3 ott. Potere Teoria classica del Potere

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1 3 ott. Potere Per potere si intende la capacità, la facoltà e l autorità di agire. Inoltre il potere può essere considerato una relazione di forze però non necessariamente questa relazione assume una configurazione violenta. Teoria classica del Potere La teoria classica, che si è sviluppata con l affermazione dello stato moderno, evidenzia: - Il soggetto e la sua volontà suprema ovvero il potere coincide con la volontà di un soggetto che si impone (Hobbes Macchiavelli Rousseau) si rappresenta nella teoria della sovranità superiorem non recognescens; - La relazione di causa ovvero deve esserci un soggetto che riesce ad imporre un comportamento ad un altro soggetto (A ha potere su B se determina il suo comportamento). Ad esempio la Teoria marxista ragiona secondo questi termini, ma anche la teoria di Dahl e quella elitista (Michelle, Pareto e Mosca) ; - L invarianza del potere è il principio secondo cui nessuno può trasferire ad un altro potere maggiore di quello che ha per se (Locke), esiste un Quantum di potere sociale, chi lo ha, lo leva ad altri; - La transitività ovvero la struttura gerarchica (anche verticale) del potere; - La bilanciabilità del potere può essere compensato o distribuito a fini di equilibrio; - La sostantivizzazione del potere coincide con il possesso di strumenti idonei ad ottenere un risultato desiderato, il potere è una qualità, un bene che si possiede o non si possiede) La questione sull efficacia del perché si obbedisce al potere, è cruciale. Affrontandola si mettono in evidenza una serie di aporie nella cosiddetta teoria classica del potere. Si indica la dimensione riconosci mentale (intersoggettiva) del potere e della sua legittimazione; In secondo luogo la dimensione simbolica e comunicativa; infine l aspetto produttivo e generativo del potere stesso. Queste aporie emergono già nei classici della modernità e vengono risolte da forme di razionalizzazione. Gli aspetti che vengono fuori sono tre: 1) Etica insieme decidiamo che ci sono una serie di principi che regolano la nostra organizzazione e quindi ci sottomettiamo a queste regole comuni; 2) Sicurezza l uomo decide di uscire dallo stato di natura perché aliena il suo diritto di natura in favore del Leviatano, cioè di un soggetto che gli garantisce sicurezza (Hobbes). Quindi io abdico alla mia piena libertà in favore della sicurezza; 3) Timore in questo caso c è un potere che io non ho scelto e sono costretto ad obbedire per paura della sanzione. Inoltre vediamo come il potere ottiene obbedienza in modi diversi, analizzando il carattere intenzionale degli agenti di Steven Lukes, ovvero con: la forza; la manipolazione implica l induzione del comportamento altrui attraverso il condizionamento delle loro scelte; la coercizione che determina la modificazione della desiderabilità delle alternative. Influenza tramite autorità: In cui il comportamento è conforme alle norme, perché gli agenti sociali sono convinti che le regole siano vincolanti a causa delle posizioni che li erogano; Influenza tramite persuasione razionale: in cui gli agenti si conformano, perché convinti da argomenti e motivi razionali. 1

2 Weber Weber riflette sul modo in cui l economia (capitalismo) influenza la società in cui viviamo. Egli ritiene che il tipo di razionalità, tipico della società capitalistica, è una razionalità di tipo strategicostrumentale, cioè è una razionalità che si occupa dei mezzi necessari per raggiungere dei fini. Gli 2

3 aspetti che si vengono a delineare sono: velocità, efficienza, massimizzare l utile. Tuttavia, afferma Weber come è destino della tecnica- questa situazione finisce con l imprigionare l uomo stesso in una gabbia d acciaio, rappresentata dalla fase politica della tecnica burocratica. L impersonalità, la competenza e l efficienza della burocrazia soffocano i cittadini stessi. Inoltre Weber affronta il tema del politeismo dei valori (disincantamento del mondo), ovvero questa razionalità strumentale che fa si che la natura sia un oggetto a disposizione dell essere umano e nei confronti dei valori, quindi dalla morale, provoca che ognuno ha una posizione diversa rispetto agli altri, senza possibilità di comprendere quali valori siano superiori o inferiori. Weber si occupa principalmente del potere, partendo dall identificazione di alcune tipologie di dominio che si esercita su tre livelli: Economico: Costituito in virtù di una costellazione di interessi (area del mercato, le imprese che vincono esercitano un dominio rispetto alle altre) Ideologico: Costituito dal controllo dei mezzi di persuasione e influenza ideologica (manipolazione dell idea degli altri) e Politico: Costituito in virtù dell autorità. Il dominio politico è il potere in senso stretto. (chi può influenzare il comportamento altrui, ad esempio chi impone le tasse e comportamenti). La teoria weberiana mantiene comunque il potere ideologico in posizione subordinata, come strumento della volontà autonoma e sovrana di chi ha il potere politico o economico. E in base alla relazione dell ideologico con il potere politico, classifica i tipi di potere politico a seconda della base di legittimità su cui fanno leva per ottenere obbedienza. Anche qui si parla di Ideal-tipi che nella realtà storica sono misti e impuri: il potere tradizionale tipico delle società pre-moderne, si fonda sulla credenza del carattere sacro della tradizioni valida da sempre. Inoltre è legittimato a governare chi incarna la tradizione. La fonte legittimante è la tradizione, obbedito in modo acritico e non riflessivo; il potere razionale-legale tipico dell età moderne ed è legato all avanzamento dei principi democratici e liberali, si fonda sulla credenza nella legittimità di ordinamenti giuridici positivi che definiscono formalmente il ruolo di chi detiene il potere e le procedure di esercizio. La fonte di legittimante è la legge generale ed astratta la cui legittimità non poggia sui contenuti e sui valori, ma sulla legalità; il potere carismatico in questo caso si riconosce potere ad un soggetto (leader) per il carisma che esercita. Il leader carismatico incarna, in se stesso, la potenza generativa del potere, che non è dunque esclusivamente dominio e controllo, ma anche innovazione e cambiamento. Teoria struttural-funzionalista del potere (approccio sistemico) Parsons¹: Il fondatore dell approccio sistemico è il sociologo Talcott Parsons, che immagina, in una società complessa; il potere come medium dell integrazione sociale. Parsons immagina la società come un sistema interrelato di parti (sottoinsiemi) che è capace di autoregolazione e in cui ogni parte svolge una funzione necessaria alla riproduzione dell intero sistema. All adattamento all ambiente, corrisponde la funzione economica; alla definizione dei propri obiettivi, la funzione politica; all integrazione delle parti componenti, la funzione giuridica e religiosa; alla conservazione della propria organizzazione, la funzione educativa (scuola e famiglia). In ciascuna di questi sottoinsiemi i singoli svolgono ruoli regolati da norme e orientati alla funzione. Per Parsons il potere è la capacità di mantenere un equilibrio tra tutti questi sottosistemi, quindi la società è l equilibrio che si viene a creare, in ogni momento storico, tra tutti questi sottosistemi. Perché si obbedisce al potere? Secondo Parsons si obbedisce al potere perché, come ci ha insegnato Freud, il processo di educazione, che comincia già in famiglia, ci porta a sottometterci all autorità (innanzitutto quella paterna e poi alle varie forme di autorità). La psicoanalisi serve a Parsons quindi per spiegare il motivo del perché noi siamo sottomessi al potere. Nel processo sociale, il potere svolge la funzione di medium comunicativo dotato di un codice simbolico specifico. Attraverso una famosa analogia, Parsons paragona il potere circolante nel 3

4 sistema politico al denaro che circola in quello economico: come il denaro è un mezzo che permette le transazioni economiche, così il potere politico è il mezzo delle transazioni politiche. Analizziamo i caratteri del potere nella teoria sistemico-funzionale: diversamente dal modello bilaterale, transitivo e sovrano di Weber, che fa perno sul soggetto sovrano/obbediente, qui il potere è relazionale e diffuso, non monopolistico e non sovrano, ma sistemico. Mentre in Weber l agire del potere è orientato ad uno scopo, qui il sistema agisce come una macchina cibernetica per mantenere o riacquistare uno stato di equilibrio omeostatico. L obiettivo del potere non è la prevaricazione di una parte sull altra, ma l integrazione, l ordine, a stabilità e la sicurezza. Questo aspetto in Luhmann è accentuato dal pessimismo di fondo sui valori e sui destini della società L integrazione sottolinea il carattere simbolico del codice del potere, che passa attraverso comunicazione e informazione. In conclusione Parsons afferma che il potere agisce come riduttore di complessità; per questo motivo il sociologo afferma che la società democratica è la forma migliore di società perché riesce a rispondere in modo più efficiente alle domande che provengono dalla società in continua evoluzione (arrivano input dalla società e dagli individui sottoforma di esigenze e aspettative disordinate; il potere risponde con output ordinati. Luhmann 2 Nella versione di Luhmann, l ottimismo democratico di Parsons viene rovesciato in una prospettiva pessimistica e realistica che nega la trasformazione dei valori e della partecipazione attiva in nome della legittimità. Secondo Luhmann la legittimazione non ha senso, è solo retorica, in quanto un sistema di potere si giudica solo dalla sua efficienza e della sua stabilità o governabilità. Il concetto di governabilità prende il posto di quello di legittimazione e consenso. Inoltre per Luhmann il sistema non esaurisce la realtà. Il potere è la capacità di neutralizzare, selezionare e rendere inoffensive le minacce provenienti dall ambiente. Per ambiente Luhmann indica tutto ciò che non è stato ancora razionalizzato (emozioni, esperienze, desideri ecc.), ma è già funzionale alla stabilità del sistema, per cui deve essere reso innocuo e governabile. Tuttavia il potere non riesce mai a risolvere definitivamente il suo problema, è sempre sbilanciato in un inseguimento senza fine per ordinare il mondo. Inoltre la funzione del potere non è politica (un fare politica), ma amministrativa, di governo. Potere generativo e cittadinanza attiva: Hannah Arendt 3 Hannah Arendt è una teorica politica tedesca di origine ebraiche. Arendt delinea una idea di potere molto diversa. Riflettendo sulla Grecia classica in particolare sull esperienza democratica ateniese, lei ritiene che il senso originale della politica può essere ritrovato anche negli scritti di Aristotele che diede la definizione di uomo inteso come animale politico, affermando che ciò che distingue l uomo dall animale non è il fatto di vivere in società, ma è l esercizio della ragione e la capacità di poter distinguere il bene dal male. In Vita activa, Arendt sviluppa una nuova definizione di potere. La parola potere va riferita solo alla pratica della libertà di agire con gli altri nello spazio comune. La definizione di potere data dalla Arendt è: il potere corrisponde alla capacità umana non solo di agire, ma di agire in concerto. Il potere non è mai proprietà di un individuo; appartiene ad un gruppo. In quest opera Arendt distingue due modi di vivere: vita del pensiero agire fine a se stesso; vita attiva fare per fabbricare qualcosa. Inoltre la Vita Activa si può esprimere come: a. il lavoro che è proprio dell essere umano in quanto è animale e vita biologica. Il lavoro, infatti, soddisfa le necessità vitali di sopravvivenza che si ripetono: produrre, riprodursi e consumare; 4

5 b. l opera è il fabbricare dell uomo, che costruisce un mondo artificiale di strumenti, di prodotti, realizzando modelli o progetti. Per Arendt nella modernità, lo spazio della politica è diventata una costruzione artificiale che mira al controllo delle relazioni tra uomini: questo è dominio; c. l agire mette in relazione tra loro gli uomini che si manifestano come uguali e distinti, abbastanza eguali da comprendersi e prendere iniziative, ma distinti perché non sovrapponibili l un l altro, come la politica e il potere. Inoltre la Arendt afferma che l uomo è stato creato perché ci fosse un inizio (Agostino). E iniziare, prendere un iniziativa nello spazio comune, non significa pretendere di controllare gli effetti dell azione. Inoltre la Harent afferma che oggi c è un problema nella società contemporanea perché in questa società le nostre differenze sono sempre meno importanti. La società di oggi si sta spoliticizzando e ciò si vede con la diffusione del totalitarismo, ovvero una società in cui tutto è politica. Potere generativo e Biopotere: Michel Foucault4 Nel 900 l analisi più importante del potere è quella di Michel Foucault, intesa come una posizione analitica del potere. La rappresentazione tradizionale del potere è, secondo Foucault, giuridicodiscorsiva, cioè influenzata dalla modalità logica del diritto e della filosofia, che pensa il potere solo nei termini di sovranità, legge, comando e obbedienza. Foucault presenta una nuova concezione di potere, come un qualcosa presente ovunque, non ha solo una funzione repressiva ma è produttore delle forme sociali. Inoltre quando studiamo una società ci rendiamo conto che esiste un legame tra potere e sapere. Questa nuova caratteristica <<biopolitica>> induce a pensare il potere al di là delle istituzioni che garantiscono la sottomissione dei cittadini. La parola biopolitica, inoltre, indica una modalità di governo che ha per oggetto l uomo come vivente, piuttosto che come soggetto astratto di diritti e obblighi. Le disposizioni del potere oggi si concentrano sulla salvezza-salute, sull accrescimento del benessere, mantenendo e sviluppando il dato biologico della popolazione. Il presupposto teorico della biopolitica è una rappresentazione del corpo sociale della popolazione intesa come collettività di viventi. Foucault propone una microfisica del potere, ovvero un insieme di poteri presenti in vari luoghi (case, scuole, ospedali, carceri). Il potere è onnipresente perché si produce <<in ogni istante, in ogni punto e in ogni relazione>>. Potere, afferma Foucault, è il nome che diamo ad una situazione strategica complessa. Foucault prende le distanze dall economicismo che vede il potere come prodotto del dominio di classe. Invece Foucault afferma che il potere non si dà, né si scambia, né si prende, ma che si esercita e non esiste che in atto. Il potere è un rapporto di forze. Il caratteri del potere per Foucault sono: a. non sostanzialità del potere nel senso che è un rapporto; b. produttività di questo rapporto il potere produce, sollecita, incrementa, indirizza inclinazioni fisiche, sentimenti, pulsioni, passioni. E lo fa assecondando la potenzialità di ciascuno individuo o popolazione; c. soggettivazioni il rapporto di potere non è esteriore, ma immanente ai processi economici, alle conoscenze, alle relazioni sessuali. Non possiamo elaborare una teoria generale del potere, ma dobbiamo guardare in ogni società come esso si manifesta; d. pastoralità è il processo di formazione dei desideri, delle credenze ed è assoggettato all influenza benevola; e. soggetti attivi il potere forma soggetti attivi, ovvero che collaborano attraverso il proprio potere e il proprio desiderio orientato; f. resistenza e cooperazione la resistenza configura come sottrarre spazio al potere con il 5

6 fine di migliorare se stessi impedendo al potere di entrare nello spazio privato; g. ruolo del desiderio e del piacere le relazioni di potere modellano i corpi, facendo leva sulla 6

7 disciplina. Il divieto incita i desideri che poi vengono soddisfatti. Il potere attraversa i corpi e inscrive in essi autocontrollo. 1. (Colorado Springs, 13 dicembre 1902 Monaco di Baviera, 8 maggio 1979) è stato un sociologo statunitense. 2. (Luneburgo, 8 dicembre 1927 Oerlinghausen, 6 novembre 1998) è stato un sociologo e filosofo tedesco. 3. (Hannover, 14 ottobre 1906 New York, 4 dicembre 1975) è stata una filosofa, storica e scrittrice tedesca naturalizzata statunitense. La privazione dei diritti civili e la persecuzione subìte in Germania a partire dal 1933 a causa delle sue origini ebraiche, unitamente alla sua breve carcerazione, contribuirono a far maturare in lei la decisione di emigrar 4. (Poitiers, 15 ottobre 1926 Parigi, 25 giugno 1984) è stato un filosofo, sociologo, storico, accademico e saggista francese Il soggetto e la sua volontà suprema La relazione di causa L'invarianza del potere La transitività Il bilanciamento del potere La sostantivizzazione del potere La Teoria classica del potere evidenzia: La forza La manipolazione La coercizione L'influenza tramite autotità L'influenza tramite persuasione razionale Il potere ottiene obbedienza(steven Lukes): tramite Economico Ideologico Politico Weber, il dominio si esercita su tre livelli: Potere tradizionale Potere razionale-legale Potere carismatico non sostanzialità del potere produttività di questo rapporto soggettivazione pastoralità soggetti attivi resistenza e cooperazione ruolo del desiderio e del piacere vita del pensiero (agire fine a se stesso) vita attiva(fare per fabbricare qualcosa) Lavoro Opera Agire Weber, la legittimazione del Potere I caratteri del Potere per Michel Foucault sono: Hannah Arendt, distingue due modi di vivere: 7

8 5 ott. Femminismo Il femminismo è sia un movimento storico politico, ovvero un movimento di rivendicazione dei diritti delle donne, sia un paradigma teorico filosofico. Sesso e Genere La teoria della donna come costruzione sociale trova le sue radici teoriche nella riflessione esistenzialista di Simone de Beauvoir1. Nel 49 pubblica un testo il Secondo Sesso (1949), che diventerà l elemento cardine sia del dibattito su sesso e genere (gender studies)sia per l introduzione di filosofie politiche femministe. Solitamente per sesso si intende una particolare proprietà biologica che distingue anatomicamente il maschio dalla femmina. Con genere viene invece etimologicamente inteso il <<complesso dei caratteri essenziali distintivi di una categoria>>. Il genere fu definito da Rubin come l insieme di quei processi di adattamento, modalità di comportamento e di rapporti, con in quali ogni società trasforma la differenza sessuale biologica in prodotti dell attività umana e organizza la divisione dei compiti tra gli uomini e le donne. Il genere sarebbe il risultato di un processo storico che ha per conseguenza l attribuzione di determinati ruoli sulla base del sesso di appartenenza. Mediante processi primari di socializzazione e dall educazione impartita fin dall infanzia, ci si aspetta che ogni individuo si identifichi con il ruolo culturale assegnatogli (identità sessuale). La divisione fra sessi sarebbe imposta da norme e comportamenti sociali che nel caso delle donne si configurerebbe innanzitutto col ruolo materno. Bisogna fare una distinzione tra intersessualità, transessualità e transgender; la prima e intesa come compresenza fisiologica e genetica di caratteri misti, la seconda è l autoidentificazione di un soggetto con il sesso opposto, fino alla scelta di ricorrere ad interventi chirurgici; la terza si riferisce a individui, i cui comportamenti e tendenze differiscono dalle convenzioni stabilite. Premessa La Beauvoir era la compagna del filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre (secondo lui il filosofo deve partecipare alla vita della società, che contribuisce a migliorare la società). Filosofi esistenzialisti I filosofi esistenzialisti riflettono su quale sia l elemento tipico degli esseri umani, cioè quello che lo differenzia dagli animali ed è sostanzialmente la libertà. L uomo è condannato ad essere libero e nel caso in cui l uomo è realmente libero ciò significa che tutto ciò che lui consegue nella storia, i traguardi che raggiunge, i modi in cui si comporta ecc. sono frutto di una sua libera scelta. Quindi se siamo realmente liberi, afferma Sartre, siamo responsabili, perché tutto ciò che facciamo e che diciamo di essere evidentemente impone una responsabilità. Libertà non è un qualcosa in contrapposizione con responsabilità. Abbiamo fatto questo riferimento perché se volessimo riassumere con una formula il principio cardine dell esistenzialismo sarebbe: l esistenza precede l essenza visto che l uomo è un essere storico, un essere che vive all interno di una società non c è nulla di scritto, quindi la società moderna, dove l uomo ha cominciato a gustarsi la libertà, è ancora di più una società in cui l uomo deve essere libero di fare ciò che vuole e di diventare ciò che vuole. Simone de Beauvoir riflette sulla condizione della donna a partire dalla riflessione Essere donna deve essere frutto di una libera scelta, nel senso che si comincia a riflettere su una distinzione categoriale fondamentale: distinzione tra concetto di sesso e concetto di genere. Mentre il sesso è un dato naturale biologico, legato a punto alla biologia, il genere non è un dato naturale ma un dato culturale, storico. Il genere è l attribuzione di ruoli, di diritti che una data società fa sulla base della differenza sessuale. Ad esempio in una società matriarcale (sempre se fosse esistita) attribuirebbe un certo tipo di ruoli, dominanti, alle donne e ruoli subordinati agli uomini. 8

9 La Beauvoir, afferma che visto che non vi è nulla di scritto nella natura dell essere umano, allora le donne devono riappropriarsi della loro libertà e quindi: donne ci si diventa, lo si nasce dal punto di vista sessuale ma lo si diventa. Dal punto di vista teorico possiamo identificare quattro approcci principali: 1. Genealogico-differenziale nasce e si impone soprattutto in Francia, dopo gli anni 60 e 9

