B. Trimarco. dipartimento di scienze Biomediche avanzate, università degli studi Federico ii, napoli.
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1 35_35 03/02/ Pagina 271 La terapia diuretica nell ipertensione è ancora una prima scelta? B. Trimarco dipartimento di scienze Biomediche avanzate, università degli studi Federico ii, napoli. Abstract Attualmente l ipertensione arteriosa è considerata una sindrome legata dal punto di vista eziopatogenetico a più patologie, non tutte identificate, che hanno un comune denominatore negli elevati valori di pressione arteriosa. L obiettivo della terapia dell ipertensione consiste nel normalizzare i valori della pressione arteriosa ed al tempo stesso prevenire o far regredire le alterazioni strutturali dell apparato cardiovascolare e degli altri organi bersaglio. L uso di diuretici per il trattamento dell ipertensione arteriosa, soprattutto se impiegati ad alto dosaggio, interferisce con l omeostasi glicidica e lipidica esercitando un effetto negativo sulla parete arteriosa coronarica che controbilancia almeno in parte la ricaduta positiva della riduzione dei valori pressori. L evidenza sul ruolo dell angiotensina II nel determinismo del danno cardiovascolare e soprattutto i risultati di grandi trials eseguiti con l impiego di farmaci bloccanti i recettori AT1, rende eticamente irrinunciabile la scelta dell impiego dei Sartani non solo nei pazienti ipertesi ma, più in generale, in quelli ad alto rischio cardiovascolare. L ipertensione arteriosa è stata a lungo considerata esclusivamente come un fattore di rischio cardiovascolare che svolge il suo effetto patogeno mediante l azione degli elevati valori di pressione arteriosa sul cuore, sui reni e sulle arterie. Coerentemente, l unico obiettivo della terapia antiipertensiva è ovviamente la riduzione dei valori pressori. Tuttavia, attualmente sembra più realistico definire l ipertensione arteriosa come una sindrome legata dal punto di vista eziopatogenetico a più patologie, non tutte identificate, che hanno un comune denominatore negli elevati valori di pressione arteriosa. Alcune delle patologie che inducono ipertensione sono state identificate ed in questi casi 271
2 35_35 03/02/ Pagina 272 l ipertensione arteriosa viene definita come ad esse secondaria. Nei restanti casi, che costituiscono la parte maggiore, le cause che determinano l aumento dei valori della pressione arteriosa rimangono sconosciute e si parla di ipertensione essenziale. Il fatto che non si riesca a definire le cause dell aumento dei valori pressori non vuol certamente significare che esse non esistono e quindi che non abbiano altri effetti negativi oltre l aumento dei valori pressori. Sembra allora opportuno dire che l obiettivo della terapia dell ipertensione consiste nel normalizzare i valori della pressione arteriosa ed al tempo stesso prevenire o far regredire le alterazioni strutturali dell apparato cardiovascolare e degli altri organi bersaglio, che dipendono direttamente dalle condizioni di patologia, diverse da soggetto a soggetto, che hanno determinato l aumento dei valori pressori. Certamente non è semplice distinguere, nell ambito del quadro clinico dell ipertensione arteriosa, quali sono le mere conseguenze dell aumento dei valori pressori e quali invece i danni dovuti a concomitanti meccanismi patogeni nei pazienti con forme più gravi di ipertensione, in cui il peso patogeno degli elevati livelli tensivi arteriosi domina il quadro clinico, mascherando più o meno completamente gli effetti di altri eventuali determinanti di danno d organo. Questa osservazione giustifica anche l iniziale considerazione dell ipertensione arteriosa come semplice fattore di rischio cardiovascolare. Essa infatti è stata formulata in un epoca in cui venivano considerati ipertesi solo pazienti con marcato aumento dei valori pressori, in cui la riduzione dei valori della pressione arteriosa comunque ottenuta si associava ad un netto miglioramento del quadro clinico e della prognosi. I valori di pressione arteriosa che discriminano l ipertensione dalla normotensione non sono però assoluti ma, come diceva Sir Stanley Rose, possono essere definiti da quel livello di pressione per cui instaurare un trattamento farmacologico risulta più utile per il paziente dell astenersi dal farlo. Questo valore dipende pertanto da una parte dal rischio cardiovascolare connesso ai valori della pressione arteriosa in ciascun determinato paziente, e dall altra dagli effetti collaterali e più in generale dai pericoli legati all assunzione di farmaci antiipertensivi. Il miglioramento della qualità dei farmaci antiipertensivi ha comportato la possibilità di ridurre il livello soglia dell ipertensione arteriosa a valori con un potenziale patogeno più basso e quindi non sempre in grado di mascherare completamente gli effetti di altri determinanti di danno d organo, rendendo necessario ampliare l obiettivo del trattamento dell ipertensione arteriosa alla prevenzione o regressione del danno d organo cosiddetto non pressione dipendente 1. I primi determinanti patogeni identificati sono stati gli altri fattori di rischio cardiovascolare, quali la dislipidemia, il diabete mellito ecc., che sono presenti nei pazienti ipertesi con una frequenza maggiore che nei soggetti normotesi, e sono in grado di svolgere un sinergismo negativo con l ipertensione arteriosa. È stato perciò ipotizzato che il trattamento antiipertensivo non avesse ridotto l incidenza di cardiopatia ischemica nei pazienti ipertesi tanto quanto era lecito attendersi perché i farmaci antiipertensivi inizialmente disponibili, come ad esempio i diuretici impiegati ad alto dosaggio, interferiscono con l omeostasi glicidica e lipidica e possono quindi svolgere attraverso quest azione un effetto negativo sulla parete arteriosa coronarica, che controbilancia almeno in parte la ricaduta positiva della riduzione dei valori pressori. Inoltre, 272
