LA BATTAGLIA DEI TRASPORTI MARITTIMI NELLA CAMPAGNA D I LIBIA

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1 LA BATTAGLIA DEI TRASPORTI MARITTIMI NELLA CAMPAGNA D I LIBIA In quasi tutta la storiografia * relativa alla condotta della nostra marina nel corso della seconda guerra mondiale compare sempre una sorta di ripartizione di fondo: da un lato un attività che viene, in ultima analisi, considerata come principale e inquadra tutte le maggiori o minori azioni condotte nelle acque del Mediterraneo tra le unità delle opposte marine da guerra; dall altra tutta quella lunga, logorante guerra combattuta sulle rotte percorse dai rifornimenti per la Libia, quel pressoché giornaliero stillicidio di azioni che ebbero per obiettivo le nostre navi mercantili e per attivi protagonisti da un lato le nostre unità di scorta e dall altro i sommergibili, gli aerei e qualche volta le unità leggere di superficie inglesi. Parrebbe quasi, dunque, che ad una guerra che potremmo definire come «principale» se ne sia affiancata un altra, se così vogliamo, «secondaria» o, per lo meno, di minore risonanza ed (*) Non è possibile indicare una bibliografia specifica esauriente, poiché un esatta valutazione del problema costituito dalla battaglia per i rifornimenti della Libia richiede una profonda conoscenza dei problemi del potere marittimo e delle sue forme. Questo articolo è solo un breve excursus sui problemi di quegli anni; molti altri grandi problemi sono stati solo sfiorati o persino taciuti, né d altronde sarebbe stato possibile affrontarli in uno spazio limitato e soprattutto in uno studio non specificatamente dedicato loro. Ecco comunque alcune opere che possono informare sulle dimensioni del problema, sia nei suoi termini immediati sia sulle conseguenze a lunga scadenza. U f f i c i o s t o r ic o d e l l a M a r in a M i l i t a r e ; serie: Le navi d Italia. Tutti i volumi finora apparsi. Serie: La marina italiana nella seconda guerra mondiale, Voli. II, III, IV, V, VI, VII, V ili. A. R. H e z l e t, La guerra subacquea, Firenze, Sansoni, A. B. C u n n in g h a m, L odissea di un marinaio, Milano, Garzanti, E. F a v a g ro ssa, Perché perdemmo la guerra, Milano, Rizzoli, A. F r a c c a r o l i, Italian warships of W W II, Londra, Jan Allan, A. I a c h in o, Tramonto di una grande marina, Milano, Mondadori, D. M a c in t y r e, La battaglia del Mediterraneo, Firenze, Sansoni, G. S a n t o r o, L Aereonautica italiana nella seconda guerra mondiale, Roma, Danesi E d., P. V a r il l o n, L aspetto navale del conflitto anglo-italiano in Mediterraneo, Roma, Ed. Ardita, R. d e B e l o t, La guerra aereonavale in Mediterraneo, Milano, Longanesi, R. B e r n o t t i, Cinquantanni nella marina militare, Milano, Mursia, M. G a b r ie l e, Operazione C 3: Malta, Roma, Uff. St. M.M., H is t o r ic u s, Da Versailles a Cassibile, Bologna, Cappelli, A. M oo reh ea d, La guerra del deserto, Milano, Garzanti, 1968.

2 56 Alfredo Marchetti importanza ai fini immediati del conflitto, e che questa seconda guerra non sia stata altro che qualcosa di transitorio e di accidentale a confronto con i più determinanti avvenimenti della prima; una sorta di guerra in sedicesimo, insomma, dove solo di riflesso giungevano gli echi dei più risolutivi eventi che avevano per protagoniste le squadre da battaglia. Ed in effetti in quella guerra combattuta attorno alle navi mercantili naviganti tra i porti italiani e quelli dell Africa settentrionale mancano quei grandi scontri di tipo tradizionale, quelle manovre e concezioni a grande respiro, quelle azioni combattute dalle grandi unita di superficie che quasi danno un segno tangibile, con la loro mole, del peso esercitato sugli avvenimenti, elementi questi che hanno sempre caratterizzato, nei tempi, la grande guerra sul mare. Niente di tutto ciò, invece, ma una guerra combattuta quasi in sordina, giorno dopo giorno; combattuta e vinta anche, e soprattutto, quando nulla accadeva; decisa spesso da pochi uomini soli a bordo dei loro aerei, dei loro sommergibili, delle loro piccole unità impegnate nei servizi di scorta. Una guerriglia, più che vera e propria guerra, punteggiata di imboscate, attacchi solitari, tragedie improvvise aventi per teatro poche miglia di mare e per protagonisti piccoli convogli di navi da trasporto, piccole formazioni di aerei, qualche sommergibile, tre o quattro navi di superficie britanniche, cacciatorpediniere o al massimo incrociatori leggeri veloci nel colpire e nel dileguarsi, qualche unità di scorta italiana. Una guerra, insomma, in cui i mezzi erano impiegati apparentemente al risparmio e che proprio nella scarsità dei mezzi impiegati offre forse la spiegazione della sua scarsa importanza apparente; una guerra inoltre, se così vogliamo, combattuta solo per il sopravvenire di necessità contingenti, quali il trasporto di materiali bellici in Africa. Questa dunque l impressione; ma se proviamo a guardare più a fondo nei problemi, se passiamo dal campo delle semplici constatazioni a quello dei perché, allora il quadro cambia, e cambia proprio dall alto, in quella guerra «principale» che viene a perdere buona parte della sua importanza e viene a situarsi, rispetto alla guerra «minore» dei convogli, su un piano di parallelismo e fin di convergenza per quanto attiene agli obiettivi, piuttosto che di distaccata superiorità. Per dimostrare tale assunto incominciamo col chiederci allora quali furono i motivi di fondo che portarono alla maggior parte delle azioni navali «pure» (cioè non direttamente connesse con la protezione dei nostri traffici) in Mediterraneo nel periodo ; quali furono cioè le origini più remote degli scontri di Capo Teulada, di Matapan, delle due Sirti, di Pantelleria; e chiediamoci, ancora più generalmente, quale sia stato il motivo fondamentale che portò la Regia Marina e la Royal Navy ad affrontarsi sulle acque del Mediterraneo. Cerchiamo cioè di vedere quale sia stato il tema conduttore della guerra, che la portò ad