10 l autrice di riferimento è una psicanalista francese Luce Irigaray 2. Irigaray è un autrice fondamentale, ed è la più importante teorica del cosiddetto pensiero della differenza sessuale. L Irigaray pubblica, nel 1974, un libro importante dal nome Speculum dell altra donna. In questo testo l autrice propone un interpretazione globale della storia occidentale, o meglio della storia maschilista occidentale. L Irigaray parte dall assunto che se la società occidentale è ancora una società dove le donne hanno una posizione subalterna rispetto all uomo, questo dipende sostanzialmente da una serie di scelte, anche di natura filosofica, che sono state fatte dall antica Grecia. L idea che i greci hanno imposto è legata alla visione metafisica che nasce in Grecia, ovvero l idea che esiste l essere, un essere che sia uno. La famosa domanda intorno al bene, intorno all essere, parte sempre dal presupposto che questo venga declinato ad un unico modo, che è quello maschile. Mentre l essere, afferma L Irigaray, cioè l esperienza umana è un esperienza duale, non è vero che esiste solo l uomo esiste anche la donna e il presupposto implicito che nasce in Grecia è un presupposto maschilista, si ragione a partire da categorie che sono maschili. Il pensiero viene considerato come una prerogativa dell essere maschio (Aristotele la donna è giusto che stia a casa, perché è diversa dall uomo). Il filosofo che meglio interpreta questa svolta maschilista del pensiero greco, secondo Irigaray, è Platone. L Irigaray ci propone un interpretazione del mito della caverna, affermando che non è un caso che Platone assegni la dimensione della non conoscenza alla caverna, perché quest ultima può simboleggiare l utero materno (per la forma), quindi Platone ci sta dicendo sostanzialmente che la condizione della donna è la condizione della non conoscenza quindi dell inferiorità rispetto alla condizione maschile, rappresentato invece dallo spazio aperto cioè dello spazio al di fuori della caverna. Il titolo di questo libro è Speculum, che è lo strumento con cui il medico può guardare all interno dell organo genitale femminile. L Irigaray sostiene che dobbiamo abbandonare tutta una serie di idee che ci sono state date, innanzitutto quelle che ci sono state date dalla filosofia greca e bisogna rifiutare anche una serie di idee che ci sono stata date dalla psicoanalisi freudiana. Freud, nei suoi scritti dedicati allo sviluppo della personalità femminile, continua a leggere questo sviluppo a partire dalle categorie maschili perché a un certo punto Freud introduce il concetto dell invidia del pene, cioè la bambina prova invidia dell organo genitale maschile, percependolo come una mancanza rispetto al bambino. Quindi Freud afferma che la donna sia una mancata pienezza dell uomo. Oltre a Freud l Irigaray polemizza anche nei confronti Di Lacan, perché aveva teorizzato il famoso stadio dello specchio, ovvero un particolare momento dello sviluppo psicologico del bambino, ovvero l esperienza che il bambino fa davanti alla specchio quando riconosce di essere diverso dalla madre, quindi acquista una sua autonomia. L Irigaray, a questo punto, fa un passaggio storico affermando che la donna in passato è stata lo specchio dell uomo, cioè nella società occidentale l uomo ha costruito la propria immagine di maschio rispecchiandosi nella donna, cioè facendo della donna l elemento di prova e permettendo all uomo di formare la sua identità di maschio, ovvero come soggetto superiore agli altri. 2. Intersoggettivo-critico l autrice che viene richiamata è Seyla Benhabib 3. Tale autrice lavora a partire dall approccio dialogico-discorsivo di Habermas. La Benhabib ritiene che la nostra esperienza è dialogica-intersoggettiva, e il fatto di discutere ci porta ad essere critici, ad assumere una posizione critica delle nostre credenze, opinioni ecc.. La Benhabib sostiene che l essere donna, così come l essere uomo, non è altro che una costruzione linguistica comunicativa e quindi storicamente è sempre sottoponibile a critica, appunto perché non è scritto da nessuna parte che la donna deve fare alcune azioni e l uomo delle altre, ma l evoluzione stessa della società e in particolare la nostra società che è caratterizzata dal dialogo consente spazi di critica, di modifica. 3. Postmoderno-decostruttivista tale approccio, un po più radicale, si contrappone al primo perché il primo approccio, quello della differenza sessuale, da un certo punto di vista sembra perpetuare quella distinzione tra sesso e genere; secondo quelli che si iscrivono a 10

11 questo nuovo approccio affermano che lo studio dell Irigaray ricade a sua volta in una sorta di realismo (o metafisica) di genere, ovvero anche lei,in modo consapevole o meno, perpetua la distinzione tra sesso e genere. Quindi, affermano gli studiosi di questo approccio, esiste un qualche cosa che corrisponde all elemento femminile e un qualcos altro che corrisponde all elemento maschile. Però tutto ciò finisce per avvalorare i pregiudizi maschilisti perché si sta dicendo che effettivamente se l uomo ha fatto una serie di cose è perché è uomo e la donna viceversa. Tra l altro gli autori e autrici postmoderni, tra cui Judith Butler 4, sostengono che il pensiero della differenza si muove sempre sulla falsa riga della distinzione tra sesso e genere, ma in realtà dice la Butler il sesso è esso stesso un costrutto culturale, perché siccome la nostra esperienza è sempre di tipo linguistico, nel momento in cui nasce il bambino io lo definisco maschio piuttosto che femmina, in questo modo sto utilizzando il linguaggio, quindi anche il concetto di sesso, in quanto linguistico, è un costrutto culturale, non è un dato naturale. Quindi la soggettività maschile e la soggettività femminile, sostengono questi autori, va decostruita cioè bisogna vedere in ogni società come viene costruito l essere uomo e l essere donna, perché questa costruzione è l esito di una logica di potere, la Butler, in questo caso, si richiama a Foucault (potere e sapere), affermando che l essere uomo e l essere donna in una società è frutto di una relazione di potere. 4. Postumano-cibernetico Tale impostazione rompe con la tradizionale rappresentazione del corpo umano sessuato, come è stato inteso finora, radicalizzando il post-strutturalismo. L autrice di riferimento di questo approccio è la scienziata Donna Haraway 5, che continua a sviluppare il discorso postmoderno però da un punto di vista scientifico, cioè insiste nel negare la distinzione tra sesso e genere. Oggi non è più così perché gli sviluppi della scienza ci permettono anche di cambiare sesso per esempio, quindi se oggi noi possiamo cambiare sesso ciò significa che non esiste più la differenza tra naturale e culturale ma tutto è culturale. Il cyborg (l uomo-macchina) è la metafora della situazione dell uomo del XXI secolo, perché è un costrutto che non è ne maschio ne femmina ma è al di là delle categorie maschili e femminili, naturale e artificiale ecc...con la tecnica oggi possiamo fare tutto ciò che vogliamo, anche modificare ciò che per anni ci è sembrato immodificabile. Movimento femminista Le battaglie in favore dei diritti delle donne iniziano in età moderna e possono essere distinte, principalmente, tre ondate del movimento femminista. 1. Prima ondata avviene alla fine del Settecento. Inizialmente le battaglie condotte dalle donne erano finalizzate ad ottenere il suffragio, il diritto al voto. In età moderna soltanto gli uomini potevano votare, soltanto i proprietari di terre, aristocratici e coloro che pagavano le tasse. In età moderna c era una grossa battaglia tra il movimento liberale e quello democratico e l oggetto di conflitto era proprio il diritto al voto. I liberali sostenevano che era necessario pagare le tasse o essere proprietari terrieri per poter votare o essere eletti. Al contrario i democratici sostenevano che tutti avevano il diritto al voto perché appartenenti tutti ad una stessa società. In questo periodo (rivoluzione francese) i movimenti femministi cominciano ad unirsi ai movimenti democratici. In questa prima ondata possiamo inserire Mary Wollstonecraft 6, che nel 1792 pubblica la Rivendicazione dei diritti della donna, dove, tra l altro, sottolinea i limiti psico-sociali a cui fin dall infanzia sono soggette le bambine. La critica pervasiva che dalla sfera privata giunge fino al domino pubblico, caratterizza la prima fase dell emancipazione femminile, inteso come affrancamento dal dominio maschile, come richiesta di uguaglianza formale e come pari accesso all educazione, alla politica e al mondo del lavoro. Tutta questa prima ondata del movimento femminista, che arriva fino alle II guerra mondiale, si esaurisce non appena si arriva al suffragio universale ( in Italia con Anna Maria Mozzoni 1877, e nel Regno Unito con Emmeline Goulden Pankhurst con il movimento delle suffragette); 11

12 2. Seconda ondata avviene fra il periodo delle due guerre mondiali fino agli anni Settanta del Novecento. In questo periodo, sempre in Francia, si comincia a riflettere sul limite della prima ondata, ovvero continuare a parlare dell emancipazione femminile partendo sempre dall uomo, dalle categorie maschili. Mary Wollstonecraft, come le altre, sosteneva che la donna sarà emancipata solo quando otterrà il diritto di voto come gli uomini, a quel punto sarà come gli uomini. Quindi implicitamente si continua a sostenere che essere una donna emancipata significa essere uguale all uomo, quindi il termine di riferimento continua ad essere l uomo. A partire da questa svolta culturale si comincia a riflettere sul fatto che non è sufficiente parlare dell emancipazione femminile in termini di uguaglianza con l uomo, ma bisogna cominciare a valorizzare la categoria della differenza (non a caso l Irigaray pubblica il suo testo). Quindi la seconda andata del femminismo comincia a ragionare in termini di differenza, esiste un qualcosa connaturato all essere donna che richiede una tutela particolare che non ha nulla a che vedere con l essere uomo, per esempio la maternità, da questo momento nascono i diritti di genere. Lo slogan più ricordato è che il personale è politico; non è sufficiente solo affermare ciò, ma bisogna riconoscere anche un qualcosa di più perché essere donna non è la stessa cosa di essere uomo, quindi anche nel mondo del lavoro bisogna riconoscere queste differenze. 3. Nella terza ondata riguarda gli ultimi 25 anni ed è indotta da due fattori diversi. Da una parte vi è la trasformazione geopolitica delle relazioni internazionali che porta alla trasformazione delle sovranità nazionali, all affermazione della globalizzazione finanziaria e all incremento della mobilità umana. Dall altra parte vi è la consapevolezza che il femminismo non può essere declinato al singolare, poiché implica molte etnie, colori, nazionalità, religioni. Quindi bisogna pluralizzare la categoria della differenza, tuttavia la questione delle diversità culturali e delle politiche dell identità nella lotta per il riconoscimento ha creato non pochi contrasti all interno del movimento e delle teorie femministe, come emerso nel dibattito su genere e multiculturalismo, inaugurato da Moller Okin; Etica della cura Uno degli argomenti che veniva impiegato per motivare l esclusione del corpo femminile dal dominio pubblico riguardava propriamente i limiti del suo modo di sentire e la sua capacità d intendere. E sarà proprio sulla domanda se esistono o meno un etica e un epistemologia al femminile, date per natura o per cultura, che si impronteranno molti dibattiti del femminismo contemporaneo. Al riguardo come elementi esplicativi si possono prendere in esame due questiono quella della Cura e quella della conoscenza situata. Con Cura indichiamo uno stato emotivo, un attività o una combinazione di entrambi, è quell atteggiamento tipico che la madre ha nei confronti del bambino. In particolare Carol Gilligan ha riflettuto sull importanza della cura come modalità di approccio al mondo della donna. Storicamente delegando la donna all ambito privato a quello domestico, oggi, in una società democratica e dove la donna sia emancipata, quest ultima continua ad occuparsi di tutto ciò. Il problema è secondo tante teorie che tutte queste attività andrebbero retribuite. In quanto, ad esempio, l educazione della prole non è soltanto un qualcosa di privato ma anche un qualcosa di pubblico perché contribuisce alla sua socializzazione. Il discorso della cura non riguarda solamente il rapporto tra madre e figlio, ma la cura può riguardare anche gli animali e anche il mondo. L etica della cura ha portato alla luce un tema fondamentale quello delle relazioni degli esseri umani. La Conoscenza situata parte dall assunto che il processo e il risultato gnoseologico sarebbero sempre determinati dalla particolare prospettiva assunta dal soggetto conoscente. Così il genere diventa una modalità di situazione sociale che influenza la conoscenza e dunque l azione conoscitiva. Il femminismo si è emancipato dalla tradizione liberale, socialista e radicale, indicandone i limiti intrinseci e pensando piuttosto ad una democrazia delle opportunità. Lo stesso concetto di 12

13 emancipazione è stato in parte relegato alla storia del pensiero, dal momento che si intende superare una visione puramente vittimistica delle donne, per affermare piuttosto il loro ruolo di soggetti agenti, liberi e autonomi, che possono essere però discriminati sulla base di genere a causa di sessisti retaggi tradizionali. 1. Parigi, 9 gennaio 1908 Parigi, 14 aprile 1986), è stata una scrittrice, saggista, filosofa, insegnante e femminista francese 2. (Blaton, 3 maggio 1930) è una filosofa, psicoanalista e linguista belga. Attualmente è direttrice di ricerca al CNRS di Parigi settembre 1950, Istanbul, Turchia 4. (Cleveland, 24 febbraio 1956) è una filosofa post-strutturalista statunitense. Si occupa di filosofia politica, etica, teoria letteraria, femminismo e Queer Theory. Dal 1993 insegna al Dipartimento di retorica e letterature comparate all'università di Berkeley, dove dirige il programma di Critical Theory. Tiene lezioni all'european Graduate School. 5. (Denver, 6 settembre 1944) è una filosofa e docente statunitense, capo-scuola della Teoria Cyborg, una branca del pensiero femminista che studia il rapporto tra scienza e identità di genere. 6. (Londra, 27 aprile 1759 Londra, 10 settembre 1797) è stata una filosofa e scrittrice britannica, considerata la fondatrice del femminismo liberale. Sono 4 i principali approcci teorici del femminismo Genealogico-Differenziale (Luce Irigaray) Intersoggettivo-Critico (Seyla Benhabib) Postmoderno-Decostruttivista (Judith Butler) Postumano-Cibernetico (Donna Haraway) 10 ott. Studi Postcolonialismo Negli ultimi 25 anni il mondo del sapere occidentale è stato investito dai cosiddetti studi postcoloniali nel senso che il modo, l autocomprensione che il sapere occidentale aveva di se stesso è stato oggetto di una serrata critica, proveniente dai contesti non occidentali. Tale critica ha portato le varie forme del sapere occidentale a riflettere e ad interrogarsi in maniera critica sul proprio statuto epistemologico, sul modo di strutturarsi e configurare la realtà. Possiamo parlare di un vero e proprio decentramento nel senso che il sapere occidentale, soprattutto in età moderna, ha avuto la presunzione di essere la forma di sapere più importante che il genere umano avesse sviluppato e quindi l occidente si è messo come guida del resto del mondo in vari campi (scientifico, militare, culturale ecc.). In altre parole gli europei sostenevano di avere una missione civilizzatrice nei confronti delle popolazioni non europee. In particolar modo la filosofia politica occidentale ha sempre prodotto un idea di sé come diversa e contrapposta a quella riferita a persone e popoli considerati come diversi. Da questa concezione prende luogo la politica secondo una duplice accezione: 1) Politica intesa come rappresentazione della convivenza umana, sottoposta all interno di precisi confini, dove i cittadini si dotano di proprie leggi; 2) Politica concepita come differenziazione/difesa/attacco rispetto agli estranei, ovvero nei confronti di coloro che non godono dello stesso statuto giuridico. Considerato ciò, si può affermare che gli altri fungono da specchio con una doppia funzione: 10

14 all interno contribuiscono a rafforzare l identità comunitaria del soggetto proferente, verso l esterno inducono a legittimare la propria superiorità intellettuale e potenza militare, fino a giungere all estrema giustificazione dell assoggettamento di altri individui e al sostegno dell espansione territoriale. Un esempio classico di questa dialettica giustificativa fra libertà interna e aggressività esterna può essere rintracciato nel Discorso agli Ateniesi (si trova all interno delle Storie di Tucidide) pronunciato da Pericle che tenne appunto agli ateniesi nella guerra contro il Peloponneso, dove reclamava una differenza del popolo ateniese rispetto all altro, caratterizzato dal fatto che Atene fosse una democrazia. Inoltre l uso strumentale dell idea di libertà politica e della nozione di superiorità culturale dell Occidente sono stati i punti cardini del colonialismo -conquista e controllo di terre e di beni come sfruttamento di risorse umane e materiali- di ogni tempo. Tuttavia una concettualizzazione vera e propria del colonialismo si ha solo nella modernità, quando con la scoperta dell America il colonialismo occidentale assume una nuova concezione, ovvero definire le altre popolazioni come selvaggi e quindi schiavizzabili. La critica del colonizzato trova la sua origine sia all interno dell Occidente, sia nei Paesi colonizzati, soprattutto con la fine delle guerre di liberazione nazionale (Guerre Mondiali). Intorno alla fine degli Sessanta all interno dei paesi industrializzati viene a svilupparsi un nuovo filone di ricerca, che abbiamo già denominato come Studi Postcoloniali dove viene messo al centro colui che stava in periferia ed isolato nelle colonie e gli viene attribuito un valore gnoseologico. In realtà questo discorso, cui ci portano gli studi postcoloniali, è un discoro antico, perché ci riporta al problema dell alterità cioè al rapporto con l altro. Nel novecento entra in discussione il concetto di soggetto per come la filosofia moderna l aveva rappresentato, ovvero il soggetto razionale, bianco europeo e tutti gli altri devono raggiungere gli standard culturale e filosofici del soggetto europeo. A partire dalla crisi degli imperi coloniali comincia quest opera di decentramento culturale e ci si rende conto che in realtà l uomo bianco non è l unico standard e neanche l unico modello che noi dobbiamo tenere in considerazione quando affrontiamo una serie di tematiche. La costruzione e la contrapposizione all altro è costitutivo della nostra identità. Il problema è come costruiamo questa differenza rispetto all altro; perché la differenza può essere finalizzata alla pace, alla tolleranza, all apologia della differenza o può essere declinata in senso violento o in senso di annientamento dell alterità. La critica che gli studiosi postcoloniali fanno all occidente è che il rapporto con l alterità è sempre stato declinato in termini di violento, ovvero non vi è un riconoscimento della dignità dell altro. Questo tema emerge con forza anche in età moderna: ad esempio, Montesquieu, oltre allo spirito delle leggi, scrive le Lettere ai persiani, una sorta di romanzo dove l autore critica la Francia, del suo periodo, assumendo il punto di vista di due persiani che si recano alla corte del re francese. In questo romanzo vi è un passaggio interessante in cui i due persiani interrogati da alcuni cittadini francesi, gli viene posta la domanda ma come si fa ad essere persiani?. Con questa domanda Montesquieu ci vuole far riflettere sul fatto che aprirsi realmente nei confronti dell alterità è un qualcosa di difficile, perché dobbiamo riuscire a liberarci dai nostri pregiudizi e dalle nostre ideologie, rappresentate appunto dalla domanda come si fa ad essere persiani. Inoltre la globalizzazione, facendo saltare tutte le barriere costruite negli anni, ha fatto si che non vi è più questa netta differenza tra primo, secondo e terzo mondo; infatti oggi possiamo trovare quella povertà, che prima veniva connotata solamente ai paesi del terzo mondo, anche nei paesi del primo mondo. Tutto ciò è importante perché molti studiosi di questi studi postcoloniali, in realtà sono dei pensatori ibridi nel senso che: da un punto di vista biografico sono nati spesso in società non europee, studiano, però, in occidente (si formano con i saperi occidentali), poi ritornano nei paesi d origine e cercano di utilizzare le forme acquisiste dal sapere occidente ritorcendole contro l occidente. A questo punto possiamo discutere di alcuni importanti autori che si sono distinti in questi studi Postcoloniali. 11

15 Frantz Fanon 1 Uno dei primi autori è stato per esempio Fanon. Quest ultimo ha denunciato una serie di idee della mentalità razzista occidentale. In particolar modo ha ragionato sulla definizione di negro. Nel noto saggio Pelle nera maschere bianche del 1952, Fanon afferma che il negro è un soggetto che non può essere assimilato, ovvero non può essere pienamente cittadino europeo perché l ideale di cittadinanza, tipica del cittadino medio europeo, era legato al jus sanguinis (la convivenza viene permessa grazie ad una omogeneità fisica fra gli appartenenti). Come scrive Fanon l europeo ha un idea preconcetta del negro, ovvero che la sua fisicità rimane un scandalo e la sua diversità epidermica non può essere né cancellata, né negata. Tuttavia il negro non viene solo violato in territori altri rispetto alla sua origine culturale, bensì nei luoghi stessi in cui è nato. Edward Said 2 Uno degli studiosi più importanti è lo scrittore palestinese Edward Said, il quale ha parlato di un vero e proprio progetto culturale dell occidente dove gli imperi coloniali non erano solo una forma di dominio militare ed economico, ma rappresentavano, soprattutto, un dominio culturale perché: gli europei arrivavano nei paesi oggetto della colonizzazione, modificano le loro culture estirpando tutte quelle culture pagane e considerate sbagliate rispetto alla Verità, che era rappresentata dalla religione cristiana e dalla scienza, ed infine sottomettevano le popolazioni. Un ruolo importante in questa storia l ha svolto la disciplina antropologica, lo scrittore palestinese Said ha scritto un testo interessante dove affronta lo statuto epistemologico dell antropologia. L antropologia, secondo Said, è una disciplina che ha portato acqua al mulino del concetto culturale dell occidente, perché gli antropologi erano soggetti che andavano verso altre culture, facevano una serie di resoconti, poi tornavano nella madrepatria e diffondevano i resoconti delle altre comunità, contribuendo quindi all idea che l occidente fosse civilizzato perché: retto dalla religione cristiana, in contrapposizione a tutte le altre religioni; titolare della democrazie, mentre nelle altre società vi era un regime monarchico o dittatoriale; caratterizzato dalla scienza. Quindi secondo Said l antropologia è stata una delle maggiori responsabili di questo progetto culturale occidentale. Nel 1976 Said pubblica l Orientalismo. Said rappresenta l Orientalismo come la rappresentazione dell oriente che si è fatto l occidente. Quindi l orientalismo non è una descrizione dell identità dell oriente, cioè di ciò che noi definiamo oriente, ma è il termine per indicare la rappresentazione dell occidente che si è fatto dell oriente. Il punto su cui Said vuole attirare l attenzione è che sono stati in primo luogo gli intellettuali occidentali ad incrementare questa raffigurazione, soprattutto i grandi filosofi dell età moderna; ad esempio nella raffigurazione di Hegel dove l Europa rappresenta la punta di diamante del gene umano. Quando nell ottocento comincia la costruzione degli imperi coloniali, o meglio cominciano ad arrivare sempre più notizie di queste popolazioni asiatiche, tutti gli autori dell età moderna cominciano a riflettere su quale tappa della storia del gene umano queste popolazioni ricadono e sono tappe intermedie rispetto alla razionalità rappresentata, appunto, dal popolo occidentale. Quindi si legge la storia di questi paesi a partire dal nostro grado di sviluppo e non dal loro. Il testo di Said viene molto criticato perché secondo alcuni rischiava di ricadere nello stesso errore che denunciava, perché se noi diciamo che l orientalismo è la raffigurazione dell oriente che si è fatto l occidente, stiamo anche noi parlando in primis di occidente. Al contrario molti studiosi (il primo Montesquieu prova a mettere in discussione i criteri di verità della società in cui vive) affermano che in realtà già nell occidente sono nati storicamente tutta una serie di movimenti che hanno denunciato questo abuso culturale dell occidente stesso. Dipesh Chakrabarty 3 Non meno importante, tuttavia, è la scuola dei Subaltern Studies indiani, la quale esponente più importante è Chakrabarty. Quest ultima nel volume Provincializzazione dell Europa ha rilevato 12

