi (generalmente 5 -AGGAGGU-3 ) complementari alla sequenza 3 -UCCUCA-5 posta invece sull rrna 16S. Tale segnale consente alla subunità minore del ribosoma di adagiarsi sull mrna posizionandosi in modo da individuare l AUG di inizio e, quindi, la giusta cornice di lettura. A questo punto il primo amminoacido specificato dalla sequenza AUG iniziatrice, viene portato: esso è la formil-metionina. A questo punto si verifica l assemblaggio della subunità maggiore del ribosoma (la 50S) il cui complesso risulta essere molto stabile. Il ribosoma è a questo punto completo e su di esso si individua: Un sito P (peptidilico, occupato dal trna fmet Un sito A (amminoacilico), vuoto, posizionato sulla tripletta successiva Un sito E (exit) L allungamento Si intende per allungamento quella fase della traduzione durante la quale arriva nel sito A un successivo amminoacido, richiesto dalla tripletta seguente. L allungamento è mediato da fattori specifici EF-Ts-Tu e EFG. La posizione del trna sul ribosoma dovrà essere tale che il centro peptidiltransferasico della subunità maggiore (rrna 5S e 23S) possa favorire la formazione del legame pedtidico fra il COOH dell amminoacido legato al trna che occupa il sito P e l NH 2 dell amminoacido posto sul trna giunto sul sito A. terminata questa fase, il fattore EFG (detto di allungamento) promuovo lo slittamento del ribosoma sulla tripletta successiva.. In questa fase il sito E sarà caratterizzato dal trna ormai scarico che ora verrà espulso dal sistema.

57 4.2 il processo di traduzione 49 Termine della traduzione La presenza di più codoni non senso, stimola la comparsa dei fattori di rilascio RF1, RF2 e RF3 che in combinazione EFG, promuovo la liberazione della catena polipeptidica. Il fattore RRF (Ribosome Releasing Factor) dividerà quindi novamente le due subunità dei ribosomi La traduzione negli eucarioti L inizio della traduzione eucariotica è molto più complesso. Abbiamo visto che dopo la trascrizione l mrna viene processato mediante gli eventi di maturazione che consistono nel capping e nella poliadenilazione. Questi eventi servono per aumentare il livello di traduzione e sono assenti nei procarioti. Esistono differenze sostanziali tra i fattori di inizio della traduzione rispetto ai procarioti. La risposta è affermativa in quanto negli eucarioti ci sono un numero maggiore di elementi che coadiuvano l inizio del processo che rendono più complesso tutto il sistema. C è da considerare che l mrna eucariotico presenta alcune strutture peculiari tra cui il CAP ed una potenziale forcina che devono essere trattate affinché il ribosoma possa compiere il proprio lavoro. Se nei procarioti il primo aminoacido incorporato nella neonascente catena polipeptidica è la formilmetionina negli eucarioti il corrispettivo aminoacido è la metionina. Il codone principale di start è sempre AUG ma c è una diversità riguardante il modo con il quale il ribosoma arriva a questo codone rispetto a quanto avviene nei batteri. Esperimenti hanno dimostrato che esiste una sequenza consensus altamente conservata che circonda il codone di start. La sequenza prende il nome dalla sua scopritrice Marylind Kozak che la propose nel Questa sequenza è: CCA/GCCAUGC Esistono delle variazioni a questa sequenza che, comunque, è un modello che fa parte delle cosiddette regole di Kozak che determinano la formazione ideale di un ORF, ovvero di un open reading frame. Un ORF non è altro che una parte dell mrna che, potenzialmente, può codificare per una proteina; questa sequenza è data dalla presenza di una zona di inizio e da un terminatore, la cui struttura verrò proposta in avanti. Gli mrna eucariotici vengono definiti monocistronici, essendo il cistrone corispondente ad un solo messaggio. Ciò li differenzia dagli mr- NA batterici che vengono invece detti policistronici possedendo nella

58 50 codice genetico e sintesi proteica loro sequenza l informazione per produrre più di una proteina. La Figura 13 mostra il meccanismo con il quale, al livello dei ribosomi, è costruita la catena polipeptidica a partire dall mrna. Figura 13: Rappresentazione grafica della traduzione dell mrna in una catena polipeptidica in un sito ribosomiale.

59 5 M U TA Z I O N I, P O L I M O R F I S M I,. M E TO D O L O G I E A N A L I T I C H E 5.1 le mutazioni Introduzione I genomi di tutti gli organismi viventi (inclusi quelli mitocondriali) non rappresentano entità statiche, ma piuttosto sono soggetti a differenti tipi di variazioni ereditabili che globalmente, vanno sotto il nome di mutazioni. La mutazione è pertanto definibile come un evento casuale ma stabile che, di fatto, produce un cambiamento ereditabile del patrimonio genetico. Tale variazioni, nella maggior parte dei casi, avvengono a livello nucleotidico; riguardano cioè la qualità, il numero, la sequenza dei nucleotidi del DNA e modificano il significato dell informazione. Questo tipo di mutazione vengono dette mutazioni geniche o puntiformi. Ad un altra categoria appartengono le mutazioni che alterano la struttura dei cromosomi o addirittura il loro numero; queste prendono rispettivamente il nome di mutazioni cromosomiche e genomiche. Volendo provare a schematizzare le principali caratteristiche e i principali aspetti delle mutaioni possiamo dire che esse possono essere: dominanti: se interessano un allele dominante; recessive: se interessano un allele recessivo. Possono interessare le cellule: somatiche: si manifesteranno se sono dominanti, se si verificano in un certo stadio dello sviluppo e se insorgono in alcune parti dell organismo (se sono coinvolti geni delle crescita cellulare si può avere la trasformazione tumorale della cellula). NON sono trasmissibili alla progenie; 51

60 52 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche germinali: coinvolgono i gameti e quindi SONO ereditabili. Ricordando quelo che abbiamo già detto, le mutazioni in base all ampiezza del cambiamento possono essere: geniche o puntiformi: uno o più nucleotidi; cromosomiche: uno o più cromosomi; genomiche: intero genoma. Le mutazioni possono ancora essere distinte in: 1. indotte: sono causate da agenti mutageni; 2. spontanee: insorgono in condizioni normali in assenza di specifici agenti esterni identificabili. Le mutazioni spontanee sono molto rare. Hanno un ruolo importante in fenomeni biologici quali l evoluzione e la cancerogenesi, e probabilmente sono implicate anche nell invecchiamento, malattie autoimmuni, neurodegenerazione, aterosclerosi. Il tasso di mutazione spontanea è il risultato di una serie di fattori endogeni ed esogeni che possono essere sia mutageni che antimutageni. Spontaneamente sono prodotti tutti i tipi di mutazione genica: sostituzione di base, inserzioni, duplicazioni e delezioni. Le mutazioni indotte si verificano con maggiore frequenza in alcuni siti definiti punti caldi (hot spots), come quelli contenenti 5-metil-citosina. Le cause possono essere: esogene: presenza nell ambiente di agenti mutageni come radiazioni cosmiche, radionuclidi, analoghi di base del DNA e altri composti chimici che possono interagire casualmente con il DNA; endogene: sono correlate a processi fisico-chimici, quali rottura dell elica del DNA in seguito ad idrolisi, oppure errori che si verificano nel corso dei processi fisiologici. Si definisce tasso di mutazione è la probabilità che una particolare mutazione si verifichi nel tempo. Nell uomo il tasso di mutazioni spontanee per geni singoli è compreso in un range che va da 10 4 a 10 6 /gene/generazione.

61 5.1 le mutazioni Le mutazioni geniche o puntiformi Sono cambiamenti della sequenza nucleotidica del DNA. Si possono verificare per: sostituzione di base; inserzione/duplicazione/delezione (anche dette di frameshift). Il cambiamento può riguardare una o poche basi; nel primo caso si parla più propriamente di mutazioni puntiformi. Le sostituzioni di base si suddividono in: transizioni: sostituzione di una purina (A, G) con un altra purina o di una pirimidina (T, C) con un altra pirimidina; è mantenuto l orientamento purina:pirimidina nelle due eliche; transversioni: sostituzione di una purina con una pirimidina o viceversa; l orientamento delle purine e pirimidine nelle due eliche è invertito. La mutazione frameshift è dovuta a inserzione o delezione di una o poche coppie di basi (mai nel numero di tre o multipli di tre) in regioni codificanti o non. Ne deriva uno scorrimento del frame di lettura dal sito mutato in poi. Se la base o sequenza inserita è identica a quella precedente si parla di duplicazione. Le sostituzioni di basi possono creare mutanti: di senso o missense (cioè di significato diverso): inserimento di un aminoacido sbagliato in un polipeptide per cui si ha la produzione di una proteina difettosa. Determinano una riduzione della funzione. nonsenso: la tripletta modificata non codifica per alcun aminoacido ma per un codone di stop (UAA, UGA, UAG) per cui si ha la produzione di proteine tronche. Le conseguenze di un simile cambiamento sono spesso gravi perchè il danno è più esteso rispetto ad una mutazione missense. Un altro tipo di mutazione puntiforme è quella detta per inserzione o delezione che sono le responsabili delle cosiddette mutazioni frameshift (o scivolamento della cornice di lettura). Queste mutazioni sono così denominate perchè al semplice inserimento o eliminazione di un nucleotide ne consegue, durante la traduzione sui ribosomi, una lettura del messaggio fuori fase a partire dal punto della mutazione in poi.

62 54 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche La conseguenza fenotipica di ciò potrà essere: sia la sintesi di una catena polipeptidica non del tutto funzionale sia la produzione di un frammento polipeptidico tronco se, per caso, con lo scivolamento si forma un codone nonsense (di stop) prematuro. Sia nel caso delle sostituzioni di base che in quello delle inserzioni possono occorrere le cosiddette mutazioni neutre e silenti. La mutazione è detta silente quando porta alla formazione di una nuova tripletta che codifica per lo stesso aminoacido a causa della degenerazione del codice genetico quindi non c è una variazione fenotipica. La mutazione è detta neutra quando non ha effetto sul fenotipo (perchè la nuova tripletta codifica per un amminoacido con le stesse caratteristiche chimico-fisiche di quello originale) e passa inosservata. Una mutazione neutra si verifica quando: la tripletta mutata codifica per un aminoacido diverso che però non altera la funzione della proteina; la mutazione coinvolge un gene che codifica per una proteina non indispensabile; il gene mutato non si esprime; la mutazione è soppressa da un altra mutazione. Una caratteristica delle mutazioni geniche, in particolare di quelle puntiformi, è la reversibilità cioè la capacità di ridare, in seguito ad una successiva mutazione, il fenotipo normale. Espansioni di triplette di nucleotidi Distribuite sia in tutto il genoma umano come in quello di altri organismi si trovano delle sequenze di DNA ripetute in tandem e di lunghezza variabile. Esse sono dette microsatelliti quando sono costituite da 1 a 6 nucleotidi, minisatelliti quando hanno una lunghezza più lunga e dupliconi se sono tanto lunghe da includere interi geni. Può accadere che in una data regione di DNA, che codifica per una proteina, si presentino ripetizioni in tandem di soli tre nucleotidi. La presenza della ripetizione di un numero così piccolo di nucleotidi, può

63 5.1 le mutazioni 55 provocare l insorgenza di mutazioni. Tale mutazioni (chiamate di espansione delle triplette), in particolare, riguardano la diminuzione o l aumento di tali ripezioni. Questo si traduce in un variazione del numero di copie di trinucleotidi presenti in un certo gene. Tale variazione, in negativo (diminuzione) o in positivo (espansione) può portare a fenotipi patologici. In particolare le patologie sono legate a quelle che prendono il nome di espansioni instabili che corrispondono al caso in cui la ripetizione è molto pronunciata. In quest ultimo caso, in fatti, si possono determinare alterazioni di alcuni domini fondamentali per la proteina da sintetizzare. In casi estremi, l espansione di tali triplette causa o la perdita dell espressione genica o l alterazione completa della loro funzionalità. L espressione riguarda soprattutto, triplette quali CAG o CGG la cui ripetizione risulta contenuta (ma entro certi limiti) nella popolazione generale. Tali limiti sono invece superati negli individui affetti da talune condizioni patologiche, a decorso progressivo, che causano degenerazione del sistema nervoso. L espansione è probabilmente dovuta a due tipi di eventi: 1. durante la replicazione del DNA, in presenza di semplici sequenze ripetute, a causa di appaiamenti sfalsati, si può verificare o scivolamento del filamento di stampo sul filamento in sintesi (o viceversa) e ciò determina l inserimento o la delezione di singole unità ripetute. Tale fenomeno è detto slippage mispairing. 2. eventi di crossing over ineguali possono provocare l aumento o la diminuzioni di grosse regioni contenenti ripetizione da una generazione all altra Queste mutazioni, inoltre, sono anche dette dinamiche perchè, nel corso delle diverse generazioni, si può osservare espansione così come riduzione delle triplette. Proprio da questo deriva il nome instabili. Tra le patologie determinate dalle espansioni instabili ricordiamo l Atrofia muscolare spinale e bulbare, il Morbo di Huntington, la Sindrome dell X-Fragile Le mutazioni cromosomiche Le mutazioni cromosomiche possono essere classificate in due gruppi principali: numeriche (poliploidia e aneuploidia): cambiamenti nel numero di interi assetti cromosomici oppure modificazioni nel numero di

64 56 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche singoli cromosomi; strutturali (aberrazioni cromosomiche): modificazioni nella sequenza del DNA lungo l asse del cromosoma in seguito ad eventi di rottura del cromosoma stesso. Quando questi eventi di rottura sono seguiti da riunioni e quindi una riorganizzazione strutturale del cromosoma, si parla di riarrangiamenti strutturali, altrimenti si definiscono delezioni. Le mutazioni cromosomiche numeriche Si distinguono in: Poliploidia: cambiamento di interi assetti cromosomici cioè il numero dei cromosomi di un organismo è un multiplo del numero aploide di quella specie. Aneuploidia: modificazione del numero di singoli cromosomi che determinano un ineguale numero a carico della coppia cromosomica Le anomalie che interessano gli autosomi sono spesso letali (aborti precoci o morte perinatale) oppure si accompagnano a fenotipi anormali facilmente rilevabili (es. trisomia del cromosoma 18 nel bovino che si associa ad una grave forma di brachignatismo; trisomia del cromosoma 27 nel cavallo associata ad artrogrifosi). Le anomalie che interessano i cromosomi sessuali sono compatibili con la vita ma si associano a gravi problemi di fertilità o in taluni casi a sterilità. Tipico esempio di aneuplodia è la sindrome di down. Essa prende il nome dal medico di base inglese John Langdon Down, che la descrisse nel 1866 con la semplice osservazione. Nel 1958 Jerome Lejeune, genetista francese, osserva la correlazione tra la presenza della sindrome e la presenza in tre copie del cromosoma 21 nelle cellule (trisomia 21), dimostrando per la prima volta nella storia della Medicina il legame specifico tra una sindrome e una variazione del materiale genetico. Si riscontra in tutte le regioni geografiche e in tutti i gruppi etnici con la stessa frequenza: 1/400 concepiti, e 1/700 nati vivi, poiché in molti casi si ha aborto spontaneo. I sintomi comprendono: una facies caratteristica (rima palpebrale obliqua dall alto verso il basso dall esterno all interno, radice appiattita del naso, lingua grande in proporzione alla bocca, pieghe delle palme delle mani - dermatoglifi - caratteristiche, ampio spazio tra il

