Visione biologica. Francesco Tavanti Corso di Trattamento di immagini biomediche a.a. 2010/2011

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1 Visione biologica Francesco Tavanti Corso di Trattamento di immagini biomediche a.a. 2010/2011 "Non vedo nessuno nella strada", disse Alice. "Vorrei tanto avere occhi simili" rispose il re di cattivo umore, "poter vedere Nessuno... e a quella distanza, poi... con questa luce è già tanto se posso vedere gente vera"... Lewis Carroll, Alice nello specchio Introduzione Il sistema visivo umano è costituito da un organo doppio, simmetrico, situato nelle orbite in ciascun lato della faccia e converte la luce di diversa intensità e lunghezza d onda che arriva sugli occhi (i nostri organi visivi) in immagini nel nostro cervello. Per prima cosa introduciamo la fisionomia e il funzionamento del nostro apparato visivo: gli occhi. L occhio ha la forma di una sfera di circa 23mm di diametro, è costituito da varie membrane e da mezzi trasparenti che si dispongono gli uni dopo gli altri dal polo anteriore al polo posteriore. Le membrane che formano le pareti dell occhio sono tre: la più esterna è la tunica esterna o sclerotica o sclera, ha natura fibrosa, un aspetto biancastro, contiene e difende le delicate strutture al suo interno. La sclera, cambiando le sue caratteristiche, anteriormente diventa la cornea che è il primo dei mezzi trasparenti del sistema oculare. Posteriormente la sclera presenta un foro attraverso il quale passa il nervo ottico. All interno della sclera è posta la tunica vascolare dell occhio, o ueva o corioide, che si presenta come una membrana scura posta tra la tunica fibrosa e la retina. Grazie all abbondanza dei vasi la tunica vascolare può essere considerata la membrana nutritiva dell occhio. Oltre a questa funzione l ueva ha anche quella di mantenere a temperatura costante la

2 retina e di regolare la pressione dei liquidi endobulbari. La terza tunica è la tunica nervosa dell occhio o retina che rappresenta la porzione del bulbo sensibile alla luce e nella quale le informazioni assunte dai suoi fotorecettori vengono elaborate da vari strati cellulari e inviate già come segnale, attraverso il nervo ottico, ai centri superiori nel cervello. Lo spazio interno circoscritto dalle tre tuniche è colmato da mezzi trasparenti liquidi o solidi che hanno la funzione di portare sulla tunica nervosa i raggi luminosi che colpiscono l occhio. I mezzi trasparenti costituiti dalla cornea, l umore acqueo, il cristallino (simile ad una lente biconvessa) e il corpo vitreo hanno la capacità di accomodamento dell occhio che si realizza attraverso variazioni di forma del cristallino stesso, la cui faccia anteriore può modificare la sua curvatura in modo che i raggi luminosi abbiano il loro fuoco sulla retina. Per questa ragione, quando si guarda un oggetto vicino, il cristallino si curva in avanti, mentre il suo diametro equatoriale diminuisce. Viceversa quando si guarda un oggetto lontano, il cristallino si schiaccia, mentre il suo diametro equatoriale aumenta. L occhio è vascolarizzato dall arteria oftalmica e dai suoi rami. La retina La retina è un tessuto sensibile alla luce che fodera la parete interna dell occhio e i suoi principali componenti nervosi sono i bastoncelli, i coni, le cellule bipolari, le cellule gangliari, le cellule orizzontali e le cellule amacrine. La struttura ottica dell occhio fa in modo che si crei un immagine di ciò che vediamo nella retina, che ha la stessa funzione della pellicola nelle vecchie macchine fotografiche. Questa ha una struttura molto complessa organizzata in strati con numerosi piani di neuroni interconessi tra loro tramite le sinapsi, nonostante abbia uno spessore di µm. Le cellule sensibili alla radiazione sono i fotorecettori che raccolgono l informazione luminosa e la inviano al cervello tramite il nervo ottico e si dividono in due tipi: i coni e i bastoncelli.

3 Schema della fisiologia dell'occhio La retina contiene circa 7 milioni di coni e dai 75 ai 150 milioni di bastoncelli. Una zona importante della retina è il disco ottico, noto anche come punto cieco, perché è privo di fotorecettori. Qui si trova la papilla ottica che rappresenta il punto di convergenza delle fibre del nervo ottico e la zona di passaggio dei vasi retinici arteriosi e venosi. Proprio in questo punto si interrompe la struttura di coni e bastoncelli e quindi quest area non è sensibile alla luce. La struttura delle connessioni tra i vari tipi di cellule è la seguente: i coni e i bastoncelli si uniscono alle cellule bipolari e si uniscono anche tra di loro tramite le cellule orizzontali, poi le cellule bipolari si uniscono alle cellule gangliari e queste si uniscono tra di loro tramite le cellule amacrine. Le cellule gangliari vanno a formare il nervo ottico e questo va poi al corpo genicolato laterale.

4 Le caratteristiche dei due tipi di fotorecettori possono essere così schematizzate: Visione dei bastoncelli (scotopica) Visione dei coni (fotopica) 120 milioni di bastoncelli 8 milioni di coni Visione periferica Visione centrale Convergenza importante Bassa convergenza Visione in bianco e nero Visione a colori Bassa risoluzione Alta risoluzione Alta sensibilità Bassa sensibilità Visione notturna Visione diurna Lento recupero dopo il Bleaching Veloce recupero dopo il Bleaching Massima sensibilità a 500nm Massima sensibilità a 550nm La zona più scura della retina è la fovea che contiene la più alta concentrazione di recettori, è priva di capillari e bastoncelli, ma con un altissima concentrazione di coni; infatti è la zona con la massima acutezza visiva, cioè in questa zona abbiamo un elevata risoluzione spaziale, ma bassa sensibilità alla luce. I bastoncelli, invece, ci danno la visione periferica e, grazie alla loro alta sensibilità alla luce, ci consentono di vedere anche di notte e spiega il fatto che al buio si veda