16 come il colonialismo occidentale abbia prodotto i suoi effetti più distruttivi non solo sul piano concreto, storico e politico, ma anche su un piano più astratto, relativo alle idee, alla loro storia, alla percezione del tempo e dello spazio. A questo proposito, Chakrabarty propone la ricerca di una soggettività propria e autonoma di quei soggetti che hanno subito il dominio coloniale. In questa direzione si muove la sua proposta di una provincializzazione dell Europa, ovvero respingere la centralità che il mondo occidentale ha sempre preteso. Subalterno, differenza e ibridità Fra i concetti-cardine degli studi postcoloniali si possono considerare tre principali nozioni: 1. idea di subalternità il concetto di subalterno (origine gramsciana) si riferisce a colui/colei che si trova in una situazione di assoggettamento e nell impossibilità di esercitare appieno la propria libertà. Gramsci, nella sua interpretazione del marxismo, immagina che la battaglia non è solamente da un punto di vista economico, la lotta di classe, ma vi è sicuramente una lotta per un egemonia di tipo culturale; tutti coloro che non sono egemoni da un punto di vista culturale sono subalterni. I teorici postcoloniali si rifanno a Gramsci piuttosto che a Marx, perché il concetto fondamentale di Marx è il proletariato; qual è l anello debole secondo Marx nella società? Il proletario, in contrapposizione con i borghesi. Però Marx studiava soprattutto la società inglese della rivoluzione industriale, dove per la prima volta si costituisce la classe proletaria. Tuttavia soggetti che vivono in realtà diverse non sanno che farsene della categoria del proletario perché non esiste il proletario. Quindi la categoria di subalternità di Gramsci è più ampia rispetto alla classe del proletariato di Marx; 2. idea di differenza per spiegare questo concetto prendiamo in considerazione Anja Loomba 7 che cerca di analizzare la questione della differenza sotto molteplici punti di vista. L autrice considera innanzitutto la differenza storica esistente tra epoca coloniale ed età postcoloniale, caratterizzata, quest ultima, dal definitivo divenire-uno del mondo, per via dei continui processi di globalizzazione. In tal senso, l aggettivo postcoloniale indica una situazione che si caratterizza per un immediato riferimento al mondo come orizzonte unitario, seppur differenziato. Inoltre, una delle caratteristiche più interessanti e originali del testo di Loomba riguarda l attenzione dedicata alla differenza sessuale, in particolar modo alla lotta delle donne nere: per richiamare l attenzione sulla loro posizione complessa, le femministe nere e postcoloniali hanno dovuto sfidare sia i pregiudizi razziali tra le femministe, sia la cecità nei confronti della differenza fra i sessi dei movimenti antirazzisti e anticoloniali. (Loomba) 3. idea dell ibridità un altra categoria importante è quella di ibridità perché ci aiuta a demolire un altro stereotipo dell età moderna, ovvero l idea di soggettività (identità chiusa in se stessa). Con l ibridità viene combattuto anche un altro stereotipo che è il concetto di cultura intesa come entità chiusa in se stessa. Su questa linea si muove Achille Mbembe 8 che nel testo On the Postcolony critica i cosiddetti esperti in questioni africane che analizzano realtà culturali diverse dalle loro a partire da costrutti plasmati sul modello della civilizzazione occidentale. Tale approccio, tuttavia, mostra limiti evidenti perché gli esperti occidentali col loro limitato bagaglio categoriale non riescono a comprendere espressioni umane soggettive, cioè specificità antropologiche e culturali fondamentali per studiare individui e gruppi umani, nel caso africano non riescono a cogliere le variabili che caratterizzano la realtà sociale africana. Inoltre Mbembe afferma che non esiste un omogenea cultura africana, così come non esistono culture singole e autentiche. Tutte le culture sono contaminate da altri fattori e 13

17 influenze, come ricordava il teorico della società aperta Karl Popper 4 : una cultura chiusa non è mai esistita. Un altro studioso africano molto importante è Valentin Mudimbe 5, il quale ha scritto un testo molto interessante che si intitola l invenzione dell Africa. In questo testo l autore afferma che in realtà non esiste quest Africa di cui parlano gli occidentali, perché anche il concetto di Africa è una costruzione, quindi è necessario, secondo questi autori, provare a rivitalizzare le culture autoctone che sono state storicamente subordinate a questa narrazione dominante che è quella dell occidente. Nel caso specifico di Mudimbe, egli sostiene che siano stati soprattutto i missionari cristiani ad operare in Africa questa sottomissione culturale, perché i missionari, sostanzialmente, arrivavano presso queste comunità locali e deridevano le religioni animiste considerate pagane o addirittura considerate come il diavolo e quindi come un qualcosa che bisognava estirpare e diffondere, invece, la verità che per loro coincide con l annuncio cristiano; ed è quindi il legame tra religione e verità che è stato il principale veicolo di questa logica violenta. Quest ultimo è un altro tema che anche oggi ritorna spesso nei dibattiti, ovvero come può un soggetto, per esempio religioso, ma non soltanto, che ha un idea forte di verità riuscire a rispettare gli altri? Essere tollerante nei confronti degli altri? Se noi riteniamo di essere portatori della verità significa che gli altri sono nell errore, quindi è ovvio che se gli altri sono nell errore io ho il compito di combattere l errore e di evitare che si diffonda. Questo è il tipico atteggiamento che avevano gli europei. Infatti essi andavano nelle altre popolazioni e distruggevano tutto ciò che non corrispondeva ai criteri morali e cognitivi occidentali. Tutti questi autori ci portano a riflettere sul concetto di stereotipo. Lo stereotipo è un concetto che è stato introdotto nelle scienze sociali da Walter Lippman 6. Quest ultimo sostiene che il concetto di stereotipo ha una funzione utile perché possiamo utilizzarlo come sinonimo di ideologia, nel senso che la nostra conoscenza nei confronti della realtà non è mai una conoscenza neutrale perché è sempre filtrata dai nostri schemi conoscitivi, da ciò che noi siamo, dalla nostra storia e dalla nostra formazione culturale ecc., siccome la realtà è molto complessa non riusciamo a controllare tutte le informazioni che noi riceviamo, lo stereotipo ha una funzione fondamentale che è quella di semplificare la realtà. Tramite gli stereotipi noi concettualizziamo la realtà. Il problema è che gli stereotipi, però, agiscono a livello non razionale spesso e volentieri, ovvero noi senza rendercene conto adoperiamo degli stereotipi per esempio quando ci rapportiamo agli altri. Quindi da un lato hanno una funzione positiva che è quella di aiutarci a ridurre la complessità della nostra esperienza, ma contemporaneamente può avere una funzione negativa perché ci porta a bloccarci e ad avere dei preconcetti (nel senso negativo del termine). Quali sono alcune delle battaglie teoriche che questi studiosi, per esempio, portano avanti? Innanzitutto vi è una ridefinizione del lessico, tutta una serie di termini che sono caratteristici della filosofia e della cultura occidentale vanno rivisti, perché non possono più funzionare in contesti non occidentali, soprattutto se siamo interessati a smontare questi stereotipi di cui parlavamo prima. Ad esempio il concetto di soggetto, per come è stato inteso in età moderna, coincide con il soggetto bianco che va chiaramente contestualizzato in tutti gli ambiti, così come il concetto di donna. In sintesi è la categoria della differenza che diventa fondamentale. Quindi se da un punto di vista teorico vogliamo provare a fare un discorso sistematico su quali siano le richieste di questi autori postcoloniali possiamo individuare alcuni nodi concettuali: 1. anticolonialismo cioè il colonialismo occidentale non è stato solamente un imposizione economica e militare ma anche di tipo culturale; 2. anti-eurocentrismo non vi è nessun attore principale della storia e tutti gli altri popoli sono subalterni; 3. decentramento della cultura occidentale; 4. attenzione alle popolazioni marginali dobbiamo tenere conto delle popolazioni locali che non si identificano con l élite; 14

18 5. religione visto come un fattore negativo; 6. contro storia bisogna imparare a scrivere narrazioni diverse rispetto a quelle tradizionali. Quindi non lo stoicismo europeo, ma abbiamo a che fare con storie diverse. Gli approcci postcoloniali si misurano con correnti di pensiero già studiate precedentemente: teorie di genere condividono l analisi del dominio sessuale, culturale e politico; multiculturalismo condividono l analisi delle pluralità identitarie, intese come costrutti mobili e non essenzialisticamente determinati, ovvero come un insieme di differenze e diversità; biopolitica entrambe possiedono un idea pervasiva e diffusa del potere come un attività che connota lo stesso corpo del soggetto assoggettato, ovvero del subalterno a cui non è data voce. Sebastiano Maffettone, uno dei filosofi politici più importanti, ha scritto un articolo dove muove una serie di critiche teoriche contro il paradigma postcoloniale e soprattutto individua un punto interessante: molti di questi autori postcoloniali incarnano la cosiddetta categoria dell ibridità, il problema di questi autori è che si servono di strumenti concettuali elaborati dall Europa pur criticandoli. 1. (Fort-de-France, 20 luglio 1925 Bethesda, 6 dicembre 1961) è stato uno psichiatra, scrittore e filosofo francese, nativo di Martinica e rappresentante del movimento terzomondista per la decolonizzazione. 2. (Gerusalemme, 1º novembre 1935 New York, 25 settembre 2003) è stato uno scrittore palestinese naturalizzato statunitense. Anglista, docente di inglese e letteratura comparata alla Columbia University, teorico letterario, critico e polemista, è particolarmente noto per la sua critica del concetto di Orientalismo. 3. (Nato il 15 dicembre 1948, Kolkata) è uno storico, che ha anche contribuito alla teoria postcoloniale e studi subalterni. Egli è il Lawrence A. Kimpton Professor Distinguished Service in storia presso l'università di Chicago, ed è il destinatario del premio 2014 Toynbee, che prende il nome il professor Arnold J. Toynbee, che riconosce gli scienziati sociali per i contributi accademici e pubblici significativi per l'umanità 4. (Vienna, 28 luglio 1902 Londra, 17 settembre 1994) è stato un filosofo e epistemologo austriaco naturalizzato britannico. Popper è anche considerato un filosofo politico di statura considerevole, difensore della democrazia e dell'ideale di libertà e avversario di ogni forma di totalitarismo. Egli è noto per il rifiuto e la critica dell'induzione, la proposta della falsificabilità come criterio di demarcazione tra scienza e non scienza, la difesa della "società aperta". 5. (Nato l'8 dicembre 1941 Jadotville, Congo Belga) è un congolese filosofo, professore e autore di poesie, romanzi, oltre a libri e articoli sulla cultura africana e la storia intellettuale. 6. (New York, 23 settembre 1889 New York, 14 dicembre 1974) è stato un giornalista e politologo statunitense agosto 1955, Delhi, India, è un critico letterario indiano. Lei è l'autore di critica postcoloniale e lavora come professore di letteratura presso l' Università della Pennsylvania. 8. è un filosofo camerunese, con PhD alla Sorbonne considerato uno dei più importanti teorici del post-colonialismo viventi. Si occupa di storia africana, politica africana e scienze sociali. Wikipedia. Data di nascita: 1957, Regione Centrale, Camerun 12 ott. IL MULTICULTURALISMO Il multiculturalismo o anche inteso come comunitarismo riguarda la societa in cui viviamo. A partire dagli anni '80, alcuni filosofi comunitaristi negli Stati uniti, incominciarono a criticare il paradigma dominante ovvero quello liberale, uno tra questi fu Charles Taylor 1 di origini canadesi. Vivendo in Canada, Taylor fu particolarmente attento ai conflitti tra comunita linguistiche differenti come quella anglofona e francofone, ponendo dei problemi in merito all'ordinamento giuridico. Taylor e stato considerato come uno dei fautori piu originali del consolidamento teorico-politico della tradizione pragmatistica. Senza questa specifica attenzione alla nozione di self, non si possono capire i riferimenti del filosofo canadese alla molteplicita delle identita che coesistono all interno di societa dette multiculturali, e alle tematiche politiche piu dirette. L identita come self indica un insieme di ruoli e di lealta che ci rendono così come siamo in un processo dinamico e intersoggettivo di costruzione della nostra personalita e dei legami che ci rendono soggetti di interlocuzione. In concetto di self indica così l insieme delle caratteristiche (qualitative, modali e funzionali), in cui ci si riconosce a seconda di situazioni, contesti e vincoli. Secondo il paradigma liberale lo Stato deve attribuire eguali diritti e doveri a tutti i cittadini, al di la delle loro differenze di 15

19 religione, culturali e sessuali quindi lo stato deve essere neutrale dinnanzi a tutti i cittadini e sara compito di ogni cittadino utilizzare le risorse messe a disposizione dallo stato. Secondo l'approccio dei filosofi multi culturalisti, l'approccio liberale e riduttivo, non e sufficiente trattare tutti in modo uguale, come avveniva per il femminismo dove le differenze si delinearono in base alla storia di ogni donna. Lo stesso discorso si puo fare per le culture dove ci sono delle minoranze, poiche una societa non e considerata giusta solo quando l'ordinamento giuridico garantisce pari diritti a tutti i cittadini. In questo modo l'evento culturale, ovvero la cultura dove ognuno di noi nasce, non potrebbe essere davvero valorizzata o discriminata. I multi culturalisti (o comunitaristi), a partire dagli anni '80, hanno incominciato ad avviare tutta una serie di battaglie culturali, ideologiche e politiche atte a far riconoscere tutta una serie di diritti e riconoscimenti per le minoranze culturali, linguistiche, etniche e religiose. Questo dibattito nel mondo della filosofia politica e durato per circa 25 anni, fino ad arrivare ai giorni d'oggi, finendo per esaurirsi nel momento in cui vi fu una sorta di riavvicinamento tra liberali e comunitaristi. Quest'ultimi hanno avuto un cambiamento, nel senso che il problema non era tanto meno quello di superare l'approccio liberale per quel che riguarda le minoranze, ma piuttosto di completare il paradigma liberale. Tra i vari filosofi liberali, va citato Will Kymlicka 2, il quale sostiene che il liberalismo deve essere multiculturale e il multiculturalismo deve essere liberale, nel senso che la societa puo essere liberale soltanto se garantisce alcuni principi, in ordine alla preservazione della diversita culturale e se fa delle azioni nei confronti di questa diversita. Kymlicka individua tre fattori fondamentali: 1. in alcune comunita come quella Americana esistono delle comunita indigene a cui e stata sottratta la terra (come in Sud America e in Africa), lo stato essendo liberale deve riconoscere alle minoranze il diritto alla gestione della terra riconoscendo quindi la loro diversita. 2. Uno stato liberale deve riconoscere le varie autonomie regionali, garantendo la sopravvivenza delle differenze linguistiche e dando la possibilita di tenere la propria lingua come quella ufficiale. 3. Una societa per essere veramente liberale deve essere accogliente nei confronti degli immigrati, poiche una societa che vuole essere aperta nei confronti delle minoranze deve essere attenta a garantire l'accoglienza agli immigrati. Kymlicka, quindi ci da una spiegazione finale del dibattito che per anni ha visto contrapposti liberali e multi culturalisti in tema di diversita. La societa se vuole essere liberale deve essere attenta a rispettare i tre punti. Il linguaggio non e uno strumento neutrale, ma oltre a distinguere la realta ci serve anche a dare forma alla realta, ha una funzione normativa, deve dare spiegazione della nostra esperienza e deve mettere in relazione comunita aventi lingue e culture diverse. Va ripreso per 16

20 tanto il concetto di cultura, inteso in prima analisi come cultura statica, ovvero ogni cultura (es. Quella italiana, inglese, francese, ecc.) e chiusa in stessa ed esistendo tali culture lo stato cerca di preservarle ( gli immigrati devono rispettare le culture dei paesi dove si trasferiscono). Questo concetto di cultura e un concetto abbastanza ingenuo, in quanto le culture servono a relazionare come ad esempio e stato il caso dell'italia, dove storicamente vi fu incontro continuo di culture, pertanto la cultura non puo essere statica ma e in continua evoluzione e una realta in divenire. Un discorso simile va fatto per il concetto di identità, molte volte si pensa a tale concetto come qualcosa di chiuso, ma anche esso e continuamente in evoluzione, l'uomo essendo perennemente in contatto con altri uomini crea delle relazioni. Le relazioni possono essere aperte, chiuse, tolleranti o conflittuali, ma la creazione della nostra identita e soggezionata da diverse credenze, opinioni e realta calate all'interno di una prassi linguistica dove vi e la presenza di piu attori: la famiglia nucleare di appartenenza, i gruppi a cui apparteniamo, la classe sociale, il sindacato a cui si appartiene e la chiesa che frequentiamo, pertanto siamo identita calate in diverse reti di comunicazione che rendono la nostra identita plurale. Il primo filosofo a trattare tali concetti fu il tedesco Ernest Cassirer 3, secondo il quale i concetti di cultura e di nazione sono concetti di relazione che producono un senso. Se facciamo riferimento alla cultura italiana, dice Cassirer, facciamo riferimento a una certa situazione storico geografica, dove all interno i soggetti accettano un insieme di valori condivisi. Questa costruzione simbolica e in divenire, non e una cosa statica ma che si evolve nel tempo. Per Cassirer quindi, i concetti di cultura, nazione ed identita sono concetti di relazione. Ritornando al concetto di identita, sorgono alcune domanda del tipo, possono esistere identita non riconosciute dalle autorita? Possiamo essere realmente noi stessi se non siamo riconosciuti dagli altri? Potremmo rispondere dicendo che siamo noi stessi perche sappiamo di essere diversi dagli altri, ma e sufficiente questo passaggio? O c e di bisogno di un riconoscimento formale da parte dell altro? Il riconoscimento da parte dell altro e un passaggio fondamentale per il riconoscimento della propria identita personale, non a caso durante gli anni 90 tutta una serie di autori, riprendendo le ideologia di Hegel, incominciarono a ragionare sulla categoria del riconoscimento. Non basta essere consapevoli della propria diversita ma e fondamentale il riconoscimento formale da parte degli altri soggetti, diventando un passaggio fondamentale nella costruzione dalla propria identita personale. Si entra pertanto nella dinamica sociale e soprattutto politica, non a caso si fa riferimento teorico ad Hegel, secondo il quale, un passaggio fondamentale e la lotta servo padrone : il servo diventa tale nella lotta con il padrone e viceversa il padrone diventa tale nella lotta con il servo. Alla fine della lotta il padrone vince e ottiene lo status di padrone, ovvero uno status riconosciuto dall altro, quindi il riconoscimento non per forza avviene in modo pacifico, anzi molto spesso e conseguenza di un conflitto violento. Un soggetto viene riconosciuto nella propria alterita dagli altri a seguito di un conflitto, se lo vince, gli verra riconosciuta una posizione di superiorita, se lo perde dovra riconoscere al soggetto vincitore una superiorita. Il conflitto sociale, secondo molti autori si instaura perfettamente così, ovvero come lotta per il riconoscimento. Le societa si evolvono dal punto di vista morale, perche gruppi diversi combattono per imporre i propri valori, proprio come affermava Nietzsche secondo cui i valori non hanno una propria consistenza ontologica, i valori non esistono come esistono gli oggetti nel mondo reale di cui possiamo avere una percezione sensibile, ma i valori sono cose che noi imponiamo agli altri a seguito di una lotta storica. Anche il Marxismo aveva questa ideologia, secondo cui i valori sono imposti dalla classe dominante, ovvero la classe proletaria che, secondo Marx si sarebbe dovuta imporre fino a affermare i propri valori su tutta la societa. I valori pertanto, sono frutto di una lotta storica, anche i valori delle minoranze sono conseguenza di una lotta, come ad esempio furono l affermarsi dei diritti delle donne come conseguenza di conflitti storici. Le donne si sono guadagnate un riconoscimento all interno dello spazio pubblico, che in passato era accessibile solo all uomo. Un altra autrice Jessica Benjamin 4, afferma che il riconoscimento da parte degli altri, non e qualcosa che arriva ex post cioe dopo, ma e qualcosa che e costitutivo, io non esisto solo dopo che vengo riconosciuto, cambia solamente la mia identita (prima solamente come essere umano e dopo che mi relaziono e vengo riconosciuto, divento un 17