65 5.1 le mutazioni 57 I e il II dito del piede); ritardo mentale, in realtà di grado molto variabile anche a seconda dell educazione ricevuta, che interessa il pensiero simbolico, con affettività e socialità conservate; malformazioni cardiache nel 30 40% dei casi; ipotonia muscolare; aumentato rischio di leucemia, in particolare megacarioblastica (proliferazione anomala di cellule di tipo megacariocitario); disturbi immunitari ed endocrini; invecchiamento biologico precoce per alcuni aspetti simile a quello osservato nel morbo di Alzheimer. Le mutazioni cromosomiche numeriche dei cromosomi sessuali Esempi di mutazioni cromosomiche numriche legate ai cromosomi sessuali sono: 1. La sindrome di Turner o monosomia X (X0): soggetti con genitali esterni femminili ma con gonadi assenti o atrofiche; 2. la sindrome di Klinefelter (XXY): soggetti fenotipicamente maschili ma con atrofia testicolare e ginecomastia; 3. la sindrome del triplo X (XXX): soggetti fenotipicamente femminili a volte normali ma sterili, in altri casi presentano mancato sviluppo somatico. 4. Freemartinismo o mosaicismo ertitrocitario (XX/XY): è un esempio di intersesso che si verifica soprattutto nella specie bovina (raramente nelle specie ovina e suina), nel 92% delle gravidanze gemellari quando i due feti gemelli sono di sesso opposto. I maschi sono generalmente normali e fertili mentre le femmine sono sterili. Fenotipicamente presentano i genitali esterni, ma in genere l utero non è sviluppato e le ovaie possono presentare contemporaneamente tessuto ovarico e testicolare. Negli stadi iniziali dello sviluppo si verifica una fusione delle membrane fetali, con conseguente anastomosi dei vasi placentari, in tal modo si verifica uno scambio degli ormoni prodotti nei due feti di sesso diverso e dei linfociti e delle altre cellule del sangue. Gli ormoni maschili sono secreti dal testicolo del vitello prima che l ovaio della gemella sia completamente sviluppato e impediscono il normale accrescimento sia dell ovaio che delle vie genitali.

66 58 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche Le mutazioni cromosomiche strutturali Tali mutazioni prevedono la rottura ed il rimaneggiamento della struttura dei cromosomi. Affinchè una variazione di struttura del cromosoma sia tale è necessario che sia visibile al microscopio; essa deve pertanto coinvolgere almeno 6x10 6 coppie di basi, cioè lo 0.2% del genoma umano. Esistono quattro tipi principali di mutazioni cromosomiche che implicano cambiamenti nella struttura del cromosoma: delezioni e duplicazioni: comportano un cambiamento nella quantità di DNA; inversioni: comportano un cambiamento nell orientamento di un tratto cromosomico; traslocazioni: implicano un cambiamento nella localizzazione di un segmento cromosomico Tutte queste mutazioni hanno origine da una o più rotture nel cromosoma. Se una rottura si verifica all interno del gene, la sua funzione può andare perduta. Pertanto i danni saranno strettamente correlati all informazione genetica che viene persa. Da un punto di vista clinico, sono interessanti le anomalie bilanciate cioè associate a situazioni di euploidia, che non comportano alterazioni fenotipicamente visibili ma che spesso sono associate a problemi di fertilità. La delezione è caratterizzata dalla perdita di un tratto di un cromosoma in seguito ad una rottura che può essere indotta da diversi agenti eziologici: la temperatura, le radiazioni (in particolare quelle ionizzanti), virus, sostanze chimiche o da errori nella ricombinazione. Mancando un segmento cromosomico, le delezioni non sono reversibili. Le conseguenze dipendono da geni o dalle parti di geni che vengono rimossi. La duplicazione è caratterizzata dal raddoppiamento di un tratto di un cromosoma. La dimensione del tratto duplicato può variare ampiamente e segmenti duplicati possono trovarsi in punti diversi del genoma oppure in una posizione tandem (cioè l uno vicino all altro testa-coda). L inversione Si verifica quando un segmento cromosomico viene tagliato e poi reintegrato nel cromosoma dopo rotazione di 180 rispetto all orientamento originale. Vi sono due tipi di inversione: 1. Inversione pericentrica: comprende il centromero;

67 5.1 le mutazioni Inversione paracentrica: non comprende il centromero. Il materiale genetico non viene perduto, però possono esservi delle conseguenze fenotipiche se i punti di rottura sono all interno di un gene o entro regioni che controllano l espressione di un gene. Le conseguenze meiotiche: se l inversione è allo stato omozigote, la meiosi è normale; se l inversione è allo stato eterozigote, il crossing-over comporta gravi conseguenze genetiche. I prodotti del crossing-over saranno diversi a seconda del tipo di inversione. A causa della presenza di un tratto invertito su un omologo, l appaiamento dei cromosomi omologhi richiede la formazione di anelli o anse di inversione, contenenti i tratti invertiti. La traslocazione è una mutazione cromosomica consistente nel cambiamento di posizione di segmenti cromosomici e quindi delle sequenze geniche in essi contenute. Non vi è né aumento né perdita di materiale genetico. Vi sono tre tipi di traslocazioni semplici: La traslocazione intracromosomica non reciproca (entro un cromosoma): cambiamento di posizione di un tratto cromosomico entro lo stesso cromosoma; La traslocazione intercromosomica non reciproca (tra cromosomi): spostamento di un segmento cromosomico da un cromosoma ad un altro non omologo; La traslocazione intercromosomica reciproca: omologhi tra tratti non omologhi. scambi di tratti non Un famoso esempio di traslocazione è quello rappresentato dal cromosoma Philadelfia. In questo caso si osserva una traslocazione reciproca che vede coinvolti i cromosomi 9 e 22. In particolare il proto-oncogene abl, in seguito ad uno scambio reciproco, passa dal cromosoma 9 al cromosoma 22. Questo semplice spostamento induce una trasformazione neoplastica che condurrà alla leucemia mieloide cronica con crescita incontrollata dei mieloblasti (cellule staminali dei globuli bianchi del sangue). Un altro tipo di traslocazione è quella non-reciproca dovuta al trasferimento di una estremità di un cromosoma sul centromero di un cromosoma acrocentrico. E questo il caso della cosiddetta fusione centrica o

68 60 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche traslocazione robertsoniana. Nel 5% dei casi la sindrome di Dawn (detta sindrome di Dawn familiare) è dovuta ad una forma di traslocazione robertsoniana. Negli altri casi la sindrome di Dawn è legata alla trisomia del cromosoma 21 che è un tipo di mutazione genomica (vedi 5.1.4) Le mutazioni genomiche Le mutazioni genomiche sono quelle che, più generalmente, possono interessare l intero genoma. In pratica sono quelle mutazioni che sono legate ad una variazione del numero dei cromosomi totali. Gli individui di una specie che portano nelle proprie cellule un numero cromosomico differente da quello caratteristico vengono detti eteroploidi ed eteroplodia viene detta la mutazione corrispondente. Un assetto diverso del numero dei cromosomi sono la conseguenza di errori della distribuzione ei cromosomi durante le divisioni cellulari. Tali assetti possono essere divisi in due categorie: Euplodia: condizione in cui il numero di cromosomi è variato per interi set aploidi; Aneuploedia: quando la variazione del numero cromosomico è riferita ad una singola coppia o unità cromosomica. Essa è quindi riferita ad uno o a pochi cromosomi. Gli individui sono detti monoploidi quando presentano soltanto il numero n di cromosomi caratteristico della specie (in pratica il termine monoploide è equivalente alla aploidia). La condizione di poliploidia, invece, si ha la variazione di numero per interi multipli del set aploide. Esistono così individui triploidi, tetraploidi, etc. Nella specie umana, la triplodia e la tetraplodia sono condizioni che si riscontrano con una qualche frequenza (circa il 25% di aborti spontanei sarebbe causata da queste condizioni) e non sono compatibili con la vita. Tutte i fenotipi patologici che si riscontrano non sono quindi legati a stati di eupledia ma di aneuplodia. Vediamo ora di elencare alcune aneuplodie umane le cui conseguenze fenotipiche sono fondamentalmente provocate dall azione cumulativa di dosaggi genici anomali. La Figura 14 riporta l elenco di alcune aneuploidie umane da non disgiunzione.

69 5.1 le mutazioni Figura 14: Alcune aneuploidie umane da non disgiunzione. 61

70 62 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche Naturalmente dobbiamo dobbiamo distinguere tra aneuplodie autosomiche e aneuplodie che interessano i cromosomi sessuali (dette aneuplodie sessuali). Tra le prime ricordiamo la Trisomia del cromosoma 21 (conosciuta con il nome più famoso di sindrome di Down), la Trisomia del cromosoma 18 (o sindrome di Edwards) e la Trisomia del cromosoma 13 (o sindrome di Patau). Tra le aneuploidie sessuali ricordiamo la Trisomia XXY anche detta Sindrome di Klinefelter, la Trisomia XYY e la Monosomia del cromosoma X o sindrome di Turner Altri fenotipi patologici legati a mutazioni Ipercolesterolemia familiare Si tratta di una patologia autosomica dominante che interessa 1/5000 individui. Essa è caratterizzata da colesterolemia elevata pari a mg/dl, dovuta all accumulo di colesterolo-lipoproteine a bassa densità (LDL). L ipercolerestemia familiare è principalmente causata da assenza o alterazione dei recettori di superficie che legano e regolano l entrata delle LDL nelle cellule. Fino ad oggi sono state identificate più di 400 diverse mutazioni del gene che codifica per il recettore delle LDL (gene localizzato sul cromosoma 19 in una regione di 45 Kb). Malattia (o corea) di Huntington E una malattia neurodegenerativa che colpisce 1/10000 individui il cui fenotipo patologico si manifesta intorno ai anni con movimenti muscolari involontari, movimenti spasmodici delle braccia, delle gambe e del busto (noti come corea). La malattia porta poi a problemi di tipo psichiatrici fino a demenza e, generalmente, porta alla morte entro anni dall insorgenza dei primi sintomi. L anomalia che causa la malattia riguarda l espansione di una tripletta di nucleotidi (CAG) nel primo esone del gene IT-15 che mappa sul braccio corto del cromosoma 4. Tale gene codifica la proteina huntingtina che è indispensabile per la vita dei neuroni. In questa malattia, la ripetizione della tripletta un numero di volte molto alto (fino a più di un centinaio contro le max 30 di una condizione normale), prooca un incremento del numero di copie dell amminoacido glutammina nella

71 5.1 le mutazioni 63 proteina huntingtina. Tale aumento provoca la formazione di una proteina anomala che non soltanto è incapace di mantenere la sua normale funzione di stimolare la trascrizione del fattore per il differenziamento e la sopravvivenza dei neuroni, ma forma anche aggregati divenendo insolubile e tossica e provocando la morte delle cellule nervose. Fibrosi cistica o mucoviscidosi la fobrosi cistica è una malattia autosomica recessiva disabilitante con esito spesso letale e con una incidenza di 1/2000 nelle popolazioni caucasiche. Essa è caratterizzata da una secrezione anomala di muco delle ghiandole esocrine e dalla produzione eccessiva di sale dalle ghiandole sudoripare. Il muco denso prodotto ostruisce progressivamente i dotti pancreatici, bronchiali, spermatici. Ciò causa un blocco del trasporto degli enzimi digestivi dal pancreas all intestino tenue, una congestione di bronchi e polmoni con conseguenti difficoltà respiratorie e suscettibilità alle infezioni virali e batteriche. Gli enzimi che rimangono bloccati nel pancreas tendono progressivamente a distruggerlo: esso inizia infatti una produzione di cisti fino ad una forma degenerativa di natura fibrosa. La malattia è causata dalla mutazione di un gene molto grande costituito da circa 250 K coppie di basi. Esso mappa nella regione q31 del braccio lungo del cromosoma 7 e che codifica per una proteina transmembrana della membrana citoplasmatica (tale proteina è chiamata CFTR). Tale proteina costituita da 1480 amminoacidi, regola il flusso di ioni cloro nella cellula per cui difetti in essa producono una anomalia nel movimento di tali ioni con conseguente alterazione della secrezione di liquidi necessari per fluidificare il muco prodotto dalle ghiandole. Per questo motivo il muco secreto rimane molto denso e viscoso. Le mutazioni identificate nella proteina sono di tipo missenso, frameshift, delezioni, inserzioni e di splicing. Emoglobinopatie Con questo termine si identifica una classe eterogenea di patologie ereditarie che insorgono per effetto di alterazioni strutturali e funzionali dell emoglubina. Sono state descritte più di 700 forme anomale di emoglobina anche se non tutte sono causa di patologie. Alcune di queste anomalie portano ad instabilità dei tetrameri, mancata riduzione dello ione ferro, mancato legame dell eme.

72 64 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche Anemia falciforme Questa patologia è una delle piùcomuni malattie ereditarie con una incidenza di circa 1/500 nati nella popolazione afroamericana. Essa rimane ancora una delle cause principali cause di morte tra la popolazione di colore del mondo perchè non è curabile malgrado se ne conoscano bene le sue basi molecolari. Essa prende il nome dalla presenza nel circolo sanguigno di eritrociti a forma di falce, una conformazione che assumono i globuli rossi dovuta alla presenza della emoglobina anomala detta emoglobina S (HbS). Tutto ciò è causato da una mutazione missenso, la sostituzione di una timina con una adenina (CTC CAC) nel sesto codone del primo esone del gene che codifica per le globine β. Talassemie Per talassemia si intende una ben definita categoria di emoglobinopatie dovute ad un difetto di sintesi delle globine α o β. La sintesi di una delle due globine può essere ridotta o addirittura assente e quindi le molecole di emoglobina che si formano sono alterate e tendono a non legare l ossigeno in modo efficiente con la conseguenza che gli individui mostreranno danni spesso letali. Si conoscono due tipi di talassemie: la talassemia α e la talassemia β. Nella talassemia α la mancanza delle catene globiniche α è da ricondurre ad un evento mutazionale che porta alla perdita o delezione di uno o entrambi i geni della globina α. Queste delezioni sono spesso dovute ai meccanismi di crossing over ineguale ra sequenze omologhe dei geni α. La talassemia sono generalmente dovute ad un deficit nella produzione delle globine β a causa di mutazioni nel gene β che è presente in unica copia sul cromosoma 11 e sono trasmesse secondo la modalità autosomica recessiva. Fenilchetonuria (PKU) E la più comune malattia pediatrica congenita. E dovuta ad una carenza enzimatica e caratterizzata da aumentati livelli sierici dell amminoacido fenilalanina e da ritardo mentale. Essa è dovuta alla mutazione di un gene localizzato sul cromosoma 12 (locus 12q24.1) ma esistono altre cause. La frequenza nelle popolazioni caucasiche è di circa 1/11000 nati vivi.