3 35_35 03/02/ Pagina 273 in uno studio randomizzato condotto dai Medici di Medicina Generale 2, è risultato che i pazienti che iniziavano la terapia antiipertensiva con un diuretico tiazidico modificavano più frequentemente la terapia rispetto a quelli che iniziavano con altre classi di farmaci (fig. 1) e controllavano la pressione arteriosa grazie all utilizzo di un maggior numero di farmaci. La logica conseguenza di questa considerazione sembrerebbe il suggerimento di preferire, per quanto possibile, farmaci antiipertensivi in grado di svolgere un effetto favorevole sugli altri fattori di rischio cardiovascolare o quanto meno che non esercitano influenze negative sugli altri fattori di rischio cardiovascolare 3. In questo senso va letta l indicazione ad evitare dosaggi elevati di diuretici tiazidici che non aumentano tanto l effetto antiipertensivo ma riducono fortemente la tollerabilità del trattamento farmacologico, che ha restituito a questa classe di farmaci la grande considerazione che deriva dalla capacità di soddisfare i criteri della medicina basata sulle evidenze. Infatti, i vantaggi del trattamento antiipertensivo sulla mortalità dei pazienti ipertesi sono dimostrati principalmente da vecchi studi clinici condotti prevalentemente con diuretici e simpaticolitici 4-6. Più recentemente, sono stati conclusi nuovi studi clinici che hanno confermato che la riduzione di mortalità e di morbilità dipende essenzialmente dalla riduzione dei valori pressori, in quanto può essere ottenuta anche con le altre classi di antiipertensivi, quali calcio-antagonisti 7,8 o modulatori del sistema renina angiotensina 9,10, ma anche che gli obiettivi della terapia antiipertensiva non sono più sintetizzabili nella sola riduzione pressoria ma devono piuttosto riferirsi ad una riduzione globale del rischio del paziente iperteso. Questa conclusione sembra ancora più coerente con la filosofia attuale delle Linee Guida per la gestione del paziente iperteso, che suggeriscono che la scelta terapeutica debba essere guidata non solo dai valori di pressione arteriosa ma piuttosto dal rischio cardiovascolare globale. Questo significa che può esistere, ad esempio, maggior vantaggio nel trattare un paziente con ipertensione lieve che presenta contemporaneamente diabete e patologie concomitanti, piuttosto che un paziente con ipertensione severa che non abbia altri fattori di rischio p<0.000 Gruppo D Gruppo A % p<0.000 p< Controllo insoddisfacente Effetti collaterali Intolleranza Non giustificata Fig. 1. Motivazioni addotte dai MMG per il cambio della terapia antiipertensiva. 273
4 35_35 03/02/ Pagina 274 cardiovascolare, perché la probabilità del primo paziente di sviluppare un evento cardiovascolare è più alta di quella del secondo paziente, per la contemporanea presenza di alterazioni metaboliche e di danno d organo. Quest ultima condizione ha meritato particolare attenzione nelle Linee Guida internazionali per la gestione del paziente iperteso, in quanto esiste una differenza nella capacità delle diverse classi di antiipertensivi nell ottenerne la regressione. Lo studio più importante a questo proposito è senz altro il LIFE 11 che ha dimostrato, in due gruppi di pazienti ipertesi con ipertrofia ventricolare diagnosticata all elettrocardiogramma, che a parità di riduzione dei valori pressori, un trattamento basato su un antagonista dei recettori AT1 dell angiotensina II induce una più marcata riduzione del danno d organo cardiaco rispetto ad una terapia basata su un bloccante dei recettori beta-adrenergici. Per questo motivo la presenza di danno d organo viene considerata come un indicazione specifica ad utilizzare come antiipertensivo di prima scelta gli ACEinibitori o gli antagonisti del recettore AT1 dell angiotensina II, preferendoli ai diuretici 1. Questo suggerimento sottintende che, in presenza di un adeguato controllo pressorio, il paziente iperteso non sviluppa danno d organo: un assunto che sembra smentito dai risultati dello studio di Anderson 12 che, con un follow-up di oltre 20 anni, dimostra che una popolazione di pazienti ipertesi in cui il trattamento antiipertensivo aveva indotto la normalizzazione dei livelli pressori mantiene comunque una prognosi cardiovascolare peggiore di quella di un gruppo di normotesi con analoghe caratteristiche cliniche. Sembra più opportuno estendere l indicazione a considerare i farmaci che modulano il sistema renina angiotensina come presidi