La libera circolazione delle merci.

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1 CAPITOLO I La libera circolazione delle merci. 1. Introduzione I prodotti agricoli rientrano in via generale nella sfera di applicazione materiale delle norme sulla libera circolazione delle merci e nella disciplina del mercato comune (articolo 32, già 38 del Trattato) salvo quando siano oggetto del regime specifico regolato dalle disposizioni sulla P.A.C 1. E importante chiarire che il mercato comune delle merci comprende in linea di principio l intero territorio degli Stati membri, ivi compresi gli spazi aerei e marini sottoposti alla loro giurisdizione, fatta eccezione per i territori espressamente indicati dall articolo 299 del Trattato (ex art. 227) 2. Destinatari delle norme in esame devono essere 1 G. Tesauro, Diritto Comunitario, parteii -Il mercato comune-; Padova: Cedam, Si veda a conferma di quanto detto le sentenze Commissione c. Regno Unito, causa 231/78, sent. 29 marzo 1979, Racc. p. 1447, punti 13-15; Charmasson, causa 48/74, sent. 10 dicembre 1974, Racc. p. 1383, 1394; Commissione c. Francia, causa 68/76, sentenza 16 marzo 1977, Racc. p. 515, sp. p Si noti che il campo di applicazione territoriale delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci va tenuto distinto dal c.d. territorio doganale della Comunità, e cioè dal territorio ove trova applicazione la normativa doganale comunitaria di cui al reg. del Consiglio n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (in GUCE, 19 ottobre 1992, n. L 302) ed al relativo reg. di esecuzione della Commissione n. 2454/93 del 2 luglio 1993 (in GUCE, 11 ottobre 1993, n. L 253). I due ambiti territoriali hanno infatti una diversa valenza giuridica e non coincidono perfettamente. Sull argomento si veda Bessone, Il diritto privato nell Unione europea, 2000, capitolo VII:la libera circolazione delle merci.

2 considerati i soli Paesi membri, a carico dei quali il Trattato pone divieti ed obblighi assoluti; in questo senso appare infatti orientata la giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui le disposizioni sulla libera circolazione delle merci si riferiscono esclusivamente alle normative ed alle pratiche amministrative poste in essere dalle autorità nazionali 3. Si dedica questo capitolo all analisi dei principi che regolano la libera circolazione delle merci perché soltanto un analisi approfondita della situazione legislativa esistente in tale settore permette di comprendere appieno l oggetto del presente lavoro. Il diritto comunitario prevede tre strumenti principali, strettamente correlati tra loro, per la realizzazione della libera circolazione delle merci: l eliminazione totale di ogni forma di ostacolo,tariffario, amministrativo e di ogni altro genere agli scambi intracomunitari ( così come disciplinato dagli artt.23 a 27, 28 a 31, 90 e 91 CE); una disciplina che assicuri la trasparenza e il controllo delle iniziative legislative nazionali che potrebbero ostacolare la libera circolazione delle merci, attraverso la previsione di misure di vigilanza sia ex ante sia ex post; tale disciplina aspira ad assicurare da un lato la trasparenza in tale campo, consentendo di prevenire il sorgere di nuovi ostacoli, per mezzo della procedura prevista dalla direttiva 98/34/CE 4 ; dall altro mira a verificare ex post se le legislazioni nazionali adottate ostacolano la circolazione, in base a 3 Così tra le altre, le sentt. 30 gennaio 1974, BRT c. SABAM, causa n. 127/73, in Racc., p. 51, e 1 ottobre 1987, Vlaamse Reisbureaus, causa n. 311/85, in Racc., p La direttiva 98/34/CE ha abrogato e sostituito la direttiva 83/189/CEE.

3 quanto prevede la decisione 3052/95/CE 5 ; lo strumento dell armonizzazione di quelle legislazioni nazionali che abbiano un incidenza sulla creazione e sul funzionamento del mercato unico, per completare l opera di neutralizzazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, derivanti dalle divergenze tra le legislazioni nazionali dei diversi Stati membri, attraverso la creazione di strutture armonizzate. 2. L eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci:le barriere tariffarie e non tariffarie agli scambi intracomunitari. La disciplina della materia è interamente contenuta nel Trattato di Roma. L eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci è caratterizzata dal raggiungimento di tre diversi obiettivi, riguardanti: l abolizione dei dazi doganali all importazione ed all esportazione e delle tasse di effetto equivalente, ed anche l istituzione di una tariffa doganale comune per gli scambi con i Paesi terzi (ex artt CEE, ora artt CE); l abolizione delle restrizioni quantitative agli scambi intracomunitari e delle misure di effetto equivalente, nonché l abolizione dei monopoli nazionali a carattere commerciale (ex artt CEE, ora artt CE); il divieto di imposizioni fiscali interne a carattere discriminatorio, il quale pur essendo collocato in un altra parte del Trattato svolge una funzione complementare rispetto alle norme sull abolizione delle 5 Decisione n. 3052/95 del 13 dicembre 1995, in GUCE il 30/12/1995, n. 321