73 5.2 il polimorfismo in biologia molecolare 65 Da un punto di vista molecolare la malattia è provocata dalla mutazione di un gene che codifica per la fenilalanina idrossilasi (PAH) che è un enzima che converte l amminoacido fenilalanina in tirosina. L assenza di tale enzima rende impossibile tale reazione e provoca gli aumenti della fenilalanina. La fenilanalina, d altro canto, è un amminoacido essenziale, tuttavia un suo eccesso causa problemi allo sviluppo del sistema nervoso. I bambini affetti da fenilchetonuria (omozigoti recessivi) accumulano la fenilalanina che viene convertita non in tirosina ma in acido fenilpiruvico che è un prodotto tossico per il sistema nervoso centrale. Ciò provoca ritardo mental e morte precoce. La PKU è una tipica malattia genetica che mostra effetti pleiotropici. Un individuo affetto da PKU, infatti, risulta incapace di sintetizzare la tirosina, ma ciò induce la carenza di produzione di proteine fondamentali come gli ormoni tiroxina e adrenalina così come la melanina. Sono per esempio frequenti i malati di fenilchetonuria che hanno carnagione e occhi chiari per deficit di melanina e possiedono livelli particolarmente bassi di adrenalina Tabelle riassuntive di alcune patologie Le Figure?? e?? riportano alcuni importanti esempi di patologie autosomiche a carattere dominante e recessivo. 5.2 il polimorfismo in biologia molecolare Da un punto di vista generale, il polimorfismo in biologia si verifica quando due o più fenotipi diversi esistono contemporaneamente nella stessa popolazione. Per essere classificati come tali, i polimorfismi devono occupare allo stesso tempo lo stesso habitat e appartenere ad una popolazione pammittica (cioè soggetta ad accoppiamento casuale). ll polimorfismo è comune in natura, legato alla biodiversità, alla variabilità genetica e alla capacità di adattamento. Gli esempi più comuni sono il dimorfismo sessuale che avviene in molti organismi, le forme di mimetismo nelle farfalle, l emoglobina umana e i gruppi sanguigni.

74 66 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche Figura 15: Esempi di patologie autosomiche dominanti. Figura 16: Esempi di patologie autosomiche recessive.

75 5.2 il polimorfismo in biologia molecolare 67 Il polimorfismo è conseguenza del processo evolutivo, è ereditabile, e viene modificato dalla selezione naturale. Esiste però una accezione più specifica del termine polimorfismo, usato in biologia molecolare per descrivere i marcatori genetici legati alle mutazioni che avvengono al livello del DNA. I polimorfismi del DNA, anche detti polimorfismi genetici sono estremamente utili in biologia perchè usati come marcatori genetici. La scoperta dei polimorfismi genetici è stata possibile quando si è avuta la possibilità di analizzare direttamente i fenotipi del DNA. Al livello del DNA, è infatti sufficiente la differenza di una singola base tra due sequenze omologhe per creare due alleli diversi. In alcuni casi la variazione di una singola coppia di basi può dare vita ad un prodotto genico anche sensibilmente diverso dl prodotto normale che a volte. è anche facilmente individuabile con una analisi fenotipica o con analisi proteiche. Tuttavia, la maggior parte delle volte, differenze di singole coppie di basi in loci omologhi non hanno alcuna evidente conseguenza biologica o perchè la mutazione non compoeta nessun cambiamento nella proteina prodotta o semplicemente perchè il cambiamento avviene in una regione non codificante del genoma. Proprio il fatto di essere innoque rende queste mutazioni non selezionate, quindi molto diffuse ed equidisperse per l intera lunghezza di ogni cromosoma. Esse rappresentano così una importante collezione di siti che possono essere estremamente utili per la mappatura genetica. Tali marcatori vengono quindi definiti polimorfismi genetici indicando con questo termine la presenza simultanea nella popolazione di alleli che presentano una qualsiasi variazione di sequenza. Ai fini pratici, per essere considerato un polimorfismo, un allele deve avere nella popolazione una frequenza maggiore dell 1%. Lo sviluppo di tecniche molecolari quali il Southern blotting e in seguito l areazione a catena della polimerasi (PCR) e il sequenziamento del DNA hanno permesso negli anni di ben identificare i polimorfismi genetici. Da un punto di vista molecolare possono essere classificati come polimorfismi di sequenza quando tra due alleli vi è la variazione di una sola coppia di basi (RFLP, restriction fragment lenght polymorphism e SNP, Single Nucleotide Polymorphism) e polimorfismi di lunghezza quando la differenza tra due alleli è dovuta all inserzione/delezione di un certo numero di basi.

76 68 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche 5.3 il dna ricombinante Introduzione La base metodologica per la maggior parte degli studi di genetica è rappresentata dalla tecnologia del DNA ricombinante. Tale tecnologia permette l isolamento di un singolo gene umano e il suo successivo utilizzo per la produzione della corrispondente proteina con sistemi in vitro. Lo sviluppo della tecnologia del DNA ricombinante si è fondamentalmente basato sulla scoperta, purificazione e caratterizzazione di enzimi capaci di permettere una manipolazione accurata del DNA in vitro. In pratica questa tecnologia permette di selezionare una specifica sequenza di DNA, manipolarla opportunamente, copiarla e isolarla in modo poi da produrre la corrispondente proteina. Naturalmente, per avere la possibilità di studiare in modo accurato la proteina che viene prodotta dal gene isolato, occorre produrne in quantità sufficiente. La tecnologia del DNA ricombinante deve quindi anche prevedere delle tecniche in grado di moltiplicare il tratto di DNA clonato. Tali tecniche vengono dette di amplificazione del DNA e possono avvenire in vivo (clonaggio in batteri) o in vitro (con l uso della metodica della PCR, Polimerasy Chain Reaction). La stessa tecnica può essere applicata alla popolazione di mrna di un particolare tipo cellulare previa conversione in molecole di DNA complementare (cdna). Nei paragrafi successivi analizzeremo brevemente le componenti essenziali della metodica del DNA ricombinante e i principali sistemi di amplificazione e analisi del DNA prodotto Schema semplificato della DNA ricombinante La tecnologia del DNA ricombinante prevede diversi passaggi. Innanzi tutto il DNA o l RNA devono essere estratti e purificati attraverso l utilizzo di specifici enzimi. Una volta estratto, l acido nucleico deve essere opportunamente manipolato. Gli enzimi che permettono questa manipolazione (che avviene in vitro) possono essere raggruppati in tre categorie fondamentali: 1. DNA polimerasi; 2. nucleasi o enzimi di restrizione;

77 5.4 metodologie analitiche associate al dna ricombinante e ligasi. Le DNA polimerasi effettuano la sintesi di DNA a partire da uno stampo che può essere DNA (in questo caso si chiamano DNA polimerasi DNA-dipendenti) o RNA (DNA polimerasi RNA-dipendenti). Esempi di DNA polimerasi sono la DNA polimerasi I di E. Coli, i frammenti di Klenow (derivati dalla DNA polimerasi I ma eliminando da essa la componente esonucleasica), la Taq polimerasi (una DNA polimerasi termoresistente isolata per la prima volta nel batterio Thermus acquaticus) e la trascrittasi inversa (RT) che è un enzima isolato da retrovirus che permette la sintesi di filamenti di DNA utilizzando come stampo l RNA. Le nucleasi possono essere suddivise in esonucleasi ed endonucleasi. Le esonucleasi sono in grado di rimuovere nucleotidi alle estremità delle molecole di DNA, mentre le endonucleasi tagliano le molecole a singolo o a doppio filamento, all interno con una modalità sequenza-dipendente o sequesnza-indipendente. Esempi di endonucleasi per DNA a doppio filamento sequenza-dipendente (tagliano il DNA in specifici punti) sono gli enzimi di restrizione di tipo II mentre quelli che tagliano le stesse molecole in modo casuale sono le desossiribonucleasi (DNasi). Le ligasi permettono di unire due molecole di DNA tagliate, ad esempio, con lo stesso enzima di restrizione. Questi enzimi (detti DNA ligasi) catalizzano la formazione di un legame fosfodiesterico tra due filamenti di DNA se un filamento possiese un 3 -OH libero e l altro un 5 -fosfato libero. Le DNA ligasi, sono in grado di unire tra di loro DNA a doppio filamento ma non a singolo. Nella cellula la DNA ligasi svolge il ruolo di saldare le interruzioni presenti nello scheletro del DNA dopo la replicazione. Quando questo enzima deve essere adoperato in laboratorio, esso viene estratto dl fago T metodologie analitiche associate al dna ricombinante Una volta che il DNA è stato frammentato e manipolato, al fine di eseguire una mappa genetica completa e quindi non solo conoscere la posizione dei vari frammenti genici in funzione di specifici siti di restrizione, ma anche di separare i vari frammenti ottenuti in funzione del

78 70 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche loro peso molecolare e di identificare ben specifiche sequenze nucleotidiche in essi contenuti è stato necessario sviluppare delle tecniche di analisi specifiche. Tra le tecniche più significative ricordiamo la gel elettroforesi che permette di frazionare i frammenti di DNA in funzione del loro peso molecolare e l ibridazione molecolare che permette invece di identificare una specifica sequenza di nucleotidi. Esistono poi tecniche per analizzare le sequenze nucleotidiche in modo preciso e sistemi di amplificazione in-vivo e in-vitro dei tratti di DNA senza i quali sarebbe impossibile applicare le varie tecniche di analisi perchè non si avrebbe materiale e quindi statistica sufficiente Gel elettroforesi Gli acidi nucleici sono molecole cariche negativamente (la carica negativa è dovuta ai gruppi fosfato delle catene dei DNA e RNA) e quindi, se poste all interno di un campo elettrico, migreranno verso il polo di carica opposta. Se molecole di DNA di diversa dimensione sono poste in un campo elettrico e in una matrice che funzioni da setaccio, in grado di rallentare le molecole più piccole e permettendo il passaggio più facile a quelle più grandi, e tali molecole vengono opportunamente colorate, si ottengono delle tipiche bande la cui distanza di migrazione dal punto di origine è strettamente legata alla dimensione delle molecole. In particolare risulta che tale distanza è inversamente proporzionale al log 10 della loro dimensione. La matrice che funge da setaccio è un gel di agarosio o policrilammide. Il gel di agarosio permette una eccellente separazione di frammenti di DNA compresi tra 100 bp e 15 Kbp Ibridazione molecolare o metodo di Southern blot L analisi attraverso l elettroforesi in gel di agarosio permette di derivare la distribuzione in dimensione delle diverse molecole di DNA ma niente ci dice circa altre loro caratteristiche come ad esempio, la loro sequenza nucleotidica: in una stessa banda, infatti, possono migrare pezzi di DNA con la stessa dimensione ma sequenza nucleotidica diversa. L ibridazione molecolare è una tecnica che permette di distinguere, nelle bande da elettroforesi, bande di DNA caratterizzate da speci-

79 5.4 metodologie analitiche associate al dna ricombinante 71 fiche sequenze nucleotidiche. Questo sistema si basa su due passaggi fondamentali: 1. il trsferimento (blotting) del DNA in stato denaturato dal gel ad un supporto più resistente e maneggevole 2. il rilevamento di una particolare sequenza mediante l ibridazione molecolare L ibridazione molecolare si basa sulla formazione di un doppio filamento (per ricostruzione dei legami idrogeno) tra le basi complementari di due filamenti singoli. Il processo viene definito ibridizzazione in quanto i due filamenti complementari che vengono ricostruiti appartengono a due diverse molecole: un filamento è infatti rappresentato dalla sonda di DNA in soluzione e l altro filamento è il DNA bersaglio che deve essere analizzato. Si comprende quindi come le speci molecolari coinvolte nella metodica devono essere presenti in stato denaturato e che la specie bersaglio sia presente in eccesso rispetto quella della sonda ciò facilitando le collisioni con le molecole sonda. Il principio della ibridazione è poi basato sull utilizzo di sonde marcate (con materiale radioattivo o non radioattivo) in modo tale che essa possa essere rivelata dopo l ibridazione e, quindi, possa essere possibile identificare la sequenza bersaglio alla quale si è legata. Per il DNA il sistema attualmente in uso prende il nome di Southern blot messo a punto nel 1975 da Edwin Southern Amplificazione del DNA in vivo I metodi di amplificazione adoperati nella tecnologia del DNA ricombinante hanno lo scopo di produrre elevate quantità di una determinata sequenza mediante la sua replicazione indipendente rispetto a quella del DNA cellulare, seguita da un facile isolamento di tali molecole dalle cellule che la contengono. Tale obiettivo può essere raggiunto inserendo del DNA esogeno, mediante l uso degli enzimi di restrizione, in opportuni vettori dotati di origine per la riproduzione procariotica. Ciò permette di replicare il DNA esogeno un numero di volte superiore a quello del genoma endogeno (perchè può essere attaccato a vari siti) e di poterlo ottenere in forma pura utilizzando per il taglio lo stesso enzima usato per la sua inserzione. Nella magior parte dei casi le cellule ospiti sono

80 72 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche rappresentate da E. coli anche se talvolta vengono utilizzate anche cellule eucariotiche come il lievito. I vettori più utilizzati sono i plasmidi, ideali per il clonaggio di frammenti di DNA relativamente piccoli ( fino ad un massimo di circa 10 Kb) mentre per dimensioni più elevate (fino a 100 Kb) si i vettori adoperati sono basati sul batteriofago λ Amplificazione del DNA in vitro La PCR L amplificazione del DNA in vitro può essere ottenuta attraverso attraverso la metodologia della reazione a catena della polimerasi o PCR (Polimerasy Chain Reaction). La PCR, grazie alla sua sensibilità e rapidità di esecuzione, ha permesso il raggiungimento di obiettivi molto importanti quali l identificazione personale su base genetica o la diagnosi di malattie genetiche o di infezioni da patogeni in tempi molto brevi e con quantitativi molto ridotti di DNA di partenza. Un ciclo PCR è costituito da tre fasi: 1. La denaturazione del DNA che deve fare da stampo (a 94 gradi per pochi minuti); 2. L annealing di due inneschi ( o primer) oligonucleotidici che permettono di definire una ben determinata regione di DNA; 3. L estensione, cioè la sintesi dei filamenti complementari da parte della DNA polimerasi in presenza dei quattro desossiribonucleotidio trifosfato. I due primer sono di lunghezza normalmente compresa tra 18 e 30 nucleotidi e sono complementari ai due filamenti e definiscono la regione da copiare. Essi hanno sempre orientamento 5 3 in modo che all interno della regine definita, il primer di sinistra dirige la sintesi verso destra e quello di destra verso sinistra. La reazione di annealing è una normale ibridazione DNA/DNA e viene effettuata intorno alla temperatura di 60 C. Tale temperatura è comunque influenzata sia dalla lunghezza che dalla sequenza dei primer stessi. La scelta di una temperatura ottimale è fondamentale perchè essa permette un corretto appaiamento tra primer e stampo ed un appaiamento ridotto o nullo con altre sequenze. La terza fasi della catena viene effettuata attraverso polimerasi termoresistenti intorno alla temperatura di 72 C per 1-2 minuti. Generalmente