3 I trasporti marittimi nella campagna di Libia 57 assumere certe caratteristiche in luogo di altre; e vedremo che, alla fine, perde ogni senso parlare di due guerre più o meno distinte tra di loro, mentre inizia a delinearsi un quadro nuovo in cui le due principali attività svolte dalla nostra marina scorta ai convogli nazionali e contrasto delle analoghe attività britanniche non son altro che la risultante della stessa situazione generale affrontata a livelli operativi differenti. Questo perché tutta la guerra navale in Mediterraneo ha tratto la sua origine dall esistenza di linee di traffico da proteggere; Italia e Gran Bretagna, prive di frontiere terrestri europee comuni, si impegnarono sugli unici fronti che le mettessero direttamente a confronto: quelli africani. Ma ovviamente tali teatri operativi, situati in regioni spesso desertiche e comunque prive di qualsiasi risorsa bellica locale, dipendevano, anche solo per la materiale sopravvivenza, dai rifornimenti che potevano esservi fatti affluire; afflusso che poteva realizzarsi solo attraverso i mari, e soprattutto attraverso le acque del Mediterraneo. È qui dunque che deve essere cercata la giustificazione di fondo della guerra navale in queste acque; la situazione geo-strategica nel Sud-Europa era infatti tale che avrebbe reso improduttiva qualsiasi azione puramente navale, anche se mirante eventualmente ad obiettivi terrestri; difatti nessuna delle posizioni mediterranee inglesi, Malta esclusa, era tale da poter essere neutralizzata con un azione puramente navale, o comunque di cooperazione, ma che escludesse successivamente la necessità di alimentare una campagna terrestre di dimensioni continentali. Suez, Alessandria, Gibilterra, i cardini cioè del potere navale inglese nel Mediterraneo e nei suoi accessi erano legate, per poter sopravvivere, all esistenza di fronti terrestri o a particolari situazioni politiche; la resistenza dell Armata del Nilo e la neutralità spagnola erano i fattori condizionanti. E analogo discorso vale per le colonie italiane in Africa; solo a seguito di campagne terrestri (su cui gli scontri navali potevano influire solo indirettamente, nel senso di condizionare le possibilità di approvvigionamento per via marittima) si sarebbe decisa la loro sorte. Perché dunque, allora, una guerra navale? Per la conquista del potere marittimo nella sua espressione più tradizionale, vale a dire della libertà di impiego dei mari per effettuare i propri indispensabili trasporti; ma tenendo conto del fattore fondamentale che nella realtà della nuova guerra e nelle strette acque mediterranee, circondate da basi aeree terrestri, la componente aerea veniva ad assumere un peso determinante. Quindi i fattori puramente navali per se stessi perdevano ancora di importanza, dato che la conformazione geografica particolare del teatro d operazioni era tale da imporre soluzioni nuove anche per problemi già tradizionali nel passato, quale appunto il raggiungimento della sicurezza dei traffici marittimi; ma questa volta la soluzione andava cercata in chiave aereonavale.

4 58 Alfredo Marchelli Riconosciuta la validità di tale impostazione, allora viene a cadere qualsiasi discorso relativo a due guerre separate; la battaglia per la protezione dei traffici diviene l unica forma di lotta, non solo possibile, ma anche logica, sulle acque mediterranee; e questo perché l eliminazione di parte o della totalità delle navi da combattimento di superficie di una delle due flotte contrapposte non avrebbe avuto un peso direttamente determinante, poiché nella battaglia dei convogli fondamentali si stavano dimostrando l arma subacquea e la componente aereonavale; l eliminazione di una delle due componenti (nel caso specifico quella navale) non avrebbe avuto conseguenze determinanti se l altra (quella aerea) poteva venire potenziata. Quindi la battaglia navale tradizionale, tipo Jutland, lo scontro diretto delle flotte per conquistare il potere marittimo mediante l eliminazione fisica dell avversario in un unico scontro decisivo perdeva ogni valore nella peculiare situazione aeronavale del Mediterraneo condizionata anche dall aviazione di base a terra; e come il ricercarla, allora, poteva essere un errore di impostazione strategica, così il volerne fare oggi la chiave di volta teorica della nostra condotta è un palese errore di prospettiva storica. Prima di discutere nei particolari gli elementi caratterizzanti propri della battaglia per il rifornimento della Libia, dunque, è necessario chiarire i temi di fondo della guerra mediterranea, cercare cioè quelli che furono i motivi conduttori di tale guerra sul piano strategico. Soprattutto è importante che la ricerca sia svolta a questo livello; gli eventi tattici pur essendo, a lunga scadenza, condizionati anche dalla situazione strategica, rappresentano fondamentalmente dei momenti occasionali, in cui anche la fortuna, per dire, gioca un ruolo importante. Ma basilare è la ricerca dei grandi temi strategici; una volta che ciò sia stato fatto, allora l affermazione precedente acquista tutto il suo valore. Partiamo dunque ancora dalla prima questione, forse la più lineare nella sua formulazione, cercando di capire a fondo non solo i motivi che portarono alla guerra marittima, ma anche le strategie che le marine inglese ed italiana furono, per certi aspetti, obbligate a svolgere in Mediterraneo. Qual è stato quindi, in primo luogo, il motivo che ha spinto le due marine a combattersi qui. Perché, per ridurre all assurdo, sia stata la marina inglese a creare una Mediterranean Fleet e una H Force distaccate dalle forze in patria e non piuttosto la Regia Marina a distaccare una squadra del Canale per azioni nel Mare del Nord, così come fece invece la marina stessa con i sommergibili atlantici di Betasom o la Regia Aereonautica che inviò in Belgio il CAI Corpo aereo italiano per partecipare alla battaglia di Inghilterra; e pensiamo all ARMIR. Riflettiamo allora sul fatto, già anticipato, che Italia ed Inghilterra non avevano frontiere metropolitane comuni ed erano inoltre situate in posizione geografica tale che anche una guerra aerea, dati i

