LA CRISI ITALIANA DEL PRIMO DOPOGUERRA

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1 LE POLITICHE ECONOMICHE DEL FASCISMO PROF. STEFANO PALERMO

2 Indice 1 OBIETTIVI FORMATIVI LA CRISI ITALIANA DEL PRIMO DOPOGUERRA UNA PERIODIZZAZIONE DEL VENTENNIO FASCISTA LE POLITICHE ECONOMICHE DEL FASCISMO LA PRIMA FASE ( ) LA SECONDA FASE ( ) LA RISPOSTA ALLA CRISI DEL DALL AUTARCHIA ALLA GUERRA BIBLIOGRAFIA di 17

3 1 Obiettivi formativi Nel corso degli anni Venti, l economia europea conosce un andamento molto diversificato al proprio interno, con Paesi che riescono a tornare a livelli di produzione sostenuti e altri che faticano a uscire dalle difficili eredità della guerra. L illusione, infatti, di poter considerare la guerra una parentesi della storia e di potere tornare ai meccanismi del capitalismo della belle époque, che una parte delle classi dirigenti aveva coltivato, viene rapidamente infranta dalle difficoltà di riconversione, dagli effetti degli accordi di pace, dall atteggiamento punitivo verso la Germania, dall isolazionismo della potenza americana che, pur essendo diventata ormai la prima economia mondiale, superando la Gran Bretagna per ricchezza globale, non assume il ruolo di leadership politica internazionale. Non solo, proprio in virtù di queste difficoltà, si cominciano a diffondere due modelli politici di risposta alla crisi: quello delle democrazie consolidate e quello dei Paesi che scelgono invece la via dittatoriale o autoritaria. Obiettivo di queste pagine è evidenziare come in Italia si sia affermato nel primo dopoguerra il modello dittatoriale fascista, quali siano state le sue politiche economiche-sociali e i loro effetti di medio-lungo periodo per lo sviluppo del Paese. 3 di 17

4 2 La crisi italiana del primo dopoguerra La vittoria della guerra è seguita da un periodo di profonda crisi economica, politica e sociale nel Paese. Le elezioni del 1919 (le prime con il sistema proporzionale e con il suffragio universale esteso ai maggiori di 21 anni che avessero svolto il servizio militare) vedono la contemporanea buona affermazione, oltre che del Partito popolare di ispirazione cristiana, anche del Partito socialista. Nel frattempo, mentre in Parlamento si cercano difficili mediazioni sulle formazioni dei governi, il Paese entra in fibrillazione, attanagliato da una serie di problemi economici e sociali. In particolare, tra i problemi economici si possono ricordare: 1) la difficoltà a ricostruire una collocazione internazionale nel nuovo consesso internazionale; 2) i problemi della riconversione industriale dall industria di guerra a quella di pace che richiede il blocco della produzione e i licenziamenti degli operai, portando agli scontri sociali e al cosiddetto biennio rosso, caratterizzato, tra il 1919 e 1920, dall occupazione delle fabbriche; 3) l aumento dell inflazione causata dalle spese di guerra che colpisce in particolare la classe media; 4) le prime occupazioni delle terre da parte dei braccianti che rivendicano la proprietà della terra contro gli agrari latifondisti. Nella figura 1 sono riportati i valori delle spese di guerra come percentuale sul PIL e le relative fonti di copertura. Nella figura 2, invece, è riportato l andamento dell inflazione e dei cambi tra il 1914 e il 1922; appare evidente come l incremento del costo della vita aumenti in misura ancora più considerevole dopo la fine della guerra. 4 di 17

5 Figura 1: Il costo della guerra italiana, Immagine tratta da: V. Zamagni, Dalla periferia al centro, il Mulino Figura 2: Andamento dell inflazione e dei cambi Immagine tratta da: V. Zamagni, Dalla periferia al centro, il Mulino 5 di 17