81 5.4 metodologie analitiche associate al dna ricombinante 73 con una data quantità di polimerasi iniziale si è in grado di effettuare circa cicli di PCR sufficienti a produrre una amplificazione del tratto di DNA di circa RT-PCR: retrotrascrizione associata alla PCR L enzima di manipolazione trascrittasi inversa permette di ottenere una copia del DNA (detto cdna o DNA complementare) a partire dall mr- NA. La combinazione di questo processo di retrotrascrizione con la procedura PCR e detto RT-PCR e permette di estendere l uso della PCR all analisi sia quantitativa che qualitativa dell espressione genica. La RT-PCR si basa su due passaggi: 1. La sintesi di DNA a singolo filamento utilizzando come stampo l mrna; 2. La successiva amplificazione di questo con la PCR Naturalmente nella RT-PCR i primer adoperati sono specifici per un dato mrna e essa permette l nalisi della espressione genica di specifici messaggeri di cui si conosce già la sequenza. La real-time PCR La RT-PCR permette di capire molto bene se una data sequenza è contenuta nel DNA ma non riesce a fornire un valore quantitativo preciso della quantità di tale sequenza: è una misura molto approssimativa infatti fare ciò semplicemente amplificando lo stampo e misurando la quantità del prodotto con la gel elettroforesi perchè dopo un certo numero di cicli si perde la proporzionalità tra la quantità di stampo iniziale e quella finale del prodotto. Una misura quantitativa della quantità di una data sequenza all interno del DNA è invece ottenuta attraverso la real-time PCR che permette di monitorare in tempo reale la formazione del prodotto nel corso della PCR Il sequenziamento enzimatico L analisi dettagliata delle catene nucleotidiche che compongono il DNA, ovvero la possibilità di sequenziare il DNA nei suoi singolo componenti, è oggi possibile attraverso diverse tecniche analitiche. Tra que-

82 74 mutazioni, polimorfismi, metodologie analitiche ste il sequenziamento di Sanger (o sequenziamento enzimatico) è forse quello più famoso ed efficiente. Esso permette, attraverso l utilizzo di miscele contenenti, oltre che il DNA denaturato che fa da stampo, la DNA polimerasi, tre desiribonucleotidi (dei quettro necessari) anche un particolare nucleotide (il di-desossiribonucleotide) di fermare la catena di crescita del DNA in particolari punti definiti proprio dal tipo del di-desossiribonucleotide aggiunto. Effettuando questo tipo di reazione in quattro provette diverse (ciascuna dove è stato fatto agire un diverso di-desossiribonucleotide) e poi analizzando le sequenze con gel-elettroforesi, si riesce ad ottenere la sequenza nucleotidica anche di lunghe (fino a nucleotidi) catene di DNA.

83 6 G E N E T I C A U M A N A F O R M A L E E M O L E C O L A R E 6.1 introduzione La Genetica (dal greco γɛσ = nascita, origine) è la scienza dell ereditarietà. Essa studia la trasmissione delle caratteristiche ereditarie che distinguono un individuo da un altro. La Genetica nasce tra la fine dell 800 e l inizio del 900, avendo come base gli studi del monaco naturalista Johann Gregor Mendel condotti per anni nell orto del monastero di Brno (CZ) e le sempre più avanzate conoscenze citologiche e molecolari. I caratteri studiati da Mendel a metà dell 800 (e i cui studi rimasero sostanzialmente incompresi fino all inizio del 900) non sono altro che il risultato dell espressione dei geni, cioè i tratti di DNA presenti nel genoma in duplice copia e la cui espressione è modulata dall interazione con l ambiente. Mendel comprese, dopo molte prove, che negli organismi doveva trovarsi un qualcosa, sotto forma di singole unità, capace di determinare le caratteristiche ereditabili di singoli caratteri. Egli ritenne quindi essenziale seguire questi singoli caratteri preparando prove di incrocio dai cui risultati dedurre leggi più generali. 6.2 gli esperimenti di mendel Per i suoi esperimenti Mendel iniziò a seguire i semplici caratteri ereditari del Pisum sativum (Pisello odoroso) che mostrava caratteri facilmente distinguibili e discriminabili. Per condurre efficacemente le sue prove egli selezionò le cosiddette linee pure, cioè popolazioni di soggetti che, opportunamente incrociati molte volte, mostravano sempre lo stesso carattere. Una delle prime importanti osservazioni che Mendel fece è che le caratteristiche del soma degli individui non risultava avere una importanza nella trasmissione ereditaria, mentre risultava fondamentale la natura e la qualità degli elementi coinvolti nei processi ereditari, ovvero la co- 75

84 76 genetica umana formale e molecolare stituzione genetica. In questa costituzione genica egli individuò quel qualcosa che è ereditabile e che determina una data caratteristica di un individuo. Questo qualcosa sono i caratteri. Alla fine dei suoi studi Mendel propose forse una delle più importanti teorie della biologia: i caratteri sono determinati da unità ereditarie che egli definì fattori e sono portati dalle cellule germinali una di origine paterna e una materna. I fattori di Mendel furono in seguito denominati geni e poi alleli. Essi costituiscono il genotipo e cioè la struttura genetica dell organismo, mentre l aspetto, cioè la manifestazione dei caratteri, costituisce il fenotipo. E chiaro quindi come, in effetti, quello che Mendel chiamava carattere è in effetti il fenotipo di quel dato organismo. Da un punto di vista più rigoroso, oggi diciamo che in un singolo individuo, per ciascun carattere esistono due fattori mendeliani, cioè due coppie di geni (anche detti allelomorfi o più semplicemente alleli) che rappresentano le forme alternative dello stesso gene Caratteri, Loci, geni Dai primi del 900, lo sviluppo delle tecniche microscopiche, permise di osservare, per la prima volta, le cellule in divisione. da questi e da altri studi emerse un parallelismo tra il comportamento dei cromosomi e la trasmissione dei caratteri ereditari, facendo così nascere la supposizione che cromosomi e caratteri ereditari fossero tra loro correlati. Si fece quindi strada l idea che ciascun carattere mendeliano avesse una localizzazione fisica in un punto specifico di un cromosoma, detto locus. Nelle cellule degli organismi diploidi esistono due copie dei cromosomi (i cromosomi omologhi), una di origine paterna e una materna, che sono appunto caratterizzate dall avere la stessa sequenza dei loci genetici. Nel singolo individuo, poi, per ciascun carattere, esistono due fattori mendelliani (oggi diciamo due copie geni), detti allelomorfi o, più semplicemente, alleli. Gli alleli, rappresentano le forme alternative di uno stesso gene. In questo schema ogni coppia di caratteri (o meglio, ogni coppia di fenotipi) è rappresentata da una coppia di alleli e ciascun individuo possiede due alleli che sono localizzati in loci corrispondenti dei cromosomi omologhi. Da un punto di vista descrittivo, per descrivere l ereditarietà dei caratteri, Mendel indicava i relativi fattori con una lettera dell alfabeto. In questo formalismo, una lettera maiuscola rappre-

85 6.2 gli esperimenti di mendel 77 senta l allele dominante (ex A) mentre la stessa lettera minuscola (ex a) indica l allele recessivo. Se andiamo quindi per esempio a considerare il caso di un carattere dominante in una linea pura, la specie in questione avrà i due alleli con lo stesso carattere: si dice che questi individui sono omozigoti dominanti. Se il carattere è invece recessivo, ma sempre presente nei due alleli, l individuo si dirà omozigote recessivo. Nel caso in cui i due alleli sono uno di tipo dominante e l altro recessivo, l individuo si dirà a genotipo eterozigote (ex Aa) Le tre leggi di Mendel Mendel chiamava carattere quella data condizione somatica osservata nella pianta del pisello. Per esempio egli studiò il carattere (colore del fiore) nelle sue due forme fenotipiche alternative: porpora e banco. Gli studi di Mendel mostravano che nei vari incroci alcuni caratteri erano maggiormente rappresentati e si manifestavano con maggiore frequenza. Egli chiamò questi caratteri dominanti e recessivi gli altri. Nel caso degli esperimenti con le piante di pisello il colore bianco dei fiori risulta un carattere dal fenotipo recessivo, mentre quello porpora dal fenotipo dominante. I primi esperimeneti furono condotti da Mendel adoperando solo piante con un fenotipo ben selezionato e autofecondando le varie generazioni. Esperimenti successivi furono invece condotti con incroci tra piante che differivano per due coppie di caratteri antagonisti (due caratteri, ciascuno con due fenotipi alternativi) allo scopo di verificare come i caratteri potevano influenzarsi tra di loro. Mendel cominciò i suoi esperimenti incrociando due varietà di pisello, uno a fiore bianco e uno a fiore rosso, portando con un pennellino il polline di uno sul pistillo dell altro. Egli osservò che nella prima generazione (F 1 ) appariva un solo carattere: quello dominante mentre quello recessivo non appariva mai. La Prima Legge, detta anche Legge della uniformità degli ibridi di prima generazione, cita così: Incrociando 2 individui omozigoti per un carattere, ma con un carattere dominante e uno recessivo, si ottiene una prima generazione con individui eterozigoti, ma che mostrano tutti il carattere dominante, mentre quello recessivo non compare Mendel ripetè lo stesso esperimento anche con altri caratteri, come fusto alto e fusto basso, pisello giallo e pisello verde ecc.;

86 78 genetica umana formale e molecolare ma il risultato non cambiò. Lasciò poi che le piante della prima generazione si autofecondassero, generando nuove piante, e osservò che il carattere recessivo appariva solo per un 1/4, mentre quello dominante per i 3/4. La Seconda Legge o legge della separazione dei caratteri dice che: Incrociando 2 individui eterozigoti per un carattere, nella seconda generazione (F 2 ) i 2 caratteri di partenza ricompaiono in quantità numeriche esprimibili con numeri semplici, in rapporto di 3:1 Pure qui l esperimento funzionò anche con altre coppie di caratteri, come seme liscio e seme rugoso. Mendel considera poi un seme giallo liscio e un seme verde rugoso. Nella 1 a generazione ottenne tutti individui con semi gialli lisci come, d altronde, cita la legge. Ma nella 2 a generazione ottenne piante così distribuite: 9/16 con il seme giallo liscio - 1/16 verde rugoso - 3/16 giallo e rugoso - 3/16 Verde e liscio. Quindi la Terza Legge di Mendel, o Legge dell indipendenza dei caratteri, si può formulare così: Incrociando individui con più caratteri distinti si ottengono nella 2 a generazione individui nei quali i caratteri si trasmettono indipendemente l uno dall altro. Se i caratteri sono 2, il rapporto sarà 9 : 3 : 3 : 1 Le tre leggi di Mendel si possono riassumere in questo modo: La prima legge di Mendel Anche detta legge della dominanza. Essa dice che tutti i soggetti della prima generazione (F 1 ), prodotti dall incrocio di due individui parentali di linea pura, che differiscono per un carattere e mostrano cioè due fenotipi alternativi, presentano solo uno dei due caratteri (fenotipo) che viene detto dominante mentre la forma alternativa che rimane latente è detta recessiva. La seconda legge di Mendel Anche detta legge della segregazione dei caratteri. Essa dice che i soggetti della prima generazione (F 1 ) incrociati tra di loro producono una progenie dove compaiono entrambi i fenotipi parentali (in pratica riappare il fenotipo recessivo che era scomparso) con un rapporto costante 3/4 per il dominante e 1/4 per il recessivo.

87 6.3 variazioni alla genetica mendelliana 79 La terza legge di Mendel Anche detta della segregazione indipendente dei caratteri. Essa dice che nell incrocio di due soggetti che differiscono per due caratteri (due coppie di fenotipi quindi), ciascuno di essi viene trasmesso ed ereditato indipendentemente uno dall altro. Nella progenie infatti, i caratteri compaiono in tutte le possibili combinazioni in quanto le due coppie di alleli risiedono su due diverse coppie di cromosomi omologhi. 6.3 variazioni alla genetica mendelliana Fu comunque presto evidente che non tutti i risultati sperimentali apparivano coerenti con i principi mendeliani e ci si rese altrettanto presto conto che l espressione del genotipo non è così semplice e diretta come si poteva dedurre dagli esperimenti Mendel. Infatti, non tutti i caratteri ereditari rientrano nel principio secondo cui un dato fenotipo è specificato da un solo fattore, un gene, di cui esistono due alleli: uno per il fenotipo dominante e uno per quello recessivo. Esistono quadri ereditari più complessi che danno per esempio ragione del fatto che: La maggior parte dei fenotipi risente dell azione di più geni; Il fenotipo può essere determinato da alleli che non consentono una dominanza completa; Il fenotipo può risentire di influenze che derivano dall ambiente Dominanza incompleta Per alcune specie eterozigote, quando di esse si incrociano due fenotipi differenti (vedi per esempio il caso dei fiori rossi e bianchi della Mirabilis jalapa), si ottiene per la generazione F 1 il 100% di fiori con fenotipo intermedio rosa. Questo caso non esprime il fatto che ci sia una mescolanza tra i caratteri, ma che il fenotipo degli eterozigoti non è uguale a quello degli omozigoti dominanti ma risulta invece intermedio tra i fenotipi dei due omozigoti. La legge della dominanza (prima legge di Mendell), dunque, appare non

88 80 genetica umana formale e molecolare categorica in quanto la dominanza può essere più o meno completa. nel caso appena citato della Mirabilis jalapa i caratteri si dicono a dominanza incompleta. In questo caso nell ibrido si esprime l allele dominante determinando la colorazione intermedia che consente la netta distinzione tra eterozigoti ed omozigoti Codominanza Una ulteriore eccezione al principio della dominanza mendelliana si verifica quando due alleli si esprimono in eguale misura producendo un fenotipo che è rappresentativo di entrambi gli omozigoti. Questa condizione è indicata con il termine di codominanza ed i due alleli sono detti codominanti. In questo caso quindi, l espressione di ciascu allele è pienamente riconoscibile a livello fenotipico in quanto entrambi si esprimono contemporaneamente ed in maniera completa Allelia multipla Ogni gene può avere varie forme alternative che specificano fenotipi diversi e tale forme prendono il nome di alleli. Inoltre molti geni possono essere presenti nelle popolazioni in più di due forme alleliche: possono cioè esservi tre o più alleli per lo stesso locus e si parla in questo caso di allelia multipla o poliallelia. Cerchiamo di spiegare meglio il concetto di allelia multipla.in ciascun individuo diploide, per ciascun carattere esistono soltanto due loci genetici: uno su un cromosoma e l altro sul suo omologo. Ciascuno di questi due loci, a sua volta, può contenere forme alleliche differenti dello stesso gene: quindi un individuo avrà sempre e solo due alleli di un gene (uno in un locus e uno nell altro) anche se però possono esistere più di due forme alternative (cioè più di due alleli). Gli alleli di una serie allelica (cioè quelli che sono varianti dello stesso gene) possono avere tra di loro differenti relazioni di dominanza e recessività. L allele che è maggiormente diffuso vie detto allele selvatico o wilde-type, mentre gli altri alleli alternativi sono detti mutanti. L esistenza di più forme alleliche per uno stesso lucus aumenta il numero di combinazioni genotipiche e fenotipiche per un determinato carattere.