5 I trasporti marittimi nella campagna di Libia 59 mezzi esistenti, non era possibile nel 1940; e questo anche se i bombardieri inglesi furono su Torino già la notte tra T ll e il 12 giugno, dopo due soli giorni di guerra. Le due nazioni avevano però due frontiere in comune nelle loro colonie; una in Africa Orientale, tra Kenia, Sudan, Somalia Britannica ed Etiopia ed una, ben più importante, in Africa Settentrionale tra la Libia e l Egitto; ma più che l Egitto nella sua totalità il punto focale era il Canale di Suez. Esso rappresentava il passaggio obbligato della rotta più breve per l Estremo Oriente: rotta che passava per tutto il Mediterraneo, di cui gli inglesi tenevano i bastioni estremi (Alessandria e Gibilterra) oltre al fondamentale punto d appoggio intermedio costituito da Malta. Questa rotta rapida per l Oriente rappresentava, nel 1940, un elemento fondamentale nel quadro del potere marittimo inglese; essa cioè gli consentiva una sufficiente mobilità, così da permettergli di controllare due zone oceaniche lontanissime tra di loro pur con forze non esuberanti. La lotta terrestre quindi si trasferì sui fronti coloniali e soprattutto su quello libico-egiziano, di gran lunga il più importante date le potenzialmente enormi conseguenze che avrebbe potuto avere la caduta della zona del Canale nelle mani dell Asse. Poiché però si trattava di fronti eccentrici, distaccati dai centri produttivi, era necessario attuare delle linee di rifornimento marittime; di conseguenza la guerra navale si concentrò sulle acque del Mediterraneo, l unico mare in cui italiani ed inglesi dovevano scendere in lotta diretta per la conquista del potere marittimo. Ma, tra la situazione italiana e quella inglese si profilò subito una sostanziale differenza, portata in primo luogo da fattori geografici e secondariamente da una serie di errori politici iniziali; per cui mentre le linee di navigazione italiane dovevano, come detto, necessariamente passare attraverso il Mediterraneo centrale, anche se qui esisteva il bastione inglese di Malta, le linee di navigazione britanniche non erano costrette ad attraversare quella predeterminata zona sottoposta ad un potenziale, e qualche volta effettivo, controllo aereonavale italiano. E questo perché l accesso all Egitto presentava due entrate, quella veloce attraverso il Mediterraneo e quella, per così dire di emergenza, attraverso il Mar Rosso dopo la circumnavigazione del Capo di Buona Speranza; il che dava agli inglesi la certezza, stante la assoluta impotenza delle scarse forze navali italiane in Mar Rosso, che una via di rifornimento per l Egitto sarebbe sempre rimasta aperta, indipendentemente dall andamento della lotta in Mediterraneo ma in grado a sua volta di condizionare tale lotta influendo sul corso della guerra sui fronti terrestri. Ed in effetti per tutta la durata della campagna di Libia i rifornimenti per l 8a Armata arrivarono sempre per la rotta del Capo (con un unica eccezione), nonostante la lunghezza di tale rotta e il pericolo degli U-boote in Atlantico. Una volta quindi che le necessità strategiche generali portarono la

6 60 Alfredo Marchetti marina inglese e quella italiana ad affrontarsi in Mediterraneo, la situazione di fatto fece sì che i concetti operativi e i motivi conduttori delle due marine differissero tra di loro; il tema centrale per la marina britannica fu l interruzione del traffico italiano diretto in Libia o per lo meno, come emerge da un esame particolareggiato della situazione poi verificatasi, il sottoporlo ad un sufficiente attrito, compatibilmente con i mezzi di volta in volta disponibili, fino ad interromperlo pressoché completamente solo e soprattutto in certi periodi oculatamente scelti. Inoltre, in non molti casi per la verità, la protezione delle proprie operazioni di convogliamento, miranti principalmente al rifornimento di Malta; in tutto 26 operazioni fino alla primavera del 1943, riferendoci solo a quelle che richiedevano l attraversamento del Mediterraneo centrale in direzione Est-Ovest, non considerando quindi i convogli per la Grecia e Creta. La marina italiana invece si dovette concentrare sulla protezione continuativa del traffico con la Libia, compito ben presto rivelatosi durissimo sia per il non essere quasi mai stato considerato prima della guerra, sia per il gap tecnologico esistente tra i mezzi tecnici italiani e quelli inglesi; e questo compito, sempre più impellente e preoccupante, finì con l assorbire tutti gli sforzi e tutta l attenzione della nostra marina, che commise qui il suo grande errore nella valutazione strategica della situazione. Non venne cioè riconosciuto (anche per l influenza restrittiva di molti fattori oggettivi quali la scarsità di nafta, che poneva limiti invalicabili all attività della nostra flotta, la mancanza di aviazione di marina e di mentalità aerea, l inadeguatezza della ricognizione, l insufficienza del naviglio leggero) che il principale tema strategico britannico, vale a dire l interruzione delle nostre linee di traffico con la Libia era, in parte, un corollario ed una conseguenza sul piano operativo di un altro tema basilare; vale a dire il mantenimento in attività della rotta rapida per l Oriente attraverso il canale di Suez e soprattutto il mantenimento in efficienza del bastione di Malta, sia come punto d appoggio su tale rotta sia come base avanzata, principalmente aerea, per gli attacchi contro la nostra navigazione mercantile. L opporsi a questa seconda strategia avrebbe richiesto il blocco aereonavale di Malta; bloccoche non fu pero mai realizzato in forma totale, il che permise all isola di mantenere sempre, anche se in certi periodi ridotta a minaccia potenziale, la sua funzione offensiva; quella di base principale, soprattutto per aerei e sommergibili, per la guerra offensiva contro il nostro traffico con l Africa. Non che Malta, da un punto di vista generale e per noi specificatamente, sia stata il punto chiave di tutta la guerra; il problema della guerra d Africa è più complesso e dal punto di vista logistico esso è stato per noi condizionato assai di più da altri fattori (quali la scarsa disponibilità di materiali in Italia e, in ogni caso, la ridottissima ca