5 meglio con la coda dell occhio. La loro risoluzione spaziale però non è altrettanto alta come quella dei coni. Distribuzione di coni e bastoncelli Questo è il grafico del numero di fotorecettori (bastoncelli in nero e coni in rosso) sulla superficie della retina. Si vede che il numero massimo dei coni si trova nella fovea e che il massimo numero dei bastoncelli è nella periferia. Si nota anche che non ci sono bastoncelli nella fovea e nel punto cieco non ci sono né coni né bastoncelli. I prolungamenti di coni e bastoncelli terminano con sinapsi sui processi delle cellule bipolari, queste, a loro volta, si connettono mediante sinapsi con le cellule gangliari. Gli assoni delle cellule gangliari riunendosi formano il nervo ottico. Lo strato recettivo della retina riposa sulla corioide e i raggi luminosi devono attraversare le cellule gangliari e le cellule bipolari per raggiungere i coni e i bastoncelli. Lo strato della corioide adiacente alla retina è pigmentato ed assorbe i raggi luminosi, prevenendo così la loro riflessione attraverso la retina. Tale riflessione renderebbe indistinte le immagini visive. L occhio umano contiene circa 1 milione di cellule retiniche gangliari che sono delle strutture nervose appartenenti al sistema nervoso periferico, con l'aspetto di un piccolo rigonfiamento rotondo o fusiforme posto lungo il decorso dei nervi. Comparando questo numero con i 128 milioni di recettori nell occhio, si capisce che le cellule gangliari devono condensare il messaggio grezzo dai recettori.

6 La retina non è solo un sensore, ma un sistema complesso di elaborazione dell informazione. I bastoncelli e i coni sono infatti collegati ad uno strato sovrapposto di cellule orizzontali, poi ad uno strato di cellule bipolari, ad uno di cellule amacrine e infine allo strato di cellule gangliari. Gli assoni delle cellule gangliari formano il nervo ottico e sono circa Questa architettura ha il compito essenziale di integrare le risposte dei recettori. Il rapporto fra 126*10 6 recettori e 10 6 fibre del nervo ottico suggerirebbe una convergenza di 125:1 e ciò comporterebbe capacità visive veramente modeste. In realtà il fattore di convergenza varia molto dal centro della retina alla periferia; infatti al centro della retina la convergenza può arrivare fino al valore di 1:1, cioè ogni recettore è collegato a circa una sola una sola cellula gangliare, mentre nella periferia il grado di convergenza può arrivare a 1000:1. L apparato scotopico, cioè i bastoncelli, non è in grado di risolvere i dettagli e i confini degli oggetti, né di vederne i colori. I coni hanno una soglia molto più alta, ma il loro sistema ha un acuità visiva molto più grande ed è il sistema responsabile della visione a luce intensa (visione fotopica) e della visione a colori. Tutto questo sistema ci da una risposta che ha un alta risoluzione spaziale e un elevata efficienza con una notevole riduzione della quantità di segnali da trasmettere. Coni e bastoncelli

7 Meccanismo di formazione delle immagini Gli occhi convertono l energia dello spettro visibile in potenziali d azione nel nervo ottico. La parte visibile dello spettro è compresa tra le lunghezze d onda di 397nm e 723nm (o 3970Ǻ e 7230Ǻ). Le immagini degli oggetti del mondo esterno vengono messe a fuoco sulla retina: i raggi luminosi, colpendo la retina, generano potenziali nei coni e nei bastoncelli. Gli impulsi che ne conseguono sono condotti alla corteccia cerebrale dove producono le sensazioni visive. I raggi luminosi vengono rifratti nel passare da un mezzo ad un altro di densità differente, eccetto che quando colpiscono l interfaccia perpendicolarmente. Se dei raggi paralleli colpiscono una lente biconvessa vengono rifratti verso un punto (fuoco principale) posto dietro la lente. Il fuoco principale si trova su una linea (asse principale) che passa per i due centri di curvatura della lente stessa. La distanza del fuoco principale dalla lente si chiama distanza focale principale. Praticamente si considerano paralleli i raggi luminosi che colpiscono una lente provenendo da un oggetto distante 6 metri. I raggi provenienti da oggetti più vicini sono divergenti e sono quindi messi a fuoco da una lente biconvessa in un punto più lontano del fuoco principale. Quanto maggiore è la curvatura di una lente, tanto più grande è il suo potere rifrangente, che si misura in diottrie: il numero di diottrie è il reciproco della distanza focale espressa in metri. Per esempio una lente con una distanza focale principale di 0.25m ha un potere rifrangente di 1/0.25 = 4 diottrie. L occhio umano ha un potere rifrangete di circa 66.7 diottrie a riposo. Quando il muscolo ciliare è rilasciato, i raggi paralleli che colpiscono l occhio sono messi a fuoco sulla retina, mentre oggetti più vicini lo sono dietro la retina, per cui appaiono indistinti. Il problema di far cadere a fuoco sulla retina oggetti più vicini di 6 metri può essere risolto aumentando la distanza fra la lente e la retina o aumentando la curvatura, e quindi il potere rifrangente della lente. Nei pesci ossei si verifica la prima soluzione, proprio come in una macchina fotografica, mentre nei mammiferi viene aumentata la curvatura della lente. Il processo mediante il quale la curvatura della lente aumenta si chiama accomodazione. La lente è elastica ed è attaccata al muscolo ciliare circolare dalla zonula che è costituita da fibre inelastiche, così quando il muscolo ciliare è rilassato la zonula tira e mantiene l obiettivo appiattito per la visione a distanza, mentre quando il muscolo ciliare si contrae rilascia la tensione nella zonula, la lente elastica ritorna ad una forma più arrotondata adatta per la visione vicina.