89 6.3 variazioni alla genetica mendelliana Pleiotropia L approccio classico della genetica Mendelliana partiva dall assunto che ad un gene corrispondesse un solo e ben specifico fenotipo. Ciò non è vero e si verifica spesso come un singolo allele può avere più di un effetto sul fenotipo di un individuo. Tale fenomeno, che prende il nome di pleiotropia, è proprio quella condizione per cui un allele esercita effetti multipli sul fenotipo di un organismo. nella specie umana alcune malattie ereditarie, come l anemia falciforme, la fibrosi cistica, l albinismo, la fenilchetonuria sono la chiara manifestazione di alleli responsabili di fenotipi clinici in cui si evidenzia la contemporanea presenza di difetti in diversi organi o apparati L epistasi Nei casi in cui un gene può interferire o mascherare l espressione di un altro gene si parla di epistasi (da ɛπι = sopra e στασισ= posizione e, quindi che sta sopra). Questo fenomeno si ha in tutti quei casi nei quali l espressione di un dato carattere è il frutto dell interazione tra più geni (non allelici) e tra i geni e l ambiente. Quindi anche se differenti coppie di alleli che stanno su coppie diverse di cromosomi omologhi, si comportano indipendentemente le une dalle altre (secondo il principio della segregazione indipendente), questo non sempre comporta nella trasmissione, la loro indipendenza di espressione. Le interazioni possono realizzarsi direttamente ed immediatamente tra i prodotti genici delle due coppie di alleli o in tappe successive. Ad esempio, quando alcuni geni agiscono in modo sequenziale, a cascata, come nelle vie metaboliche, un allele che codifica un enzima non funzionante interromperà la catena delle reazioni per il resto della catena. Il gene che condiziona l espressione è detto epistatico, quello che è regolato dal primo, invece ipostatico (che sta sotto). Tutte le volte in cui è presente un gene che può essere considerato a monte la cui espressione influenza l espressione dei geni che stanno a valle si dice che si è in presenza di un effetto epistatico.

90 82 genetica umana formale e molecolare Il linkage e il crossing over Via via che gli studi di genetica avanzavano e le conoscenza progredivano a partire dagli studi di Mendel, ci si rese conto che il numero di caratteri ereditari osservabili in ogni specie superava di gran lunga il numero di cromosomi. Risultò quindi evidente che ogni cromosoma dovesse contenere l informazione per più caratteri o, in altri termini, dovesse contenere più loci genici. Questa ipotesi, ovviamente, implica che ci sia una concatenazione fisica per tutti quesi loci che sono localizzati sullo stesso cromosoma, al contrario di quanto affermavano le conclusioni di Mendel sulla segregazione indipendente dei caratteri ereditari. Quello che presto si dimostrò, effettuando esperimenti di tipo mendelliano, è che tutti gli alleli dei loci presenti sullo stesso cromosoma segregano tutti insieme durante la meiosi. Essi, come si dice comunemente, sono associati o concatenati o in linkage. egli esperimenti eseguiti, oltre i cromosomi parentali che subivano linkage si ottenne anche che un certo numero di cromosomi erano ricombinanti per effetto del meccanismo del crossing over. ll meccanismo del crossing over, per la sua natura casuale, porta a fenotipi scambiati rispetto ai parentali e meno frequenti rispetto a essi. Il crossing over In quasi tutti gli organismi in cui avviene la meiosi, incluso l uomo, è stato possibile evidenziare da un punto di vista citologico, la formazione di strutture che tengono insieme i due cromosomi di ciascuna coppia di omologhi, l uno di origine paterna e l altro di origine materna. Nella meiosi I, infatti, i due cromosomi omologhi sono connessi prima dalla formazione di una struttura proteica (il complesso sinaptonemale), poi dalla formazione di rotture a doppio filamento e infine dalla interazione fisica delle molecole di DNA attraverso lo scambio di materiale genetico esattamente nei siti delle rotture a doppio filamento. I siti nei quali avvengono sia queste rotture a doppio filamento come gli scambi di materiale genetico tra cromosomi omologhi, sono detti siti di ricombinazione o di crossing over. Grazie a questo processo durante la meiosi, si generano cromosomi con nuove combinazioni alleliche : sono i cormosomi ricombinanti, che contengono sempre la stessa sequenza di loci genici, ma con gli alleli miscelati tra quelli paterni e materni.

91 6.4 i cromosomi umani 83 Il crossing over ineguale Il Crossing over ineguale si verifica tra cromosomi omologhi non completamente appaiati che da, come risultato, uno scambio non reciproco di materiale genetico e la comparsa di cromosomi di lunghezza diversa. La condizione del crossing over ineguale è favorito in regioni contenenti sequenze ripetute disposte a tandem (vedi la tesina numero 5 sui polimorfismi di lunghezza). 6.4 i cromosomi umani Il corredo cromosomico o cariotipo umano contenuto in ciascuna cellula somatica di ogni individuo, consiste di 46 cromosomi, suddiviso in 23 coppie di omologhi, dei quali 44 sono autosomi e di una coppia di cromosomi sessuali. Questi ultimi nella donna sono omologhi e sono indicati con XX mentre nel maschio sono parzialmente omologhi e sono indicati con XY. Tale corredo cromosomico è per questo motivo detto diploide, ed è tale non solo nelle cellule somatiche ma anche in quelle della linea germinale che si sono differenziate. Esso è invece aploide, cioè dimezzato (23 cromosomi, un rappresentante per ciascuna coppia di omologhi) nei gameti maturi. Alla fecondazione, l unione dei due gameti ristabilisce il numero diploide dei cromosomi; lo zigote, quindi, avrà un set paterno e uno materno ma con un numero di combinazioni cromosomiche possibili che è straordinariamente elevato e pari a Il numero così alto di possibili combinazioni, insieme alla ulteriore variabilità determinata dai numerosi crossing over per ciascuna coppia di cromosomi, garantiscono la assoluta individualità ad ogni figlio prodotto anche se, ovviamente, tale variabilità sarà minore nel caso del concepimento di gemelli omozigoti. Prendendo come punto di riferimento la posizione del centrometro dei cromosomi in fase di divisione, i cromosomi umani possono distinguersi, da un punto di vista morfologico in: metacentrici: se il rapporto tra la lunghezza dei due bracci del cromosoma è all incirca uguale ad 1; submetacentrici: se il centrometro è posto in posizione submediana;

92 84 genetica umana formale e molecolare acrocentrici: se il centrometro è quasi terminale Va ricordato anche che il DNA dei centromeri è costituito da sequenze di DNA altamente ripetute (da 5 Kb a 15 Kb) e che i cromosomi acrocentrici presentano anche dei bracci molto piccoli con una appendice globulare detta satellite che contiene alcune centinaia di copie di geni che codificano per l RNA ribosomiale. La Figura 17 mostra una tipica micrografia della piastra metafasica di un individuo umano normale di sesso maschile. Figura 17: micrografia della piastra metafasica di un individuo umano normale di sesso maschile.

93 7 S T R U T T U R A M O L E C O L A R E E F U N Z I O N A L E D E L L E M E M B R A N E C E L L U L A R I 7.1 introduzione Tutte le cellule sono circondate da una membrana detta membrana plasmatica, che separa il citoplasma (interno) e gli organuli cellulari in esso contenuti dall ambiente esterno. Oltre alla membrana plasmatica le cellule sono fornite di altre membrane dette membrane interne o membrane endocellulari, che circondano gli organuli cellulari (mitocondri, nucleo, lisosomi, vacuoli ecc.). Il fine principale delle membrane cellulari e quello di isolare l ambiente interno da quello esterno. In tal modo, le reazioni metaboliche sono possibili in compartimenti cellulari perfettamente isolati non solo dall ambiente extracellulare, ma anche dall ambiente intracellulare. Si parla in questi casi di compartimentalizzazione. Dal punto di vista morfologico le membrane cellulari sono pressoche identiche. La loro struttura molecolare invece e varia pur mantenendo una certa similitudine. Da un punto di vista funzionale le membrane interne, con l eccezione delle membrane mitocondriali, sono strettamente collegate tra di loro avendo probabilmente un origine comune. Queste membrane vengono indicate come membrane del GERL (Golgi-Reticolo Endoplasmatico- Lisosomi). La membrana plasmatica ha un origine ed alcuni funzioni comuni alle membrane del GERL, ma se ne differenzia largamente per alcune caratteristiche strutturali e per le diverse funzioni metaboliche cui e preposta. Le membrane cellulari sono strutture insolubili in acqua. Tale caratteristica e loro conferita dalla presenza di lipidi come costituenti principali (dal 20 all 80 Le membrane cellulari sono definite come strutture idrofobiche, dotate cioe di forze di repulsione che per ragioni termodinamiche impediscono alle molecole apolari, che le compongono, di interagire con le molecole polari come l acqua. Esempi di molecole apolari che incontreremo nelle strutture biologiche sono le catene alifatiche e i gruppi 85

94 86 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari aromatici. Una sostanza fortemente apolare, come un grasso neutro, e incapace di organizzarsi in membrana, ma in acqua formera piccole vescicole galleggianti. La formazione di una membrana e ottenuta da una specie particolare di lipidi detti bipolari o anfipatici che sono: i fosfolipidi, il colesterolo e i glicolipidi. La doppia polarita permette che queste molecole si orientino in modo da esporre la parte polare alle molecole di acqua e di nascondere ad essa la porzione apolare. In presenza di aria tali molecole si posizionano alla superficie dell acqua esponendo all aria la porzione apolare. In assenza di una superficie libera si organizzano in micelle o vescicole. Sulla superficie esterna di tali micelle saranno localizzate le teste polari, mentre nella parte interna la porzione apolare. Situando le molecole anfipatiche in una condizione nella quale si creino due ambienti acquosi, uno interno e l altro esterno alla micella, si ottiene una struttura bimolecolare, in cui i lipidi sono paralleli e presentano le teste polari sulla superficie superiore ed inferiore, e le code apolari nello spazio interno. La condizione appena descritta e esattamente quella che si riscontra nelle membrane cellulari. La membrana plasmatica infatti separa due ambienti acquosi, il citoplasma e l ambiente extracellulare 7.2 i vari modelli di membrana Fino al momento in cui, nei primi anni a partire dal 1950, la microscopia elettronica è stata applicata allo studio della struttura cellulare, nessuno aveva visualizato una membrana. Molto tempo prima che le mebrane fossero realmente viste, prove indirette avevano già portato ad ipotizzarne l esistenza. I ricercatori, infatti, avevano tentato di capire l organizzazione molecolare delle membrane per più di un secolo. Gli studi hanno portato alla formulazione del modello a mosaico fluido per la struttura della membrana. Questo modello, che oggi si ipotizza appliccabile a tutte le membrane biologiche, ipotizza una membrana come un mare fluido di fosfolipidi ed altri lipidi con proteine che galleggiano come iceberg in esso e su esso. Le prime osservazioni degne di nota si devono allo scienziato Charles

95 7.2 i vari modelli di membrana 87 Overton nel Overton notò che le cellule smbravano circondate da una sorta di strato selettivamente permeabile che permetteva a sostanze diverse di entarre e uscire dalla cellula, con velocità differente. Eglì trovò una correlazione tra la natura lipofilica di una sostanza e la facilità con cui essa poteva entrare nella cellula. Da queste osservazioni Overton concluse che i lipidi erano presenti sulla superficie cellulare, come una sorta di rivestimento. Dieci anni dopo Irving Langmuir, studiò il comportamento dei fosfolipidi purificati e disciolti i un solvente organico (benzene). Ponendo la miscela di fosfolipidi in benzene sull acqua, quando il benzene evaporava si formava un monostrato di fosfolipidi in maniera che la testa polare restasse immersa nell acqua, mentre la porzione apolare si esponeva all aria. Queste osservazioni divennero la base per ulteriori studi sulle membrane. Due fisiologi tedeschi, Gorter e Grendel, nel 1952 cercarono di scoprire quanti strati lipidici sono presenti nella membrana plasmatica. Utilizzando gli eritrociti o globuli rossi dl sangue, estrassero da un numero noto di essi i fosfolipidi e utilizzando il metodo di Langmuir, stratificarono questi su una superficie acquosa. Calclarono l area coperta dal film di fosfolipidi e dedussero che ogni globulo rosso doveva possedere due strati di fosfolipidi. Ovviamente le teste polari erano orientate verso l acqua e verso l aria, proteggendo la porzione apolare. In questo modo si formava una membrana trilaminare. Il solo modello del doppio strato lipidico non spiegava molte delle caratteristiche delle membrane biologiche. Ad esempio il passaggio di ioni potassio attraverso un doppio strato lipidico impiega giorni, mentre in una membrana plasmatica naturale solo ore. Hugh Davson e James Danielli, al fine di spiegare alcune proprietà, ipotizzarono la presenza di proteine. Nel 1935 proposero che le membrane biologiche erano formate da due strati di fosfolipidi rivestiti esternamente da uno strato di proteine. Il loro modello definito a sandwich era quindi costituito da proteine-lipide-proteine. Nel 1954 i due scienziati aggiunsero altre prove al loro modello e definirono che alcune proteine sono inserite nella membrana in modo da formare dei pori polari. Una delle prove che insinuò dei dubbi su questo modello si ottenne sottoponendo all azione delle fosfolipasi, enzimi capaci di degradare i fosfolipidi rimuovendone le teste polari, le membrane. Tale azione enzimatica degradava le membrane dimostrando che non era presente uno strato proteico di protezione, come proposto dai due ricercatori. Le osservazioni al microscopio elettronico