21 nuovo me stesso). Il fatto di nascere non implicava un riconoscimento in passato (come avveniva nel diritto romano dove si doveva essere formalmente riconosciuto per non essere sottoposti alla pratica dell infanticidio). Il riconoscimento e frutto di una costruzione culturale, oggi essendo nati dopo la convenzione dei diritti dell uomo e del cittadino, diamo tutta una serie di diritti per scontato (diritti alla nascita come diritto al nome), mentre in altre societa diverse dalla nostra non e cosi. Nell evoluzione storica il concetto di riconoscimento e importante perche ci aiuta non soltanto ad immaginare ma anche a capire che le culture, le nazioni, le identita non sono statiche ma che per la loro affermazione vi sono state delle vicende conflittuali, necessarie per la affermazione delle loro identita e per far si che riconoscano e si rispettino tra di loro. Il concetto d identità di gruppo, e un espressione preferibile rispetto a quella d identità collettiva, espressioni che molte volte vengono utilizzate come sinonimi. E piu importante parlare di identità di gruppo perche dal punto di vista politico facciamo riferimento a un dato importante, ovvero che all interno vi sono i singoli individui che compongono il gruppo, mentre se si utilizza l espressione di identità collettiva facciamo riferimento a una sorta di visione olistica, per cui esiste un identita collettiva che ha una sorta di precedenza ontologica rispetto ai gruppi di appartenenza. E piu importante quando si parla di cultura (ovvero all interno del dibattito sul multiculturalismo), utilizzare l espressione identita di gruppo sia da un punto di vista descrittivo che da un punto di vista normativo, poiche se si comincia a ragionare in termini di gruppo e in termini di soggetti che lo costituiscono, si incomincia a riflettere sul fatto che non esistono queste unita olistiche per come spesso vengono immaginate, (cultura italiana, pagana, cinese, siciliana, ecc.), ma esistono i soggetti che ne fanno parte avendo una determinata cultura. Un altro concetto su cui riflettere e quello di minoranza, anch esso non e un concetto statico, ma e un concetto di relazione. La minoranza puo essere identificata, non tanto come un insieme territoriale, ma come un concetto di relazione su cui far confluire un certo numero di persone che pensano in maniera differente rispetto alla maggioranza (per esempio sul tema della morale). Esistono tutta una serie di valori riconosciuti dalla maggioranza su un territorio e chi non la pensa alla stessa maniera fara parte della minoranza, che non e fissata dal punto di vista etnico-raziale come spesso si pensa, ma piuttosto da scelte che gli stessi cittadini fanno e pertanto anch essa e un concetto relazionale. Come diceva Giovanni Sartori, gli immigrati che arrivano in una nuova nazione, acquistando la cittadinanza sposando tutta una serie di valori dettati dalla stessa nazione. Bisogna attribuire al concetto di minoranza un accezione non statica ma di relazione perche potremmo ritrovarci soprattutto in ambito politico, a discriminare una categoria di soggetti che non la pensa come la maggioranza e si tende pertanto a etichettarli come minoranza per escluderli. E sul terreno dei valori che possiamo discernere una minoranza da una maggioranza di soggetti. Tutti questi discorsi vengono affrontanti, perche se noi guardiamo come negli ultimi 30 anni l occidente si e posto nei confronti delle minoranze etnico, linguistiche e religiose, emergono due modelli principali: 1. Dell integrazione nazionale 2. Delle tessere a mosaico Il primo modello promuove l ideale della fusione simbolica delle identita di tutti gli individui, che sono o aspirano a divenire cittadini, entro una medesima cornice costituzionale e in nome della condivisione dei principi e delle norme fondamentali a cui il patto costituzionale si ispira; gli stili, le pratiche e i valori condivisi dalle comunita di origine dei singoli vengono confinati nella sfera privata. Per capire meglio il modello dell integrazione nazionale va preso come riferimento il caso francese e della sua laicita. Esiste uno spazio pubblico, a disposizione del cittadino ed esiste uno spazio privato. Per quel che riguarda lo spazio pubblico, i cittadini al suo interno devono essere tutti uguali, mentre nello spazio privato i cittadini possono dare libero sfogo alle proprie differenze (sessuali, religiose, culturali, ecc.). E evidente che vi e una netta separazione tra spazio pubblico e privato, nella sfera pubblica si e tutti uguali e subordinati alla legge e all ordinamento giuridico francese, mentre nello spazio privato vengono manifestate le diversita. La Francia quindi e un esempio perfetto per spiegare il modello dell integrazione nazionale, in quando lo stato e molto rigido su questa separazione, tanto che nel 2005 e stata varata una legge che vieta di portare simboli religiosi in luoghi pubblici in nome dell uguaglianza dei cittadini. Il 18

22 secondo modello si basa 19

23 sulla giustapposizione rigida e statica fra micro-entita comunitarie, considerate come se fossero tasselli diversi di un unico disegno, ma separati e autosufficienti. Il modello delle tessere a mosaico e rappresentato dalla Gran Bretagna, nel quale non solo non si richiede una netta separazione tra sfera pubblica e privata, ma soprattutto dopo una serie di politiche, hanno creato nelle citta tutta una serie di mosaici ovvero dei quartieri, destinati alle varie minoranze garantendo così usi, costumi e le proprie regole. In entrambi i modelli sono presenti delle problematiche differenti, nel caso del modello francese l integrazione nazionale rappresenta qualcosa di troppo radicale, a causa del concetto di laicita delle istituzioni e della sfera pubblica portando a mortificare le differenze. Dopo la riforma del 2005, le comunita minori in Francia, come ad esempio la comunita musulmana, ha criticato fortemente il governo francese, poiche molte donne musulmane non erano intenzione a non portare il velo nei luoghi pubblici, portando a un effetto contrario di quello che l integrazione si era prefissata, ovvero imponendo dei comportamenti discriminanti verso le minoranze religiose. Interpretare un modello di integrazione in maniera così radicale come in Francia, finisce per poter mortificare le comunita minoritarie a causa delle loro differenze. Vi sono inoltre altre proposte di legge provenienti da politici della sfera socialista, volte a porre modifiche in campo degli obbiettori di coscienza. Secondo questi politici, se un medico lavora in una struttura pubblica non puo essere obbiettore di coscienza, perche se la legge consente l interruzione volontaria di gravidanza, il medico non puo opporsi a tale norma, a meno che non lavori in strutture ospedaliere private religiose (ad esempio cattoliche), contrarie a all interruzione volontaria di gravidanza. Così facendo gli stessi medici obbiettori di coscienza affermano che così facendo venga ad essere leso il proprio diritto all obbiezione di coscienza, un diritto che costituzionalmente gli e riconosciuto, per evitare una proposizione di etica di stato che e esattamente l opposto del liberalismo, ovvero di uno stato che e neutrale rispetto alle differenze. Questa idea paradossalmente porterebbe a una lesione della liberta individuale in termini di liberta di coscienza, perche se lo stato chiedendo a tutti di essere uguali, impone la propria etica di stato. Per quel che riguarda l esempio del modello a tessera a mosaico presente in Gran Bretagna, il pericolo e quello di vedere implementare politiche, volte a disgregare la societa anziche di creare un collante, ovvero il famoso mosaico. In Inghilterra a partire dal 1996, alcune comunita come quella ebraica o musulmane, nell ambito dei diritti matrimoniali possono fare riferimento alla shaaria o alla legge ebraica, riconoscimento che lo stato fa ad alcune minoranze. Possono derogare rispetto all ordinamento inglese, forme di diritti matrimoniali diversi. Tutto cio rispetto al paradigma liberale e abbastanza discutibile, ci sono tutta una serie di problematiche diverse che si possono venire a creare introducendo elementi di questo tipo, ad esempio nel mondo musulmano se si da la facolta di sposarsi secondo la shaaria, le donne per cultura non potranno avere una vita in relazione con altri, non potranno studiare, dovranno stare chiuse a casa e di conseguenza non si da a loro possibilita di scelta se fare riferimento al diritto della shaaria o al diritto inglese e quindi di fatto vi e discriminazione, poiche essendo il diritto musulmano a favore degli uomini, si finirebbe per discriminare le donne, senza che la polizia, la magistratura possano fare niente in merito. Questa concezione di integrazione porta a creare dei ghetti, dove i soggetti deboli (come le donne), possono essere discriminati, perche non potrebbero avere la possibilita effettiva di opporsi alla volonta di altri gruppi. Bisogna incomincia a capire come interpretare questa societa multiculturale in cui oggi viviamo, non solo come dato di fatto ma soprattutto come programma politico. Habermas nella meta degli anni 90, ebbe un dibattito con Taylor, portatore degli ideali della comunita francofona in conflitto con quella anglofosa in Canada, cogliendo un aspetto interessante. Habermas sottolinea il rischio che c e nel parlare di identita collettiva, poiche se si parla di identita collettiva si finisce per operare una sorta di reificazione di un concetto, si attribuisce una consistenza ontologica come se esistesse ugualmente un qualcosa che e la comunita (musulmana, francofona, siciliana ecc), arrivando a un pericolo. Con questo genere di approccio, se noi riteniamo che la societa multiculturale debba riconoscere pari dignita a tutte le credenze che esistono, il rischio e che quando questi gruppi opprimono alcune minoranze (come ad esempio la donna nella comunita musulmana), non vi sono soluzioni al problema. Stiamo concedendo una superiorita ontologica alla identita collettiva rispetto al singolo, esistono i diritti 20

24 dei cittadini musulmani e non i diritti delle donne musulmane, non e una differenza di poco conto. Uno stato liberale riconosce pari diritti e doveri a tutti i cittadini a prescindere dalle differenze culturali, religiose ed etniche, mentre in ottica multi culturalista, si vorrebbe che lo stato garantisse diritti alle comunita, intese come entita olistiche ( esiste la comunita musulmana, se poi esistono poche o molte persone non e importante) quasi come soggetti giuridici. Habermas afferma che tale situazione e abbastanza rischiosa, perche nel caso in cui avremo a che fare con comunita minori che opprimo soggetti ritenuti inferiori come donne e bambini, come si potra tutelare tali individui considerati all interno stesso delle comunita a cui lo stato garantisce pari diritti e doveri? Proprio per questo motivo lo stato liberale offre pari diritti a tutti i cittadini e non ai gruppi o entita collettive, quindi si potra tutelare tutti solo quando a ogni cittadino verranno garantiti diritti inalienabili. Se invece si attribuiscono diritti alla collettivita, si crea un cortocircuito e una conseguenza pure piu profonda dice Habermas, perche si continua a vedere le culture in maniera statica ed essenziale, avendo un atteggiamento quasi da WWF, dove lo stato garantendo le differenze, gli riconosce vari diritti. Lo stato non si preoccupa che i diritti da esso concessi siano fruibili da tutti i cittadini in quanto tali, ma si preoccupa che certe comunita o minoranze, abbiano un riconoscimento formalizzato. Abbiamo un atteggiamento nei confronti delle culture che e sbagliato, (tuteliamo le culture come vengono tutelate le specie animali) perche le culture si evolvono in base alle dimensione relazionale e solo se ci sono soggetti che ne fanno parte sono intenzionati a mantenerle. Habermas, pertanto afferma che e importante concedere diritti alle persone e usi e consuetudini rimarranno, solo se i soggetti sono liberi di accettare queste pratiche ( come avviene con l uso del velo delle donne nel mondo musulmano). Per questo motivo dal punto di vista liberale e importante dare ai cittadini, in quanto tali, determinate liberta e come diceva Habermas, non riconoscerle soltanto ai gruppi o identita collettive che spesso vengono controllate in maniera autoritaria. E una logica perversa quella che gli studiosi multicuturalisti affermano nel dire che lo stato debba riconoscere diritti a comunita diverse, la logica liberale e diversa, ovvero che all interno di un determinato ordinamento giuridico vengano riconosciuti diritti, liberta e doveri ai singoli, in quanto sono loro a costituire uno stato e la societa e non i gruppi e le identita collettive. Per Habermas bisogna pensare in modo diverso sul significato della parola democrazia, se si vede la societa come composta da individui che hanno un rapporto relazionale gli uni con gli altri, i diritti di cui si parla sono oggetto di una contrattazione o discussione continua,non solo di cio che troviamo scritto nella norma, ma su cio che si considera giusto, e frutto di un processo dialogico della democrazia. I diritti sono un valore d uso, cio significa che quello che si chiama diritto, e frutto di una discussione libera su cui convergono infine tutti trovandone il consenso. Per H. e l unico modo nella società post metafisica, (societa in cui nessuno puo imporre la propria verita ad altri) per dare legittimita alle leggi pertanto e il consenso a dare la legittimita, bisogna immaginare la societa come un insieme non di identita collettive, ma di individui che discutono tra loro. Un altro concetto che H. introduce, e quello di Patriottismo Costituzionale, l autore sostiene che vivendo in una societa post metafisica, moderna e laica, dove il diritto e la sfera pubblica devono essere neutrali rispetto alle credenze di ognuno di noi, non si capisce quale sia il collante (cemento) di tale societa ( in alcuni paesi e la religione, in altri l appartenenza etnica, ecc.). In una societa che vuole essere post metafisica, dove nessuno impone le proprie credenze agli altri, non solo i diritti vanno intesi valori d uso, ma si deve avere una sorta di consenso morale., tutti dobbiamo riconoscerci non in un una religione o appartenenza etnica, ma il collante dello stato e il sentimento patriottico nei confronti di quei valori costituzionali democratici, nei quali il cittadino si riconosce e sente legittimo il patrimonio di valori all interno della costituzione (da qui l espressione patriottismo costituzionale). Tale patrimonio di valori che si e affermato nella realta occidentale dopo le tre famose rivoluzioni storiche (Francese, Inglese ed Americana), ha portato la civilta occidentale dal punto storico descrittivo, a riconoscere l importanza del concetto di sovranita del popolo, di un diritto autonomo rispetto alla religione, di una sfera pubblica autonoma rispetto alla sfera religiosa. Tutti questi valori che sono diventati fondamentali costitutivi per la nostra identita di cittadini, devono diventare oggetto di questa scelta di valori di fondo, ovvero di questo patriottismo 21

25 costituzionale. In alcuni scritti che H. dedica all Europa e alla costruzione della sua identita europea negli anni 90, tra cui L inclusione dell altro, l autore spiega che ogni individuo non dove chiedere agli altri di uniformarsi alle proprie credenze in termini religiosi, culturali, astronomici, ecc; ma bisogna chiedere agli altri di stipulare un accordo a livello costituzionale, sui principi di fondo della coesistenza democratica ed e questo in punto cardine del futuro dell Europa. Di recente l autore ha scritto diversi articoli in cui sostiene che l unita Europea sia stata fatta solamente su una base economica e quindi insufficiente in base al patriottismo costituzionale, poiche tale patriottismo implica solidarieta in senso sociologico, diversa rispetto alla solidarieta in senso comune, intesa come il riconoscerci come parte di un tutto insieme agli altri, in quanto condividiamo qualcosa. Si puo essere solidali solo a patto che vi sia un patriottismo costituzionale di fondo, ovvero vi sia un consenso di fondo in base ai principi costituzionali dell Europa, come ad esempio i principi di libertè, egualitè e fraternite, quei principi che strutturano la nostra identita di cittadini democratici. Se noi mettessimo in discussione questi valori di fondo, la societa democratica smetterebbe di essere tale, se si eliminasse la distinzione tra sfera religiosa e civile evidentemente ricadremmo in una situazione incompatibile per la democrazia, perche lo spettro di uno stato teocratico dove vige la legge religiosa evidentemente tornerebbe presente. Il patriottismo costituzionale di cu parla H. e un aspetto molto interessante se pur prettamente perdente per quel che riguarda l Europa, consistente nel ritrovare una comunanza su dei principi giuridici, poiche la quinta essenza della modernita occidentale e stata quella di rendere autonomo il diritto rispetto alla religione. Non puo esistere democrazia senza l autonomia del diritto rispetto alla religione e alla morale. Una posizione interessante di cui parlare, e quella di Giovanni Sartori, nei primi anni 2000, scrisse un saggio intitolato Pluralismo, Multiculturalismo ed estranei, l autore ci porta a fare una riflessione dal punto di vista concettuale, poiche in maniera impropria parlando di pluralismo, multiculturalismo, differenze tra minoranze di cui vari autori multicuturalisti hanno dibattuto a lungo durante gli anni 90, si e fatto un errore concettuale. Si e confuso in concetto di multiculturalismo, con il concetto di pluralismo, o meglio si e scambiato un dato di fatto con un progetto normativo. Considerato il fatto che il mondo e ricco di differenze, Sartori afferma che l errore sta nel passare a un progetto politico e normativo che tende a valorizzare le differenze di fatto, quindi l errore dei liberali secondo questa logica perversa sta nel riconoscere una uguaglianza di tipo formale e di non rendersi conto, che nella sfera pubblica vanno riconosciute tutta una serie di differenze (per esempio lo sposarsi secondo il diritto della comunita di appartenenza). L errore sta nel passare da un giudizio di fatto a un programma politico, dovuto a un presupposto concettuale, filosofico e culturale di fondo, che e il Relativismo culturale, consistente nel presupposto che siccome esistono differenze nel mondo, non esiste la verita con la v maiuscola che noi possiamo conoscere e addirittura imporre agli altri e siccome ogni affermazione con tale accezione in campo religioso, culturale e morale diventa una discriminazione, allora diventa necessario accettare tutte le differenze e valorizzarle. La societa sara liberale solo se accetta tutto cio che si presenta, perche qualora non accettasse alcune differenze sarebbe fatta una discriminazione che violerebbe il relativismo culturale come presupposto, ovvero il fatto che nel mondo ci sono differenze e ognuno la pensa come vuole. Chi siamo noi per imporre ad altri usi e costumi o imporre ad altri le nostre regole? Chi siamo noi per dire cos e la verita? E sempre frutto di una imposizione culturale, ovvero quella nostra nei confronti degli altri. Oggi qualsiasi cosa venga detta nei confronti delle minoranze, subito viene percepita e interpretata come discriminazione dell altro e questo secondo Habermas, e l esatta negazione della democrazia. Sartori afferma che il concetto di multiculturalismo e stato utilizzato in questa concezione impropria, come programma politico, di valorizzazione senza se e senza ma di tutte le differenze e lo stato pertanto, per non essere incolpato di intolleranza e di discriminazione, deve riconoscerle e addirittura valorizzarle. Questo e incompatibile con la vera idea di societa liberale, poiche un liberale vero non ha problemi con la differenza, proprio perche nell essere liberale esiste quella famosa separazione della sfera religiosa da quella politica, ovvero lo stato deve essere neutrale rispetto alle differenze, ma attenzione bisogna capire quali differenze. E fondamentale riconoscere uno spazio garantito al singolo individuo, mentre consiste in un'altra concezione il riconoscere 22

26 pratiche che negano diritti degli altri, pertanto bisogna fare attenzione alla valorizzazione di determinate differenze negative per la societa. Dentro la polemica sul multiculturalismo, secondo Sartori, c e esattamente questo equivoco. Un altro importante quesito consiste nel considerare i diritti umani come universali, il fatto che i diritti siano stati creati in occidente significa che non siano trasportabili? Ovvero non siano condivisibili da altri? Il pregiudizio che c e, dietro una logica multiculturale e che le culture siano universi chiusi, senza comunicare tra di esse e quindi vanno preservati secondo l ottica del WWF. Questo e un presupposto sbagliato, mentre secondo il punto di vista liberale le domande sono altre, si consente al cittadino di vivere come meglio crede purche, come dice Habermas, esso manifesti il patriottismo costituzionale, ovvero rispetti il patrimonio di valori del contesto in cui e inserito. Una cosa e il concetto di multiculturalismo inteso in senso normativo, ovvero il programma politico da realizzare dove la societa deve arricchire sempre di piu la propria offerta di culture, opinioni, credenze e quant altro, mentre un'altra cosa e il pluralismo, inteso nella tradizione liberale come la separazione della sfera civile e della sfera politica e ampliamento delle liberta all interno della societa in cui si vive utilizzandole come meglio si crede, senza intaccare le liberta degli altri cittadini. Una cosa e essere pluralisti e una cosa e essere multi culturalisti. La domanda pertanto e quanto una societa puo diventare aperta dei confronti delle differenze? Ancora oggi si cerca di dare una risposta a tale domanda. 1. (Montre al, 5 novembre 1931) e un filosofo canadese, che si e interessato soprattutto alla filosofia politica e alla filosofia delle scienze sociali, oltre che alla storia della filosofia. I suoi maggiori contributi riguardano le aree del comunitarismo, cosmopolitismo e i rapporti tra religione e modernita in particolare la tematica della secolarizzazione. 2. nato nel 1962) e un filosofo politico canadese piu conosciuto per il suo lavoro sul multiculturalismo e animali etica. Attualmente e professore di Filosofia e Canada Research Chair in Filosofia politica presso l'universita della regina a Kingston, e ricorrente Visiting Professor nel programma di Studi Nazionalismo presso la Central European University di Budapest, Ungheria. Per oltre 20 anni, ha vissuto uno stile di vita vegan 3. (Breslavia, 28 luglio 1874 New York, 13 aprile 1945) e stato un filosofo tedesco naturalizzato svedese. 4. (17 gennaio 1946) e una psicoanalista e saggista statunitense. Docente di psicoterapia e psicoanalisi alla New York University. Nel suo pensiero la psicoanalisi si amalgama, grazie proprio alla prospettiva intersoggettiva, con il pensiero elaborato dai movimenti femministi. 23