4 barriere tariffarie agli scambi (ex artt.95 CEE, ora art.90 CE) Il divieto di dazi doganali e di tasse di effetto equivalente. Analizzando brevemente il primo dei tre punti sopra esposti è importante evidenziare come l instaurazione dell unione doganale, che comporta il divieto di applicare dazi doganali all importazione e all esportazione di merci tra gli Stati membri o tasse di effetto equivalente, nonché l adozione di una tariffa doganale comune negli scambi con i Paesi terzi concernente sia prodotti originari degli Stati membri, che quelli provenienti dai Paesi terzi rispetto ai quali siano state adempiute le formalità di importazione e riscossa la TDC 7, sia un aspetto essenziale e fondamentale del sistema di liberalizzazione degli scambi intracomunitari. Dal 1 gennaio , con la soppressione degli ostacoli fisici agli scambi conseguente alla realizzazione del mercato interno, si è data completa attuazione a quel 6 A sostegno di quanto esposto P. Mengozzi, Il diritto comunitario e dell Unione europea, in F. Galgano (a cura di), Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell economia, Padova, 1997, vol. XV, p. 9 ss. 7 Non vi è dubbio che l origine delle merci dipende evidentemente dal luogo di fabbricazione. Nel caso però di fabbricazione complesse, le cui fasi cioè riguardino due o più Stati, l origine del prodotto è data dal luogo dove è avvenuta l ultima trasformazione o lavorazione sostanziale. Al contrario, il semplice assemblaggio non rappresenta una trasformazione merceologicamente od economicamente determinante. 8 Si noti inoltre che il 1 gennaio 1996 è entrata in vigore la decisione del Consiglio di associazione CE- Turchia n. 1/95 del 22 dicembre 1995 (in GUCE, 13 febbraio 1996, n. L 35), relativa all attuazione della fase definitiva dell unione doganale con la Repubblica turca.

5 percorso che, iniziato nel dicembre del 1961 con l abolizione dei dazi doganali all esportazione e proseguito nel luglio del 1968 (anticipando di 16 mesi quella che era stata fissata come la data ufficiale) con l abolizione dei dazi all importazione, ha permesso alla libera circolazione delle merci di assumere carattere manifestamente tangibile. Per quanto concerne l abolizione delle tasse di effetto equivalente ai dazi doganali all importazione e all esportazione, il processo di liberalizzazione è stato rallentato dalla necessità di fornire all espressione utilizzata dal Trattato per definire quelle misure di protezione tariffaria indiretta (appunto le c.d. tasse di effetto equivalente) un contenuto sufficientemente preciso che permettesse di sanzionare le fattispecie di cui si assumeva la contrarietà con l obbiettivo del mercato comune. In linea generale si può dire che alle tasse di effetto equivalente ai dazi doganali sono riconducibili tutti i tributi imposti unilateralmente dagli Stati membri per il solo passaggio delle frontiere nazionali da parte delle merci, determinando l innalzamento del costo del prodotto importato (o esportato), frustrando l effetto liberatorio derivante dalla soppressione dei dazi doganali 9. Al riguardo fondamentale è stato il contributo della giurisprudenza della Corte di giustizia che ha permesso di definire gli elementi essenziali della nozione presa in esame. Si possono distinguere due momenti principali: nel primo, la Corte ha considerato l intento discriminatorio e protezionistico dell imposizione stessa identificandola nel diritto imposto unilateralmente, sia all atto 9 Per rilievi quantitativi sulla diffusione delle tasse di effetto equivalente ai dazi doganali, si rimanda a C. W. A. Timmermans, La libera circolazione delle merci, cit., p. 261.