96 88 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari verificarono direttamente la presenza della membrana plasmatica attorno ad ogni cellula. Si constatò anche che la maggior parte degli organuli delle cellule eucariotiche era delimitato da membrane. Ma la scoperta più importante si ottenne con l uso dell osmio, quale colorante per microscopia elettronica. Si potè osservare che al livello della membrana apparivano due linee scure (l osmio reagisce con le teste polari) separate da una zona centrale chiara (vedi figura precedente). Tale modello definito di colorazione trilaminare era sempre presente in tutte le membrane osservate. J. David Robertson propose che tutte le mebrane cellulari hanno in comune una struttura fondamentale che eglì denominò membrana unitaria Il modello a mosaico fluido Il modello a mosaico fluido proposto da S. Jonathan Singer e Garth Nicolson nel 1972, presenta due caratteristiche principali. Il modello ipotizza una membrana come un mosaico di proteine incluse in modo discontinuo in un doppio strato lipidico fluido (ricco di acidi grassi insaturi). Mosaico di proteine Vennero distinte tre classi di proteine di membrana: 1. le proteine integrali o intrinseche di membrana immerse nello doppio strato lipidico. 2. le proteine periferiche o estrinseche, più idrofile e localizzate sulla superficie della membrana legate con legame non covalente alle teste polari. 3. le proteine ancorate ai lipidi, proteine idrofile presenti sulla superficie della membrana, ma ancorate ad essa a causa del loro legame covalente con i lipidi. Fluidità La maggior parte dei componenti lipidici di una membrana è in costante movimento. Le proteine di membrana sono in grado di spostarsi

97 7.3 struttura delle membrane biologiche 89 lateralmente ad eccezione di quelle ancorate ad elementi strutturali del citoscheletro. 7.3 struttura delle membrane biologiche Le membrane biologiche hanno di solito uno spessore variabile tra i 4.0 ed i 10.0 nm. Sono composte essenzialmente da lipidi e proteine disposti in un modello estremamente semplificato a formare una struttura trilaminare: una fascia esterna di natura proteica, una fascia intermedia formata da uno strato lipidico bimolecolare ed una terza fascia, orientata verso l interno dell ambiente cellulare, costituita ancora da materiale proteico. Su questa distribuzione dei componenti sono stati elaborati diversi modelli di struttura delle membrane cellulari di cui il più attuale è quello «a mosaico fluido». In questo modello la continuità della membrana è data da uno strato bimolecolare di fosfolipidi disposti in modo da orientare la parte apolare, (le catene idrocarboniose degli acidi grassi che li costituiscono), verso la zona più interna della membrana (strato idrofobico) e la parte polare, (le teste dei fosfolipidi costituite da glicerolo e basi organiche), verso l ambiente acquoso rispettivamente all esterno e all interno della membrana stessa. L intelaiatura delle membrane cellulari è costituita da un doppio strato di lipidi le cui teste idrofile formano le superfici interna ed esterna e le code idrofobe si uniscono al centro della membrana; il doppio strato ha uno spessore di circa 4,5 nanometri. Come già detto, le proteine, che costituiscono gli altri componenti della membrana, possono essere di due tipi. Alcune dette periferiche sono disposte su entrambe le facce della membrana. Le altre, dette integrali, penetrano nella membrana per un breve tratto o, l attraversano completamente da sole o a coppie. 7.4 il doppio strato lipidico Come si deduce dal nome, è una doppia sequenza in parallelo di molecole lipidiche direzionate in modo preciso. Esso è la matrice di base

98 90 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari della membrana oltre che la struttura portante delle molecole proteiche, il cui buon funzionamento dipende in grandissima parte dal mantenimento nel tempo e nello spazio delle caratteristiche proprie dei lipidi componenti. La particolarità del doppio strato lipidico che subito risalta è il carattere anfipatico: i lipidi sono costretti quindi a disporsi sempre e soltanto secondo una certa direzione, l uno rispetto all altro sia nello stesso monostrato, sia nel bilayer, il che ha una ragione d essere in quanto rende conto di una struttura avente il minor contenuto in energia libera tra le possibili. Ne deriva che la membrana grazie ai propri lipidi possiede le fondamentali proprietà di autoaggregazione e autosigillazione. I lipidi che si rintracciano normalmente in una membrana cellulare sono riconducibili a tre tipi: i fosfolipidi, il colesterolo ed i glicolipidi. Nella Figura 20 sono indicate con GP le glicoproteine nella superficie esterna della membrana; catene disaccaridiche e oligosaccaridi che con residui terminali di acido sialico si proiettano nello spazio intercellulare. G: gangliosidi sulla superficie esterna che proiettano nello strato lipidico della membrana una catena a due atomi di carbonio e nello spazio intercellulare danno origine a una porzione idrofilica contenente residui di acido sialico. MP monostrato proteico nella superficie esterna ed interna della membrana. Le catene polipeptidiche si arrotolano in una caratteristica formazione ad elica. Gli aminoacidi polari si trovano in superficie mentre gli aminoacidi idrofobici penetrano la regione non-polare dello strato lipidico. Si possono vedere proteine che penetrano parzialmente nella compagine lipidica e in un punto (al centro) vi è una proteina che attraversa in linea retta l intera zona lipidica. T: teste polari dei fosfolipidi. GL: glicerolo.ci: code idrocarburiche dei fosfolipidi. Le code idrocarburiche possono essere costituite da acidi grassi saturi o insaturi; queste ultime, più mobili, possono perdere il loro allineamento ordinato in seno alla compagine lipidica. LL: strato lipidico bimolecolare costituito da fosfolipidi e colesterolo (il nucleo steroidico è raffigurato in seno alla matrice lipidica). Il monostrato proteico (MP) e il doppio strato lipidico (LL) costituiscono l unità strutturale della membrana. I fosfolipidi sono molecole lipidiche caratterizzate dalla presenza di un gruppo fosfato variamente sostituito (residui tipici sono: la colina e la serina- presenti rispettivamente sempre e solo sulla faccia esterna ed interna della membrana -, l etanolammina, l inosotolo). Tale fosfato è esterificato ad una molecola di glicerolo, a sua volta portante, sempre in

99 7.4 il doppio strato lipidico 91 Figura 18: Rappresentazione schematica della struttura di una membrana biologica. legame estereo, due molecole di acido grasso, in catena carboniosa da 14 a 24 atomi, di cui uno saturo ed uno insaturo (in conformazione cis), che porta alla formazione di una tipica piega nella struttura complessiva, avente funzione di ostacolarne l impacchettamento. I doppi legami sono importanti perché esaltano la fluidità del doppio strato lipidico, oltre al fatto di contribuire ad abbassare la temperatura di congelamento della struttura. Il residuo, il fosfato ed il glicerolo formano la cosiddetta testa idrofila (polare) del fosfolipide, posizionata sempre verso l esterno del bilayer, cioè esposta verso la faccia esterna o interna della membrana, ma mai nell interno del doppio strato lipidico. I due acidi grassi formano invece la coda idrofoba (apolare) del fosfolipide, racchiusa sempre nella parte interna della membrana. Stando ferme queste condizioni, i fosfolipidi sono comunque in grado di subire dei cambiamenti di posizione (movimenti accessibili), quali la diffusione laterale su di uno stesso monostrato (circa 10 volte al secondo), la rotazione rispetto al gruppo fosfato, la flessione delle code idrocarburiche e più raramente (all incirca 1 volta ogni due settimane) il cosiddetto flip-flop, cioè il passaggio da

100 92 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari un monostrato all altro. É importante valutare appieno questi eventi per capire pienamente la definizione che si dà alla membrana di mosaico fluido. Il colesterolo, molecola caratterizzata dalla struttura ciclica centrale dello steroide, piana e rigida, nella quale si individuano da un alto un gruppo di testa polare (residuo idrossilico) e dall altro un gruppo di coda idrocarburico apolare si inserisce tra i fosfolipidi (in genere secondo un rapporto di circa 1 a 1) in modo direzionato ed esalta la stabilità meccanica della membrana, regolandone al tempo stesso la fluidità. I glicolipidi sono molecole composte da due acidi grassi esterificati ad una catena variamente diramantesi (in toto da 1 a 15 zuccheri) di gruppi glucidici di diverso tipo. Sono presenti soltanto sulla faccia esterna (circa il 5% dei lipidi totali) della membrana e quindi contribuiscono in modo precipuo alla sua asimmetria. I glicolipidi si distinguono in neutri e aventi carica: i primi, detti anche glicosfingolipidi, codificano le differenze fra specie, fra individui della stessa specie e tra cellule dello stesso organismo, fungendo quindi da marcatori cellulari; gli altri, detti gangliosidi, recano residui di acido sialico (che è carico negativamente) e sono presenti in particolare a livello di neuroni (ne costituiscono il 6% in massa). 7.5 le proteine di membrana La qualità e la quantità di molecole proteiche presenti in un doppio strato lipidico determinano in modo univoco la funzionalità della membrana stessa. Esse genericamente si suddividono in proteine periferiche, quando sono posizionate in uno dei monostrati, e transmembrana, quando invece estrudono da una parte all altra del bilayer lipidico. Interessanti sono soprattutto queste ultime. Nelle proteine transmembrana si individuano (prendendo come riferimento il bilayer) una parte idrofila rivolta verso l esterno ed una parte idrofoba verso l interno, in modo da assicurare la massima interazione con la componente lipidica della membrana stessa e quindi la massima stabilità alla molecola, il che risulta naturalmente in una migliore funzionalità (si ricordi infatti che una membrana il cui assetto lipidico sia alterato, funzionerà pure in modo anomalo o parziale!). Per lo stesso motivo, poi, si tratta in genere di

101 7.5 le proteine di membrana 93 strutture peptidiche ad α-elica o a β- foglietto, proprio perchè queste sono le strutture secondarie che assicurano il maggior numero di legami idrogeno tra peptidi. Una ulteriore suddivisione che si tende a fare tra le transmembrana è quella basata sulla forma, per cui si riconoscono proteine bastoncellari, che sono in genere recettori e marcatori cellulari, e proteine globulari, che fungono in genere da canali proteici. Lipidi e proteine hanno una notevole libertà di movimento per quanto riguarda la diffusione laterale in seno al doppio strato fosfolipidico. Un preciso grado di fluidità è molto importante per il corretto funzionamento della membrana e per la sopravvivenza della cellula. Infatti, è stato dimostrato che una membrana non assolve più alle sue funzioni biologiche quando i lipidi sono presenti in forma rigida e compatta, come succede per l esposizione delle membrane alle basse temperature. D altro canto un eccessiva fluidità, quale quella che si può avere alle alte temperature, comporta drammatici cambiamenti nella permeabilità della membrana, che perde così ogni sua selettività, comportandosi come un sistema instabile in 10 cui la funzionalità di gran parte delle proteine viene certamente compromessa. Un opportuno grado di fluidità è pertanto indispensabile affinchè, a livello delle membrane biologiche, si possano attuare importantissimi processi biochimici essenziali per la vita, quali reazioni enzimatiche, processi di trasporto e la respirazione cellulare. Le proteine inglobate meno profondamente nel doppio foglietto lipidico possono servire alle interazioni delle membrane con l esterno: con gli ormoni, con i neurotrasmettitori, con gli autacoidi o con altre sostanze presenti in circolo (ad es. gli xenobiotici) che, combinandosi con queste proteine più superficiali, meno profondamente inglobate nella struttura membranosa, danno origine al trasferimento d informazioni all interno dell ambiente cellulare. L interazione dell agente esterno con il proprio recettore conduce ad alterazioni della componente proteica o lipidica della membrana (o di entrambe) che possono ripercuotersi in variazioni di attività di enzimi o di trasportatori o di altro. Tutti questi fenomeni sono resi possibili dalla fluidità della componente lipidica della membrana. Le proteine che invece attraversano l intera compagine della membrana servono a fare da ponte attraverso lo strato lipidico e possono permettere il passaggio di molecole che altrimenti non varcherebbero la barriera idrofobica della membrana stessa. Alcune proteine delimitano delle zone idrofile, dei canali attraverso cui fluiscono acqua, ioni e mole-

102 94 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari cole idrofile di piccole dimensioni come l urea e l alcool. La rigidità e la pervietà del canale dipendono dalla fluidità della componente lipidica della membrana. Altre proteine esplicano la funzione di trasportatori. I trasportatori possono oscillare dall esterno all interno. 7.6 i carboidrati di membrana I glucidi presenti si trovano soltanto sul monostrato lipidico esterno della membrana contribuendo alle caratteristiche di asimmetria. Si individuano come catene laterali attaccate ai protidi o ai lipidi e si differenziano perciò in: glicoproteine (che sono la quasi totale maggioranza delle proteine totali di membrana), caratterizzate dalla presenza di più catene glucidiche variamente differenziate per qualità e quantità, glicolipidi (che sono circa 1 su 10 dei lipidi totali esterni), caratterizzati dalla presenza di una sola catena glucidica. Nel loro complesso i carboidrati formano uno strato esterno alla membrana (ed alla cellula in toto) che viene chiamato in vario modo (rivestimento, mantello cellulare, glicocalice; ben evidenziabile con una colorazione al rosso rutenio). Le funzioni di tali catene glucidiche sono molteplici: ancorare le proteine e orientarle nella membrana; stabilizzarle, soprattutto se di tipo periferico; svolgere funzione di riconoscimento inter/intracellulare, funzionando da veri e propri marker. 7.7 meccanismi di trasporto Nei paragrafi precedenti abbiamo descritto la composizione chimica delle membrane cellulari. Passando allo studio delle loro funzioni, dobbiamo tra queste annoverare quella che forse è la fondamentale: la regolazione del flusso di ioni e molecole tra l interno e l esterno delle cellule e viceversa. La membrana plasmatica rappresenta una vera e propria barriera tra il citoplasma e l ambiente extracellulare, anche se essa, con varie strategie, può in effetti essere attraversata più o meno facilmente. Essa risulta

103 7.8 diffusione semplice 95 selettivamente permeabile: esistono infatti, tre different modalità di trasporto grazie alle quali la cellula mantiene costante la compsizione intracellulare ed il ph, regola il volume, introduce i nutrienti ed elimina i composti tossici. Questi processi funzionali sono: la diffusione semplice; la diffusione facilitata; il trasporto attivo. I primi due meccanismi di trasporto non necessitano di alcun apporto energetico e ricavano l energia necessaria o dal gradiente elettro-chimico presente ai due lati della membrana o dalla stessa molecola. Il trasporto attivo, invece, è un processo che avviene contro gradiente e richiede energia libera per essere attuato. tale energia libera viene ricavata dalla idrolisi dell ATP. Un tipico esempio di diffusione semplice è quello che riguarda la molecola di ossigeno (O 2 ) e il suo trasporto attraverso gli eritrociti. L ossigeno, che è una piccola molecola apolare, attraversa rapidamene il doppio strato lipidico degli eritrociti che lo catturano (al livello dei polmoni dove è presente in elevata concentrazione di pressione parziale) per poi rilasciarlo nei tessuti periferici dove invece la sua concentrazione è più bassa. Un comportamento esattamente opposto, ma sempre in modaltà di diffusione semplice, è quello della anidride carbonica (CO 2 ). 7.8 diffusione semplice La diffusione semplice attraverso la componente lipidica della membrana viene prodotta dal movimento casuale delle molecole che produce un flusso netto delle sostanze dal compartimento a più alta concentrazione a quello a concentrazione più bassa. Tale trasferimento avviene senza consumo di energia e prosegue fino ad una condizione di equilibrio delle concentrazioni. Un altra tipologia di diffusione semplice è quella detta per osmosi. L osmosi si verifica nel caso di due soluzioni acquose che contengono quantità diverse di soluto e che si trovano da parti opposte rispetto una membrana semipermeabile che permette il passaggio del solvente (acqua) ma non quello del soluto (per esempio lo zucchero). In questo caso