27 Will Kymlicka, il quale sostiene che il liberalismo deve essere multiculturale e il multiculturalismo deve essere liberaleindividua tre fattori fondamentali: 1. in alcune comunità come quella Americana esistono delle comunità indigene a cui è stata sottratta la terra (come in SudAmerica e in Africa), lo stato essendo liberale deve riconoscere alle minoranze il diritto alla gestione della terra riconoscendo quindi la loro diversità. 2. Uno stato liberale deve riconoscere le varie autonomie regionali, garantendo la sopravvivenza delle differenze linguistiche e dando la possibilità di tenere la propria lingua come quella ufficiale. 3. Una società per essere veramente liberale deve essere accogliente nei confronti degli immigrati, poiché una società che vuole essere aperta nei confronti delle minoranze deve essere attenta a garantire l'accoglienza agli immigrati. 17 ott. JOHN RAWLS Considerato il filosofo piu importante del 900, (Baltimora, 21 febbraio 1921 Lexington, 24 novembre 2002). La sua prima opera da analizzare per comprendere pienamente il suo pensiero e liberalismo politico pubblicata nel il panorama filosofico di quel periodo era molto particolare, poiche a seguito della svolta linguistica (gia analizzata prima) molti filosofi sostengono che la filosofia politica sia praticamente morta perche se tutta la nostra conoscenza e filtrata dal linguaggio e se l'unico discorso dotato di senso e quello scientifico allora ogni discorso che riguarda i valori ricade sulla semplice scelta razionale di ogni soggetto. Si e dunque pensato che la filosofia non avesse piu nulla da dire sui valori razionali ma si dovesse solamente occupare di stabilire il modo di parlare di questi valori (analisi solo linguistica ma non sostanziale). Per l'indagine sostanziale si riteneva adatta solo la scienza politica. Nella sua opera Teoria della giustizia egli rilancia l'idea di una riflessione filosofica in grande stile (secondo la visione classica di Bobbio e cioe filosofia come approccio normativo, cercando di dare un'idea di come deve essere la societa ). Il tema che lo interessa e quello della giustizia. Cosa significa che una societa e giusta? (es. Platone sosteneva che una societa giusta era una societa governata dai filosofi, poiche portatori di verita ). Nel mondo anglosassone, in quel periodo, il paradigma dominante era quello dell'utilita (piu una cosa e utile alla maggioranza, piu e giusta). Secondo Rawis questo approccio presenta molti limiti, poiche non e detto che una cosa utile alla maggioranza sia utile anche ad una minoranza. Dunque egli, rifacendosi a Kant, propone un modello teorico valido per tutti (razionale) non basato sulla soggettiva interpretazione (che non tenga conto delle personali inclinazioni). La giustizia non puo coincidere con quello che i piu forti decidono (visione kantiana moderna). Rawis propone allora un esperimento mentale, propone una proposizione originaria e cioe un'assemblea costituente ideale in cui le parti che la compongono sono coperte da un velo di ignoranza che nasconde tutti gli esiti della lotteria naturale (cioe non sapranno la natura sessuale che avra nel mondo, il suo colore della pelle, ecc.) e della lotteria sociale(ignorera cioe il suo ruolo nella societa futura, ecc.). Cio evitera condizionamenti nei principi generali di giustizia. Immagina pero che le parti mantengano dei poteri morali: o il senso di giustizia (mi fido degli altri, perche sceglieranno tutti per il bene); o la teoria parziale del bene (interesse ad avere garantita la percentuale piu alta di beni primari, cioe diritti, doveri, opportunita, ricchezza ecc.; o il rispetto di se, che e un concetto fondamentale in Rawis. Nell'ingiustizia infatti la gente 24

28 perde il rispetto di se stesso (es. smettere di cercare lavoro, ecc.) nel modello ideale invece a tutti e garantito il rispetto di se stesso. In questa situazione quali principi razionali (e uguali per tutti) verrebbero scelti? Secondo Rawis si avrebbero 2 principi di gerarchici (il primo piu importante del secondo): 1. LIBERTA' (tutti dobbiamo godere delle stesse liberta e degli stessi diritti). Questo principio e razionale perche così mi tutelo nel caso in cui io mi trovi nel caso peggiore una volta scoperta la propria lotteria. Mi garantisce quindi tutela in ogni caso e tendo a tutelarmi nel caso peggiore; 2. DIFFERENZA e razionale perche mi garantisce che nel caso in cui nella lotteria abbia capacita maggiori possa aspirare a qualcosa di piu elevato. Affinche il principio di differenza sia applicabile occorrono 2 condizioni: 1. queste diseguaglianze devono essere frutto di una libera competizione ma su uguaglianza di opportunita (equa opportunita e concorrenza); 2. nel lungo periodo queste diseguaglianze devono tornare utili anche alla parte piu bassa della societa, cioe ai meno avvantaggiati. Perche questa situazione non puo creare polarizzazione di ricchezza (troppo poveri e troppo ricchi). Dunque anche poveri devono essere messi nelle condizioni di migliorarsi. Questa visione, come gia detto si ispira fortemente a Kant, che aveva anch'esso cercato di razionalizzare (attraverso il famoso imperativo categorico che rispondeva alla domanda: il tuo 25

29 comportamento e universalizzabile? ) questo test era utile a non far cadere la giustizia sotto inclinazioni personali (quando fai una cosa chiediti cosa succederebbe se tutti facessero la stessa cosa). Secondo Rawis la proposizione originaria e una riproposizione procedurale del modello teorico kantiano. Infatti egli ritiene i principi di giustizia come imperativi categorici che vanno rispettati perche giusti, sono universalizzabili. I soggetti della proposizione originaria sono soggetti autonomi dal punto di vista morale cioe sono in grado di sottomettersi ad una legislazione universale, proprio come riteneva Kant. Gli animali ad esempio non possono fare questo perche agiscono secondo istinto, l'uomo invece e autonomo perche capace di poter fare il test dell'imperativo categorico. Rawis dunque rilancia una nuova discussione oggettiva della/sulla morale. 19 ott. LIBERALISMO POLITICO Rawls per posizione originaria intende interpretazione procedurale delle nozioni kantiane di autonomia e imperativo categorico, sostanzialmente Rawls intende con questa espressione che l operazione che Kant aveva fatto nel campo della filosofia morale, ovvero, l operazione di sottoporre la propria massima al test dell imperativo categorico, sostanzialmente viene trasferita alla posizione originaria nel suo insieme, cioè non è più il soggetto che da solo, come voleva Kant, fa il test dell imperativo categorico, ma il modo di elaborare e trovare dei principi di giustizia che abbiano un fondamento razionale viene affidata a questa situazione collettiva che chiamiamo posizione originaria, in cui le parti avvolte dal velo di ignoranza guidate dal senso di giustizia e guidate da una teoria parziale del bene si ritrovano a scegliere insieme questi due principi, ovvero, il principio di libertà e il principio di differenza, questi principi hanno uno statuto analogo a quello dell imperativo categorico di Kant, cioè sono degli imperativi assoluti, ciò significa che vanno seguiti senza se e senza ma, al contrario degli imperativi ipotetici. I principi di giustizia sono oggetto di una scelta razionale, cioè la ragione per cui noi dobbiamo seguire questi principi è una motivazione di tipo razionale, che viene supportata da argomenti e giustificazioni razionali. In ossequio a Kant Rawls vuole che i principi di giustizia non siano scelti sulla base di quelle che sono le nostre personali preferenze in ordine al bene e ai valori, quindi non deve essere la nostra visione del mondo a farci scegliere ciò che è giusto o ciò che è sbagliato, ma deve essere un argomentazione razionale, cioè un argomentazione che possa essere condivisibile da tutti, questo è il fulcro di un approccio neokantiano come quello di Rawls. Il primo concetto sul quale dobbiamo riflettere è il concetto di giustificazione, un concetto fondamentale in filosofia politica, cioè quando noi discutiamo nell arena pubblica in ordine a un qualunque argomento dobbiamo portare delle giustificazioni, non abbiamo a che fare con teorie scientifiche dinanzi alle quali noi possiamo scegliere qual è migliore perché spiega meglio come funziona il mondo, quando abbiamo a che fare con questioni politiche o morali manca questo terreno comune che ci permette di scegliere tra un opzione ed un'altra, perché quando abbiamo a che fare con questo tipo di questioni abbiamo a che fare con il senso che noi diamo alla nostra esperienza, qui entrano in campo le nostre visioni profonde, quindi diventa un problema di giustificazione, ovvero, ciò che è più giusto e giustificabile, non ciò che è più corrispondente all ordine del mondo come voleva la filosofia antica, ma sono gli argomenti che trovano una giustificazione migliore rispetto ad altri. Non si parla più di verità, ma di giustificazioni e visioni più giustificate rispetto ad altre. Dopo la pubblicazione nel 1971 di quest opera, TEORIA DELLA GIUSTIZIA, si scatena un grande dibattito nel mondo anglosassone che poi arriva anche in Europa, perché quest opera suscitò subito una serie di obbiezioni, che possiamo raggruppare in tre grandi categorie. Da un lato abbiamo le critiche dei pensatori cosiddetti 26

30 comunitaristi, che sono molti attenti alla dimensione della comunità, per loro il soggetto non è mai meramente razionale, ma il soggetto è sempre un self, un qualcosa che è calato all interno di una comunità di appartenenza perché noi cresciamo all interno di reti di appartenenza come la famiglia, le scuole, le chiese, le associazioni, la comunità politica nel suo complesso, quindi questi autori sono molto attenti alla dimensione dell ethos, cioè l insieme dei valori e delle credenze condivise da un certo gruppo che si identifica come comunità, non come un mero gruppo di persone mosse da interessi individuali, che possono essere in conflitto tra loro ma piuttosto i comunitaristi sono interessati a questa dimensione della comunanza di credenze e di valori che fa si che un gruppo diventa una comunità. Questi autori contestano alla teoria della giustizia di Rawls la matrice liberale di questa teoria, cioè contestano il fatto che Rawls ci parla sostanzialmente di individui, di individui che nella posizione originaria sono avvolti da un velo di ignoranza e che devono stabilire i principi di giustizia, per Sandel questa è un astrazione, perché non esiste questo concetto di individuo, perché è una costruzione artificiale, non è possibile costruire una situazione empirica reale nel quale i soggetti ignorino gli esiti della lotteria sociale e naturale, perché a questo punto non avremmo più a che fare con persone in carne ed ossa ma con costruzioni evidentemente, tutti saremmo uguali, perché se ignoriamo gli esiti della lotteria sociale e naturale siamo tutti uguali, perché ciò che ci distingue è il fatto che alcuni sono bianchi, alcuni sono atei, alcuni musulmani ecc.. proprio tutto ciò che Rawls vuole impedirci di conoscere ai fini della scelta dei principi di giustizia. Il secondo punto che criticano i comunitaristi concerne il farro che Rawls sostiene che sia possibile scindere le questioni di giustizia dalle questioni riguardanti il bene, per i comunitaristi questo non è possibile perché ciò che noi riteniamo essere giusto dipende dalla nostra concezione del bene, questa è la seconda accusa che fanno. Anche all interno della tradizione liberale Rawls ha ricevuto diverse critiche, qui possiamo introdurre una distinzione, fra il liberalismo di destra e quello di sinistra, Rawls lo inseriamo all interno della corrente di sinistra, perché il tema della giustizia e dell equità in lui è molto forte, mentre ci sono molti liberali come Nozik che possiamo inserire nella corrente di destra i quali non condividono l aspirazione di Rawls della giustizia sociale, contestando il fatto che i liberali di sinistra si siano un po imbastarditi con le idee politiche di provenienza comunista ma soprattutto socialista, quindi al tema della giustizia distributiva, cioè al fatto che tutti dobbiamo avere una quantità di beni giusta e non frutto di arbitrio. Robert Nozik 1 legge una teoria della giustizia e 3 anni dopo, nel 1974,pubblica un opera intitolata ANARCHIA,STATO E UTOPIA, in questo libro emerge la tesi fondamentale di Nozik, lui richiamandosi alla visione liberale classica, che inizia dalla riflessione di John Locke, dice che se io lavoro sono proprietario dei frutti del mio lavoro, nessuno se ne può appropriare, soprattutto lo Stato, qui si annida la differenza tra i liberali di destra e i liberali di sinistra, perché i liberali di sinistra come è abbastanza evidente nel caso di Rawls si pongono il problema dello Stato, addirittura Rawls parlava della natura cooperativa della società/stato, quindi tutti dobbiamo prenderci cura degli altri, il principio di differenza aveva proprio questa funzione di limitare gli effetti perversi della disuguaglianza e della logica del mercato, è proprio questo il punto su cui Nozik non è d accordo con Rawls. Il ragionamento che fa è il seguente: se noi escludessimo un modello di tipo comunista, quindi non esisterebbe più un libero mercato, non esisterebbero più diritti naturali, in primis il diritto di proprietà, quindi tutto verrebbe regolato dallo Stato, una volta che noi mettiamo da parte questo modello e scegliamo un ordinamento di libero mercato, dobbiamo tirare anche delle conseguenze logiche evidentemente. Secondo Nozik le conseguenze sono che se noi abbiamo una libera competizione disciplinata da regole, gli esiti della competizione devono essere considerati legittimi, quindi se noi accettiamo che la società sia organizzata sulla base del libero mercato, quindi sull idea della competizione, l idea stessa di giustizia sociale è un miraggio, come dice un altro liberale di destra che si chiama Aiech, perché se c è una libera competizione come quella del mercato come possiamo dire che gli esiti siano ingiusti? è chiaro che ci saranno alcuni imprenditori che prevarranno rispetto ad altri, perché è la logica stessa del mercato. Quindi non si può tirare in ballo una categoria morale come quella della giustizia sociale quando abbiamo a che fare con una libera concorrenza, ecco perché i liberali 27

31 di destra considerano i liberali di sinistra come Rawls come dei liberali che sono stati contaminati dalla malattia comunista e socialista, perché inseriscono il tema della giustizia sociale, che è un tema che fu posto a partire dall 800 proprio da Marx e dai socialisti utopisti, il sistema della ripartizione uguale delle risorse, ovvero, tutti dobbiamo essere uguali, l uguaglianza non meramente formale, ma l uguaglianza sostanziale, questa era la grande battaglia di Marx. Quindi tutte quello che Rawls dice ai fini del raggiungimento della giustizia sociale, per Nozik sono inaccettabili, perché è inaccettabile il punto di partenza, cioè l idea che lo Stato debba intervenire per temperare e mitigare i risultati del mercato che sono considerati come ingiusti, perché se lo Stato cominciasse a interferire nella logica del mercato porrebbe solamente un limite alla crescita del mercato. Per esempio i liberali di destra contestano le politiche fiscali e tributarie volte a colpire coloro che hanno più rispetto ad altri, dicendo che chi ha di più è perché è stato più bravo rispetto ad altri e quindi se l è guadagnato, quindi non ha senso punire i soggetti che hanno guadagnato di più rispetto ad altri attraverso delle politiche fiscali oppressive nei confronti di questi soggetti, perché potremmo avere degli effetti perversi. In definitiva i liberali di destra vogliono dire che più lo Stato interviene nella società per creare una giustizia sociale più c è il pericolo di effetti perversi, perché più Stato significa più,più politica significa più regole, più regole significa più limitazioni alla libertà delle persone. La terza critica è quella mossa da un punto di vista femminista, nello specifico c è stata una studiosa di nome Hokin, la quale sostiene che nella teoria della giustizia manca il tema della differenza di genere, perché gran parte delle ingiustizie a livello politico che troviamo nella società degli anni 70 non vengono risolte dal paradigma della teoria della giustizia, perché uno dei temi fondamentali è proprio quello della discriminazioni di genere, che non viene minimamente affrontato da Rawls, perché una teoria della giustizia non affronta il tema della famiglia che è il luogo principale in cui nasce la questione di genere, perché la nostra sensibilità morale nei confronti della differenza di genere nasce innanzitutto in famiglia dove c è una rigida separazione dei ruoli tra maschio e femmina, quindi secondo la Hokin è proprio qui che bisogna cominciare a riflettere per modificare la discriminazione di genere. Rawls in un saggio pubblicato negli anni 90 menziona questa critica della Hokin dicendo che anche se è vero che in una teoria della giustizia lui non ha parlato del tema della famiglia, ma non l ha neanche esclusa. Quindi queste sono le tre grandi critiche che vengono fatte a una teoria della giustizia di Rawls, a questo punto Rawls comincia a riflettere, in quanto per indole era un soggetto molto autocritico. A questo punto lui nella prima metà degli anni 90 pubblica la sua seconda grande opera che si intitola LIBERALISMO POLITICO, Rawls si è reso conto che nell impianto generale della teoria della giustizia c era un errore, un errore che era contenuto nella terza parte dell opera, lui precedentemente immaginava che la teoria della giustizia diventasse una concezione generale del bene, quindi ci sarà una società che da un punto di vista morale riterrà corretti i due principi di giustizia, ovvero il principio di libertà e di differenza. Rawls dopo vent anni si rende conto che questa concezione è errata perché se si realizzasse veramente ciò che lui aveva previsto si finirebbe per avere una società non pluralista con un unica concezione del bene, quindi cambia idea su questo punto perché da liberale dice che nella società noi abbiamo una differente percezione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, quindi il pluralismo è una ricchezza della società in cui noi viviamo, quindi di conseguenza l obbiettivo di Rawls deve cambiare rispetto a prima, perché mentre una teoria della giustizia era un opera di filosofia morale, liberalismo politico è un opera di filosofia politica come lui spiega nelle prime pagine del libro. Può essere considerata un opera di filosofia politica perché il tema al quale Rawls si interessa è quello della stabilità sociale, la domanda alla quale vuole rispondere Rawls diventa : quali soni i criteri grazie ai quali noi possiamo veramente garantire che una società caratterizzata da un pluralismo sia stabile nel tempo, senza degenerare in un conflitto? Nella sua nuova opera Rawls parte dal presupposto che nel mondo esiste un fatto incontestabile, ovvero, il pluralismo, nel senso che noi abbiamo opinioni diverse su tutto, quindi preso atto dell esistenza del pluralismo bisogna capire quali siano i criteri di giustizia che possano consentire la stabilità di una società. C è un secondo passaggio importante, Rawls nel suo libro è interessato alla concezione politica, cioè lui presenta il liberalismo non come una concezione generale del bene e del mondo 28

32 come quella kantiana e di altri liberali, ma esclusivamente come una concezione politica, quindi questo libro non si basa su una visione metafisica (al di là della natura) della realtà. Le due idee fondamentali di Rawls per rendere una società stabile in presenza di un pluralismo, ruotano intorno a due concetti fondamentali che sono : consenso per intersezione e il concetto di ragione pubblica. La sfida di Rawls è riuscire a dimostrare che anche se siamo in presenza di un pluralismo all interno della società è possibile trovare un accordo su alcuni principi politici di base, fondamentalmente è in questo che consiste il liberalismo politico, quindi ancora una volta Rawls sostiene la sua tesi di fondo, precedentemente espressa nella teoria della giustizia, ovvero, è possibile scindere questioni attinenti al bene, cioè le nostre visioni del mondo, dalle questioni politiche, cioè le questioni di giustizia. Secondo lui era possibile da un punto di vista empirico è possibile riuscire a trovare questo accordo in ambito meramente politico, quindi il consenso per intersezione è questo accordo che noi riusciamo a trovare sui principi di base della società, non su tutto quello che riguarda la politica ma solamente sui principi di base, per esempio i principi costituzionali. La caratteristica di questo consenso per intersezione è che deve essere un consenso di tipo morale e non un semplice modus vivendi, che in sintesi significa che io sto in accordo con un altro fino a quando mi conviene. Il consenso per intersezione invece è qualcosa di diverso, il consenso che noi diamo sui principi base della società deve essere un consenso di tipo morale, ovvero, la sfida che ci propone Rawls è di provare a immaginare un compromesso sui principi politici che non vengono messi in discussione ogni qualvolta le elezioni politiche decretano la sostituzione di una maggioranza come un altra, quindi non si possono cambiare le regole del gioco quando si vincono le elezioni, perché le regole del gioco rappresentano la base stessa del confronto democratico, quindi per cambiare le regole del gioco ci deve essere un consenso di fondo a livello parlamentare e della società nel suo insieme. Alla luce di tutto questo Rawls sostiene che il consenso per intersezione deve avere un consenso morale, solo così è possibile immaginare una società in cui c è un pluralismo che emerge nel momento elezioni politiche, in cui ognuno vota per il partito che rappresenta meglio i suoi ideali, ma questo pluralismo non divento un elemento di instabilità per la società. Il consenso per intersezione si basa su un altra idea importante, l idea che i valori politici non sono dei valori già presenti a priori nella società, che noi dobbiamo riconoscere, come diceva Platone, ma i valori politici sono esito di una costruzione che facciamo tutti insieme, questa idea prende il nome di costruttivismo politico. La seconda idea importante è quella di ragione pubblica, per Rawls la ragione pubblica è una ragione che riguarda la sfera pubblica, cioè i cittadini che ragionano insieme ad altri, è una questione che riguarda l ambito del politico, quindi questioni che riguardano tutti, perché nelle società pluralistica dice Rawls esiste innanzitutto una cultura di sfondo, se c è un pluralismo in una società esistono più visioni del bene, qualsiasi interesse che possa essere condiviso appartiene alla cultura di sfondo di una società liberale. Ognuno di noi fa parte di un associazione, di un gruppo, di una chiesa, quindi dice Rawls che in realtà la ragione privata non esiste, ma esistono in genere ragioni non pubbliche, cioè le ragioni delle associazioni in cui noi ci riconosciamo, di conseguenza il nostro modo di pensare dipende dal gruppo al quale apparteniamo, quindi nella cultura di sfondo di una società pluralistica esistono tante ragioni non pubbliche, per esempio la ragione dei sindacati, la ragione di confindustriale ragioni dei partiti, quindi ogni qualvolta ci sono degli interessi collettivi nasce una ragione non pubblica. La ragione pubblica invece è l opposto della ragione non pubblica, perché la ragione pubblica dovrebbe essere una ragione che riguarda tutti a prescindere dal punto di vista all interno del quale ci situiamo, cioè la ragione non pubblica che condividiamo. In liberalismo politico il titolare della ragione pubblica sono tutti coloro che appartengono alle istituzioni, per esempio i giudici, i politici, tutti i funzionari della pubblica amministrazione perché se siamo in ambito giudiziario per esempio il giudice deve valutare sulla base delle leggi, non può valutare in base a quella che è la sua concezione personale del bene, per questo Rawls dice che negli Stati Uniti l organo che incarna la ragione pubblica è la Corte Suprema. Quindi nella società immaginata da Rawls noi abbiamo una cultura di sfondo che coincide sostanzialmente con la società civile, abbiamo tante ragioni non pubbliche e poi c è invece il piano della ragione pubblica che riguarda 29