6 dell importazione, sia in un momento successivo e che, colpendo specialmente la merce importata ad esclusione del corrispondente prodotto nazionale, produce il risultato di alterare il prezzo e di incidere così sulla libera circolazione delle merci alla stessa stregua di un dazio doganale 10 ; in seguito la Corte ha focalizzato l attenzione sulla necessità di dare portata generale al divieto di cui agli art. 23 e 24 per agevolare la più ampia circolazione delle merci nel mercato comune. In due sentenze del 1969 (Commissione c. Italia e Social Fonds Diamantarbeiders 11 ) la Corte ha affermato che un onere pecuniario che colpisce le merci nazionali o estere in ragione del fatto che esse varcano la frontiera, se non è un dazio doganale propriamente detto, costituisce un tassa di effetto equivalente anche se non abbia alcun effetto discriminatorio o protezionistico. In particolare, dopo aver ribadito il divieto di dazi doganali a prescindere da qualsiasi considerazione circa lo scopo della loro istituzione e la destinazione dei proventi da essi derivanti, la Corte ha tenuto a precisare che l estensione di tale divieto alle tasse di effetto equivalente serve a completare rendendolo efficace, il divieto degli ostacoli per gli scambi che derivano dai dazi stessi. Da queste indicazioni della giurisprudenza della Corte di giustizia si possono dunque individuare gli elementi essenziali della tassa di effetto equivalente a un dazio 10 Così la sent. Pan peato, la sent. 8 luglio 1965 Deutschmann, causa n. 10/65 e la sent. 16/06/1966, Germania c. Commissione, cause riunite nn.52 e 55/ Cfr. le sentt. 1 luglio 1969, Commissione c. Italia, causa n. 24/68. in Racc., p. 193, punto 6 e Social Fonds Diamantarbeiders, cause riunite nn. 2 e 3/69, in Racc., p. 211, punti

7 doganale: la natura pecuniaria dell imposizione 12 e il fatto che quest ultima sia destinata ad applicarsi esclusivamente in ragione dell importazione o dell esportazione delle merci rendendo l operazione commerciale più costosa o più complessa sotto il profilo dei relativi adempimenti amministrativi e burocratici. 2.2 Le restrizioni quantitative e le misure di effetto equivalente. Gli articoli 28 e 29, norme di fondamentale importanza nel quadro della disciplina della libera circolazione delle merci, che vietano la costituzione ed il mantenimento delle barriere non tariffarie agli scambi intracomunitari, rappresentate dall imposizione di restrizioni quantitative alle importazioni e alle esportazioni e dalle misure di effetto equivalente, costituiscono ( in particolare l articolo 28) norme generali rispetto alle disposizioni in tema di liberalizzazione degli scambi finora esaminate e, come tali, si applicano in via residuale rispetto al divieto di tasse di effetto equivalente ai dazi doganali e al divieto di tributi interni discriminatori. Qualora ricorrano i presupposti richiesti dal Trattato, pertanto sono le norme specifiche degli artt. 23,24 e 90 a trovare applicazione. Sia la Corte che la Commissione hanno elaborato, rispettivamente attraverso la propria giurisprudenza ed i propri atti legislativi, una loro definizione della nozione di misura d effetto equivalente alle restrizioni quantitative, di 12 La natura pecuniaria dell imposizione consente in particolare di distinguere le tasse di effetto equivalente ai dazi doganali dalle misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative.

8 vastissima portata, comprendente ogni forma di intervento protezionistico non espressamente contemplata da altre norme del Trattato CE, che ha permesso al divieto in parola di estendersi alle restrizioni più diverse e di limitare la libertà degli Stati membri in settori ove la loro competenza, altrimenti, sarebbe stata esclusiva. La nozione in esame è stata definita in primo luogo dalla Commissione mediante una serie di direttive di cui la più significativa è la n. 70/50 del dicembre , nella quale si definiscono le misure ad effetto equivalente come: tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative, le prassi, nonché ogni atto posto in essere da un autorità pubblica, ivi compresi gli incitamenti suscettibili di ostacolare le importazioni o le esportazioni, che potrebbero avere luogo in loro assenza, ivi comprese le misure che rendono le importazioni più difficili e più onerose rispetto allo smercio della produzione nazionale. L orientamento della Commissione, troppo angusto rispetto alle esigenze collegate e conseguenti alla progressiva instaurazione del mercato comune delle merci, è stato superato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia sviluppatasi soprattutto in sede di rinvio pregiudiziale che ha permesso di affinare sempre di più la nozione in esame. Seguendo il criterio generale inteso a facilitare la più ampia circolazione possibile delle merci, la Corte ha infatti fornito all art.28 del Trattato un interpretazione alquanto ampia, sancendone anzitutto l efficacia diretta e provvedendo poi ad enunciarne gli elementi essenziali In GUCE, 13 gennaio 1970, p Per l efficacia diretta dell art. 28 si veda la sent. Iannelli e Volpi, punto 13, la sent. 8 novembre 1979, Denkavit, causa n. 251/78, in Racc., p. 3369, punto 3.