7 I trasporti marittimi nella campagna di Libia 61 pacità logistica dei porti africani) che non dalle perdite subite in mare per affondamenti operati dagli inglesi (il valore medio delle perdite si aggira sul 14 per cento al mese); però il non aver colto tutta l importanza, che potremmo dire riflessa, di Malta sul nostro traffico, e quindi la possibilità di migliorare le condizioni in cui esso si svolgeva attraverso misure indirette, fece sì che tutta la nostra guerra fosse condotta in pratica senza un vero concetto strategico di guida; fu solo un insieme di atti tattici separati, senza che un pensiero strategico offensivo di fondo coordinasse tutte le attività. Solo le azioni che la nostra flotta in qualche caso intraprese contro le operazioni inglesi di rifornimento di Malta rappresentarono, anche se questo concetto in fondo non era colto nella sua pienezza, la migliore forma di protezione strategica del nostro traffico con la Libia, assai migliore dell impiego delle corazzate nei servizi di scorta diretta, come spesso fu fatto. Quindi la battaglia dei convogli e le poche battaglie combattute dalla nostra marina per fermare i convogli inglesi diretti a Malta non sono che le due facce di una stessa realtà, forse non sempre ben compresa dai responsabili del coordinamento del nostro sforzo bellico, ma non per questo oggi meno reale. La battaglia per la difesa dei convogli libici rappresentava dunque il motivo fondamentale di guerra per la nostra marina; esso fu perseguito male, perché non si seppero mai attuare contromisure strategiche, ma fu condotto con coerenza fino a quando non si esaurì; e si esaurì solo quando il fronte africano si dissolse, fatto questo che ancora una volta riconferma che solo l esistenza e le necessità di un fronte terrestre lontano dall Italia avevano creato anche per noi il fattore condizionante dell esistenza di un certo fronte marittimo. La battaglia dei convogli, fondamentalmente difensiva, e le poche azioni di tipo offensivo condotte contro la navigazione mercantile inglese come Mezzo Giugno e Pantelleria (14-16 giugno 1942), le due Sirti (17 dicembre 1941 e 22 marzo 1942) e consideriamo anche Capo Matapan (28-29 marzo 1941) poiché l operazione così tragicamente conclusasi era nata come nostra incursione contro i convogli inglesi naviganti tra l Egitto e Creta sono dunque i due aspetti che prese la nostra guerra navale contro l Inghilterra; purtroppo essa fu condotta solo sul piano tattico e troppo poco fu fatto sul piano strategico per opporsi alla strategia inglese. Se a questo errore di fondo di valutazione si aggiunge il fatto che la nostra marina, negli anni prebellici, non aveva considerato seriamente il problema della scorta dei convogli, non realizzando né i materiali né l organizzazione né, soprattutto, la dottrina necessaria, e ancora l abisso esistente tra le capacità tecnologiche italiane e quelle inglesi, allora viene spontaneo chiedersi non tanto la ragione delle perdite subite, quanto quella dei successi a volte ottenuti. L errore nella valutazione dei temi

8 62 Alfredo Marchelli operativi fondamentali fu dunque il motivo che condizionò sul piano strategico la nostra guerra; sul piano pratico poi, quello cioè della vera efficienza della scorta dei convogli, pesarono principalmente gli altri due fatti indicati in precedenza, vale a dire il disinteresse mostrato dalla marina verso tali problemi negli anni prebellici, e il gap tecnologico. Se il secondo era collegato un po a tutta la situazione generale del paese (e difatti tale gap é riscontrabile, ad esempio, in tutta la situazione degli armamenti italiani nel corso della guerra) il primo fatto è invece dovuto proprio ad una valutazione di fondo, relativa al periodo prebellico, dei compiti che la marina sarebbe stata chiamata ed adempiere in caso di conflitto, e quindi delle sue necessità di navi da guerra e di mezzi ausiliari; valutazione errata che ci portò a costruire una marina superata e le cui conseguenze furono scontate amaramente durante la battaglia dei convogli. Difatti, se entrammo in guerra con una grande marina, non c è però dubbio che questa marina, sprovvista di portaerei, aviazione alle sue dipendenze a terra o imbarcata, e di unità concepite appositamente per i servizi di scorta, sarebbe stata adatta (in parte) ad una ripetizione del conflitto del , ma non alle nuove esigenze di una guerra in cui, sul mare, un ruolo fondamentale sarebbe stato ricoperto da aerei e da sommergibili. Ma la mentalità esistente nell Italia fascista portò a queste conclusioni e quanto esse fossero errate lo dovemmo imparare a nostre spese. Ecco dunque i fattori che condizionarono maggiormente il comportamento della nostra marina nel corso del secondo conflitto mondiale; errori di valutazione, deficienze tecniche, mancanza di collaborazione tra le varie armi; e d altro lato le necessità di un fronte terrestre sul quale anche le possibilità favorevoli andarono perdute malamente, anche se l influenza diretta dell andamento dei trasporti non fu certo il solo fattore condizionante in assoluto; da tutto ciò è derivata una battaglia prolungatasi per quasi 36 mesi con tutto il suo seguito di tragedie e di lutti. Una battaglia che, avendo visto lo sbarco in Africa dell 86 per cento1 del materiale partito dall Italia (questo per i 31 mesi della campagna di Libia che più ci interessa; negli ultimi 5 mesi, durante quella di Tunisia, le perdite medie aumentarono), possiamo considerare, tutto sommato, vittoriosa; ma essa lo fu sul piano tattico, perché su quello strategico non si realizzò mai nessun progresso e l iniziativa rimase sempre in mano agli inglesi; e fu quindi loro sempre possibile coordinare strategia terrestre e strategia navale come era logico fare considerando il teatro bellico mediterraneo nella sua interezza. 1 Ufficio storico Marina militare, La marina italiana nella II guerra mondiale, Voi. VI, Roma 1958, p. 20. In seguito citato come MM VI.