6 Tra i problemi, invece, di carattere politico-sociale si possono ricordare: 1) le proteste contro la vittoria mutilata, ovvero il mito della mancata concessione, a seguito della fine del conflitto, della città di Fiume all Italia; 2) il reducismo, ovvero il ritorno dal fronte di milioni di uomini che tornano nelle loro case e tendenzialmente non ritrovano il proprio lavoro in città o nelle campagne; 3) l ingresso delle masse in politica, come la novità del Novecento: è un punto di svolta decisivo, che cambia i parametri del rapporto tra cittadini leader e istituzioni. Milioni di uomini che hanno combattuto al fronte credono di avere il diritto di partecipare alla vita pubblica. Chi, tra i leader mondiali capirà prima degli altri - indipendentemente dall ideologia di cui è portatore rappresenta - questo mutamento socio-antropologico, vincerà la battaglia del consenso. Un discorso che sarà pienamente compreso, spesso con risultati drammatici, da uomini come Stalin, Hitler, Mussolini; ma anche da esponenti del mondo democratico come Roosevelt, De Gaulle e Churchill. In questo contesto, la radio, diventa il primo strumento di comunicazione diretta e di massa tra i leader e il popolo. In questa situazione, la classe dirigente proveniente dal vecchio partito liberale che aveva dominato l età post unitaria non riesce a comprendere fino in fondo la novità imposta dalla modernizzazione della politica e dalla crisi della società. In Italia, i socialisti da un lato, grazie al loro internazionalismo e Mussolini dall altro, in virtù della sua ideologia autoritaria e dittatoriale, sono in questa fase più attrezzati a comprendere i mutamenti in atto. Sarà però Benito Mussolini, con la collaborazione del Re e di una parte della vecchia classe dirigente liberale che si illudevano di poterlo usare, a prendere il potere, attraverso un alleanza con gli industriali del nord, spaventati dall occupazione delle fabbriche, con gli agrari latifondisti del sud, e conquistandosi, almeno per i primi anni, il consenso di una larga parte della classe media promettendo sicurezza, ordine e stabilità 1. Tutto questo, però, sarà pagato dal Paese a caro prezzo, attraverso il confino o l esilio degli oppositori politici, l abolizione dei partiti e del Parlamento, la fine della libertà di stampa; ancora, 1 R. De Felice, Mussolini il fascista, La conquista del potere , Einaudi, di 17

7 come lo stesso Mussolini rivendicò moralmente nell aula della Camera, tramite l omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti e, infine, tramite l alleanza strategica col nazismo e l entrata in guerra a fianco di Hitler. 7 di 17

8 3 Una periodizzazione del ventennio fascista Come in altre occasioni, per comprendere le politiche economiche del fascismo è utile provare a effettuare innanzitutto una periodizzazione orientativa. Ovviamente, sono possibili diverse periodizzazioni a seconda delle scelte che vengono fatte, degli obiettivi che ci si pone, della sensibilità dello storico. La periodizzazione politica può essere suddivisa secondo uno schema oramai relativamente riconosciuto dagli storici (proposto in particolare dagli studi di Renzo De Felice) e così articolato: 1) : la presa del potere; 2) : la costruzione del regime; 3) : gli anni del consenso; 4) : dall autarchia al crollo. In questo contesto, sono possibili e si sono prodotte diverse interpretazioni del ventennio che incrociano e sovrappongono questioni politiche ed economiche: ad esempio, il fascismo come frutto dei ritardi dell Unificazione; come prodotto della crisi dell Italia liberale a seguito della Grande Guerra; come espressione dei disagi delle classi medie nella crisi degli anni Venti. Da questo punto di vista è possibile ricordare alcune delle interpretazioni più significative, come quella di Benedetto Croce, che vedeva nel fascismo una parentesi della storia d Italia; o ancora l elaborazione di Antonio Gramsci, secondo cui l ascesa di Mussolini sarebbe stata il risultato del rapporto da egli creato con il grande capitale industriale e agrario; o infine quella di Renzo De Felice, probabilmente, insieme a Emilio Gentile, uno dei più importanti storici del fenomeno, che vede nella forza del regime innanzitutto la sua capacità di costruire un alleanza (e un consenso) con una larga parte dei ceti medi e destinata a durare sino all entrata in guerra 2. 2 R. De Felice, Rosso e Nero, Milano, di 17