104 96 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari l acqua comincia a passare dalla soluzione più diluita verso quella più concentrata fino al momento in cui le due soluzioni non raggiungono la stessa concentrazione (soluzioni isotoniche). L osmosi è un fenomeno essenziale per la vita della cellula perchè le membrane cellulari sono semipermeabili e la presenza o di soluzioni isotoniche o ipotoniche nella quale la cellula può trovarsi immersa, può causare la morte della cellula. Per evitare queste conseguenze, la cellula deve sempre trovarsi in condizioni isotoniche rispetto all ambiente che la circonda. Dovrà quindi in qualche modo regolare finemente la concentrazione ai due lati della membrana. Le cellule animali utilizzano principalmente una pompa detta pompa Na + /K + per trasportare continuamente ioni sodio all esterno. La pompa Na + /K + è un tipico esempio di trasporto attivo che, quindi, necessita di energia per poter essere attuato. 7.9 diffusione facilitata I processi di diffusione semplice e osmosi che abbiamo analizzato, riguardano solo poche sostanze e non sono sufficienti a garantire tutti gli scambi che la cellula necessita. In particolare, si vede che il doppio strato fosfolipidico risulta impermeabile alle molecole di grosse dimensioni, alle molecole polari e agli ioni (in pratica a quei sistemi che presentano una carica netta differente da zero). Per queste molecole, se il processo è esoergonico la cellula è in grado di attuare un processo detto di diffusione facilitata che comporta l utilizzo di particolari le proteine trasportatrici, dette anche carrier o permeasi o di cosiddetti canali ionici Preteine trasportatrici o carrier o permeasi Le proteine trasportatrici sono proteine inglobate nella mebrana cellulareche si combinano con le particelle da trasportare accelerandone il movimento attraverso il doppio strato fosfolipidico della membrana. E comunque importante notare che il flusso netto delle molecole si verifica sempre secondo il gradiente di concentrazione e cioè dalle regioni a concentrazione più elevata a quelle più bassa. Da un punto di vista energetico questo significa che tali processi non necessitano di apporto di energia dall esterno anche se le permeasi contribuiscono a facilitare il

105 7.9 diffusione facilitata 97 passaggio. le permeasi, infatti, una volta legata la molecola da traghettare, subiscono generalmente un cambiamento conformazionale che rende possibile il transito attraverso la membrana. Un esempio particolarmente significativo di questo tipo di trasporto è rappresentato da trasportatore del glucosio dei globuli rossi, anche noto come GLUT1. Questa molecola presenta dei siti di legami per il glucosio, su entrambi i lati della membrana cellulare e media il trasporto del glucosio nel seguente modo: 1. ll glucosio si lega alla proteina sul lato esterno della membrana cellulare; 2. a questo punto si verifica un cambiamento conformazionale della proteina trasportatrice; 3. il glucosio sul versante intracellulare si dissocia dalla proteina vettore; 4. a questo punto il ciclo di trasporto è completato con il ritorno di GLUT1 alla sua conformazione iniziale (senza il glucosio legato) Il ciclo descritto può avvenire in entrambe le direzioni in dipendenza delle concentrazioni relative, intracellulari ed extracellulari, di glucosio. Analisi della sequenza del cdna hanno evidenziato che GLUT1, cosìcome altri trasportatori di membrana, presenta una struttura con 12 regioni idrofobiche ad alfa-elica che attraversano interamente il doppio strato lipidico creando una cavità centrale attraverso il quale passa il glucosio I canali ionici L utilizzo dei canali ionici è il secondo modo con cui è attuato il trasporto facilitato. I canali ionici sono macromolecole proteiche che attraversano, a tutto spessore, una membrana biologica e che consentono il passaggio di ioni, nella direzione determinata dal loro gradiente elettrochimico. In genere, gli ioni tendono a spostarsi da una regione a maggiore concentrazione verso una a concentrazione minore, ma in presenza di un gradiente elettrico è possibile che non vi sia flusso transmembranarfio di ioni, anche in presenza di un gradiente di concentrazione. La presenza di cariche fisse forti sull imboccatura del canale rende la sua permeabilità inversamente proporzionale al raggio anidro degli ioni in quanto

106 98 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari viene allontanato l alone idrico di solvatazione (es: canale per il sodio). La presenza di cariche fisse deboli sull imboccatura del canale rende la sua permeabilità inversamente proporzionale al raggio idrato degli ioni (es: canale del potassio). I canali la cui permeabilità (e quindi la loro specificità) non è correlata né al raggio anidro né a quello idrato, presentano all interno una sequenza di specificità che consiste in una serie di cariche e in una determinata conformazione spaziale che permette il passaggio solo a determinate specie ioniche. La Figura?? mostra una rappresentazione schematica di un canale ionico Figura 19: Rappresentazione schematica di un canale ionico: 1 - subunità proteiche (tipicamente 4 o 5 per canale), 2 - vestibolo esterno, 3 - filtro selettivo, 4 - diametro del filtro selettivo, 5 - sito di fosforilazione, 6 - membrana cellulare. Due tipi particolari di canali ionici sono quelli voltaggio- e chemiodipendenti (canale a controllo di ligando). Tali strutture sono in grado di passare da uno stato di apertura ad uno di chiusura o inattivazione in seguito a stimolazioni elettriche o chimiche. In ogni caso una delle caratteristiche principali dei canali di membrana a trasporto facilitato è

107 7.9 diffusione facilitata 99 che essi permettono una regolazione rapida e fina del passaggio delle molecole. I canali chemio-dipendenti sono in grado di aprirsi dopo aver legato un certo messaggero (ligando); sono presenti nelle membrane postsinaptiche e si aprono dopo aver legato un neurotrasmettitore. I canali ionici attivati da ligando sono anche noti come recettori recettori ionotropici. Sono costituiti da proteine di membrana con struttura simile ad altri canali ionici ma che contengono un sito in grado di legare un ligando (recettore), solitamente nel dominio extracellulare. Questi sono i recettori su cui agiscono tipicamente i neurotrasmettitori veloci. Alcuni esempi sono il recettore colinergico nicotinico, il recettore GABA A e i recettori del glutammato del tipo NMDA (N-metil-D-aspartato), AMPA (α-amino-3-idrossi-5-metil-4-isossazolopropionato) e kainato. I canali voltaggio-dipendenti si aprono in seguito ad una depolarizzazione della membrana; per esempio, i canali al sodio e potassio presenti nelle membrane assoniche permettono la propagazione di impulsi elettrici nelle cellule nervose. Per il ruolo che essi svolgono in importanti funzioni cellulari, le mutazioni a carico dei geni che cosificano per le proteine costituenti i canali ionici, sono responsabili di numerose patologie. Inoltre un sempre maggiore conoscenza della struttura e del funzionamento di questi trasportatori appare oggi essenziale per il molecular modelling di farmaci da utilizzare in interventi terapeutici mirati Caratteristiche più importanti della diffusione facilitata Il trasporto facilitato presenta delle peculiarità molto importanti: La specificità, la saturabilità, l inibizione, la cooperazione e l effetto trans La specificità permette il passaggio di selettivo di particolari specie ioniche e non di altre. Inoltre la velocità con la quale il trasporto facilitato avviene può anche essere influenzata da altri soluti che sono coinvolti

108 100 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari nel sistema e questi possono sia provocare inibizione o possono produrre un effetto cooperativo e aumentare il trasporto. Come è facile intuire la velocità la velocità di trasporto degli ioni comunque aumenta con l aumentare della della differenza di concentrazione della specie ai due lati della membrana.. Esiste tuttavia una velocità massima del processo di trasferimento che è legata al numero di permeasi o di canali ionici presenti. Questo effetto è detto di saturazione della velocità di trasferimento. L effetto trans, infine, che si verifica solo per le permeasi, dipende invece dalla capacità che hanno altri soluti presenti sul lato trans della membrana (il lato verso il quale è diretto il flusso) di modulare il passaggio delle sostanze attraverso le permeasi il trasporto attivo Premettiamo subito che il trasporto attivo si verifica in tutti quei casi in cui il trasporto avviene contro un gradiente di concentrazione. Esso, quindi, necessita di un apporto di energia esterna per potere avvenire. L ambiente intracellulare e quello extracellulare sono caratterizzati da una distribuzione ineguale di specie ioniche quali Na +, K +, Ca 2+ eh +. In particolare Na + è presente con una concentrazione di circa 150 mm all esterno della cellula e di soli mm all interno. Esattamente opposta risulta la concentrazione degli ioni K + che hanno una concentrazione di circa 100 mm all interno e di soli 5 mm all esterno. Ancora più marcata è la differenza nel caso dello ione Ca 2+ che ha una concetrazione citosolica circa volte inferiore a quella extracellulare. Il trasporto attivo è quel processo che rende possibile il mantenimento di queste elevate differenze di concentrazioni e che, quindi permette un continuo passaggio di molecole contro il loro gradiente di concentrazione. Questo tipo di trasporto di membrana è detto attivo e necessita di energia per potere avvenire. Anche il trasporto attivo è mediato da proteine. Esse sono in grado di legare, in maniera selettiva, un particolare soluto e quindi di trasportarlo attraverso la membrana in seguito a modifiche conformazionali (come avveniva per le permeasi ma, in quel caso, non avevamo un consumo di energia). La caratteristica peculiare di queste proteine è quella non solo di essere in grado di accoppiarsi con il soluto da trasportare, ma anche di avere la capacità di legare ed idrolizzare

109 7.11 il trasporto attivo diretto 101 molecole di ATP. Ciò significa che il trasporto dei soluti contro gradiente elettrochimico, richiede dispendio di energia da parte della cellula. Le proteine che effettuano questo tipo di trasporto vengono dette pompe ATP-dipendenti o ATPasi. Si distinguono due tipi di trasporto attivo: Il trasporto attivo diretto o primario e il trasporto attivo indiretto o secondario. Nel primo caso l energia derivante dalla idrolisi dell ATP viene direttamente adoperata dalla pompa per il trasporto delle particelle (che in questo caso sono sempre ioni con carica positiva). Nel caso del trasporto indiretto, l energia necessaria al trasporto contro gradiente non è fornita direttamente dall ATP ma dall esistenza di un gradiente elettrochimico che, a sua volta, è ottenuto attraverso un trasporto diretto. Nel trasporto indiretto si instaura generalmente il cosidetto meccanismo del co-trasporto (simporto o antiporto), nel quale viene utilizzata l energia del gradiente elettrochimico degli ioni Na + e H +, per favorire il movimento (contro gradiente) di molecole organica di varia natura (ad esempio il glucosio) e di ioni sia con carica positiva che negativa il trasporto attivo diretto Il trasporto attivo diretto viene mediato attraverso quatro tipi di ATPasi: le ATPasi di tipo P, V, F e ABC. In questo paragrafo analizzeremo in dettaglio la classe di pompa di tipo P della quale fa parte (tra le altre) la pompa Na + /K. Le ATPasi di tipo P sono costituite da due subunità: una detta di tipo α con funzionalità catalitiche ed una detta di tipo β con probabile funzione modulatoria. Queste proteine, nella maggior parte dei casi, sono strutturate in tetrameri, α 2 β 2. La subunità alfa è in grado di legare l ATP che viene idrolizzato in ADP e fosfato inorganico che poi viene trasferito si uno specifico residuo di acido aspartico (che si trova sempre sulla unità α. L idrolisi della ATP e la successiva fosforilazione della subunità alfa inducono in queste proteine dei cambiamenti conformazionali; questi, a loro volta, determinano l espsizione di siti di legami ad alta o a bassa affinità per gli ioni specifici, che ne consentono dap-

110 102 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari prima il legame su un versante della cellula e successivamente il rilascio sul versante opposto. La figura?? mostra lo schema del meccanismo di funzionamento di una pompa ATPasi di tipo P con la descrizione della idrolisi dell ATP e con la successiva fosforilazione. Figura 20: Schema del meccanismo di funzionamento di una pompa AT- Pasi di tipo P con la descrizione della idrolisi dell ATP e con la successiva fosforilazione la pompa Na + /K + Questa pompa, che è presente sulla membrana di quasi tutte le cellule animali è costituita dal tetramero α 2 β 2. La subunità alpha è un polipeptide transmembranario non glicosilato di circa Da, mentre la parte β (di dimensioni circa Da) è un polipeptide glicosilato ed è localizzato sul versane esterno della membrana. La α è responsabile sia della idrolisi della ATP che del trasporto degli ioni. la β non sembra necessaria per il trasporto degli ioni ma sembra avere un ruolo fondamentale per il corretto ripiegamento della subunità α. Il trasporto mediato dalla pompa Na + /K + prevede il trasferimento di tre ioni Na + all esterno della cellula e due ioni K + all interno per ogni molecola di ATP idrolizzata. In questo modo la pompa Na + /K + contribuisce in modo diretto alla diversa distribuzione di cariche ai due lati della membrana Il ciclo della pompa Na + /K + Il ciclo di trasporto della pompa Na + /K + può essere compreso attraverso lo schema riportato in Figura 21 e può essere diviso in 6 fasi.