9 Un importante definizione della Corte è contenuta nella sentenza Dassonville dell 11 luglio 1974, nella quale si afferma che devono considerarsi misure ad effetto equivalente: tutte le normative commerciali degli Stati membri suscettibili di ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari 15. Questa nozione, ancor oggi valida nella sua interezza, è apparsa tuttavia particolarmente severa, dal momento che in essa il riferimento all ostacolo agli scambi intracomunitari derivante dalla normativa statale non è accompagnato da nessuna precisazione che permetta di delimitarne la portata in relazione al tipo o all entità. Ne deriva che la Corte, pur cercando di preservare una visione unitaria del divieto in esame e lasciando immutata la formula Dassonville, ha adottato un approccio più o meno severo a seconda del tipo di misura di effetto equivalente valutato in concreto caso per caso. Si può inoltre considerare come nella sentenza Dassonville ci si riferisce alle misure che abbiano un incidenza restrittiva sulle importazioni e sulle esportazioni; non vengono però considerate le misure interne che siano indistintamente applicabili sia ai prodotti nazionali sia ai prodotti importati. Queste sono regolate dalla direttiva 70/50/CE. La direttiva rappresenta un passo molto importante verso la precisazione della nozione di misure, che possono avere effetti equivalenti a quelli delle restrizioni quantitative. Essa vieta, innanzitutto le misure distintamente applicabili ai prodotti nazionali ed ai prodotti importati. In secondo 15 Causa 8/74, sentenza del 11 luglio 1974, in Racc., p. 837, punto 5.

10 luogo, vieta le misure indistintamente applicabili sia ai prodotti nazionali sia ai prodotti importati 16. Esiste, quindi, una divisione in due categorie differenti di misure d effetto equivalente: da una parte le misure distintamente applicabili e dall altra quelle indistintamente applicabili. Le misure distintamente applicabili possono essere ulteriormente suddivise in due categorie: quelle formalmente e sostanzialmente applicabili ai soli prodotti importati, e quelle formalmente applicabili sia ai prodotti importati che ai prodotti nazionali, ma che di fatto gravano in misura maggiore, quando non unicamente, sui prodotti importati rendendone più difficile o più oneroso il commercio. Le misure indistintamente applicabili (art.3 70/50/CE) sono, al contrario, secondo la Commissione, quelle: relative alla commercializzazione dei prodotti e riguardanti la forma, le dimensioni, il peso, la composizione, la presentazione, ecc. che, pur applicandosi sia ai prodotti nazionali che ai prodotti importati, hanno degli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci che eccedono il contesto degli effetti propri di una regolamentazione commerciale. Un esempio tipico in tale senso è costituito dai provvedimenti adottati dagli Stati membri per controllare il livello dei prezzi, applicabili tanto ai prodotti importati quanto ai prodotti nazionali. Molto diffuse sono anche le misure d effetto equivalente indistintamente applicabili rappresentate dai c.d. ostacoli tecnici agli scambi, che consistono negli ostacoli alla 16 Sulla giurisprudenza richiamata si rimanda, tra gli altri, a M. A. DAUSES, Mesures d effet équivalent à des restrictions quantitatives a la lumière de la jurisprudence de la Cour de justice des Communautés européennes, in Revue trimestrielle de droit européen, 1992, p. 607 ss.