9 4 La periodizzazione economica, ovvero le scelte che vengono fatte dal regime in politica economica e finanziaria, incrocia e spesso si sovrappone con quella politica e può, molto schematicamente essere così riassunta: 1) : la fase liberale, per uscire dalla crisi inflativa del dopoguerra; 2) : la stabilizzazione, per rafforzare la moneta e incentivare la produzione; 3) : la risposta alla grande depressione: il dirigismo e l autarchia; 4) : la guerra e il crollo del regime. Nella figura 3 sono mostrati gli indici della produzione industriale italiana nel ventennio, tra il 1922 e il 1943 (quando il Re, vista ormai l imminente sconfitta bellica, fece arrestare Mussolini, e nominò Badoglio presidente del Consiglio). Gli indicatori evidenziano come le politiche del regime favorirono la ripresa della produzione industriale, soprattutto nel primo periodo liberale, tra il 1923 e il Particolarmente sostenuta la crescita del settore metallurgico, chimico, elettrico ed energetico in generale. La fase successiva, fino alla crisi del 1929 è quella della stabilizzazione dei risultati raggiunti e della stabilizzazione della lira grazie alla manovra di quota di 17

10 Figura 3: Indici della produzione industriale Immagine tratta da: V. Zamagni, Dalla periferia al centro, il Mulino 10 di 17

11 5 La prima fase ( ) La prima fase delle politiche economiche del fascismo è definita come la fase liberale. Coincide con la cosiddetta presa morbida del potere da parte di Mussolini, che nomina ministro dell Economia Alberto De Stefani, un economista aderente al Partito fascista sin dalla sua origine. De Stefani realizzò una strategia di apertura del mercato attraverso una politica di svalutazione della moneta in grado di favorire le esportazioni, anche a costo di incrementare ulteriormente l inflazione. Parallelamente attuò una riduzione della spesa pubblica con un aumento delle imposte indirette a vantaggio di quelle dirette, mentre vennero quasi eliminati i prelievi straordinari risalenti al periodo bellico. La cancellazione delle libertà sindacali e la limitazione dei salari consentirono il raggiungimento del pareggio di bilancio nel Allo stesso tempo cercò di varare una serie di norme di semplificazione burocratica e legislativa utili a rilanciare la capacità produttiva dei settori industriali. Non a caso, come si è visto in precedenza (cfr. Figura 3), la sua politica agevolò la ripresa del settore metallurgico, chimico, elettrico ed energetico in generale. 11 di 17

12 6 La seconda fase ( ) La seconda fase economica del regime prese corpo a partire dal 1926, in coincidenza con la presa del potere autoritaria del regime avviata con il celebre e drammatico discorso con cui Mussolini, parlando alla Camera dei Deputati, si assunse la responsabilità morale dell omicidio Matteotti e il varo delle cosiddette leggi fascistissime 3. Il nuovo ministro dell economia, Volpi di Misurata, ricevette un mandato abbastanza chiaro: non bastava sostenere la produzione industriale, bisognava combattere l inflazione (nemica di quelle classi medie su cui il regime basava il proprio consenso) e stabilizzare il quadro finanziario. È la fase nella quale vengono attuati i primi provvedimenti di carattere marcatamente dirigista. Tra questi è bene ricordare: 1) il ritorno ai dazi all importazione del grano estero che si accompagna, a partire dal 1925 dalla cosiddetta battaglia del grano per portare il Paese all autosufficienza alimentare; 2) quota 90, ovvero la campagna per la rivalutazione della lira rispetto alla Sterlina, passando dal valore di 153 a quello di circa 92; questo al fine di abbattere l inflazione e contenere i costi di importazione delle materie prime, scaricando sui salari i minori profitti sulle esportazioni ricavati dalle imprese; 3) il Prestito del Littorio, ovvero una manovra di consolidamento titoli pubblici italiani attraverso una conversione dei titoli a breve in titoli a lungo termine, operazione possibile sostanzialmente solo in un regime autoritario. 3 Cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista, II, L'organizzazione dello Stato fascista , Einaudi, di 17