111 7.12 la pompa Na + /K Figura 21: Schema del meccanismo di funzionamento della pompa Na + /K + Fase 1: La conformazione E 1 della proteina è tale che essa espone, sul versante interno della cellula, di tre siti di legame ad alta affinità per il Na +. Questo consente all enzima ATPasidi legare tre ioni Na +, sebbene la concentrazione di questo ione sia molto bassa. Fase 2: il legame tra la pompa e Na + induce il legame dell ATP sulla subunità α, la sua successiva idrolisi e, infine, il successivo trasferimento del fosfato inorganico su un residuo di acido aspartico. Fase 3: La fosforilazione della subunità α determina la trasformazione della proteina dalla sua conformazione E 1 ad una differente conformazione (che chiameremo E 2 ) caratterizzata dll esposizione, nel versante extracellulare, di siti a bassa affinità per Na + : ciò provoca che gli ioni Na + precedentemente acquisiti vengano rilasciati. Fase 4: Il rilascio degli ioni Na + lascia liberi due siti ad alta affinità per il K +, che quindi si legherà facilmente alla pompa sebbene la sua concentrazione extracellulare sia molto bassa. Fase 5: Il legame degli ioni K + induce la defosforilazione del residuo di acido aspartico e ciò produce il ritorno della proteina alla conformazione E 1. Fase 6: A questo punto la pompa ATPasi espone, sul versante citoso-

112 104 struttura molecolare e funzionale delle membrane cellulari lico della cellula due siti che sono a bassa affinità per K + che vengono quindi rilasciati all interno. la pompa si trova ora quindi nella sua fase iniziale e può cominciare di nuovo il suo ciclo I ruoli funzionali della pompa Na + /K + Molteplici sono i ruoli funzionali che la pompa Na + /K + assolve. Essa funge da pompa elettrogenica, in quanto è determinante nel mantenere la differenza nella distribuzione delle cariche elettriche tra i due versanti della membrana plasmatica. Questa differenza di potenziale è importantissima in quanto costituisce il fondamento essenziale per la generazione dell impulso nervoso nei neuroni e nelle cellule muscolari. La pompa risulta inoltre indispensabile per il mantenimento dell equilibrio osmotico delle cellule animali. Infine, il gradiente elettrochimico degli ioni Na +, generato dalla pompa Na + /K + viene utilizzato, nelle cellule animali, come fonte di energia nel trasporto attivo di tipo secondario di zuccheri ed amminoacidi il trasporto attivo indiretto Il trasporto attivo di zuccheri, amminoacidi e di altre molecole organiche contro gradiente di concentrazione è spesso associato ad un cotrasporto con ioni Na + (per le cellule animali) o con protoni (per quelle vegetali). le proteine che mediano questo tipo di trasporto, detto secondario o indiretto, non utilizzano energia che deriva direttamente dalla idrolisi dell ATP, ma piuttosto quella accumulata nel gradiente elettrochimico generato dalle pompe ATPasi. Un esempio di trasporto attivo secondario è quello che permette il movimento, contro gradiente di concentrazione, di glucosio dal lume intestinale verso l interno dell enterocita (le cellule dell epitelio intestinale) attraverso un meccanismo di simporto con il Na + mantenuto dalla pompa Na + /K +. Il glusosio che con questo meccanismo indiretto penetra nell enterocita, successivamente passa al sangue per diffusione facilitata secondo il gradiente di concentrazione.

113 8 T R A S D U Z I O N E D E L S E G N A L E 8.1 introduzione negli organismi multicelluari le cellule non sono entità isolate, ma hanno un comportamento sinergico e comunicano tra di loro con un processo definito di segnalazione cellulare. Questo processo è indispensabile per regolare la formazione dei tessuti, la loro struttura tridimensionale e per guidare l organizzazione dei vari tessuti all interno degli organi e controllarne il funzionamento. Da un punto di vista biuologico, la segnalazione cellulare è un processo molto complesso che consiste nella produzione e nel rilascio di segnali di natura sia chimica che elettrica, i quali vengono poi veicolati fino alle cellule bersaglio permettendo lo scambiuo di informazioni. Il continuo passaggio di stimoli tra i neuroni, per esempio, è alla base del funzionamento del sistema nervoso, così come la capacità di gni singola cellula di sopravvivere, proliferare, differenziarsi all interno di un tessuto dipende da segnali esterni provenienti da altre cellule dell organismo. 8.2 i tipi di segnalazione cellulare Le principali molecole responsabili dello scambio di informazione tra le cellule sono fattori solubili quali i neurotrasmettitori, gli ormoni i fattori di crescita o le citochine, la cui struttura chimica può essere molto varia. A seconda del raggio di azione dei fattori solubili che possono difondere nello spazio pericellulare oppure essere rilasciati nel circolo sanguigno o linfatico, la segnalazione cellulare si distingue in paracrina, autocrina ed endocrina. Nel caso della comunicazione paracrina, una sostanza rilasciata da una cellula va ad agire su una cellula posta nelle immediate vicinanze. La comunicazione autocrina prevede che una cellula secerna una molecola segnale che va ad agire sulla cellula stessa 105

114 106 trasduzione del segnale che l ha prodotta oppure su cellule dello stesso tipo che risponderanno in maniera coordinata. Esistono anche casi di comunicazione delle cellule che non sono mediate da fattori chimici dispersi nei liquidi fisiologici, ma, invece, da contatto tra le singole cellule o tra cellule e strutture della matrice extra-cellulare. Questi tipi di contatto, che possono essere definiti di posizione, forniscono importanti informazioni alla cellula sulla sua localizzazione all interno di un tessuto. Un esempio è rappresentato dalla migrazione dei leucociti che, per attivare la risposta infiammatoria, devono uscire dal circolo sanguigno e penetrare nel connettivo dell organo sede dell infiammazione. In questo caso le interazioni con le cellule endoteliali della parete vasale prima, e con lo stroma poi, forniscono ai leucociti informazioni sulla loro posizione, permettendo la corretta attivazione dei processi infiammatori ed immuni. La Figura 22 mostra i vari tipi di segnalazione cellulare. Quella dipendente da contatto (A), quella paracrina (B) che dipende da segnali rilasciati nello spazio extracellulare e che agiscono localmente sulle cellule vicine; Segnali sinaptici (C), effettuati tra i neuroni che trasmettono i segnali elettricamente; Quella endocrina (E) dipendente dalle cellule endocrine che rilasciano ormoni all interno del flusso sanguigno per la loro distribuzione in tutto il corpo. 8.3 i recettori I segnali necessari per le comunicazioni intercellulari, siano ormoni o molecole della matrice extracellulare, una volta giunti sulla cellula bersaglio, esercitano la propria azione attraverso specifici recettori cellulari. I recettori sono proteine che, a seguito dell interazione con la molecola segnale, denominata ligando funzionano come interruttori molecolari, determinando l accensione di particolari vie metaboliche che possono modificare le funzioni cellulari. Esiste una specificità di legame tra proteine recettrici ed i rispettivi ligandi, per cui ne consegue che la capacità di una cellula di rispondere a determinati stimoli è definita dal corredo di recettori in essa presenti. le caratteristiche fondamentali che i recettori devono avere nei confronti dei loro ligandi sono due: la specificità e l affinità di legame. Il recettore ed il suo ligando si riconoscono attraverso una specifi-

115 8.3 i recettori 107 Figura 22: Meccanismi di segnalazione cellulare. cità detta sterica. La specificità di interazione è cioè assicurata dalla presenza nella struttura tridimensionale del ligando di una regione chimicamente e strutturalmente complementare alla molecola del recettore e detta sito di legame. La complementarietà tra ligando e recettore è assicurata dalla possibilità di formare, in modo spontaneo e reversibile, legami di natura debole. Ovviamente l affinità di legame definisce le concentrazioni di ligando necessarie per formare il complesso ligandorecettore: più elevato è il numero di legami che si formano tra ligando e recettore e maggiore sarà l affinità. Poichè poi in una cellula, la concentrazione del recettore è sempre costante, per aumentare la probabilità di formazione del complesso Ligando-Recettore e quindi attivare il bersaglio (ovvero spostare a destra la reazione) è necessario aumentare la concentrazione del ligando. La maggior parte dei fattori di segnalazione non è in grado di passare direttamente attraverso le membrane cellulari data la loro natura idrofilica ed il peso molecolare elevato; Queste molecole, pertanto, devono trasdurre i segnali all interno del citoplasma senza penetrarle all interno della cellula ma riconoscendo e legando specifici recettori localizzati sulla membrana cellulare. Questi recettori di

116 108 trasduzione del segnale membrana che costituiscono la maggior parte del sistema recettoriale della cellula, sono proteine intrinseche che attraversano il doppio strato lipidico della membrana. Generalmente sono organizzate in tre regioni funzionalmente distinte: la regione extracellulare che forma la tasca di legame per il ligando specifico; la parte transmembrana, che può essere monopasso o multipasso e, infine una regione interna, rivolta verso il citoplasma della cellula. Sulla base di questa struttura, le molecole di segnale idrofiliche restano al di fuori della cellula, legono il dominio esterno del recettore, che a sua volta si accende come un interruttore a tempo e attiva una cascata di segnali all interno della cellula tramite la porzione esposta nel versante citoplasmatico della mambrana. Esistono però classi particolari di molecole segnale di natura lipidica, come ad esempio di ormoni steroidei, l ormone tiroideo, la vitamina D e I derivati dei retinoidi. Queste molecole, di natura idrofobica, hanno una struttura planare simile a quella del colesterolo e durante il trasporto attraverso il torrente circolatorio sono associati a trasportatori proteici; una volta raggiunto il bersaglio queste sostanze sono in grado di attraversare il doppio strato lipidico delle membrane in modo spontaneo (per diffusione semplice) proprio grazie alla loro gli idrofobicità e, giunte nel citoplasma, legano recettori proteici intracellulari. il fatto che la loro azione richiede l intervento di recettore, permette un azione mirata degli ormoni steroidei solo nelle cellule che presentano il recettore corrispondente. La Figura 23 illustra il meccanismo dei recettori di membrana così come di quelli intracellulari. I recettori intracellulari sono costituiti da tre regioni funzionalmente distinte: una che attiva la trascrizione, una seconda che lega il DNA in sequenze specifiche ed una terza che lega l ormone. In condizioni di riposo il recettore si trova legato ad una molecola inibitrice che maschera il sito legante il DNA. Quando l ormone si lega, la molecola del recettore cambia di conformazione rilasciando la proteina e smascherando il sito legante il DNA. In questo modo il complesso ormone-recettore può interagire con le sequenze del promotore del gene bersaglio regolandone la trascrizione. In Figura 24 è mostrato il meccanismo di funzionamento di un tipico recettore intracellulare che, raggiunto da un ligando, scopre la sua parte che si accoppia al DNA e stimola l espressione di geni specifici.

117 8.4 funzionamento dei recettori 109 Figura 23: Meccanismo dei recettori di membrana (A) e di quelli intracellulari (B). 8.4 funzionamento dei recettori I recettori a discolo da interruttori molecolari in grado di attivare la produzione di segnali chimici che modificano svariate funzioni cellulari quali l attività metabolica, la motilità dell espressione genica la proliferazione o il differenziamento. Questi eventi avvengono grazie alla modificazione di uno o più funzioni enzimatiche. Ovviamente, perché la segnalazione possa svolgersi, è necessario che si verifichi la stretta interazione tra ligando e recettore; Quest ultimo subisce così un cambiamento conformazionale che induce l attivazione di enzimi specifici che al loro volta sono i diretti controllori di specifiche attività cellulari. La regolazione delle attività enzimatiche si attua tramite la modifica della struttura terziaria dell enzima stesso in modo reversibile. Esistono differenti modi per alterare la struttura terziaria di una proteina, ma il metodo più comune, in risposta alle molecole segnale, consiste nell aggiunta di un gruppo fosfato su specifici residui amminoacidi. Questo processo si chiama fosforilazione e gli amminoacidi fosforilabili sono quelli che hanno un

118 110 trasduzione del segnale Figura 24: Meccanismo dei recettori intracellulari che sono costituiti da molecole capaci di legare il DNA. In forma inattiva (B) il recettore è legato a proteine inibitrici; nel momento in cui il ligando lega il recettore si verifica una modifica della molecola che comporta il distacco della proteina inibitrice e l attacco di proteine co-attivatrici (C). Il complesso può allora legare il DNA ed attivare/reprimere l espressione di genispecifici residuo ossidrilico disponibile per il legame al gruppo fosfato: la serina, la treonina o la tirosina. L aggiunta di questo gruppo causa quindi una riorganizzazione dei legami che controllano la struttura terziaria della proteina e porta con sé ad una transizione funzionale. La fosforilazione di una proteina è un evento transitorio, che viene determinato dall azione di enzimi in grado di staccare il gruppo fosfato dalla proteina e quindi di spegnere la risposta. La formazione di un legame covalente richiede l intervento di un enzima che operi la fosforilazione. Gli enzimi che sono in grado di fosforilare proteine o altri substrati sono denominati chinasi. Wuelli che invece operano la defosforilazione sono detti fosfatasi. Chinasi e fosfatasi sono quindi due classi di enzimi chiave nella regolazione delle attività cellulari. E altrettanto importante sottolineare che, essendo essi stessi degli enzimi, sono soggetti a regolazione funzionale da parte dei recettori nel processo della segnalazione. 8.5 meccanismi molecolari di trasduzione del segnale Per trasduzione del segnale, si intende l nsieme di fenomeni che, nella cellula, permette il propagarsi di un segnale e lo scatenarsi di un evento finale a seguito di uno stimolo iniziale. Il termine trasduzione sta

119 8.5 meccanismi molecolari di trasduzione del segnale 111 a indicare che non si tratta di una semplice trasmissione, ma, in analogia con quanto avviene in un trasduttore, i segnali extracellulari sono convertiti in risposte cellulari e in molti casi si ha trasferimento di energia e/o trasformazione di una forma di segnale in un altra. Processi di trasduzione del segnale si hanno nel caso del legame di ormoni costituiti da peptidi o proteine e di fattori di crescita a recettori specifici presenti sulla superficie cellulare. Questi, successivamente, trasferiscono il segnale dell avvenuto legame con l ormone o con i fattori di crescita a proteine intracellulari. Per es., nel caso dell adrenalina: questa molecola forma un complesso con un recettore specifico, una proteina inserita nella membrana cellulare. Il complesso ormone-recettore attiva una proteina G, così chiamata perché lega i nucleotidi guanilici. La proteina G è formata da tre subunità, α, β, e γ, unite tra loro. Di queste, la? lega il GDP. L attivazione comporta la sostituzione del GTP al GDP sulla subunità α, che si dissocia dalle altre due subunità. L α- GTP si associa, attivandola, all adenil-ciclasi, un enzima che catalizza la formazione di AMP ciclico (camp), a partire da ATP. Il camp che, per la funzione che svolge, è denominato anche secondo messaggero, si associa, attivandola, alla proteina-chinasi, che catalizza la fosforilazione della fosforilasi-chinasi, enzima che a sua volta catalizza la fosforilazione della glicogeno-fosforilasi. Quest ultimo è l enzima che catalizza la degradazione del glicogeno in glucosio-1-fosfato. L ormone ha come obiettivo quello di provocare un aumento nella concentrazione di glucosio: il segnale è trasmesso dalla membrana cellulare al citosol, attraverso una serie di interazioni specifiche proteina-proteina a cascata, i cui componenti sono per lo più delle proteine enzimatiche, in grado cioè di amplificare il segnale, in quanto ogni molecola di enzima catalizza a sua volta la modificazione di un numero di molecole del substrato-enzima successivo. Da un punto di vista molecolare si possono identificare tre principali meccanismi di funzionamento dei recettori: 1. Recettori che attivano le proteine G (vedi esempio precedente); 2. Recettori collegati ad enzimi; 3. recettori che attivano canali ionici Mentre le prime due classi rappresentano la stragrande maggioranza, i recettori che attivano canali ionici sono coinvolti soprattutto nella comu-

120 112 trasduzione del segnale nicazione tra le cellule nervose dove il segnale scambiato evoca risposte elettriche. Le Figure 25 e 26 riportano i modelli di funzionamento delle tre classi di recettori. Figura 25: Recettori che attivano canali ionici

121 8.5 meccanismi molecolari di trasduzione del segnale 113 Figura 26: Recettori accoppiati a proteine G (in alto) e recettori associati ad enzimi (in basso)

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