di prima scelta in tutti i pazienti ipertesi, individuando il sistema renina angiotensina come il mediatore del continuum cardiovascolare che conduce dalla semplice presenza di fattori di rischio alla malattia aterosclerotica con tutte le sue pericolose complicanze. Certamente non ci sono ancora evidenze così forti da consentire di affermare con sicurezza questo ruolo del sistema renina angiotensina, tuttavia anche in questa incertezza non può essere trascurata la possibilità di contrastare anche questo ipotetico meccanismo di danno d organo utilizzando, per correggere i livelli pressori elevati, un farmaco in grado di interferire con il sistema renina angiotensina. Oggi esistono due possibili strategie per raggiungere questo scopo: inibire l enzima di conversione dell angiotensina, bloccando la principale via di trasformazione dell angiotensina I in angiotensina II, o bloccare gli effetti dell angiotensina II direttamente a livello dei recettori AT1, che sono quelli implicati non solo nella mediazione dell effetto vasocostrittivo dell angiotensina II ma anche di quello trofico coinvolto nel determinismo del danno d organo. Questa scelta può essere fondata su considerazioni di farmacologia clinica che suggeriscono per gli antagonisti dei recettori AT1 dell angiotensina II una tollerabilità migliore di quella pur buona degli inibitori dell enzima di conversione, e soprattutto un blocco più efficace del sistema renina angiotensina tissutali, che sembrano quelli più coinvolti nelle fasi iniziali di sviluppo del danno d organo indotto dall ipertensione arteriosa. È possibile però che questa scelta presto possa anche essere fondata sui principi della medicina basata sull evidenza. Infatti, lo studio HOPE 13, condotto con la somministrazione di un inibitore dell enzima di conversione o di placebo in soggetti ad alto rischio cardiovascolare, ha suggerito la possibilità che un interferenza 274
5 35_35 03/02/ Pagina 275 con il sistema renina angiotensina possa consentire una notevole riduzione della mortalità e morbilità cardiovascolare anche indipendentemente dalla riduzione dei valori pressori. Qualora questa ipotesi fosse confermata, l impiego di questo tipo di trattamento sarebbe da considerare di prima scelta. Alcuni aspetti metodologici dello studio HOPE, riguardanti soprattutto l accuratezza della determinazione della pressione arteriosa, pongono qualche dubbio sull attendibilità di questa conclusione di per sé rivoluzionaria. La soluzione di queste incertezze viene dai risultati degli studi ONTARGET e TRANSCEND 14,15, basati sul trattamento con ramipril o con telmisartan, un antagonista dei recettori AT1 dell angiotensina II, con un profilo farmacologico più favorevole per durata d azione e maneggevolezza, o con un associazione dei due trattamenti, di circa pazienti con caratteristiche analoghe a quelli arruolati nello studio HOPE che sono stati seguiti per 5 anni. Le dimensioni degli studi, anni-paziente, ed il disegno a tre braccia, hanno consentito di confermare il ruolo dell angiotensina II nel determinismo del danno cardiovascolare, rendendo eticamente irrinunciabile la scelta di questo tipo di trattamento non solo nei pazienti ipertesi ma, più in generale, in quelli ad alto rischio cardiovascolare. BIBLIOGRAFIA 11) Mancia G, Fagard R, Narkiewicz K, Redon J, Zanchetti A, Bohm M, et al ESH/ESC Guidelines for the management of arterial hypertension: the Task Force for the management of arterial hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology (ESC). J Hypertens 2013; 31 (7): ) Trimarco V, de Simone G, Izzo R, De Luca N, Giudice R, Marino M, et al. Persistence and adherence to antihypertensive treatment in relation to initial prescription: diuretics versus other classes of antihypertensive drugs. J Hypertens 2012; 30 (6): ) Brown MJ, Palmer CR, Castaigne A, de Leeuw PW, Mancia G, Rosenthal T, et al. Morbility and mortality in patients randomised to double-blind treatment with a long-acting calcium-channel blocker or diuretic in the International Nifedipine GITS study: Intervention as a Goal in Hypertension Treatment (INSIGHT). Lancet 2000; 356 (9227): ) Effects of treatment on morbidity in hypertension. II. Results in patients with diastolic blood pressure averaging 90 through 114 mm Hg. Jama 1970; 213 (7): ) Collins R, Peto R, MacMahon S, Hebert P, Fiebach NH, Eberlein KA, et al. Blood pressure, stroke, and coronary heart disease. Part 2, Short-term reductions in blood pressure: overview of randomised drug trials in their epidemiological context. Lancet 1990; 335 (8693): ) MacMahon S, Peto R, Cutler J, Collins R, Sorlie P, Neaton J, et al. Blood pressure, stroke, and coronary heart disease. Part 1, Prolonged differences in blood pressure: prospective observational studies corrected for the regression dilution bias. Lancet 1990; 335 (8692): ) Staessen JA, Fagard R, Thijs L, Celis H, Arabidze GG, Birkenhager WH, et al. Randomised double-blind comparison of placebo and active treatment for older patients with isolated systolic hypertension. The Systolic Hypertension in Europe (Syst-Eur) Trial Investigators. Lancet 1997; 350 (9080):
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