11 circolazione delle merci derivanti dalla persistente diversità delle normative con cui ciascuno Stato membro provvede a regolare, in assenza di una disciplina comunitaria di armonizzazione, le modalità di fabbricazione, composizione, imballaggio, confezionamento, etichettatura, denominazione e presentazione dei prodotti (c.d. norme tecniche). Per lungo tempo si è ritenuto che gli obiettivi perseguiti dagli Stati membri con queste misure fossero rimessi alla competenza interna degli Stati; le normative nazionali indistintamente applicabili, emanate in virtù di tale competenza non incorrono nell interdizione prevista dall art.28 in quanto i loro effetti sono propri ed inerenti alle politiche interne degli Stati membri. Da ciò deriva che risulterà necessario ricorrere al riavvicinamento delle legislazioni per eliminare gli ostacoli agli scambi intracomunitari derivanti da normative nazionali indistintamente applicabili, che non rientrano nel campo di applicazione dell art. 28. Lo strumento dell articolo 28 e lo strumento dell armonizzazione sono, quindi tra loro interdipendenti e complementari: l uno ha lo scopo di eliminare immediatamente, salvo eccezioni determinate, tutte le restrizioni quantitative all importazione delle merci e tutte le misure d effetto equivalente, mentre l altro ha lo scopo di permettere, mediante il riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, di ridurre gli ostacoli di ogni genere risultanti dalla disparità tra dette disposizioni. Il rapporto di complementarietà si è andato, però, modificando nel corso degli anni e a seguito della sentenze della Corte: la linea di demarcazione, infatti, che segnava il confine tra il campo di applicazione del primo strumento e quello del secondo, è andata spostandosi prima a favore di una maggiore

12 applicazione dell articolo 28 poi, successivamente a seguito della sentenza Kecke e Mithouard (su cui torneremo diffusamente in seguito) che ha determinato, secondo alcuni autori come Mattera 17, un inversione di tendenza a favore di un maggiore utilizzo dello strumento dell armonizzazione. Una prima modifica è stata attuata dalla Corte attraverso i principi espressi nella celebre sentenza Cassis de Dijon del , diminuendo il campo di applicazione dell art. 94 a favore di un utilizzo sempre maggiore sia dell articolo 28 sia del nuovo principio del mutuo riconoscimento, per superare gli ostacoli derivanti dalla presenza nei singoli Stati membri di legislazioni differenti; in particolare lo Stato membro che intenda opporre ai prodotti importati la propria legislazione ha quindi l onere di provare che la normativa tecnica cui il prodotto si è conformato nello Stato di produzione non offra garanzie equivalenti a quelle richieste dalla normativa tecnica nazionale, ad esempio nel campo della protezione dei consumatori. Dalla giurisprudenza della Corte e dall interpretazione della Commissione emerge che gli Stati membri devono accettare i prodotti che siano 17 Più in generale, sul rapporto tra l attuazione del principio del mutuo riconoscimento ed il riavvicinamento delle legislazioni nazionali, si rimanda a A. Mattera Ricigliano, L èlimination des barrières techniques et la mise en oeuvre de la reconnaissance mutuelle, in Revue du Marchè Commun, 1990, p 80 ss. 18 Cfr. la sent. 20 febbraio 1979, Rewe Zentrale (Cassis de Dijon), causa n. 120/78, in Racc., p. 649, punto 8. E importante sottolineare che tale giurisprudenza è stata ulteriormente sviluppata per ricomprendere tra le esigenze imperative in grado di giustificare l introduzione o il mantenimento di restrizioni alla libera circolazione delle merci gli obiettivi legittimi di politica economica e sociale, la lotta contro l inflazione, il risanamento della finanza pubblica e la protezione dell ambiente( cfr., al riguardo, le sent. 20 settembre 1988, Commissione c. Danimarca, causa n. 302/86, in Racc., p.4627, e 9 luglio 1992, Commissione c. Belgio, causa n. C-2/90, in Racc., p. I- 4431).

13 legalmente fabbricati in un altro Stato membro secondo prescrizioni tecniche diverse da quelle nazionali ( principio del c.d. mutuo riconoscimento); gli Stati membri, infatti, non possono imporre a tali prodotti importati regolamentazioni nazionali indistintamente applicabili, anche se non eccessive rispetto all obbiettivo legittimo perseguito, o non sostituibili da altre misure che arrechino minor intralcio agli scambi. E appena il caso di ricordare che l applicazione della giurisprudenza Cassis de Dijon ha condotto a considerare vietate dall art.28 del Trattato numerose legislazioni nazionali che esigevano il rispetto di particolari regole tecniche da parte dei prodotti importati, con particolare riferimento alle norme vigenti per determinati prodotti alimentari tipici del Paese importatore. Tale giurisprudenza, di cui non è possibile dare conto per intero, comprende le note pronunce relative alla commercializzazione dell aceto non di vino e della pasta di grano tenero in Italia, della birra in Germania, del latte in polvere e dello yoghourt in Francia, della margarina in Belgio 19. La giurisprudenza della Corte ha ricevuto un inversione in quella che era diventata oramai, pur con alcune contraddizioni e discordanze, la sua linea d azione riguardo soprattutto le modalità dell attività commerciale e le condizioni di vendita con la sentenza Keck-Mithouard 19 Si vedano a proposito le sentt. 26 giugno 1980, Gilli, causa n. 788/79, in Racc., p.2071; 10 novembre 1982, Rau, causa n. 261/81, in Racc., p.3691, punti 12-17; 23 febbraio 1988, Commissione c. Francia, causa n. 261/84, in Racc., p.763 ss; 14 luglio 1988, Zoni, causa n ,in Racc., 4285; 14luglio 1988, Smanor, causa n.298/87, in Racc., p. 4489, punto 25; 17 luglio 1988, Dei Glocken, causa n. 407/85, in Racc., p Per ulteriori riferimenti, si rimanda a Libre circulation des marchandies, in Dictionnaire permanent de droit europèen des affaires, cit., p. 1722b ss.