8 In questo modo il potere rifrangente dell occhio può aumentare di anche 12 diottrie. L accomodazione è un processo attivo e richiede un attività muscolare e può quindi stancare, tuttavia il muscolo ciliare è uno dei muscoli più usati. Oltre all accomodazione, quando si guarda un oggetto vicino, si ha convergenza degli assi visivi e restrizione della pupilla. Questa triplice risposta si chiama risposta all avvicinamento. Formazione dell'immagine sulla retina La dimensione di un oggetto sulla retina dipende dalla distanza osservatore-oggetto. L occhio umano ha anche varie risposte al cambiamento di intensità luminosa. Se un individuo che era rimasto a lungo in un ambiente bene illuminato passa in un luogo a luce molto debole, la sua retina diventa a poco a poco sempre più sensibile alla luce; egli cioè si abitua all oscurità. Questa discesa della soglia visiva si chiama adattamento all oscurità ed è massimale dopo 20 minuti circa. D altra parte, passando da una luce debole ad una intensa, questa sembra all inizio molto più viva e anche fastidiosa fino a che l occhio non vi sia adattato con un aumento della soglia visiva. Questo adattamento impiega circa 5 minuti e si chiama adattamento alla luce. Nella curva di adattamento all oscurità si distinguono 2 componenti: una è rappresentata dalla

9 prima discesa della soglia visiva, rapida, ma piccola, certamente dovuta all adattamento dei coni perché è la sola che si osserva nella regione foveale della retina che è priva di bastoncelli. Nelle parti periferiche della retina si ha un ulteriore discesa della soglia, dovuta all adattamento dei bastoncelli. Il cambiamento totale di soglia fra occhio adattato alla luce e occhio adattato all oscurità è molto grande. I radiologi, gli aviatori e tutti coloro ai quali si richiede una sensibilità visiva massimale alla luce debole, possono evitare di dover attendere 20 minuti all oscuro utilizzando alla luce intensa occhiali rossi. La luce rossa stimola i bastoncelli solo debolmente, mentre permette ai coni di funzionare abbastanza bene. Così facendo i bastoncelli si adattano all oscurità, anche se la luce è intensa (figura 7 e 8). Sensibilità coni e bastoncelli vs λ Assorbimento dei bastoncelli

10 Si è scoperto che le cellule gangliari della retina non presentano tutte le stesse caratteristiche. In molti mammiferi sono state individuate cellule gangliari di diversa forma e probabilmente con funzioni diverse; in particolare nei Primati sono presenti grosse cellule gangliari con numerose ramificazioni dendritiche e grandi assoni, in contatto con un gran numero di cellule bipolari e piccoli cellule gangliari con poche ramificazioni e piccoli assoni. Si parla di neuroni magnocellulari (o tipo M), che costituiscono il 10% del totale, e parvocellulari (o tipo P) (80% del totale). In entrambi i casi le cellule gangliari possono essere ON e OFF. Le cellule gangliari hanno diverse risposte, ma prima introduciamo il concetto di campo recettivo. Si chiama campo recettivo di una data cellula gangliare la regione di retina che, se stimolata, provoca una risposta in quella cellula. Le cellule gangliari di solito scaricano a bassa frequenza, cioè inviano impulsi, in assenza di stimolazione. Alcune di esse rispondono con un aumento della scarica quando si illumina il centro del loro campo recettivo con un piccolo fascio di luce più o meno circolare e per questo si chiamano cellule di centri di tipo on ; altre rispondono cessando di scaricare e si chiamano cellule di centri di tipo off. Se si fa agire la luce sull area circostante al punto che dà la risposta on la cellula gangliare resta inibita; inversamente all illuminazione dell area circostante ad un punto che illuminato dà una risposta di tipo off, la cellula gangliare risponde con un aumento della scarica. Questa interazione è un esempio dell inibizione laterale, cioè di quella forma di inibizione nella quale l attivazione di una particolare unità si associa all inibizione delle unità che la circondano. Si tratta di un fenomeno generale nei sistemi sensoriali dei mammiferi che aiuta ad acuire gli stimoli e a migliorarne la discriminazione. Le cellule gangliari, quindi, non inviano il segnale finché un confine tra zone diversamente illuminate non cade nel loro campo recettivo e questo comporta che noi siamo in grado di vedere solo i bordi di una figura, non il suo interno uniforme. La componente continua, corrispondente alla

11 luminosità media della scena, viene così soppressa. Nella percezione visiva appare così molto importante il concetto di contrasto: l occhio non trasmette segnali di intensità luminosa, ma le sue variazioni locali che vengono calcolate grazie alla struttura dei campi recettivi dei neuroni retinici. Molti studi hanno cercato di fare una similitudine con operatori matematici noti che lavorino come la retina. Si è visto che l immagine che si forma potrebbe essere il risultato di una convoluzione tra la distribuzione di luminanza rivelata dai recettori e una funzione peso a forma di sombrero a simmetria circolare. Analiticamente questo profilo è molto ben approssimabile con un DoG(x,y), cioè una differenza di due gaussiane con sigma diversa. L espressione del DoG è la seguente: DoG( x, y) = 1 2πσ 2 1 e 2 x + y ( 2 2σ 1 2 ) 1 2πσ 2 2 e 2 x + y ( 2 2σ 2 2 ) E il suo grafico in tre dimensioni è il seguente: Immagine ottenuta con Matlab del DoG Questo filtro evidenzia le discontinuità con uno zero-crossing, cioè con una riga bianca in corrispondenza della discontinuità e per questo, cioè per il fatto che noi non vediamo le discontinuità con delle righe bianche, questo modello ha subito delle critiche. L immagine risultante si ottiene facendo una convoluzione di questa funzione con l immagine in ingresso.