9 I trasporti marittimi nella campagna di Libia 63 La battaglia dei convogli libici fu dunque condotta senza che un concetto strategico di fondo la guidasse; essa fu di conseguenza solo una lunga battaglia difensiva, come tale perduta in partenza nella sua totalità perché, come insegna Clausewitz, lo stare sempre sulla difensiva non fa procedere sulla via della vittoria. Nel caso specifico, ad esempio, era anche possibile che la scorta di un convoglio, particolarmente efficiente, riuscisse a mandare a vuoto l attacco di un sommergibile; ma una volta esauritosi l attacco ed allontanatesi le unità di scorta insieme ai mercantili loro affidati, il sommergibile restava in mare pronto per attaccare il convoglio successivo. Più in generale la contromisura difensiva strettamente tattica poteva sì mandare a vuoto un singolo attacco, ma non impedire che questo si rinnovasse in tempi successivi fino ad ottenere pieno successo; e questo proprio perché tale tipo di difesa, avendo un raggio d azione limitatissimo, non poteva certamente bloccare la fonte da cui gli attacchi scaturivano. Per farlo sarebbero state necessarie, come abbiamo già detto, contromisure di ordine strategico; esse pero non furono mai attuate e quindi la battaglia dei convogli si svolse sempre a senso unico; gli inglesi in attacco e noi sulla difensiva. Venendo ora ad esaminare i problemi tattici del traffico, questa ricerca si deve indirizzare in due direzioni diverse. Da un lato l esame di fattori che potremmo definire oggettivi e condizionanti a priori (escludendo però il problema della disponibilità di materiale bellico da inviare in Africa, che rientra in un altro ordine di problemi); vale a dire la disponibilità di naviglio mercantile e militare, i porti libici utilizzabili per lo sbarco e, di conseguenza, le rotte da seguire per raggiungerli; problema quest ultimo condizionato ai primi tre elementi. Collegati a questi vengono poi i problemi pratici di impiego dei mezzi navali; quindi formazione dei convogli, loro successione, entità e disposizione delle forze di scorta in base ai tipi di attaccanti più probabili: aerei, sommergibili o unità di superficie. Dall insieme delle soluzioni escogitate per questi tre problemi derivava, per quanto era in nostro potere, l andamento della battaglia dei convogli; ma su tutto veniva poi ad essere dominante il livello dell attività inglese, il fattore veramente condizionante; su questo però, come già detto, causa la errata impostazione di base della nostra guerra non ci fu possibile influire direttamente se non in qualche raro caso (primavera del 1941 e del 1942, ad esempio); in genere potevamo solo difenderci contro attacchi più o meno violenti a seconda delle circostanze. Incominciamo dunque con questi problemi oggettivi, e prima di tutto da quello della disponibilità di naviglio. È storia ormai nota che al momento della nostra entrata in guerra

10 64 Alfredo Marchetti quasi un terzo della nostra marina mercantile (tra l altro la parte qualitativamente migliore) si trovò bloccata al di là di Gibilterra e di Suez non essendo stata preavvisata dell intervento; si persero così 212 navi per tonnellate di stazza lorda su un totale di 786 per tonnellate2. I motivi che causarono tale avventata decisione sono di due specie; più dichiaratamente essa fu dovuta alla volontà di tenere nascosta la data precisa della nostra entrata in guerra (il ritiro del naviglio mercantile sarebbe stato un sintomo premonitore chiarissimo e facilmente interpretabile), ed alla necessità di mantenere fino all ultimo il flusso di valuta pregiata che quelle navi alimentavano con i loro servizi all estero; ma, fondamentalmente, anche queste decisioni giustificative furono condizionate da altri due elementi, vale a dire da un lato la fede quasi dogmatica che la guerra sarebbe stata di breve durata, e dall altra la convinzione che, in caso di guerra, le nostre linee di comunicazione marittima si sarebbero ridotte talmente che anche le sole navi superstiti in Mediterraneo sarebbero state ampiamente sufficienti. Questo solo fatto dimostra le assurdità che furono alla base della nostra entrata in guerra. Ancora nel 1939, difatti, una apposita commissione valutò il fabbisogno di importazioni necessarie per il 1940 (e posto che non si fosse entrati in guerra, ma venisse solo portato avanti il il piano di riarmo accelerato appena varato) in 22,4 milioni di tonnellate, di cui i 3/4 combustibili non disponibili in Italia. Fu stimato che un consistente aiuto sarebbe venuto dalla Germania, per cui le importazioni via mare non sarebbero ammontate a più di 5 milioni di tonnellate: la flotta italiana era dunque esuberante. Non si tenne pero conto del fatto che, in guerra, sarebbe stato necessario pianificare la sostituzione delle perdite, che forse ben poco sarebbe arrivato dalla Germania e soprattutto che i consumi sarebbero di molto aumentati; inoltre bisognava tenere presente la possibilità che si aprissero fronti bellici oltremare. Ma la guerra «doveva» essere breve. Tutto ciò dimostra chiaramente, tra l altro, che prima di entrare in guerra il problema di un eventuale rifornimento della Libia non venne assolutamente considerato. Quando invece si rese necessario provvedere all organizzazione di linee regolari di traffico con l Africa Settentrionale (si parla della Libia perché essa è al centro di questo articolo, ma analogo discorso si potrebbe fare per la Grecia, le isole italiane, i possedimenti dell Egeo, la Tunisia e il cabotaggio costiero italiano e libico) il primo grandissimo ostacolo da superare fu appunto quello della mancanza di navi adatte. Si rese quindi necessario impiegare «carrette» di bassa velocità, pessime doti nautiche e dotate di mezzi di comunicazione insufficienti, e questo proprio quando la velocità, sia nella traversata sia nelle opera 2 A. I a c h in o, Tramonto di una grande marina, Milano, 1966, p. 80.

11 I trasporti marittimi nella campagna di Libia 65 zioni di scaricamento in porto, insieme alle rapide manovre evasive coordinate sotto attacco si dovevano dimostrare vitali. La situazione inoltre andò sempre peggiorando, pur se ebbe qualche momento felice, in quanto la cantieristica nazionale non fu assolutamente in grado di sostenere la guerra con nuove costruzioni. In Italia infatti non fu preparato un piano organico che permettesse di reintegrare le perdite, anche perché questo problema non fu affrontato, in base al concetto della guerra breve che non gli annetteva soverchia importanza; né, d altra parte, nemmeno avrebbe potuto esserlo in maniera radicale, data l assoluta insufficienza del potenziale cantieristico italiano. Comunque solo 48 mercantili di nuova costruzione entrarono in servizio prima dell 8 settembre 43 3, mentre le sole perdite in mare sulle rotte principali libiche (escluse quindi quelle del cabotaggio costiero libico, anch esso importantissimo ai fini della ridistribuzione dei materiali e del loro avviamento ai fronti, stanti le insufficienze delle linee di comunicazione in terraferma) ammontarono a 151 mercantili; cifra in sé piccola se confrontata al numero totale delle navi-viaggio impiegate per i trasporti libici (1789), ma di gran peso se si considera che quelle per la Libia non erano che alcune delle molte rotte da servire, e soprattutto se lo si confronta con le 574 navi mercantili rimaste all Italia dopo il 10 giugno 1940 (tra l altro il rapporto tra questi due ultimi valori può già darci una idea del lavoro cui le navi da carico furono sottoposte); le perdite totali italiane arrivarono alla fine a 430 unità per tonnellate. L unico momento favorevole fu rappresentato dall entrata in servizio delle motonavi veloci da carico verso la fine del 1941, inizio del 42, grazie alle cui prestazioni poterono essere costituiti i primi convogli organici veloci per il trasporto di materiali e potè essere raggiunto, anche per la particolare situazione allora creatasi in Mediterraneo, il massimo di tonnellate di rifornimenti sbarcate in Africa in un solo mese (aprile 1942). Per il resto la situazione del nostro naviglio mercantile fu sempre pesante e se pure di crisi vera e propria si può parlare solo per un determinato tipo di nave, la cisterna, a partire dalla metà del 42, per il resto del naviglio anche se non vi fu una crisi evidente manifestantesi nella pratica mancanza di navi di quel determinato tipo speciale, i vuoti vennero via via ripianati con materiale sempre più scadente; entrarono cioè in servizio, per forza di cose, anche quei mezzi che prima erano stati scartati per la loro assoluta insufficienza. Quindi la situazione generale del traffico sotto questo punto di vista andò continuamente peggiorando. Le conseguenze di tali deficienze, sia quantitative sia qualitative, del 3 MM VII, pp come anche per tutti i dati successivi fino alla prossima nota.