33 soprattutto la Corte suprema nel caso statunitense, ma in realtà anche i politici dovrebbero essere così, cioè un parlamento non dovrebbe fare una legge semplicemente a colpi di maggioranza, perché i parlamentari rappresentano la nazione, questo è affermato anche nella Costituzione italiana, dove troviamo il divieto del vincolo di mandato, quindi il politico dovrebbe provare ad assumere il punto di vista della nazione nel suo insieme, chiaramente questo è più difficile farlo, quindi per Rawls sia il politico che il giudice dovrebbero tendere ad assumere il punto di vista della razionalità pubblica, che non è un punto di vista sostanziale ma formale, cioè dovrebbe accompagnare il modo in cui noi affrontiamo i problemi politici. Il concetto di ragione pubblica però è stato oggetto di molte critiche, perché è difficile immaginare che i soggetti, tra cui gli stessi giudici, possano riuscire a mettere da parte le loro convinzioni profonde su quelle che sono le questioni politiche più importanti. Quindi l idea di ragione pubblica per come Rawls ce la presenta parte dal presupposto che sia possibile scindere le questioni di giustizia dalle questioni relative al bene, però non tutti sono convinti che questa cosa sia possibile ed effettivamente con il passare del tempo da un certo punto di vista anche Rawls si convince di questo, perché mentre nel liberalismo politico lui diceva che anche i cittadini hanno l onere della ragione pubblica, per esempio quando si va a votare secondo Rawls noi non possiamo votare in base al nostro personale tornaconto perché il voto non è una questione privata, i cittadini dovrebbero provare a porsi dal punto di vista della ragione pubblica. In un articolo che Rawls pubblica pochi anni prima di morire, troviamo l idea di ragione pubblica rivisitata, quando parla delle categorie di soggetti che devono onorare la ragione pubblica non menziona più i cittadini, quindi è come se si fosse convinto del fatto che è un onere cognitivo eccessivo, ritornando all esempio del voto, chiedere al cittadino quando va a votare mettere da parte la propria concezione del bene. Questa esclusione del cittadino apre tutta una serie di scenari perché è chiaro che nell ambito della discussione pubblica ci sono molti margini di manovra affinché le ragioni non pubbliche a questo punto vadano a influenzare le nostre scelte politiche, quindi bisogna riporsi la domanda da cui siamo partiti : è possibile scindere le questioni di giustizia dalle questioni profonde sul bene, sulla nostra visione del mondo? Secondo alcuni questo non è possibile, però Maffettone immagina un escamotage teorico, una sua interpretazione del testo di rawls,lui ragiona su un dato dicendo che in realtà Rawls ci parla del liberalismo su due piani differenti ovvero, sul piano della giustificazione e sul piano della legittimazione, cioè, una cosa è dire che io sono un liberale perché non esiste una verità assoluta, quindi in base a una teoria metafisica, una cosa invece è dire, io sono liberale perché l insieme dei principi per esempio della cultura politica liberale potrebbero essere accettati da tutti, anzi noi sperimentiamo concretamente che quando uno vive all interno della società liberale in realtà si rende conto che sono i principi migliori. Il primo tipo di discorso agisce sul piano della giustificazione filosofica, cioè io giustifico il liberalismo come teoria generale, mentre il secondo tipo di discorso si muove sul piano della legittimità politica. Maffettone sostiene che la teoria di Rawls agisce su questo secondo piano, quella della legittimazione, cioè ogni qualvolta le persone si trovano a vivere all interno di una società politica in cui i valori costituzionali sono valori di tipo liberale, tipo riconoscimento dell uguaglianza formale, separazione tra sfera religiosa e sfera politica, tutti i cittadini ragionevoli, cioè aperti al dialogo, manifestano un consenso nei confronti di questi principi, naturalmente un cittadino fondamentalista evidentemente non accetterà alcuni principi di matrice liberale, tipo la separazione tra sfera religiosa e politica. Secondo Maffettone questo consente a Rawls di recuperare la dimensione storica della nostra esistenza, perché questi principi politici non vengono calati dall alto, ma si sono affermati nel corso del tempo con le lotte che noi uomini abbiamo fatto nel corso della storia, pensiamo alla battaglia in nome della libertà religiosa che nasce a seguito della riforma protestante, o alle battaglie combattute negli Stati Uniti per la liberazione dalla segregazione raziale, tutte queste battaglie storiche hanno modellato il nostro senso di giustizia e che ci hanno fatto convergere verso dei principi senza i quali noi ci sentiremmo privi di una tutela potremmo dire, in ordine all esercizio della nostra stessa libertà. Rawls dice che la sua non è una visione comprensiva del bene, perché la sua è una visione politica. Le critiche sono state tante, perché c è l idea che sia possibile separare il bene dal giusto, e non tutti sono d accordo, 30

34 complessivamente rimane l idea di chi non si riconosce nell idea di Rawls del carattere eccessivamente astratto della sua teoria, è importante il tema della legittimazione politica, perché sostanzialmente Rawls ci vuole dire che ognuno di noi ha una sua verità profonda però se accettiamo il fatto del pluralismo, e quindi ci riconosciamo tutti diversi e di conseguenza anche legittimati a pensare una cosa diversa rispetto agli altri, allora dice Rawls che dobbiamo accettare le procedure democratiche. Quindi la stabilità è un tema squisitamente politico, dobbiamo riuscire, se vogliamo essere veramente liberali, a scindere la nostra idea di verità rispetto alle questioni politiche, quando abbiamo a che fare con l ambito politico, abbiamo a che fare con soggetti che la pensano in maniera diversa, quindi dobbiamo essere pronti a mettere da parte la nostra verità, ecco perché Habermas in uno scambio storico che ebbe con Rawls diceva che la sua teoria avrebbe funzionato soltanto per soggetti che erano già liberali, non può funzionare con un soggetto che non è liberale e che non è pronto a scindere le questioni relative alla sua verità rispetto alle altre questioni, per esempio un fondamentalista religioso, non accetta una separazione tra sfera civile e sfera politica, quindi un soggetto di questo tipo non può ragionare secondo lo schema rawlsiano, però anche qui Rawls dice che è un problema di prospettiva storica, perché secondo lui più un soggetto vive all interno di un certo contesto più è possibile che possa maturare una sensibilità verso il consenso per intersezione, perché si renderà conto che i principi liberali gli consentiranno di vivere come meglio crede, il problema è non imporre le proprie credenze ad altri, questa è la sfida che sta dietro il progetto di Rawls. 1. (New York, 16 novembre 1938 Cambridge, 23 gennaio 2002) è stato un filosofo e insegnante statunitense dell università di Harvard, esponente del libertarianismo e del miniarchismo, distanziandosi sia dalla scuola austriaca, sia dall'anarco-capitalismo di Murray Rothbard che da altre correnti 24 ott. LA SCUOLA DI FRANCOFORTE Introduciamo il discorso su Jürgen Habermas, l etica del discorso e la democrazia deliberativa. Habermas è un personaggio abbastanza importante, tutt ora vivente di circa 90 anni, ed appartiene ad una prestigiosa tradizione che è quella della cosiddetta Scuola di Francoforte: una serie di autori molto famosi, come Herbert Marcuse, Max Horkheimer, massimi sociologi e filosofi del 900. Si tratta di una tradizione di ricerca che cerca di aggiornare la tradizione del Marxismo, un pensiero di sinistra che pone una serie di critiche puntuali nei confronti del capitalismo, della società di massa novecentesca, del liberalismo. Questa tradizione include diverse fasi: - I generazione dei teorici critici (si chiama Teoria Critica della scuola di Francoforte) al quale appartengono i nomi citati sopra; - II generazione: allievi un po più giovani tra cui Habermas; - III generazione; - IV generazione: allievi ancora più giovani. C è un filo conduttore, una serie di idee, che dai fondatori di quest approccio arrivano sino ad oggi. Il centro è stato proprio Francoforte dove il fondatore di questa scuola, Max Horkheimer, diede vita all istituto per la ricerca delle Scienze Sociali. Un istituto con una sua rivista, dove tutti gli intellettuali collaboravano per studiare un po la società contemporanea, in particolar modo il modo in cui il capitalismo influisce nella società, l esperienza ovviamente del Nazismo fu motivo di grande disputa intellettuale, tutto all insegna di un orientamento in senso lato Marxista, almeno nelle sue prime manifestazioni. Ci sono alcuni aspetti che accomunano un po questi autori: innanzitutto il riferimento al Marxismo; 31

35 un altro fattore su cui bisogna riflettere è la tradizione ebraica. Molti sono di origine ebrea che durante le persecuzioni naziste furono costretti ad emigrare, molti di loro andarono negli Stati Uniti. Tornarono alla fine della guerra, ricostituirono l Istituto e cominciarono a lavorare ragionando sul nuovo ordine che si era venuto a creare dopo la caduta del totalitarismo di destra e sul nuovo ordine globale che si venne a creare dopo la Seconda Guerra Mondiale. A noi interessano gli aspetti filosofici per capire perché Habermas arriva a sviluppare un certo tipo di discorso sulla democrazia e sulla società nel suo insieme. Dal punto di vista filosofico siamo in presenza di una Teoria Critica: questi autori non hanno come compito quello di fornirci una metafisica, una visione generale della realtà, non devono descriverci in positivo ciò che è la società o come dovrebbe essere. Ma la Teoria si pone come critica, nel senso che il momento intellettuale è un tentativo di criticare la società, cioè vedere dove una serie di cose della società creano delle contraddizioni che danno origine a quelle che dai marxisti sono chiamate forme di alienazione. Quindi la teoria critica include tutte le analisi che questi autori fanno sui vari ambiti del sapere, volte a mettere in luce queste contraddizioni esistenti nei processi di sviluppo, di riproduzione sociale. Nella società ci sono delle tendenze, e ciò a cui sono interessanti questi autori, è comprendere come il capitalismo fa sviluppare la società, e quali contraddizioni genera. Avendo già studiato Rawsl sappiamo che la teoria normativa funziona identificando un modello ideale (la posizione originaria era aboliamo i due principi di giustizia ), poi proviamo sulla base del modello ideale (ad esempio la Repubblica di Platone) a valutare la società concreta. La critica quindi si pone partendo dall ideale, confrontando la realtà con l ideale. Nel caso della teoria critica, il punto di partenza della critica non è la costruzione di un ideale perfetto, ma è più che altro l ideale generico, formale, di una società libera e non alienata. Noi immaginiamo che sia possibile creare una società libera e non alienata, e sulla base di questo ideale proviamo a verificare nell esperienza empirica, nella società in cui viviamo, quanto ci discostiamo effettivamente da un ideale di piena libertà. Sostanzialmente questo ideale è quello illuminista. Ricordiamo che per Kant l Illuminismo è l uscita dell uomo dallo stato di minorità, cioè l uomo deve emanciparsi, non deve essere sottomesso a nessuna forma di autorità, deve pensare con la propria ragione, deve discutere con gli altri, non deve esserci né la chiesa né il potere politico che stabilisce ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (morale eteronoma), invece la morale deve essere autonoma: dobbiamo essere noi a scegliere la nostra legge. Kant diceva che quando tutte questa cose sarebbero riuscite a realizzarsi, avremmo avuto una società pienamente illuminata, dove tutto sarebbero in condizioni di libertà ed uguaglianza e dove la ragione sarà il criterio di base per stabilire tutto, in ambito morale, giuridico e politico. Da un certo punto di vista gli autori della Scuola di Francoforte hanno in mente come ideale questo. Immaginiamo di esistere in una società perfetta, dove non ci sono forme di dominio, dove tutti siamo liberi e uguali e dove questa ragione agisce. La società in cui viviamo non è una società di questo tipo. Come arriviamo a fare un analisi critica nei confronti della società? Innanzitutto dobbiamo capire quali sono i capisaldi teorici di questi autori: - Hegel: massimi esponenti dell idealismo tedesco. Egli immaginava sostanzialmente che tutta la società, la natura, altro non fosse che un momento interno alla vita dello Spirito. Con l espressione Spirito Hegel intendeva quello che nella tradizione cristiana si definiva Dio. Solo che quest ultima sostiene che Dio sia trascendente rispetto al mondo, Hegel invece immaginava che non ci fosse questa separazione, ma che lo Spirito si faceva natura perché tutti noi siamo momenti interni alla vita di questo Spirito (visione idealista della realtà). Il concetto fondamentale della filosofia idealista di Hegel era il concetto di dialettica: legge di funzionamento e comprensione della realtà. Esiste uno Spirito che si fa altro da sé, cioè che diventa natura, diventa storia, che riflette su se stesso e che infine ritorna in se stesso (PROCEDIMENTO DIALETTICO: TESI, ANTITESI, SINTESI). C è un momento positivo (lo spirito), un momento negativo (lo spirito che si fa altro da sé), e infine c è un terzo momento nel quale lo spirito dopo essersi confrontato col negativo ritorna in sé, quindi assume piena consapevolezza di se stesso (Spirito Assoluto= filosofia= comprensione 32

36 estremamente razionale della realtà). Quindi la dialettica è il modo in cui la realtà funziona, ma è anche il modo in cui noi conosciamo la realtà. Infatti noi non conosciamo la realtà perché osserviamo qualcosa. Ad esempio, vogliamo interrogarci su cosa sia la libertà, quindi proviamo a definirla. Questo per Hegel è sbagliato: noi definendo la libertà siamo solo al primo momento della dialettica (tesi) nel quale affermiamo che la libertà è la possibilità di fare ciò che si vuole, ma questa tesi se vuole essere una conoscenza di tipo concettuale dobbiamo farla interagire con gli altri due momenti. Quindi dobbiamo contrapporla al suo opposto. La libertà è la possibilità di fare ciò che vogliamo, ma se tutti quanti facciamo questo cosa succede? L anarchia (negazione/antitesi). Quindi arriviamo poi al terzo momento nel quale comprendiamo realmente cosa sia la libertà: fare ciò che vogliamo senza ledere gli altri. Quindi torniamo alla stessa affermazione che abbiamo fatto nel momento della tesi, però arricchiti della conoscenza del negativo. Per Hegel il motore della storia, e il motore di comprensione della storia da parte del filosofo è l elemento della negazione: la storia umana non è qualcosa di irenico, la storia ha un momento conflittuale (lotta servo-padrone) quindi sono le negazioni esistenti nella società che ci consentono una comprensione concettuale di ciò che accade. Per Hegel le contraddizioni alla fine vengono risolte, perché al momento della sintesi le contraddizioni si sciolgono perché lo Spirito prende consapevolezza di sé tramite il Sapere Assoluto, per Hegel possiamo quindi spiegare tutto se ci poniamo una prospettiva di tipo dialettico. I teorici critici invece si rifanno a Marx. - Marx è un allievo di Hegel, però prova a ribaltarlo. Infatti mentre la filosofia di Hegel è una filosofia idealista, quella di Marx è una filosofia di tipo materialista. Marx sosteneva che l errore di Hegel era un errore di partenza: la realtà non è un prodotto dell idea, ma esattamente il contrario: le idee sono prodotte dalla realtà. E la realtà cos è? La realtà è la lotta di classe. Quindi il punto di partenza del materialismo storico di Marx era quest idea: la storia è una lotta di classe, e le idee sono una sovrastruttura di qualcosa di più profonda, che è il modo in cui una società è organizzata dal punto di vista economico. Quindi il materialismo di Marx è questo: il filosofo deve portare verso la rivoluzione, verso il superamento della società capitalistica, partendo da un analisi scientifica di come la società funziona. A differenza di ciò che pensava Hegel, non è vero che le contraddizioni alla fine si risolvono. Marx diceva che le contraddizioni si risolvono solamente se si annulla l origine di queste contraddizioni. E qual è l origine di queste contraddizioni? Il conflitto tra capitale e lavoro. Nella società comunista si supererà il conflitto capitale-lavoro perché abolendo la proprietà privata e collettivizzando i beni di produzione, si andrà verso una nuova organizzazione sociale che farà sì che tutte le nuove forme di alienazione che partivano dall organizzazione tipica della società borghese, sarebbero state sorpassate. Quindi Marx aveva provato a correggere la narrazione ottimistica hegeliana, ma rimaneva sempre ottimista poiché era comunque convinto di poter creare un mondo perfetto, una società pacificata perché razionale. Quindi c è ancora una visione positiva, illuminista possiamo dire. Ora, i francofortesi si muovo all interno di queste categorie, solo che le superano entrambe. Da Hegel i teorici critici riprendono il concetto di dialettica, quindi la società prosegue per contraddizione. L elemento della negazione è il motore della nostra esistenza concreta ma anche dell attività filosofica, cioè della riflessione che facciamo sulla nostra esperienza reale. E di Hegel i teorici critici riprendono anche l attenzione alla totalità. Cioè per i teorici critici questa analisi doveva essere fatta appunto come l aveva fatta Hegel, cioè essere finalizzata alla comprensione di tutta la società nel suo insieme, infatti Hegel si occupava di tutto (storia, arte, filosofia, antropologia, scienze naturali) e la stessa cosa provano a fare i teorici critici. Siamo essere umani che viviamo all interno di una forma di vita che riguarda tutto, quindi tutti gli ambiti sono interconnessi tra loro. Quindi è necessario che la filosofia abbia questo sguardo critico nei confronti della totalità della società, in tutti i suoi aspetti. Infatti questi autori, in particolare Adorno, si occupavano di un po tutti gli ambiti, quindi sono pensatori a 360 e riprendono quest attenzione alla totalità esattamente da Hegel. Però, mentre per Hegel era possibile conoscere razionalmente la totalità, cioè spiegare il perchè, dal punto di vista descrittivo e normativo, le cose erano come erano. Nessun dover essere 33

37 da raggiungere, come nell impostazione platonico-normativa. Per Hegel la filosofia arriva dopo, cioè qualcosa accade e il filosofo razionalmente deve essere in grado, tramite la dialettica, di spiegare perché le cose sono come sono. Invece i teorici critici sostengono che questo non sia possibile, noi non possiamo dare una spiegazione totale di tutto. È impossibile, altrimenti ricadremmo all interno di un concetto forte di sistema, inteso appunto come sistema hegeliano. I teorici critici affermano che ci sono delle cose alle quali non si possono dare spiegazioni razionali. Su questo erano molti influenzati da Walter Benjamin, intellettuale che morì a causa delle persecuzioni, che collaborò soprattutto con Adorno pur non facendo parte della Scuola di Francoforte. Il tema che Benjamin adottò fu quello della sofferenza innocente : di fronte alla sofferenza innocente non è possibile dare una spiegazione hegeliana, questo tema infatti sfugge alle categorie hegeliane. Da Marx invece questi autori riprendono la concezione materialista, cioè l idea del conflitto sociale. Sono autori che riflettono sul capitalismo, come il capitalismo influenzi i processi di riproduzione sociale. Riprendono anche l attenzione alla prassi: la filosofia non è mera riflessione. L intellettuale non è qualcuno che resta chiuso nella sua biblioteca, senza avere rapporti col mondo. L idea di intellettuale alla quale si richiamano gli autori della scuola di Francoforte è l ideale illuminista dell intellettuale, cioè l intellettuale che deve avere una funzione pubblica, deve aiutare la società ad emanciparsi. Quindi non è un intellettuale chiuso, ma ha una funzione pubblica e soprattutto nella tradizione marxista del 900 questo ideale divenne forte. Quindi la concezione materialista e l attenzione alla prassi sono i due ideali ripresi. Però anche qui abbiamo delle differenza. Rispetto a Marx questi autori sostengono che il soggetto rivoluzionario non è solo il proletariato come immaginava Marx. Marcuse ad esempio sosteneva che i soggetti rivoluzionari sono tutti coloro che non si riconoscono nell ordine dominante della società, cioè coloro che ne stanno ai margini e subiscono tutte le forme di dominio: studenti, prostitute, criminali (sottoproletariato). Quindi non c è un unica classe di riferimento come avveniva nell ottica marxista, che vede solo due poli (borghesi e proletari). Nella società del tardo capitalismo gli intellettuali hanno a che fare con un altra dinamica e ci sono distinzioni a livello sociale molto più complesse. Marcuse era uno dei leader delle manifestazioni studentesche, insieme a Marx e Mao. Gli studenti dovevano rompere l organizzazione del sapere che era ancora rigidamente patriarcale, maschilista, autoritaria. Marcuse, che era molto attento ai temi della psicoanalisi, lottava per la liberazione integrale dell eros, liberazione di tutto ciò che il capitalismo metteva ai margini. Da Marx si allontana un altra cosa: il fatto di avere sperimentato il socialismo reale, non vissero nell Unione Sovietica però avevano di fronte l esempio di essa. Per cui molti di questi autori, in particolare Horkheimer, si resero conto che il socialismo reale, cioè quell esperienza storica che inizia come la rivoluzione bolscevica del 17 e che è stato il primo esempio storico di tentativo di applicare le teorie di Marx alla realtà, ci si rese conto che l abolizione della proprietà privata non aveva creato quella società perfetta pienamente razionale, liberata, egualitaria di cui aveva parlato Marx. Quindi ci si rende conto che in realtà la semplice abolizione della proprietà privata è un elemento insufficiente, perché fenomeni di alienazione, oppressione, continuavano ad esistere. Per questo essi sono detti teorici marxisti non ortodossi, perché negli anni 30/ 40 il grande dibattito nell ambito marxista era esattamente questo: come dobbiamo porci nei confronti della rivoluzione d Ottobre e dello stalinismo? L Unione Sovietica e il Partito Socialista russo devono essere un punto di riferimento politico per tutti i movimenti comunisti nel mondo o no? Nel caso dei francofortesi la risposta è abbastanza semplice, erano non ortodossi nel senso che non si riconoscevano nell ideale realizzato in Unione Sovietica. Il terzo contributo fondamentale è quello della psicoanalisi. Questi autori si servono delle scoperte di Freud per riuscire a spiegare i fenomeni di dominio. Freud è importante per aver scoperto la dimensione inconscia dell essere umano. Freud ha smontato il punto di partenza di tutta la questione filosofica moderna concentrata sul concetto di cogito, il pensiero di Cartesio: l uomo è un soggetto razionale. Freud ci insegna che in realtà oltre alla ragione, abbiamo molto altro di cui non siamo consapevoli. C è quindi una sfera della nostra psiche di cui noi non siamo consapevoli se non ci sottoponiamo alla terapia analitica. Il punto rivoluzionario a cui arriva Freud è che il vero 34