12 L acuità visiva è il grado fino al quale possono essere percepiti i dettagli e i contorni degli oggetti. Di solito questa si misura determinando sino a quanto può ridursi l angolo visivo sotto il quale cadono sull occhio due linee parallele, continuando ad essere viste separate tra loro. Nella retina avviene quindi un processo che riguarda la distinzione di stimoli luminosi che presentano discontinuità e per questo nella computer vision si da molta importanza al Raw Primal Sketch, cioè a tutti quei metodi che, presa una qualsiasi immagine, fanno risaltare i bordi, i contorni, gli spigoli e le giunzioni. Si è anche pensato che il solo occhio umano potesse filtrare le immagini con delle derivate direzionali, ma questa è un operazione complessa e si considera più plausibile il fatto che l occhio umano riesca a fare la differenza tra due gaussiane di diversa ampiezza come per il DoG. Campo visivo e visione binoculare Il campo visivo di ciascun occhio è la porzione del mondo esterno visibile per quell occhio. Teoricamente dovrebbe essere circolare, ma in realtà esso è limitato medialmente dal naso e superiormente dal tetto dell orbita. Il campo visivo centrale viene saggiato muovendo un dischetto bianco su sfondo nero. Notando i punti dove scompare e riappare si determina la sede e l estensione del punto cieco o di scotomi (punti ciechi patologici) eventualmente esistenti. Come si vede nella figura 10 i campi visivi dei due occhi in gran parte coincidono e pertanto un oggetto che si trovi in questa parte del campo formerà l immagine su ambedue le retine. Gli impulsi così suscitati nelle due retine vengono fusi in una sola immagine dalla corteccia, a condizione però che le due immagini cadano su punti corrispondenti delle due retine. Forma dei campi visivi

13 La percezione della distanza e della profondità, pur essendo aiutata dalla visione binoculare, è in gran parte monoculare, dipendendo dalla grandezza relativa degli oggetti, dall ombra da essi gettata e, nel caso di oggetti in movimento, dal loro movimento relativo a quello di altri oggetti (parallasse di movimento). La visione in tre dimensioni si ha quando sappiamo quale è la forma e la posizione dell oggetto senza ambiguità. Ad esempio con la visione binoculare non possiamo sapere cosa c è dietro ad un oggetto, ma soltanto supporlo in base alle nostre conoscenze. Nella disciplina del tiro con l arco si impara, addirittura prima di impugnare un arco, che gli occhi non vedono esattamente allo stesso modo; infatti esiste un occhio dominante e nel tiro con l arco è molto importante per poter centrare un bersaglio con grande precisione. Per determinare quale dei due occhi è quello dominante basta stendere le braccia in avanti verso un bersaglio o un oggetto, collimando l'apertura che si e' venuta a formare tra le tue mani ad un punto preciso sul bersaglio tenendo entrambi gli occhi aperti. Quindi chiudere prima l'occhio destro e controllare se si vede ancora il centro. Se non è più visibile provare a chiudere l'altro occhio. L occhio dominante è quello che lascia vedere il centro. Occhio dominante Discriminazione in intensità L occhio umano è in grado di distinguere soltanto alcune gradazioni dei livelli di grigio di un immagine (dalle 10 alle 25) rispetto all intensità ambientale. Questo non vuol dire che tutte le immagini possano essere rappresentate con pochi livelli di grigio, solo localmente sarebbero sufficienti, ma la luminosità varia nella scena. Ad esempio in queste due immagini vediamo che nelle zone a lenta variazione luminosa si vede la mancanza di toni intermedi.

14 Nella prima immagine siamo con 256 livelli di grigio, mentre nella seconda i livelli sono diventati 24 (immagine ottenuta con il programma Matlab con il comando histeq che mi equalizza l istogramma dell immagine con 24 livelli di grigio dai 256 iniziali). In realtà non vediamo solo un certo numero di livelli di grigio, ma dipende dalla scena che osserviamo e i livelli cambiano da scena a scena. L intensità luminosa percepita, però, non è soltanto funzione dell intensità luminosa dell ambiente, ma anche di ciò che sta vicino. Le bande di Mach sono un esempio. Queste sono zone con diverse intensità di grigio messe l una accanto all altra a partire da quella più scura fino a quella più chiara. L intensità delle bande è uniforme, tuttavia percepiamo un intensità maggiore sui confini tra due zone e più precisamente percepiamo più scuro il bordo nella regione più scura e più chiaro nella regione più chiara. Le bande di Mach possono essere utilizzate per stimare la risposta all impulso del sistema visivo. Un'altra prova del fatto che l intensità che percepiamo non è solo funzione dell intensità luminosa è data dal fenomeno del contrasto simultaneo. Si prendono vari quadrati con un certo livello di grigio e si disegna al centro un quadrato più piccolo di diversa intensità:

15 I riquadri interni alla figura hanno la stessa intensità, ma quello su sfondo più scuro viene percepito più chiaro rispetto a quello sullo sfondo chiaro. Trasmissione del segnale elettrico Dopo che la luce è stata catturata sulla retina viene generato un impulso elettrico che è trasportato tramite il nervo ottico, cioè quel nervo che trasporta l informazione visiva dall occhio al cervello. Il nervo ottico, lungo circa cinque centimetri, lascia l'orbita attraverso il canale ottico, raggiungendo il chiasma ottico dove c è l incrocio con il nervo ottico dell altro occhio. Il tratto ottico di destra è composto dalle fibre nervose provenienti dall'emiretina temporale dell'occhio destro e dall'emiretina nasale dell'occhio sinistro; viceversa, il tratto ottico di sinistra è composto dalle fibre provenienti dall'emiretina temporale dell'occhio sinistro e dall'emiretina nasale dell'occhio destro. In pratica, ciascun tratto ottico contiene la rappresentazione completa dell'emicampo visivo controlaterale. Si avrà, dunque, che la corteccia visiva destra "vedrà" il campo visivo di sinistra, mentre la corteccia visiva sinistra "vedrà" il campo visivo di destra. Ciascun tratto ottico conduce a 2 parti del cervello: circa il 20% degli assoni conduce al collicolo superiore, mentre il restante 80% conduce al corpo genicolato laterale. In quest ultimo si ha la prima elaborazione dei segnali provenienti dalle retine e poi gli assoni del corpo genicolato conducono l informazione alla corteccia visiva primaria. In tutti i mammiferi studiati, la corteccia visiva primaria è localizzata nel polo posteriore del lobo occipitale (nella corteccia occipitale avviene l elaborazione centrale della percezione visiva). Si tratta di un'area