12 66 Alfredo Marchelli naviglio mercantile furono pagate col fatto di non poter organizzare in maniera efficiente, dal punto di vista del rendimento, né il convogliamento né la sua protezione; e questo, unito alle ulteriori limitazioni portate dall insufficienza dei porti libici, fece sì che nonostante il superlavoro cui le unità di scorta e mercantili furono sottoposti il materiale sbarcato in Africa non riuscisse a soddisfare le necessità correnti. È bene però chiarire subito che ciò fu determinato non tanto dalle perdite subite in mare, ma da un motivo ben più radicale, connesso con tutta la situazione del nostro paese nel secondo conflitto: la mancanza di materiali. E un fatto ce ne dà, anche se indirettamente, chiara misura. Il tonnellaggio mercantile convogliato nei due sensi fu di tonnellate di stazza lorda, per cui il tonnellaggio in sola andata può essere valutato alla metà, cioè circa; su questo tonnellaggio furono caricate in Italia tonnellate di materiale. Ora la tonnellata di stazza e quella di peso sono due unità di misura diverse: la prima difatti è una unità di volume, equivalente a 2,83 metri cubi, per cui una tonnellata di peso e una di stazza vengono a corrispondere solo quando la densità del materiale imbarcato si aggira sullo 0,3; allora ad una tonnellata di stazza, equivalente a circa 3 metri cubi di volume, corrisponde un peso di una tonnellata. Quindi se con circa tonnellate di stazza lorda disponibili, cioè con un volume di circa 13 milioni di metri cubi, si sono caricati solo tonnellate circa di materiale ciò significa, anche nella favorevole ipotesi prima esemplificata, che la capacità di carico disponibile è stata sfruttata al 50 per cento (si tratta di valori di stazza lorda; il volume di carico effettivamente utilizzabile può essere valutato in circa 10 milioni di metri cubi); ma poiché il materiale bellico non rientra certamente nella categoria del materiale leggero, ne deriva che l impiego effettivo del tonnellaggio disponibile è stato ancora minore. E questo fenomeno si rileva sempre, nei momenti più duri della battaglia come in quelli più favorevoli, come nei primi sei mesi di guerra quando il contrasto inglese fu pressoché nullo ma furono trasportate in Africa solo circa tonnellate di materiale, mentre i più recenti studi del periodo della non-belligeranza richiedevano, se del caso, tonnellate di rifornimenti al mese; sempre però la capacità di carico dei mercantili fu assai poco sfruttata, e a questo non esiste altra spiegazione che la scarsità di materiali bellici disponibili in Italia per il fronte africano, a motivo della scarsa produzione industriale italiana e alla scarsità di materia prime. Se la insufficienza, sia numerica sia per quanto riguarda le caratteristiche di impiego, del naviglio mercantile rappresentava uno dei due fattori condizionanti la formazione dei convogli, l altro fattore era rappresentato dalla disponibilità di naviglio da guerra per scortarlo; e se

13 I trasporti marittimi nella campagna di Libia 67 nel primo caso eventuali crisi poterono essere superate, anche se facendo ricorso a materiale dalle caratteristiche insufficienti e quindi a scapito dell efficienza generale del sistema, nel secondo caso non c erano rimedi. Inoltre la situazione di partenza era assai più grave. Quando entrammo in guerra, in Italia non esistevano unità concepite espressamente per la scorta della navigazione mercantile, esclusion fatta in parte per le quattro torpediniere di scorta della classe Pegaso e il cacciasommergibili Albatros; quando si rese necessario formare gruppi omogenei per la scorta dei convogli, si dovette fare ricorso prima a qualche cacciatorpediniere di squadra (soprattutto per la scorta dei convogli veloci per il trasporto truppe) e a buona parte delle torpediniere e dei cacciatorpediniere più anziani, poi a tutte le torpediniere ed infine anche a tutti i cacciatorpediniere di squadra; tutte unità, specie queste ultime, che per dimensioni, armamento, prestazioni e caratteristiche architettoniche generali non erano assolutamente adatte per tale compito particolare, che richiede unità concepite ed armate solo per questo. Le unità sottili furono così sottoposte ad un insostenibile superlavoro, in quanto oltre alle esigenze dei servizi di scorta (e quelli per le rotte libiche non rappresentavano che una parte del lavoro totale di scorta) restavano sempre gli impegni rappresentati da altri insopprimibili servizi quali il dragaggio veloce, la caccia e la ricerca antisommergibile, la scorta alle maggiori unità da guerra; ma a fronte di tutte queste esigenze stava la scarsa consistenza numerica delle unità leggere italiane. Al 10 giugno 1940 erano infatti in servizio 59 cacciatorpediniere e 63 torpediniere, e pochissime furono le unità entrate in servizio prima dell 8 settembre 1943 (5 cacciatorpediniere, una decina di torpediniere e 22 corvette della classe Gabbiano4, le prime vere unità di scorta antisommergibili italiane, che entrarono però in servizio troppo tardi per esercitare un peso determinante sugli avvenimenti); considerando, ad esempio, che solo la scorta delle unità maggiori di squadra avrebbe richiesto in continuità circa cacciatorpediniere tra i più moderni, si comprende chiaramente il lavoro cui le nostre unità leggere furono sottoposte. In totale, fino all 8 settembre, per eventi bellici si persero 44 cacciatorpediniere e 41 torpediniere; di questi 15 caccia e 10 torpediniere 5 furono affondati mentre erano impegnati nella scorta diretta di convogli naviganti sulle rotte libiche; servizio di scorta che, a turno, finì con l impegnare tutte le unità leggere italiane, senza che però mai la protezione potesse essere veramente efficace e sicura. E questo perché sull efficacia della scorta veniva ad esercitare il peso maggiore non tanto il numero delle navi impiegate quanto la loro qualità; e le doti belliche 4 A. F ra cca ro li, Italian warships of WW II, Londra, a n n o 1968, p p Ufficio storico della Marina militare, La marina italiana nella seconda guerra mondiale, Vol. II, Roma, 1965, pp