38 motore dell esperienza umana è esattamente questa dimensione non razionale. Nella formulazione più matura di Freud lui immagina che la nostra psiche sia articolata in tre settori: Es, Super Io, Io. - L Es è la componente più profonda della nostra psiche, quella appunto di cui noi non siamo assolutamente consapevoli, dove agiscono una serie di pulsioni (pulsione di morte e pulsione alla vita). Il concetto di pulsione è diverso da quello di istinto: l istinto non possiamo controllarlo, le pulsioni invece si. - il Super Io è l insieme di codici, convenzioni, che la società ci impone. Quindi le spinte che provengono dall Es vengono regolate e contenute dal Super Io. - l Io è la nostra sfera razionale, ciò di cui siamo consapevoli. l Io è il frutto dell interazione tra Es e Super Io. Un soggetto nevrotico è un soggetto che non è riuscito a operare una sintesi perfetta tra il piano dell Es e il piano del Super Io. Più questo rapporto non è regolato, più le forme di disturbo psicologico emergono. Esse emergono quando il livello della coscienza è basso: per esempio quando dormiamo emergono attraverso i sogni. Questa sorta di depressione, di nevrosi, va curata attraverso la terapia analitica che tenta di risalire alla genesi, a ciò che ha bloccato le pulsioni in questo rapporto tra Es e Super Io. Freud fornisce alcune idee abbastanza diffuse: egli dice che quando l uomo viveva nello stato di natura (richiama Hobbes) non esistevano il bene e il male, quindi era uno stato invivibile. Quindi come dice Hobbes l uomo baratta la propria libertà con la sicurezza, delega al Leviatano il compito di difenderlo e aliena il proprio diritto di natura: la libertà assoluta. Freud fa un passaggio ulteriore, non solo si aliena dalla propria libertà, ma dalla propria felicità. Cioè l uomo era un uomo fuori da una società era anche più felice, perché la società impone delle regole per stare insieme. Quindi c è un prezzo da pagare nello stare in società. Noi abbiamo una nostra energia che si chiama libìdo, orientata soprattutto da un punto di vista sessuale, per Freud essa è il motore dell uomo. È energia che vuole essere soddisfatta, solo che le convenzioni sociali ci impongono di contenere queste pulsioni che abbiamo altrimenti ci scontreremmo continuamente. Quindi l uomo guadagna in termini di sicurezza, ma perde in termini di soddisfazione della propria libido. Quindi i disturbi derivano dal fatto che questa libido non riesce perfettamente ad essere soddisfatta. I teorici critici trovano tutto ciò rivoluzionario perché spiegano le ragioni per le quali gli uomini nella società capitalistica, liberale, contemporanea, siano insoddisfatti: perché ci sono una serie di cose che impediscono il pieno soddisfacimento di questa libido. Quindi lo stare in società implica dei fenomeni di alienazione che possiamo spiegare appunto tramite la psicoanalisi. Alcuni autori, come Marcuse, rilanciarono il tema della liberazione sessuale. Uno degli aspetti importanti del 68 fu appunto la rivoluzione sessuale. Marcuse in Eros e civiltà teorizza che la civiltà ci impone un prezzo da pagare, in termini di soddisfacimento. La morale religiosa cristiana che vede come tabù il sesso, impone una limitazione nei confronti del libero esercizio dell eros. Noi finiamo per essere sottomessi senza rendercene conto, questo è l ideale più negativo in assoluto. Horkheimer negli ultimi anni sosteneva che c era un grosso pericolo nella società del capitalismo avanzato: il problema del senso di fatto si spegnesse. Cioè nel momento in cui smetteremo di domandarci il perché delle cose, se esiste un senso ulteriore rispetto al mero profitto, questa sarà una società dove le persone saranno quasi come automi. Saremo tutti sottomessi alla società neoliberista. A quel punto l uomo crederà di essere libero ma non lo sarà. Quindi anche il marxismo è una prospettiva da abbandonare perché l ideale marxista di una società pacificata era esattamente questo ideale: una società in cui tutti siamo uguali, tutti siamo uguali, lo Stato si sarebbe estinto, perché avremmo semplicemente avuto un amministrazione dell esistente. Quest ideale è totalmente totalitario perché era l idea che si potesse amministrare l esistente e che tutto fosse giusto per come era, senza poter andare oltre. Quindi viene meno il momento politico, il momento della critica, il momento del superamento. Quindi anche l ideale marxista andrebbe abbandonato. Adorno era l autore più pessimista, perché Marcuse immagina tutto sommato che un miglioramento ci possa essere non a caso guidava le proteste del 68, Adorno invece sosteneva che ciò che contraddistingue l uomo quando vive in società è la razionalità. Però secondo Adorno la razionalità è qualcosa di totalitario in sé. Innanzitutto secondo Adorno la ragione è quello strumento che ha 35

39 permesso all uomo di vincere la sua sfida contro la natura, di potersi porre su un piano culturale. La ragione è una caratteristica dell essere umano volta a soggiogare il soggetto, cioè la natura. Dopo che l uomo ha sottomesso la natura, la ragione ha cambiato obiettivo: dalla natura è passato all altro uomo. Quindi la dialettica della razionalità umana è un procedimento che dalla sottomissione della natura è arrivata alla sottomissione dell uomo: il totalitarismo. Adorno e Horkheimer scrissero insieme la dialettica dell illuminismo : il percorso dialettico della ragione. Illuminismo non è la corrente del 700, loro per illuminismo intendono la razionalità ampia nel suo genere. La storia umana è un processo di decadenza, di totale sottomissione dell essere umano. Per cui la paura che questi studiosi avevano negli anni 50 era l idea di una società di massa dove tutti siamo uguali, dove il concetto di individualità non ha più senso. Un ultimo aspetto importante è la matrice ebraica. Dal punto di vista culturale e filosofico i pensatori ebraici hanno sempre sottolineato l impossibilità di definire l assoluto, cioè Dio. Anche nella religione ebraica è così, non c è una raffigurazione di Dio. Siamo noi cristiani che raffiguriamo Dio ad esempio con la barba bianca, che sta sulle nuvole, ecc. ma nella tradizione ebraica, così come nell islam, non c è una rappresentazione del divino perché è considerata quasi una forma di blasfemia. Horkheimer è tornato molto sul tema del divieto di rappresentare l assoluto. Egli dice che lo strumento con cui noi conosciamo la realtà è la ragione. Dio, se esiste, è qualcosa che fa parte della nostra realtà anche se non possiamo avere un esperienza diretta. Ora io della mia realtà posso conoscere gli enti: gli studenti, la classe, il telefonino, il sole, ecc. quindi la mia ragione tramite concetti mi permette di parlare della realtà. Ma gli enti di cui noi parliamo e che possiamo esprimere tramite concetti, appartengono al relativo, non all ambito dell assoluto. L assoluto per definizione, dice Horkheimer rifacendosi alla tradizione ebraica, deve essere qualcosa di non concettualizzabile, di non rappresentabile. Perché se fosse rappresentabile sarebbe uguale a tutti gli enti della quotidianità di cui possiamo parlare tramite concetti e definizioni. Quindi se potessimo dire cos è Dio, Dio sarebbe uguale a tutto il resto. Ma Dio, se esiste, deve essere qualcosa di diverso rispetto a ciò che noi possiamo conoscere tramite l esperienza. Quindi Dio non deve essere rappresentabile, altrimenti diventerebbe relativo. Ma cosa c entra questo discorso con l assoluto? C entra perché questi autori sono atei, ma mentre le teorie normative come quella di Rawsl identificano l assoluto terreno con la società retta dai principi di giustizia, che diventano l elemento a partire dal quale valutare la realtà concreta, l assoluto terreno cioè la società pienamente realizzata ed emancipata, non può essere espressa a parole. Noi abbiamo una tensione verso quest idea di assoluto terreno ma non possiamo esprimerla a parole, quindi è una tensione che agisce da stimolo per la critica della nostra esperienza concreta. Quindi il punto di partenza della critica diventa questa tensione nei confronti di questo universale, di questa società perfetta che ha lo statuto di assoluto, ma che noi non possiamo definire anche perché, sostiene Adorno in maniera molto pessimista, la storia umana è storia di repressione. Adorno si avvicina molto a Foucault per certi versi, quando Foucault faceva una storia dei sistemi di potere legandone le varie forme di episteme che si susseguono nella storia, e molti studiosi hanno cercato di intravedere appunto analogie e dissonanze tra il progetto di Foucault e la teoria francofortese, perché entrambi sono interessati al problema del potere, al modo in cui la cultura contribuisce al dominio, al ruolo negativo che la scienza può avere in questa logica di dominio della società, quindi non più una scienza come strumento di emancipazione come pensavano gli illuministi, ma la scienza come strumento che è al servizio della logica di dominio. Quindi il punto di partenza della teoria critica rimane il concetto di negatività sociale. La società in cui viviamo non è una società pacificata come pensava Hegel. I teorici critici rifiutano quest idea, quindi la società non è pacificata perché c è la sofferenza innocente. Gli autori più recenti della teoria critica concepiscono questa negatività sociale non come una lesione dei principi di giustizia, che è il modo in cui ragionerebbe un teorico rawlsiano, ma la negatività sociale è qualcosa di più ampio. Non riguarda la semplice violazione dei principi che noi stabiliamo in astratto, ma i fenomeni di negatività nella società nascono all interno stesso dei processi di riproduzione della società. Il capitalismo non è un semplice sistema economico di cui noi possiamo infischiarcene 36

40 nella società in cui viviamo, perché la razionalità capitalistica sta colonizzando, dirà Habermas, tutti gli ambiti della nostra esperienza. La tecnica non è un qualcosa che sta aldilà, uno strumento di cui possiamo fare a meno, perché la tecnologia oggi è qualcosa che sta finendo per dominare l uomo. Quindi questa razionalità non è qualcosa di neutrale rispetto al modo in cui viviamo. Il modo stesso in cui il capitalismo si sviluppa genera queste patologie. Non è che la negatività è una lesione di un principio, di un imperativo categorico che vale sempre dall uomo platonico fino all uomo del 3500 d.c. non esistono questi ideali elaborati così, gli ideali sono sempre elaborati dalla prassi, perché come ci ha insegnato Marx le idee sono sempre prodotte da noi. Quindi il compito della teoria critica qual è? All interno di una certa società, per esempio, quali sono gli ideali che vengono fatti proprio da questa società? Ad esempio gli ideali di libertà ed uguaglianza, che sono quelli dominanti, come si realizzano? E questi ideali, nella loro realizzazione concreta, finiscono per essere addirittura travisati? Perché se così fosse saremmo in presenza di una contraddizione, di una patologia sociale. Quindi a parole oggi tutti siamo a favore della libertà, ma dobbiamo capire come realizzarla. Il sistema capitalistico è un ideale totalitario in sé, cioè a parole difende la libertà ma in realtà non è così, anzi finisce con l asservire sempre di più l uomo. Qui dobbiamo capire i meccanismi di riproduzione della società per capire dove nascono effettivamente queste patologie sociali. Quindi, torna in campo l idea della totalità: la teoria critica si occupa di tutta la società, perché non possiamo tagliare la sfera dell esperienza umana, ma tutto è in relazione soprattutto nella forma di vita capitalistica dove l elemento economico, che ha una certa razionalità predominante (razionalità strumentale Weber) è una razionalità sempre più invadente che, come diceva Habermas, va colonizzando tutti gli ambiti della vita umana. Questo non è un discorso molto astratto, noi oggi sentiamo parlare del primato dell economia, della politica che non è autonoma, della mentalità meritocratica ed economicistica che colonizza il mondo della cultura, della scuola; esattamente ciò di cui parlavano questi studiosi quindi non è un discorso astratto, ma è la realtà in cui viviamo in un certo senso. Le patologie sociali quindi derivano dal fatto che quegli ideali che possono essere giusti in realtà non sono applicati perfettamente, quindi gli ideali illuministici ai quali in teoria tutti ci richiamiamo in realtà non sono applicati concretamente. Quindi le patologie sociali rappresentano una mancanza di razionalità a livello sociale. Qua non si tratta di dire che un soggetto non è razionale perché non rispetta una legge, come avrebbe detto Kant, qui parliamo della società nel suo complesso: abbiamo una società che ha riconosciuto certi principi, ma che di fatto non riesce a realizzarli. Quindi aveva ragione Hegel nel dire che la società del 1800 era più razionale rispetto alla società in cui c era la schiavitù, ma ancora oggi continuano ad esistere dei fenomeni di irrazionalità sociale. Questa complessivamente è la teoria critica di Francoforte. Possiamo vedere che oggi gli esponenti più giovani di questa teoria che continuano a proporre analisi critiche della società, si differenziano rispetto alle due grandi correnti dominanti nella filosofia politica della seconda metà del 900, cioè i liberali e i comunitaristi. I teorici critici si distinguono rispetto al liberalismo perché il liberalismo, nel modo in cui loro lo rappresentano (che per il prof. Muscolino è un modo completamente sbagliato), è una teoria che attribuisce dei diritti a dei soggetti, lo Stato deve essere minimo, e manca un qualunque legame sociale che sia qualcosa di oltre rispetto agli interessi. Cioè l individuo sta in società perché ha interesse (Locke). Quindi nel modo in cui i liberali costruiscono la loro narrazione secondo i francofortesi, il centro di tutto sono i soggetti portatori di diritti. Quindi le ingiustizie sono la violazione di questi diritti. Il liberale quali domande di giustizia si pone nella società? Il problema del merito, della proprietà, lo stato che non deve invadere la proprietà privata, queste sono le domande che in genere si pongono i pensatori di matrice liberale. Ma manca, secondo i teorici critici, una riflessione a tutto campo sul senso della totalità, sulla dinamica anche cooperativa della società, sul concetto di prassi all interno di una società. E soprattutto per i teorici critici che sono sempre eredi di Freud, non ci si pone dal punto di vista liberale il tema della sofferenza individuale, perché non avendo fatto propria la lezione della psicoanalisi per come l hanno mutuata i teorici critici, dal punto di vista liberale che problema c era nel momento in cui una persona è sofferente? Era un problema suo, che doveva risolversi nella sfera privata, ma non c è 37

41 una riflessione sul perché ad esempio erano stati originati questi disturbi che possono creare una serie di problemi dalle strutture stesse della società, perché la società non esiste. Quindi ragionare solo in termini di individui che hanno una serie di beni, come il sistema di diritti che li tutela, e poi ognuno fa ciò che vuole; e senza una riflessione più profonda sul problema della vita buona cioè di ciò che è giusto fare in generale, senza questo si perde una parte importante della nostra esperienza umana perché noi non siamo soltanto individui che perseguiamo il nostro interesse economico in competizione con gli altri, soprattutto è anche irrealista l idea che l individuo sia slegato rispetto agli altri. Questo è il motivo per cui i teorici critici non si definiscono liberali, ma casomai democratici. L idea di democrazia è più interessante secondo questi autori, perché la democrazia fa riferimento ad un ethos comune, cioè di una comunità che si organizza per gestire il potere. È interessante anche il confronto con il comunitarismo. Anche i comunitaristi contestavano i liberali per lo stesso motivo dei francofortesi. Il problema dal punto di vista francofortese è che i teorici comunitaristi fanno loro un idea di ethos che non va bene perché spesso il concetto di comunità a cui fanno riferimento i teorici del multiculturalismo, è un concetto forte di comunità: una comunità di sangue, una comunità etnica, una comunità raziale, religiosa, con un concerto forte di tradizione che non è compatibile con lo scenario pluralista della società contemporanea. Per cui i teorici critici invece sostengono che la comunanza la si deve trovare a livello razionale: non è l essere religiosi che può creare una comunanza all interno di una società, perché se abbiamo idee religiose diverse non ci intendiamo. Non può essere il sangue o l etnia il collante la società perché altrimenti dovremmo vivere in società slegate, su base etnico-raziale molto forte. Ma il consenso, ciò che crea il legame sociale, deve avere origine nella ragione. Habermas diceva che la società deve guardare ai valori attorno ai quali si struttura la convivenza organizzata, ma non in termini raziali o religiosi, devono essere valori giuridici: patriottismo costituzionale. Dobbiamo considerarci membri dell Italia o dell Europa non perché condividiamo un unica religione, abbiamo lo stesso sangue, lo stesso colore della pelle; ma dobbiamo ritrovarci in dei valori morali e giuridici che danno senso alla comunità in cui viviamo. Quindi io divento membro di una data comunità quando ne sposo i valori fondanti: libertà, uguaglianza, dichiarazione universale dei diritti dell uomo cioè il patrimonio giuridico della modernità occidentale. Solo così Habermas ipotizzava fosse possibile costruire l Europa, non l Europa dei mercati, ma l Europa di una comunanza di valori giuridici. Habermas ci permette di capire in che senso la dimensione collettiva della nostra esistenza va rintracciata in un fondamento razionale. Ecco perché i teorici critici si muovono all interno della tradizione illuminista, come anche il marxismo. C è l idea della razionalità ma dobbiamo capire perché la società presenti invece dei margini di irrazionalità. Società significa ragione, un insieme di persone che vive in un territorio, in un dato periodo, che si dà delle leggi, cioè è un organizzazione razionale. Solo che questa razionalità alla fine fallisce, e perché? Compito della teoria critica è capire perché, capire dove gli ideali vengono traditi nella prassi. Tornando alla distinzione tra relativo e assoluto, più noi perdiamo la possibilità di immaginare che le cose possano essere diverse perché sono relative, più il mondo in cui viviamo ci apparirà come assoluto, cioè come un qualcosa che è così perché è giusto che sia così. Che è esattamente la condizione che aveva lo schiavo nell Atene del IV secolo che si rassegnava alla sua condizione, non immaginando altro. La teoria critica serve a mantenere vivo questo senso della relatività del mondo in cui viviamo, cioè è possibile che le cose vadano diversamente. Quindi siamo sicuri di essere realmente liberi? O semplicemente ci omologhiamo a una serie di mode culturali con le quali riempiamo di senso la nostra esistenza che non ha più un senso? Si è persa magari la consapevolezza dei grandi ideali rivoluzionari: nel 68 gli studenti protestavano per ottenere una società migliore, per un impostazione del sapere meno gerarchica, ecc ecc. oggi invece ad esempio si occupano le scuole per anticipare le vacanze natalizie. Questi sono fenomeni di decadenza, direbbero i francofortesi. Quindi il momento della razionalità è un momento fondamentale della nostra esperienza. 38

42 26 ott. HABERMAS Habermas è il più importante e famoso interprete della seconda generazione della scuola. È un allievo di Adorno e comincia la sua attività intorno agli anni 50. È importante la sua figura sia perché è considerato come uno dei massimi filosofi viventi, sia perché negli anni 90 ci presenterà una grande teoria discorsiva del diritto e della democrazia. Comincia a lavorare all interno dell Istituto insieme ad Adorno ed Horkheimer intorno agli anni 50, e ci sono una serie di problemi a livello culturale nella società tedesca di quel tempo. C è il dramma del totalitarismo e dell olocausto; c è un confronto a tutto campo sulla filosofia di Martin Heidegger che è stato uno dei principali artefici-teorici del nazismo; c è un problema relativo al comunismo reale: com è possibile attuare il marxismo senza ricadere negli errori dello stalinismo e della rivoluzione russa? E poi c erano dei problemi interni alla teoria critica stessa. Per esempio non era molto chiaro quale fosse il problema sul quale la teoria critica si concentrava, perché i teorici critici sono interessati a studiare il modo in cui la forma capitalistica influenza la società. Ed è proprio questo uno dei problemi. Cioè il problema della società umana, il problema dell alienazione, deriva solo dal principio di scambio? Cioè dal principio cardine dell economia di tipo capitalistico? O c è altro su cui ragionare? Perché se il problema fosse soltanto il principio di scambio, come mai l Unione Sovietica dove ormai non c è più un economia capitalistica, continuano ad esistere fenomeni di alienazione ed è quindi un modello, come abbiamo detto, da rifiutare? Se il problema non è solamente il principio di scambio, ma è qualcos altro per esempio la natura totalitaria della ragione, e qui richiamiamo Adorno che come abbiamo detto scrisse la dialettica dell illuminismo cioè, aveva tracciato una storia della razionalità umana come processo di asservimento prima della natura e poi dell uomo. Quindi la storia umana è una storia di decadenza in cui l uomo finisce per essere assoggettato perché la razionalità in sé è un qualcosa di totalitario. Secondo Adorno la razionalità è un pensiero concettuale. Il concetto è quel qualcosa tramite il quale noi catturiamo un aspetto della realtà. Ma ci sarà sempre un qualcosa del reale che sfugge al concetto, che cerca di immagazzinarlo. Quindi nel momento in cui la razionalità utilizza i concetti, e i concetti sono un tentativo di bloccare (immagazzinare) la realtà, a questo punto la storia della razionalità non può che essere un processo di sottomissione. Per questo Adorno dice che la razionalità è in sé totalitaria, perché il concetto è un tentativo di imporre un ordine alla realtà che però sfugge a quest ordine. C è una frase molto famosa di Adorno nel suo libro dialettica negativa : <<l utopia della conoscenza sarebbe aprire l aconcettuale con il concettuale, senza ridurlo ad esso>>. L aconcettuale è quell elemento della realtà che non può essere concettualizzato, che però noi proviamo a conoscere come un concetto. Ciò che noi dovremmo riuscire a fare, dice Adorno, sarebbe riuscire ad aprire l aconcettuale con il concettuale, senza però imporre questo tentativo di controllo (utopia una conoscenza che non sia una forma di imposizione, che poi diventa totalitaria). Siccome la ragione non lo può fare, la ragione è di per sé totalitaria. Habermas comincia a prendere le distanze da questo pensiero, perché secondo lui il rischio che si ha con una prospettiva come quella di Adorno, è quella di offrirci una rappresentazione della storia decadente, cioè una narrazione dove si perdono una serie di elementi importanti della storia umana, in termini di progresso morale, di emancipazione. Perché se raffiguriamo la storia umana come semplicemente una logica di dominio, come interpretiamo correttamente l Illuminismo o la Rivoluzione francese? Come facciamo a leggere positivamente la Dichiarazione dei diritti dell uomo all interno di uno schema adorniano? La Democrazia è una forma di governo moralmente superiore rispetto al totalitarismo, o sono entrambe facce di un unico processo totalitario di affermazione della ragione umana? È questo il quesito che pone Habermas, al quale secondo lui non si può rispondere positivamente nel momento in cui accettiamo un paradigma di tipo adorniano. Perché tutto è negativo, cioè tutto è visto in termini di negazione e affermazione del dominio. Quindi il punto di partenza di Habermas, soprattutto alla fine degli anni 60 sarà questo. Nei primi anni della sua riflessione Habermas è tutto sommato ancora molto vicino alle tesi dei francofortesi. Per 39