16 altamente specializzata per l elaborazione dell'informazione riguardante la forma e collocazione di oggetti statici ed il loro movimento nel campo visivo. Nel caso di problemi delle vie visive si hanno dei cambiamenti nel campo visivo: ad esempio se viene reciso il nervo ottico dell occhio destro avremo la cecità dell occhio destro (punto 1 della figura); se invece viene reciso il chiasma ottico vedremo soltanto metà immagine poiché passerà solo l informazione proveniente dall area laterale esterna della retina (punto 2) e così via. Movimenti oculari I movimenti oculari servono per spostare e fissare l attenzione su un determinato oggetto, anche in movimento. I muscoli dell occhio servono per mantenere l immagine degli oggetti in esame entro 0.15 della fovea. L occhio è ancorato all orbita mediante i muscoli estrinseci dell occhio che sono caratterizzati da fibre contrattili rapide e sono organizzati in tre coppie ad azione antagonista: Retti mediali e laterali (orizzontale) Retti superiore e inferiore (verticale) Obliqui superiore e inferiore (rotazione)

17 I movimenti dei due occhi possono essere uguali (orizzontali, verticali, di torsione sull'asse anteroposteriore) od opposti (convergenza, divergenza), dovendo soddisfare molteplici esigenze come mantenere stabile l'asse visivo, rintracciare, inseguire e fissare gli oggetti che entrano nel campo visivo, consentire una visione unica e stereoscopica, permettere una esplorazione attenta dell'ambiente. Questi obiettivi vengono raggiunti mediante un complesso meccanismo coordinativo che, integrando le attivazioni e le inibizioni originate dai labirinti, dalle articolazioni e dai muscoli del collo, dalla retina, specificatamente dalla fovea, e dalle terminazioni sensoriali in genere, correla i movimenti oculari fra di loro e con le restanti attività motorie somatiche. I sistemi neuronali di controllo che mantengono la fovea su un bersaglio visivo sono cinque: i movimenti vestibolo-oculari, che mantengono stabili le immagini sulla retina durante i movimenti fisici del capo i movimenti optocinetici, che mantengono stabili le immagini sulla retina durante i movimenti rotatori prolungati della testa i movimenti saccadici, che portano rapidamente la fovea verso un bersaglio visivo posto più perifericamente i movimenti di inseguimento, che mantengono fissa sulla retina l'immagine di un oggetto in movimento

18 i movimenti di vergenza, che fanno sì che l'immagine di un oggetto più lontano o più vicino si proietti sempre su entrambe le fovee I primi quattro movimenti sono coniugati, nel senso che ciascun occhio compie un movimento della stessa ampiezza e nella stessa direzione, il quinto movimento è disgiuntivo, cioè gli occhi si muovono in direzioni diverse ed anche le ampiezze possono essere diverse. I movimenti vestibolo-oculari, o riflessi vestibolo-oculari, o nistagmo vestibolare, sono causati dalla rotazione della testa, e quindi dalla attivazione dei canali semicircolari, in una data direzione e caratterizzati dalla rotazione degli occhi in direzione opposta (fase lenta), seguita da un brusco riallineamento (fase rapida) quando la direzione dello sguardo raggiunge l'estremità dell'orbita. Il movimento oculare si mantiene, alternando fasi lente e rapide, per tutto il tempo della rotazione del capo, determinando un movimento oscillatorio ritmico degli occhi, detto nistagmo. Al buio, il nistagmo non continua indefinitamente, in quanto i canali semicircolari si adattano alla rotazione continua. Oltre che con la rotazione del capo, il nistagmo vestibolare può essere evocato a testa ferma immettendo acqua calda (o fredda) nell'orecchio, in quanto la differenza di temperatura che così si instaura genera moti convettivi dell'endolinfa contenuta nei canali semicircolari, che si attivano come in seguito alla stimolazione fisiologica. La risposta del riflesso vestibolo-oculare (nistagmo vestibolare) viene coordinata da formazioni situate nel tronco dell'encefalo, fra cui primariamente i nuclei vestibolari, che ricevono dai canali semicircolari informazioni precise sulla velocità e direzione della rotazione della testa. Altre strutture troncoencefaliche coordinano le risposte oculari sui piani orizzontale e verticale e mantengono lo sguardo fermo fra un movimento ed il successivo; al di fuori del tronco dell'encefalo, altre strutture, fra cui il cervelletto, modulano la risposta vestibolo-oculare. I movimenti optocinetici, o riflessi optocinetici o nistagmo optocinetico sono caratterizzati dallo stesso andamento oscillatorio degli occhi che caratterizza il nistagmo vestibolare, ma sono dovuti ai movimenti di tutte (o gran parte) le immagini visive sulla retina, come si verifica quando si ruota il capo, compensando, così, le imprecisioni del nistagmo vestibolare. Si può far insorgere un riflesso optocinetico ponendo un soggetto all'interno di un cilindro a strisce bianche e nere verticali. Quando il cilindro ruota, si manifesta un nistagmo optocinetico, che è simile al nistagmo vestibolare che si svilupperebbe se la sedia sulla quale il soggetto è seduto venisse fatta ruotare in direzione opposta, ed il soggetto prova la sensazione di essere lui stesso a ruotare. La risposta del riflesso optocinetico dipende da strutture sia corticali che sottocorticali; fra queste ultime sono comprese anche i nuclei vestibolari che, tramite il pretetto, ricevono informazioni dalla retina. La componente corticale