14 del 24 novembre In tale sentenza la Corte ha tracciato una distinzione tra le misure che riguardano le caratteristiche del prodotto, e quelle che riguardano le modalità di vendita dello stesso. Sempre la Corte ha più volte affermato che, mentre le prime sono soggette all applicazione dell articolo 28, tutte le misure indistintamente applicabili che riguardano le condizioni di vendita sfuggono all applicazione di esso, senza un esame preliminare dei loro effetti. In particolare la Corte ha affermato che l applicazione ai prodotti provenienti dagli altri Stati membri di disposizioni nazionali intese a limitare o vietare talune modalità di vendita non può costituire ostacolo agli scambi commerciali,semprechè tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgono la loro attività sul territorio nazionale e semprechè incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico, quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri 21. Poiché, dunque, le regolamentazioni nazionali concernenti le modalità di vendita esulano dal campo d applicazione dell art. 28CE, gli ostacoli eventualmente creati da queste devono essere eliminati attraverso lo strumento dell armonizzazione. Dunque, il suo campo d applicazione viene allargato e la linea di 20 Cause riunite C-267/91 e C-268/91 sentenza del 24 novembre 1993 in Racc. p. I Così le sentt. 24 novembre 1993, Keck et Mithouard, cause riunite nn. C-267 e C-268/91, in Racc., p.i-6097; 9 febbraio 1995, Leclerc, causa n. C-412/93, in Racc., p. I-4536, punto 21. Sul nuovo orientamento della Corte si rimanda, tra gli altri, a R. Wainwright-V. Melgar, Bilan de l article30 après vingt ans de jurisprudence: de Dassonville à Keck et Mithouard, in Revue du Marchè Commun, 1994, p. 533 ss.

15 demarcazione precitata si sposta a favore dell armonizzazione Il divieto di imposizioni fiscali discriminatorie o protezionistiche per i prodotti importati Le norme relative all abolizione dei dazi doganali e il divieto di applicare ai prodotti altri oneri pecuniari all atto o comunque in ragione dell attraversamento delle frontiere tra Paesi membri, vanno integrati con l ulteriore divieto, sancito dall art.90 del Trattato, di applicare tributi interni che siano discriminatori nei confronti dei prodotti importati 22. Tale divieto di applicare ai prodotti importati tributi interni superiori a quelli applicati ai prodotti nazionali similari, nonché il divieto di utilizzare le imposizioni interne per tutelare indirettamente determinate produzioni nazionali 23 svolge infatti una funzione 22 Si cita per maggior completezza il testo dell articolo 90: Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari. Inoltre, nessuno Stato membro applica ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne intese a proteggere indirettamente altre produzioni. Si veda inoltre l art. III, n. 2, del GATT L espressione imposizioni interne di cui all art.90 è stata definita dalla Corte nella sent.3 aprile 1968, Molkerei-Zentrale, causa n. 28/67, in Racc., p.208, come il complesso dei tributi gravanti effettivamente e specificatamente sul prodotto nazionale, in ogni fase della produzione e della distribuzione, anteriore o concomitante all importazione del prodotto da altri Stati membri. Si può pertanto affermare che l art.90 comprende qualsiasi onere fiscale gravante sul prodotto nazionale nel corso dei vari stadi della fabbricazione, commercializzazione, utilizzazione e consumo, a prescindere dalle tradizionali nozioni, peraltro difformi da Paese a Paese,di imposte dirette e imposte indirette. Sul divieto in parola si veda, tra gli altri, L. Maublanc-Freandez-J.P. Maublanc, L interdiction des entraves de nature fiscale ou parafiscale à la libre circulation des marchandies, in Revue du Marchè Commun, 1995, p.383 ss.

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