13 7 La risposta alla crisi del 1929 Lo scoppio della crisi del 1929, dopo il crollo della borsa di Wall Street fu il frutto di una molteplicità di fattori. Tra le cause principali vi era senz altro il disequilibrio tra la crescita continua e costante degli USA negli anni Venti e le difficoltà incontrate da molti Paesi europei. Pesarono inoltre, le scelte fatte ai trattati di pace della prima guerra mondiale che bloccarono di fatto la ripresa economica tedesca rendendo la Germania un buco nero al centro dell Europa. In questo contesto, negli anni Venti, l Italia, pur avendo scelto la via autoritaria era in parte riuscita seppure a costi altissimi sotto il profilo delle libertà democratiche, sociali e sindacali - a ricostruire il proprio apparato industriale. Un risultato il cui costo, con la politica di quota 90 e del Prestito del Littorio, era stato scaricato sui ceti medi e sui ceti operai a vantaggio del profitto e della rendita. La stessa scelta di quota 90 permise al Paese di essere investito dalla crisi con un lieve ritardo rispetto agli altri partner europei. Tuttavia, quando essa si manifestò in tutta la sua virulenza tra il 1930 e il 1931, fu subito chiara la gravità della situazione. In particolare, quella fratellanza siamese tra grande banca mista e grande industria, che aveva retto lo sviluppo italiano sostanzialmente per un trentennio, entrò di fatto in crisi; il crollo delle industrie portò, inevitabilmente alla caduta delle banche e viceversa mettendo così in discussione la struttura di base del capitalismo italiano. In questo contesto, mentre anche in altri parti del pianeta cominciavano a diffondersi i primi precetti keynesiani di intervento pubblico per uscire dalla recessione, in un regime autoritario quale quello fascista l interventismo fu interpretato come una forma di dirigismo e un occasione per sciogliere il legame banca/industria rilanciando il controllo dello Stato sull economia. A questo scopo vennero fondati alcuni appositi istituti e utilizzati determinati strumenti o leggi operative: 1) nel 1931 nacque l IMI (Istituto mobiliare italiano), un ente pubblico dedito al finanziamento a lungo termine delle imprese; 13 di 17

14 2) due anni dopo, nel 1933, in virtù dell accelerazione della crisi, fu fondato l IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), un altro ente pubblico con il compito di rilevare i pacchetti azionari delle banche miste (a loro volta proprietarie delle industrie in default) per collocarli in un secondo tempo sul mercato; un secondo tempo che di fatto non arrivò mai, visto che nel 1937 la sezione «smobilizzi» dell IRI si trasformò in una «sezione permanente»; 3) allo stesso modo, nel 1934 con un accordo interbancario, le banche cedevano direttamente all IRI le azioni industriali ancora in loro possesso; 4) nel 1936, infine, una nuova legge bancaria, oltre a rafforzare le funzioni di vigilanza della Banca d Italia sul sistema, stabiliva la separazione tra credito a breve, medio e lungo termine, delegando il finanziamento all industria agli istituti di credito speciale (anch essi di diritto pubblico). In questo modo si definiva una riorganizzazione del credito destinata a influenzare, come si vedrà, l intero sviluppo della storia italiana, ben oltre la fine del fascismo. 14 di 17