19 comprende l'area visiva primaria, cui, a questo scopo, arrivano fibre dagli strati magnocellulari del nucleo genicolato laterale, ed altre aree visive corticali. I movimenti saccadici assomigliano alla fase rapida del nistagmo. Se, mentre si guarda un bersaglio visivo, l'immagine di questo si sposta rapidamente sulla fovea, gli occhi conservano la posizione che avevano per circa 200 msec e poi compiono un movimento rapido, saccadico, per riportare l'immagine del bersaglio sulla fovea. Analogamente, si compiono movimenti oculari saccadici, volontari ma spesso non coscienti, quando si esplora lo spazio circostante, per quanto ristretto esso sia. I movimenti saccadici sono molto stereotipati; hanno un andamento standardizzato, caratterizzato da un incremento ed un successivo decremento regolare della velocità di rotazione del globo oculare, che può raggiungere i 900 /sec (1 = 1 cm a 57 cm di distanza dall occhio). È possibile modificare volontariamente l'ampiezza e la direzione dei movimenti saccadici, ma non la loro velocità. Questa è tale, e la durata del movimento così breve (poche decine di msec; se ne compiono in media 3 al secondo), che le informazioni visive non fanno in tempo a modificarne il decorso una volta che sono iniziati; le eventuali correzioni vengono quindi operate con ulteriori piccoli movimenti saccadici che seguono quello primario. I movimenti saccadici orizzontali vengono generati a livello della formazione reticolare del ponte, mentre quelli verticali dalla formazione reticolare del mesencefalo. Il cervelletto è anch'esso coinvolto, probabilmente per la modulazione basata sull'esperienza. Anche il collicolo superiore, che riceve fibre retiniche dirette, svolge un ruolo di rilievo nel controllo del movimenti saccadici. L'azione collicolare può essere controllata dai campi oculari frontali (area 8 della corteccia cerebrale), che, a loro volta, possono influenzare i movimenti saccadici anche indipendentemente dal collicolo superiore. I movimenti lenti o di inseguimento provocano il movimento degli occhi per mantenere sulla fovea l'immagine di un particolare bersaglio visivo che si muove nello spazio. Si tratta di movimenti volontari, per la cui esecuzione è necessaria la presenza di uno stimolo in movimento. Non è possibile eseguire un movimento lento di inseguimento in risposta ad un comando di natura esclusivamente verbale, senza la presenza di un bersaglio visivo in movimento; a differenza del nistagmo e dei movimenti saccadici, per effettuare questi movimenti è necessario prestare attenzione al bersaglio in movimento. La velocità massima è ritenuta essere di 100 /sec, ma probabilmente questo valore è sovrastimato, ed uno più realistico potrebbe essere di 40 /sec. Per l'esecuzione dei movimenti lenti di inseguimento è necessaria l'integrità della corteccia cerebrale (corteccia striata, regioni parietali e temporali), del cervelletto e del ponte. I movimenti di vergenza sono movimenti disgiuntivi (a differenza di tutti i precedenti che sono coniugati), in quanto gli occhi si muovono con ampiezze e direzioni diverse l'uno dall'altro, per consentire la fissazione di oggetti posti a differenti distanze dall'osservatore (più lontani o più vicini

20 rispetto all'oggetto appena fissato) o in movimento sul piano sagittale. Se l'oggetto si avvicina, si hanno movimenti di convergenza, se si allontana di divergenza. I movimenti di vergenza sono organizzati a livello del mesencefalo. Corpo genicolato laterale Le fibre del nervo ottico, dopo essersi intersecate a livello del chiasma, si connettono con altre cellule nervose a vari livelli. Si connettono con l ipotalamo dove avviene la regolazione dei ritmi circadiani, cioè il segnale luminoso proveniente dalla retina viene trasmesso a dei nuclei dell'ipotalamo, che controllano ritmi circadiani regolanti il comportamento, l'attività ormonale, la fisiologia dell'organismo. Un altro orologio è situato nella stessa retina e ne controlla l'attività ritmica. Un altro insieme di cellule nervose è il pretetto che è posto fra il talamo e il mesencefalo in cui avviene la regolazione del riflesso pupillare alla luce. Infine le cellule del nervo ottico si connettono con il corpo genicolato laterale che è una struttura a forma di ginocchio posta dietro al talamo. Come esistono campi recettivi a cui rispondono le cellule della retina e dei corpi genicolati, così esistono anche campi recettivi a cui rispondono le cellule della corteccia. Particolarmente molto studiati sono i campi recettivi della corteccia che rispondono prevalentemente all'orientamento spaziale. Nella corteccia visiva, posta nel lobo occipitale, si distinguono varie aree; la prima zona a cui si dirigono le fibre provenienti dal nucleo genicolato laterale, è l'area V1, che contiene una mappa estremamente dettagliata dell'intero campo visivo, ricevendo punto per punto le proiezioni dei sei strati cellulari provenienti dal corpo genicolato laterale. L area V1, a sua volta, invia le informazioni ad altre vie visive secondarie (di nome V2, V3, V4 etc.). A livello del corpo genicolato laterale le fibre delle cellule gangliari terminano in modo estremamente ordinato, creando una serie di strati (6 nei primati) che sono stati identificati e numerati; ciascuno di questi riceve afferenze da un solo occhio. Le fibre provenienti dalla retina nasale controlaterale prendono contatto con gli strati 6, 4, 1, mentre quelle che si originano dalla retina temporale ipsilaterale terminano negli strati 5, 3, 2. Gli strati del corpo genicolato laterale contengono pertanto una rappresentazione completa dell'emicampo visivo controlaterale; nel corpo genicolato sinistro si ha la proiezione del campo visivo destro e in quello di destra del campo visivo sinistro. Queste strisce visive, larghe circa mezzo millimetro, possono essere messe in evidenza usando coloranti specifici, che permettono di conoscere la loro estensione e la loro forma; si è visto così che la zona della fovea occupa un'area molto grande, come del resto ci si poteva aspettare. Il