14 68 Alfredo Marchelli delle nostre unità leggere erano troppo scarse di fronte alla qualità degli attacchi inglesi. Attacchi che, oltre alla guerra di mine, potevano assumere tre aspetti; incursioni notturne di navi di superficie, attacchi di sommergibili ed attacchi aerei; ma a nessuna di tali forme di offesa le nostre unità di scorta potevano validamente opporsi. Non ad attacchi notturni in superficie, per la mancanza di radar ma soprattutto di armi e di addestramento specifici per il combattimento notturno; non ad attacchi di sommergibili, data la mancanza di rilevatori ad ultrasuoni per la ricerca attiva subacquea e le caratteristiche assai modeste delle nostre bombe di profondità e delle loro apparecchiature di lancio; non ad attacchi aerei diurni (meno che mai a quelli, assai più frequenti, notturni) causa la debolezza, come calibro e sistemazione, del loro armamento antiaereo, insufficiente a fornire adeguata copertura alle stesse unità da guerra. Di conseguenza queste limitazioni di impiego, oltre alla frequente necessità di lavori, resi sempre più frequenti dall intensissimo impiego, condizionavano già ampiamente la disponibilità di navi di scorta; ma un altro fattore venne a pregiudicare le possibilità di impiego di queste unità, in maniera sempre più vincolante col procedere della guerra: lo stato delle riserve di nafta. Nel 1942, ad esempio, l Italia potè disporre di tonnellate di petrolio grezzo per tutte le sue necessità civili, belliche e industriali; la sola marina, se avesse operato con una certa libertà e comunque solo sui livelli dei primi mesi di guerra, ne avrebbe consumate di più. Una volta esaurite le scorte, dunque, tutto l impianto bellico italiano fu costretto a vivere alla giornata; per cui molte volte capitò che un convoglio venisse differito perché non era ancora possibile fornirlo di unità di scorta; e questa impossibilità fu spesso condizionata proprio da mancanza di nafta. Il problema di dotare i convogli di una loro forza di protezione autonoma fu dunque sempre uno dei più spinosi; anche quando, come in certi periodi, le scorte ebbero una qualche funzionalità pratica e non solo di deterrente (in certi periodi della prima fase della battaglia dei convogli, ad esempio, durante i quali gli attacchi aerei erano portati dagli inglesi di giorno con bombardieri orizzontali a volo radente con la tecnica dello «skid-bombing», la scorta riusciva in certi casi ad abbattere più del 50% degli attaccanti) e quindi non esisteva il problema di cercare contromisure particolari per specifiche attività britanniche, esisteva comunque sempre quello di riunire materialmente la scorta e fornirla del carburante necessario per navigare. Inoltre va tenuto presente che unità diverse riunite per l occasione non rappresentano una forza di scorta efficiente; essa lo è solo se le unità sono omogenee come tipo e caratteristiche e sono addestrate ad operare insieme. Ma ben presto, con il procedere della guerra e causa le perdite e la indisponibilità per motivi diversi di certe navi, non fu più possibile ottenere ciò; e passando sopra

15 I trasporti marittimi nella campagna di Libia 69 ad ogni considerazione di omogeneità di tipo e di inquadramento le scorte dovettero essere formate con le unità immediatamente disponibili. Una volta, comunque, che si fossero riuniti i mercantili necessari, si fosse trovato il carico da imbarcarvi, si fossero radunate e rifornite le unità di scorta (quando possibile si fosse provveduto anche alla componente aerea), salivano in primo piano altri due elementi; in primo luogo quali porti erano disponibili in Africa e, di conseguenza, quali rotte dovevano seguire i convogli per raggiungere l uno o l altro porto, tenendo anche presente la situazione delle forze di mare e di terra inglesi nel Mediterraneo; vediamo i due problemi separatamente. I porti sulla costa nord africana, tra la Tunisia e l Egitto, in grado di accogliere e scaricare grosse navi mercantili (non dimenticando anche la rapidità nel successivo smistamento ai fronti dei materiali sbarcati) erano in tutto tre: Tripoli, Bengasi e Tobruk. Esclusion fatta per Tripoli, che rimase sempre in nostre mani fino al termine della campagna (anzi con la sua caduta il 23 gennaio 1943 si considera terminata la campagna di Libia), gli altri due scali furono perduti e riconquistati almeno una volta, con le comprensibili conseguenze negative sulle condizioni di efficienza delle infrastrutture portuali. Ma oltre al fatto puro e semplice di chi, italiani o inglesi, occupasse quella determinata località in quel particolare momento, un altro elemento andava tenuto ben presente, e cioè la situazione generale del fronte africano che poteva condizionare in diversa maniera la disponibilità dei porti. Ad esempio Tobruk, per tutto il 1940, pur essendo in nostre mani, non fu impiegato come scalo per i convogli provenienti direttamente dall Italia, nonostante la sua vicinanza al fronte che avrebbe permesso un notevole accorciamento delle linee di rifornimento a terra con conseguente miglioramento di efficienza. Ma proprio questa vicinanza di Tobruk al fronte, di grandissima utilità ai fini dei servizi logistici a terra, ne rendeva sconsigliabile l impiego in quanto esso, proprio per la vicinanza della linea del fuoco, era continuamente esposto alle incursioni aeree britanniche, cui la debolissima difesa contraerea della piazza avrebbe potuto opporre ben poco contrasto. Di conseguenza navi ormeggiate colà sarebbero state un facile bersaglio per le bombe inglesi; dato che le navi mercantili avrebbero necessariamente dovuto sostare in porto alcuni giorni, causa la lentezza con cui le operazioni si svolgevano, è comprensibile il rifiuto della Marina ad utilizzare tale capolinea che richiedeva, per essere raggiunto, una navigazione in acque pericolose (Creta era ancora in possesso degli inglesi), ed esponeva i mercantili a pericoli giudicati eccessivi sia nella navigazione sia nella sosta in porto. Si potrebbe oggi anche obiettare che ciò non era del tutto vero, in base all esperienza del vecchio incrociatore corazzato S. Giorgio che rimase a Tobruk, impiegato come batteria antiaerea galleggiante, dal 10