43 esempio uno degli aspetti importanti della teoria critica di quegli anni era l attenzione al sistema dei media. I francofortesi guardano al sistema mediatico in maniera fortemente negativa, perché sono tutti strumenti al servizio di quella che loro chiamavano industria culturale. Cioè nella società di oggi l uomo conta perché è un consumatore. Gli studiosi sono terrorizzati dall idea di massificazione, dove diventiamo tutti delle pedine nelle mani di un industria culturale. Non siamo più soggetti liberi di scegliere perché siamo tutti al servizio di questa gigantesca operazione economico-culturale di cui noi siamo semplicemente pedine, e non attori protagonisti per come pensiamo. Habermas è molto affascinato da questa idea, e nella sua tesi di abilitazione ( storia e critica dell opinione pubblica ) riflette sul ruolo negativo die media nel processo di costituzione dell opinione pubblica. Ciò che caratterizza l età moderna in Europa è l affermazione progressiva della Democrazia che si pone quando comincia a costituirsi una sfera pubblica come luogo di discussione. E quando questa comincia a costituirsi, il problema della sovranità cioè dell esercizio del potere, comincia ad essere visto non più come un dato di natura (il re governa perché deve), ma progressivamente, con l affermazione dei principi democratici, si afferma l idea che la sede della sovranità è il popolo. Quindi la fonte del potere deve essere la libera discussione e la fonte di legittimità del potere deve venire dal basso. Però, dice Habermas, le discussioni politiche sono influenzati nella società contemporanea dai mass media che fanno un opera di manipolazione della sfera pubblica. Nella seconda metà degli anni 60 c è un altro scritto interessante che si intitola conoscenza e interesse pubblicato nel 68. È interessante perché Habermas riflette sul nesso fondamentale tra la conoscenza e l interesse. La conoscenza umana non è mai qualcosa di neutrale, ma è sempre mossa da un interesse (in questo Habermas resta fedele interprete di Marx). Habermas ragione sui differenti tipi di interessi: - Interesse teorico: interessi propri che muovono la scienza naturale. La fisica, la biologia, sono mosse da un interesse: conoscere la realtà. - Interesse pratica: riguarda le discipline storico-ermeneutiche. Io voglio comprendere per agire. Cioè voglio comprendere ciò che è accaduto per capire come comportarmi. Poi esistono delle discipline critico-riflessive che hanno come scopo quello di emancipare l uomo, di aiutare l uomo ad emanciparsi. Tra queste abbiamo la psicoanalisi e la teoria critica. Questo testo comincia a far spostare Habermas da una prospettiva di tipo negativista come quella di Adorno, verso una prospettiva più positiva che riguarderà tutti gli scritti degli anni 70 fino ad arrivare nel 1981 alla pubblicazione della sua opera più famosa che si intitola teoria dell agire comunicativo. Negli anni 70 Habermas comincia a riflettere sulla svolta linguistica, cioè sul ruolo fondamentale che ha il linguaggio come strumento di costruzione della nostra personalità, come strumento di costruzione simbolica della società. Il linguaggio è una dimensione imprescindibile per l analisi filosofica. L attenzione al linguaggio porta Habermas ad assumere una prospettiva di tipo post metafisico: nel momento in cui riconosciamo che l approccio nei confronti della realtà è sempre mediato dal linguaggio, nessuno è detentore della Verità. Nessuno può dire come stanno le cose o guadagnare il punto di vista dell Assoluto. La svolta linguistica quindi impone la svolta verso il post metafisico. Per questo egli rifiuterà le teorie del giusnaturalismo, del positivismo giuridico. La svolta linguistica lo porta a riflettere sul fatto che il tentativo che Kant aveva fatto di fondazione della morale tramite l imperativo categorico, deve essere aggiornato. Cioè non posso più fare da solo il test dell imperativo categorico, perché se io sono un essere linguistico, se sono sempre calato all interno di una prassi linguistica, il famoso test dell imperativo categorico devo farlo insieme ad altri, perché i valori e le credenze che ho sono sempre formate all interno di un contesto dialogico e discorsivo comunicativo. Perché ciò che è giusto e ciò che è sbagliato va sempre deciso insieme ad altri, non è qualcosa che posso stabilire da solo: le mie credenze si formano all interno di una forma di vita, cioè all interno della comunità a cui appartengo. Quindi negli anni 70 Habermas opera un 40

44 passaggio teorico: da un paradigma di tipo monologico a un paradigma di tipo dialogico. Questi sono i primi punti sui quali Habermas propone di modificare la teoria critica, perché i suoi maestri dal suo punto di vista non avevano dato considerazione al problema del linguaggio, ad esempio secondo Habermas Adorno continua a ragionare in termini di soggetto che si pone nei confronti della realtà, ma non c è un attenzione a questa dinamica dialogico comunicativa. Questo sarebbe il primo tentativo di creare una teoria critica sistematica. Riflettere sulla svolta linguistica, riflettere sulla necessità che la filosofia sia post metafisica, abbracciare un paradigma di tipo dialogico-comunicativo e non più monologico, ci porta anche ad interessarci agli aspetti pragmatici del linguaggio, e non agli aspetti meramente semantici. Parlare non è semplicemente raffigurare la realtà ma è comunicare, ricercare un intesa gli altri. A partire dagli anni 70, Habermas ci presenta una monumentale teoria sociologica e filosofica che parte proprio da questi aspetto: la natura post metafisica della filosofia, la natura linguistica della nostra identità; e cerca di elaborare una teoria sistematica a partire da questi dati. Habermas pensa che il linguaggio non è soltanto uno strumento di rappresentazione della realtà, ma ha una molteplicità di usi, però c è un idea ancora più profonda: tra tutti gli usi del linguaggio ce n è uno fondamentale che è quello che, dal suo punto di vista, risponde ad una logica evoluzionistica l intesa. Cioè il linguaggio serve per imporre una visione del mondo, ma la funzione più importante del linguaggio è stata quella di ricercare un intesa, cioè noi parliamo per comunicare con gli altri, per metterci d accordo su qualcosa. Quindi questa è la funzione prioritaria del linguaggio. Quindi dobbiamo cominciare a comprendere quali possono essere le conseguenze a livello sociologico e normativo, di questi assunti filosofici. Habermas riprende l idea del dialogo per provare a ragionare su quali conseguenze sia possibile tirare in questo campo da quegli assunti teorici. Cosa significa che gli uomini parlano? Habermas introduce il concetto di situazione linguistica ideale. È una costruzione ideale che ha la stessa finalità della posizione originale di Rawsl: trovare un criterio in base al quale criticare la realtà concreta. Rawsl elabora l idea della posizione originaria grazie alla quale scopriamo i principi di giustizia che ci consentono di criticare la realtà in cui viviamo, Habermas invece ragionando sul versante linguistico comunicativo inventa l idea di situazione linguistica ideale. Siccome da francofortese Habermas è molto sensibile al tema della manipolazione linguistica, si domanda se è possibile immaginare una situazione nella quale la comunicazione sia assolutamente trasparente, cioè priva di manipolazione o coercizione e logiche di dominio. Per cui prova a costruire questa situazione linguistico ideale, nel quale tutti i partecipanti alla discussione rispettano 4 pretese di validità: (se non si rispetta anche una di queste pretese, in realtà non stiamo facendo un dialogo) 1. Giustezza: ognuno deve rispettare le norme che regolano il dialogo, se non sono disposto a rispettare le norme non sto facendo un dialogo. Ad esempio se proibisco all altro di parlare. 2. Verità: ognuno deve presentare i proprio argomenti nell ambito della discussione in modo che essi abbiamo un contenuto proposizionale vero, deve rappresentare un qualcosa, non possiamo discutere sul nulla. 3. Veridicità: quando io presento delle teorie devo essere sincero quando le sostengo, cioè devo crederci realmente. Non posso presentare argomenti solo per ingannare l altro, perché in questo modo non sto dialogando. Ma nell affermare qualcosa devo essere sincero. 4. Comprensibilità: devo presentare i miei argomenti in modo che gli altri possano intenderli. Ad esempio Renzo nei Promessi Sposi quando parla con l avvocato afferma di non sapere che farsene delle sue parole perché non capisce di cosa sta parlando. Quindi se voglio assumere una posizione evo farmi intendere, devo rendere le mie credenze comprensibili a tutti. Quando ognuno di noi dialoga con un altro per discutere su qualcosa, se vogliamo eliminare qualunque logica di dominio, dobbiamo rispettare queste quattro pretese. Nella situazione linguistica ideale i partecipanti devono rispettare le quattro pretese e quindi alla fine succede che si creerà un consenso unanime intorno alla credenza, tesi, che intercetta il consenso di tutti. Quindi secondo Habermas il fatto di accettare che gli altri presentino le loro 41

45 opinioni, significa anche che devo essere pronto a ritirare le mie quando mi rendo conto che le opinioni del mio interlocutore sono più giustificate rispetto alle mie. Alla fine dell argomentazione rimarrà la tesi più giustificata, cioè quella su cui si intercetta il consenso di tutti i partecipanti. Cioè si deve raggiungere l unanimità. Questa situazione linguistica ideale ha una natura profondamente kantiana. Mentre Kant immagina che il test per l imperativo categorico, necessario per fondare la morale in modo razionale, avvenga a livello individuale; per Habermas il test per l imperativo categorico diventa la situazione dialogica stessa, cioè il confronto dialogico con gli altri. Questa etica è un etica cognitivista, cioè nell ambito della situazione linguistica ideale noi mettiamo in campo un processo di conoscenza. Entro nel dialogo con delle credenze, se sono fortunato alla fine della discussione le mie credenze avranno intercettato il consenso di tutti, se sono stato meno fortunato sono stato io a cambiare le mie idee perché mi sono convinto che la posizione di qualcun altro sia più giusta, più razionale. Quindi mettiamo in moto un processo di maturazione interiore, da un punto di vista razionale, morale, ecc. quindi parliamo di un etica cognitivista, acquistiamo conoscenza. Però è un etica al tempo stesso di tipo formalistico, cioè Habermas ci descrive la forma che il nostro ragionamento morale deve avere ma non ci dice cosa dobbiamo fare. Non è un etica sostantiva, ma un etica formale. Ed è un etica universale, cioè vale per tutti ed è razionale. Una posizione etica di questo tipo serve ad Habermas per muoversi all interno di due estremi opposti: diritto naturale e positivismo giuridico. Il diritto positivo è il diritto posto, cioè elaborato dalle istituzioni. Il diritto naturale è il diritto di cui parlano i teorici del giusnaturalismo, secondo cui esiste un diritto di naturale, cioè esiste un ordine nelle cose che il diritto positivo dovrebbe rispettare, e se non lo rispetta diventa un diritto ingiusto. Per i giusnaturalisti il diritto positivo deve incontrare un limite nel diritto naturale. I positivisti giuridici invece sostengono che l unico criterio di legittimità del diritto è il fatto di essere posto dall autorità. Quindi esiste solo il diritto positivo. Soprattutto in età contemporanea, con la svolta linguistica, il positivismo giuridico è diventato abbastanza influente, perché siccome non è possibile parlare di natura umana, di un ordine del cosmo ecc. ecc. perché tutto è sempre mediato dal linguaggio, allora tutto ciò che riguarda la morale, la politica, non può essere argomentato da un punto di vista razionale quindi l unico diritto esistente è il diritto positivo. Se una norma è elaborata dall autorità competente allora è giusta. I giusnaturalisti dicevano che una norma deve essere innanzitutto giusta, altrimenti non è norma. Invece il positivismo giuridico si è concentrato su altri due aspetti che sono la validità e l efficacia. Alcuni positivisti sostengono che una norma è tale solo se è valida, cioè se è stata emanata dall autorità competente. Altri, soprattutto in Nord Europa, sostenevano invece che il problema del diritto è la sua efficacia: le norme possono anche esistere ed emanate dall autorità competente, ma non sono efficaci, cioè di fatto è come se non esistesse. Giustizia, validità, efficacia sono i tre poteri sul quale valutare una norma. Habermas cerca di muoversi all interno di questi due estremi: da un lato il giusnaturalismo che sostiene che esistano dei criteri oggettivi e morali che il diritto positivo deve rispettare; e il positivismo giuridico che invece nega che esistano questi criteri e che l unico diritto giusto è il diritto che esiste. Perché è importante questo aspetto? Perché se noi assumiamo una prospettiva come quella positivista e la sposiamo al 100% diventa difficile immaginare un diritto di resistenza nei confronti del sovrano, perché se il diritto è giusto per il fatto stesso di esistere perché dovremmo criticare un atto di arbitrio del sovrano? Se oggi il sovrano dell Italia decidesse che una certa categoria di persone non godono più di una serie di diritti, per il fatto stesso che quest atto venga emanato dall autorità competente, diventa di per sé un atto valido, giusto e quindi efficace. Mentre la tradizione del liberalismo, che sosteneva l esistenza di diritti naturali pre-statali (proprietà, vita, libertà), sosteneva appunto che il potere politico deve rispettare dei diritti che esistono prima, perché altrimenti diventa un potere arbitrario, non abbiamo più criteri per criticare il potere. Mentre Locke diceva che quando lo stato viola questi tre diritti naturali, noi abbiamo un diritto di resistenza verso il potere. Come facciamo a teorizzare un diritto di resistenza se sposiamo una posizione di tipo positivista al 100%? Secondo Habermas è impossibile. Ma al tempo stesso ci si 42

46 può muovere all interno di una posizione post metafisica, come dicevamo. Cioè non posso dire che esiste un ordine nel mondo, perché non ho un modo per poterlo argomentare; non posso dire che esiste una natura umana perché se parlo di natura umana sto usando un determinato tipo di linguaggio che può essere non condiviso dal altri. Quindi muoversi all interno del post metafisico significa non avere lo sguardo di Dio, e se non ho lo sguardo di Dio come faccio a parlare di una legge naturale che tutti dovremmo condividere? Quindi sia il positivismo giuridico che il giusnaturalismo sono due estremi che Habermas vuole rifiutare. Però vuole salvare le esigenze positive di entrambi. Riconosce che l unico diritto che esiste è quello positivo evidentemente, ma al tempo stesso garantire dei margini di critica. E la posizione della linguistica ideale e quest attenzione alla linguistica comunicativa della nostra esistenza serve esattamente a questo. Perché se noi diciamo che gli uomini sono esseri linguistici che dialogano tra loro, se noi diciamo che il linguaggio ha la funzione di farci intendere cioè raggiungere un consenso morale, allora noi capiamo che la quinta essenza della modernità occidentale è stata esattamente questa: quella di rompere con la tradizione, dare vita ad una sfera pubblica che sia libera soprattutto rispetto all influenza del potere religioso e poi politico, una sfera quindi che sia luogo di discussione dove tutti partecipiamo discutendo. E se tutti possiamo discutere significa che ad un certo punto possono emergere delle critiche nei confronti dell ordine costituito, nei confronti del potere, nei confronti delle leggi. Quindi è l elemento stesso della discussione che consente la critica. Cioè è il fatto stesso che discutiamo che legittima la critica. Quindi con questa idea Habermas prova a muoversi al centro tra il giusnaturalismo e il positivismo. Teoria dell agire comunicativo presenta in parte questi aspetti e ci parla della società da un punto di vista sociologico, perché i teorici critici non sono filosofi che discutono solo delle idee, ma sono anche sociologi perché l attenzione alla categoria della totalità implica il bisogno di capire come la società funziona. Dal punto di vista sociologica Habermas instaura un confronto serrato con la teoria sistemica di Parsons. Parsons divide la società in sottosistemi, questa struttura viene recuperata da Habermas che vede la società come articolata su due momenti: il sistema e il mondo della vita. Nel sistema ritroviamo alcuni ambiti dell esperienza umana, per esempio l economia, che sono ambiti nei quali agisce una ben precisa forma di razionalità. Nel mondo economico, come ci ha mostrato Weber, agisce una razionalità di tipo strategico-strumentale. Nel mondo economico abbiamo a che fare con un conflitto tra imprenditori per un profitto, per cui noi cerchiamo di comportarci sulla base di valori quali l utilità, l efficienza, il profitto; quindi tendiamo a massimizzare la nostra utilità, questo è un tipo di agire strategico-strumentale: io tratto le cose come mezzi per raggiungere di fini (ad esempio abbasso i salari dei lavoratori per aumentare i margini di profitto). Nel mondo della vita invece, non agisce una razionalità di tipo economico, quindi strategicostrumentale. Ma agisce una razionalità di tipo comunicativo: esistono degli ambiti della nostra esperienza (morale, diritto, politica) nei quali noi in teoria dovremmo discutere con gli altri per capire ciò che dobbiamo fare. Quindi l obiettivo non è massimizzare il nostro utile, ma l obiettivo è intendersi con gli altri. Il problema è che nella società di massa del tardo capitalismo, la razionalità strategico-strumentale che caratterizza il sistema, a poco a poco sta colonizzando anche il mondo della vita. Cioè ambiti nei quali dovrebbe agire una razionalità di tipo comunicativo sono influenzati invece da una razionalità di tipo strategico-strumentale. Esattamente quel primato dell economico di cui si parla oggi. La politica non è più autonoma rispetto all economia. Se l età moderna l abbiamo contraddistinta richiamando il concetto di sfera pubblica, cioè di un luogo all interno della società dove dovrebbe trovare legittimazione il potere grazie ai processi dialogici, se questo è l elemento fondamentale che ha contraddistinto l esperienza della modernità, con il capitalismo la forma di razionalità dominante è diventata quella strategico-strumentale. Quindi il capitalismo avrebbe sostanzialmente fatto deviare questo percorso. Nella società di oggi questo processo di colonizzazione del mondo della vita da parte del sistema, fa si che momenti di 43

47 esercizio di questa razionalità comunicativa diminuiscano sempre di più. Quindi, ricapitolando, l attenzione al linguaggio porta Habermas ad insistere su questa funzione importante della comunicazione: il linguaggio serve a comunicare. Complessivamente abbiamo diverse tipologie di agire che corrispondono alle diverse tipologie di razionalità: abbiamo una razionalità di tipo strategico-strumentale ciò significa che abbiamo una forma di agire strategico strumentale che è quella del burocrate, dell imprenditore. Poi abbiamo una forma di razionalità comunicativa che dà vita ad una forma di agire comunicativo, che è quello che noi incarniamo quando ci sediamo insieme agli altri a discutere per cercare un intesa su qualcosa. In questa prima fase che culmina nel 1981 Habermas sostanzialmente fa ruotare il tutto intorno a questa intuizione della colonizzazione del mondo della vita e immagina che il mondo vitale provi a combattere l ambito del sistema per riuscire ad imporre questa sua logica comunicativa verso la logica strategico-strumentale. Anche se è molto scettico sulle possibilità che questo possa accadere, ma è sicuramente più positivo rispetto ad Adorno che non vedeva alcun margine di miglioramento e che aveva una visione negativa della stessa modernità che era un momento interno a questa storia di decadenza. Mentre per Habermas sostiene che nel momento della modernità si è avuto un momento di emancipazione reale, che corrisponde ad un bisogno antropologico dell essere umano, collegato al linguaggio. Perché se il linguaggio è nato è stato per fare uscire l uomo dallo stato naturale allo stato culturale. tutti i partecipanti alla discussione rispettano 4 pretese di validità GIUSTEZZA VERITA' VERIDICITA' COMPRENSIBILITA' 2 NOVEMBRE CAPITOLO 2 RIEPILOGO LEZIONE PRECEENTE La volta precedente abbiamo introdotto il pensiero di HABERMAS sulla rottura critica perché siamo passati dalla serie di autori che insistevano molto sul pensiero HEGLE-MARXISTA, sul tema della negatività per passare ad un autore come Habermas che cerca di sviluppare un discorso più organico e sistematico sulle potenzialità e razionalità della ragione umana, quindi la teoria dell agire comunicativo risponde a questo tentativo di recepire innanzitutto la svolta linguistica avvenuta nella riflessione filosofica del 900 e vedere a partire, appunto, da questa svolta nei confronti del linguaggio come era possibile articolare la difesa della razionalità e come vedremo 44

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