21 corpo genicolato laterale è, quindi, il primo punto dove vengono elaborati insieme e dati provenienti da entrambe le retine. I neuroni La cellula nervosa o neurone fu chiamata così dall'anatomista spagnolo Santiago Ramon y Cayal, (vissuto verso la fine del secolo scorso) il quale mostrò che tutte le parti del sistema nervoso animale sono formate di unità fondamentali tutte simili tra di loro, pur potendo essere differenti in dimensioni e forma. Queste cellule generano e trasmettono impulsi elettrici tra di loro e mediante i quali interagiscono. Il neurone è formato da un corpo cellulare di forma varia detto soma composto da una massa protoplasmatica (citoplasma) e contenente una massa tondeggiante detta nucleo. Dalla superficie esterna del soma fuoriescono delle propagazioni sottili dette dendriti con i quali la cellula nervosa riceve i segnali dalle altre cellule nervose. Da una piccola protuberanza del soma si propaga invece un prolungamento chiamato assone lungo il quale si propagano gli impulsi nervosi e che termina in diramazioni che a loro volta si collegano tramite sinapsi ai dendriti degli altri neuroni. Le connessioni tra neuroni determinano la formazione di complessi circuiti nervosi attraverso i quali viaggia l'informazione. L'informazione nervosa è costituita primariamente da segnali elettrici (il più veloce dei quali è il potenziale d'azione) che non sono tuttavia normalmente in grado di diffondere da un neurone all'altro poiché a livello delle sinapsi non esiste una continuità fisica fra le cellule nervose connesse. A questo livello quindi il segnale elettrico si trasforma nel rilascio di un segnale chimico (neurotrasmettitore) che determina sul neurone successivo l'insorgenza di un nuovo segnale elettrico. Mentre oggi conosciamo con notevole dettaglio gli aspetti cellulari e molecolari dell'attività nervosa, sappiamo molto meno di come i circuiti nervosi lavorano per attuare complesse funzioni cerebrali. Tuttavia, le tecniche non invasive di visualizzazione dell'attività cerebrale (fmri

22 = functional magnetic resonance imaging, PET) stanno rapidamente progredendo e daranno sicuramente risultati di estrema importanza, non solo per lo studio delle patologie cerebrali ma anche per comprendere il funzionamento dei circuiti nervosi. I risultati di queste tecniche mostrano come sia possibile "vedere" quali aree della corteccia cerebrale sono attive quando un soggetto guarda una figura o è sottoposto ad uno stimolo di altro genere. Corteccia visiva primaria La corteccia visiva primaria è l'area 17 di Brodmann, nel lobo occipitale. Riceve le informazioni dalla parte controlaterale del campo visivo. Le innervazioni sono perfettamente retinotopiche, ovvero spazialmente organizzate come i recettori sulla retina. Dividendo il campo visivo in 4 settori le aree che ricevono la porzione in alto a sinistra si trovano sotto la scissura calcarina nell'emisfero destro, il settore in basso a destra giungerà sopra la scissura calcarina nell'emisfero sinistro. Qui di lato è rappresentata la mappa deformata del campo visivo e sopra le corrispondenti zone della retina. La corteccia visiva primaria ha un organizzazione topologica in 6 strati di campi recettivi di cui il 4 è lo strato di input. Le cellule corticali hanno la funzione di affinare l analisi dell informazione visiva e sono selettive per l orientamento dello stimolo. Queste cellule sono divise in semplici, complesse e ipercomplesse. Quelle semplici sono caratterizzate da campi recettivi di tipo on e di tipo off di forma allungata derivano dall arrangiamento ordinato degli ingressi del genicolato e sono rifinite da circuiti intracorticali. Esistono però anche cellule dove non si riescono a discriminare zone on e zone off, ma sono selettive per l orientamento e si chiamano complesse. Le cellule complesse sono molto più

23 numerose delle cellule semplici, hanno campi recettivi rettangolari, rispondono a stimoli lineari con un preciso orientamento e non alla luce diffusa. Queste differiscono dalle cellule semplici per avere campi recettivi più grandi, il loro campo recettivo non può essere diviso in regioni on e off statiche e molte di esse sono binoculari, cioè rispondono alla disparità retinica binoculare ossia percepiscono la tridimensionalità. Ci sono anche altri tipi di cellule che sono sensibili alla lunghezza della barra luminosa come in questo esempio: La corteccia visiva primaria è organizzata in una serie di colonne funzionali verticali come descritto dal modello di Hubel-Wiesel: Secondo Russell e Karen DeValois, la corteccia visiva primaria analizza frequenze spaziali e non linee e margini come ipotizzato da Hubel e Diesel e questa si chiama teoria della frequenza spaziale. A favore di questa c è l osservazione che i neuroni della corteccia visiva rispondono più intensamente a grate sinusoidali, poste entro il loro campo recettivo, che a barre o margini lineari.