16 70 Alfredo Marchelli giugno del 40 fino alla prima caduta della base e senza mai essere danneggiato anche se più volte fatto oggetto di pesanti attacchi aerei; bisogna però ricordare che, in primo luogo, la nave era ormeggiata in rada e non nello stretto porto (dove i mercantili avrebbero dovuto entrare per scaricare), in secondo luogo che disponeva di un armamento contraereo notevole, almeno come numero di armi imbarcate, e infine che fu assistito da una fortuna quasi miracolosa (non per nulla è passata alla storia come la «nave miracolo» di Tobruk); ma in base a ciò che avvenne negli altri sorgitori libici, anche più lontani dai fronti ma sottoposti a pressione aerea inglese, le navi mercantili sarebbero certamente andate incontro ad una sicura distruzione. Ora questa disponibilità dei porti veniva ad avere due conseguenze; in primo luogo si trattava di scegliere le rotte su cui avviare i convogli (ed anche questo problema, come vedremo, era condizionato sia da fattori militari in senso stretto sia da fattori logistici in senso lato), mentre d altro lato concorreva a determinare, come meglio vedremo in seguito, la stessa struttura, organizzazione e periodicità dei convogli. In primo luogo, comunque, la scelta delle rotte; scelta che doveva quasi sempre essere fatta, anche se poi potevano intervenire altri fattori condizionanti, dato che per raggiungere Tripoli (e in certi casi anche Bengasi) vale a dire i due scali più impiegati, erano due le rotte possibili tra cui si trattava di scegliere: rotta di ponente e rotta di levante, ponente o levante rispetto a Malta (non consideriamo il traffico che, soprattutto nell estate del 1942, si svolse tra la Grecia e Tobruk, in quanto rappresentava un caso isolato e legato ad eventi particolari e che comunque comportò problemi e difficoltà sue specifiche). I fattori condizionanti erano anche qui di tipo organizzativo e militare. Tra i primi, fondamentali erano il porto di partenza dei convogli (il capolinea principale era Napoli, ma spesso i mercantili salpavano anche da altri porti) e la loro velocità; i convogli lenti (6-8 nodi di velocità) erano in genere sempre avviati sulla rotta più breve, anche se obbligata, quella di ponente se avevano per meta Tripoli, mentre quelli veloci venivano avviati sulla rotta di levante, più lunga ma che offriva maggiori possibilità di manovra. Tra i fattori militari quali il pericolo di mine, di attacchi di sommergibili nei passaggi obbligati e davanti ai porti, la possibilità di incursioni di unità di superficie, uno dominava su tutti: la possibilità di attacchi aerei, connesso in buona misura con il livello di pericolosità delle forze aeree di Malta. Questo fattore rappresentò a lungo il fattore di scelta determinante: così fino a che l aviazione di Malta potè disporre solo di aereosiluranti Swordfish, con un raggio d azione non superiore alle 120 miglia, la rotta di levante potè essere spostata verso est tenendola così al di fuori del raggio d azione delle forze aeree dell isola. Così facendo essa correva il rischio di rientrare in quello degli aereoporti egiziani e poteva aumentare

17 I trasporti marittimi nella campagna di Libia 71 il pericolo potenziale di incursioni in superficie partenti da Alessandria; si trattava però di pericoli minori rispetto al precedente, quindi su questa rotta di levante furono avviati tutti i convogli più importanti, quali ad esempio quelli veloci per il trasporto di truppe. Convogli, questi ultimi, che navigarono più o meno sempre sulle stesse rotte, nelle stesse circostanze e con le stesse modalità, per cui finirono così con l offrire un facile bersaglio ai sommergibili, una volta che l efficientissima ricognizione inglese ebbe rivelato tutti questi elementi. Mano a mano che l autonomia degli aereosiluranti di Malta aumentava non fu più possibile spostare la rotta verso est a meno, prima, di non allungarla a dismisura, e in seguito perché il raggio d azione degli aerei inglesi era oramai tale da coprire tutto il Mediterraneo; quindi quando anche da parte italiana si tentò di attuare una protezione aerea per i convogli, l attenzione si concentrò di nuovo sulla rotta di ponente, dato che la sua minore lunghezza e la presenza lungo di essa del punto di appoggio intermedio di Pantelleria rendevano in parte più semplice il lavoro degli aerei di scorta, che erano comunque normalissimi caccia terrestri monomotori con scarsa autonomia, pochissimo adatti ai servizi di scorta sul mare; si tratta comunque di un discorso già fatto. Inoltre per lo stesso motivo delle necessità della scorta aerea la rotta di levante veniva a perdere la sua caratteristica principale, quella cioè di consentire ampie possibilità di manovra ai convogli, manovre che non furono più possibili una volta che furono stabiliti punti fissi di riunione per permettere agli aerei della scorta, privi di radar di ricerca e perfino di collegamento radio diretto con le navi, di ritrovare i convogli da scortare; da un certo momento della guerra in poi le due rotte finirono quindi con l equivalersi. Il loro grado di pericolosità era pressoché lo stesso e difatti i due peggiori disastri singoli subiti dal nostro traffico le Kerkennah, distruzione del convoglio Tarigo nelle prime ore del 16 aprile 1941 e la distruzione del convoglio Duisburg nella notte sull 8-9 novembre dello stesso anno causati tutti e due da incursioni di navi leggere inglesi che attaccarono di notte, si ripartirono equamente sulle due rotte; gli elementi che quindi potevano influire sulla scelta, da un certo momento in poi, furono essenzialmente in primo luogo la destinazione dei convogli (per Bengasi rotta di levante e per Tripoli quella di ponente) e in secondo luogo la velocità di navigazione (convogli veloci ad est e convogli lenti ad ovest). Il problema delle rotte, comunque, ammetteva sempre un alternativa anzi, in certi momenti particolarmente difficili (novembre-dicembre 1941, ad esempio), questo elemento fu sfruttato per disperdere il più possibile il traffico, nel tentativo di far sì che i convogli in navigazione contemporaneamente sulle due rotte si coprissero a vicenda (soprattutto contro le incursioni notturne in superficie); ma, connesso col problema

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