15 8 Dall autarchia alla guerra A partire dalla metà degli anni Trenta si entra in una nuova, ulteriore fase del regime. La campagna di Abissinia del 1936 e quella di Albania del 1939 (alla vigilia della guerra) sono parte di una strategia funzionale a restituire un immagine di prestigio al regime all interno del Paese e a riattivare le commesse pubbliche alle imprese meccaniche, siderurgiche e militari. A fronte delle sanzioni proposte dalla Società delle Nazioni (per la verità piuttosto blande) dopo l invasione dell Abissinia, il regime risponde con la politica di autarchia, ovvero la ricerca dell autosufficienza economica, in linea con l impostazione dirigista che lo aveva contraddistinto sin dal Scelte che accelerano, di fatto, l allontanamento dal centro del sistema economico mondiale. Soprattutto, è l alleanza con la Germania di Hitler (e con il Giappone) a essere parte di una strategia di potere e di espansione che si lega a una visione autoritaria e imperialista della società; un alleanza non casuale, sugellata prima con il Patto d Acciaio tra Germania e Italia nel 1939 e poi, nel 1943, con la fondazione della Repubblica di Salò, lo stato filo nazista del nord Italia che collabora con i tedeschi (anche nella deportazione degli ebrei italiani). L entrata in guerra del 1940, per la ricerca di un «posto al sole», convinti che la Francia fosse ormai battuta, nasce dalla sottovalutazione dell impatto della guerra e della capacità di resistenza degli alleati. Sara questo, secondo Renzo De Felice, il momento di svolta a partire dal quale il fascismo comincerà seriamente a perdere il consenso anche tra quegli strati della popolazione che maggiormente lo avevano appoggiato 4. In conclusione, è possibile affermare che tra il 1933 e il 1940, per un insieme di ragioni l economia italiana si chiude in uno schema protezionistico, sostenendo una politica di importsubstitution, ovvero che promuove nuove imprese produttrici di beni non più importabili (Agip, Snam). Si tratta tuttavia di un economia relativamente piccola e limitata, che non riesce a sviluppare economie di scala, essendo il mercato interno ridotto. Per questo insieme di ragioni è possibile dire che il ventennio fascista può essere complessivamente rappresentato come un periodo di importanti mutamenti, soprattutto di carattere interno. In molti casi, questi cambiamenti sono dovuti alle scelte corporative, dirigiste e autoritarie 4 R. De Felice, Mussolini l'alleato, L'Italia in guerra , 2, Crisi e agonia del regime, Einaudi, di 17

16 del regime, in altri casi da decisioni più articolate, con le quali si disegnano alcuni dei caratteri salienti del sistema industriale italiano destinati a permanere anche negli anni successivi. Non a caso, parte delle scelte di questi anni saranno riprese (riadattandole) dalla Repubblica nel 1946, una dimostrazione questa dell importanza dell utilizzo del binomio continuità/discontinuità per comprendere la storia. Nel frattempo, tuttavia, provando ad allargare lo sguardo, in questo ventennio si amplia il divario con le principali potenze industrializzate e, soprattutto, rallenta la rincorsa al centro del sistema, divenendo il Paese, alla fine della seconda guerra mondiale, nuovamente un late comer nel contesto internazionale. 16 di 17

17 Bibliografia F. Assante, M. Colonna, G. Di Taranto, G. Lo Giudice, Storia dell economia mondiale, Monduzzi, 1995 P. Bianchi, La rincorsa frenata. L'industria italiana dall'unità nazionale alla crisi globale, Il Mulino, 2002 L. Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d Italia, Marsilio, 1989 R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere , Einaudi, 1966 R. De Felice, Mussolini il fascista, II, L'organizzazione dello Stato fascista , Einaudi, 1969 R. De Felice, Mussolini l'alleato, L'Italia in guerra , 2, Crisi e agonia del regime, Einaudi, 1990 R. De Felice, Rosso e Nero, Milano, 1995 A. Di Vittorio (a cura di), Dall'espansione allo sviluppo. Una storia economica d Europa, Giappicchelli, 2011 P. Scoppola, 25 aprile. Liberazione, Einaudi V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell Italia, , il Mulino, di 17

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