24 La teoria della frequenza spaziale è basata su due principi fisici: 1) ciascuno stimolo luminoso può essere rappresentato come variazioni di intensità luminosa lungo linee che lo attraversano 2) qualunque curva, per quanto irregolare, può essere decomposta nelle onde sinusoidali componenti mediante analisi di Fourier. Visione dei colori La teoria dei componenti della visione dei colori, o teoria tricromatica (Young, 1802; Von Helmholtz, 1852). Secondo questa teoria vi sono tre diversi tipi di recettori per il colore (coni), ciascuno con una diversa sensibilità spettrale; il colore di uno stimolo sarebbe codificato dall attivazione, in proporzione differente per i vari colori, dei tre tipi di recettori. Un altra teoria sulla visione dei colori è la teoria dell opponenza cromatica (Hering, 1878). Egli suggerì che nel sistema visivo ci fossero tre classi di cellule, due delle quali per la codifica del colore e un altra per la codifica della luminosità. Hering ipotizzò che ciascun tipo di cellula codificasse la percezione di due colori complementari. Prima della fine del secolo scorso era già stato ammesso che la visione colorata doveva essere mediata da 3 differenti tipi di recettori, ciascun tipo contenente una differente sostanza fotochimica e presentante la sensibilità massima per uno dei tre colori primari. L esistenza di 3 tipi di coni è stata ora dimostrata nei pesci, nella scimmia e nell uomo, mediante l esame dello spettro di assorbimento dei singoli coni. Nell uomo è stato trovato che certi coni assorbono massimamente la luce di lunghezza d onda tra i 400nm e i 450nm; altri quella fra 520nm e 560nm e il terzo tipo di coni tra 565nm e 575nm. La curva di sensibilità spettrale dei recettori coincide con la curva di sensibilità ai colori dell occhio umano. Si ha un primo massimo nella regione blu-violetta dello spettro, un secondo massimo nella regione del verde e un terzo nella regione del giallo. I colori primari sono il blu, il verde e il rosso, ma i coni che mostrano un massimo della sensibilità per il giallo sono abbastanza sensibili anche al rosso per rispondere a

25 questo con una soglia più bassa che per il verde. Però dobbiamo introdurre il concetto di colore di un oggetto: Il colore di un oggetto è determinato dalla sua riflettanza, cioè la proporzione delle diverse lunghezze d onda riflesse da una superficie o si può definire come un aspetto della esperienza visiva caratterizzato da 3 attributi (luminosità, tinta, saturazione o purezza) e normalmente originato dalla stimolazione con radiazioni di lunghezza d'onda compresa tra 380 e 760 nm. (Da Cline et al. Dictionary of Visual Science). Sebbene le lunghezze d onda riflesse da una superficie cambino drasticamente con i mutamenti delle condizioni di illuminazione, l efficienza con cui una superficie assorbe ciascuna lunghezza d onda, e ne riflette una determinata quantità, non cambia. Secondo la teoria Retinex, il sistema visivo calcola la riflettanza delle varie superfici del campo visivo e percepisce il loro colore, confrontando il grado con cui superfici adiacenti riflettono tre lunghezze d onda separate (corta, media e lunga). Le cellule a opponenza doppia della corteccia visiva di scimmia rispondono al contrasto di colore tra aree adiacenti del campo visivo. Nella visione artificiale esistono degli analoghi con la visione a colori dell occhio umano; infatti si parla di solito di colori RGB (cioè Red, Green e Blue) che vengono utilizzati per costruire immagini a colori oppure il CMY (cioè Ciano, Magenta e Yellow). Inoltre nel tipo di compressione delle immagini JPEG lossy abbiammo una codifica che evidenzia di più le differenze di luminostià che quelle tra colori. Visione artificiale La visione artificiale si propone di studiare e costruire sistemi in grado di descrivere una scena osservata e per far ciò il miglior termine di paragone è la visione biologica. La visione biologica consente di distinguere forme molto velocemente e di percepire la loro posizione e la loro grandezza. Il riconoscimento di forme simili ad altre o note, come figure geometriche, il fatto di dare il nome ad un oggetto dell immagine e tirarci fuori tutte le informazioni possibili è il paradigma con il quale si pensa alla visione artificiale. Lo studio della visione artificiale è iniziato negli anni 60 e uno dei primi studiosi che ha trattato l argomento è stato David Marr il quale sosteneva che con il termine visione si dovesse identificare un sistema capace di produrre una rappresentazione in 3D della scena osservata. Tuttavia programmare uno strumento capace di elaborare le immagini come l apparato visivo umano è un lavoro molto complesso e richiede molte ipotesi sul sistema visivo. Questo perché il cervello umano è una macchina molto complicata, ma anche molto precisa ed elaborata che non è facile da replicare. La visione artificiale non vuole

26 replicare esattamente il sistema visivo umano, ma divide le operazioni da fare sulle immagini in vari settori specializzati ciascuno in un preciso campo. Si parte dal Raw Primal Sketch (o modulo di basso livello) che ha il compito di riconoscere in una matrice di punti di edge, zero-crossing, posizioni, contrasto etc.. Il modulo di livello intermedio è costituito dal Full Primal Sketch e dal 2D½ Sketch: il primo organizza i risultati ottenuti con il Raw Primal Sketch in regioni che rappresentano l andamento generale di quelle zone, come aggregazione di punti in contorni chiusi o in regioni. Il 2D½ Sketch, invece, vuole rappresentare l immagine tramite superfici orientate e con profondità ottenendo una pseduo immagine in tre dimensioni poiché non posso sapere ad esempio cosa c è dietro o sotto agli oggetti. Questo tipo di visione in tre diversi modi: si può ottenere con la visione monoculare facendo delle ipotesi sulle strutture, dalla visione binoculare come nel caso del sistema visivo umano ottenendo l informazione della profondità da considerazioni geometriche; oppure si può ottenere la profondità muovendo il meccanismo di acquisizione dell immagine. Il modulo base per l elaborazione delle immagini è sicuramente il Raw Primal Sketch in quanto già trovare i contorni di un immagine è un passo molto grande per l analisi dei particolari e dei singoli oggetti. Infatti solo osservando l immagine elaborata con il giusto filtro (ad esempio un edge crispening) si possono subito riconoscere le cose che ci interessano di più.

27 Bibliografia G. Valli, G. Coppini, Bioimmagini, Pàtron Editore A.K.Jain, Fundamentals of digital image processing, Prentice Hall Sabotta, Atlante di anatomia, Uses, 1971 Ganong, Fisiologia medica, Piccin editore, 1971 Tavole di anatomia umana, edizioni Giunti Nuovo atlante del corpo umano, Fratelli Fabbri editore, 1978 Sitografia

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