Proprietà letteraria riservata 2010 RCS Libri S.p.A., Milano Prima edizione digitale 2010 da edizione gennaio 2010

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3 Proprietà letteraria riservata 2010 RCS Libri S.p.A., Milano Prima edizione digitale 2010 da edizione gennaio 2010 Art Director: Francesca Leoneschi Graphic Designer: Laura Dal Maso Quest opera è protetta dalla Legge sul diritto d autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

4 Artemidoro di Efeso, il più grande geografo di età ellenistica, resta un personaggio enigmatico. La sua vastissima opera in ben undici libri è andata perduta, ma le sue tracce sopravvivono, e vanno interrogate. Lo ha fatto Luciano Canfora in questo saggio suggestivo e coinvolgente. Dalla difficile missione diplomatica a Roma al lungo viaggio a Occidente, oltre le Colonne d Ercole, al ritorno a Oriente: fino alla costa etiopica, ai margini di un mondo nel quale verità e leggenda si mescolano e abbagliano. La dolorosa perdita della prima descrizione del mondo dovuta a questo antico, infaticabile viaggiatore può essere risarcita dallo sconcertante papiro emerso dalle nebbie una quindicina d anni fa e attribuito in tutta fretta ad Artemidoro? Questo libro risponde al quesito attraverso una grande inchiesta. Ricompone i pezzi del puzzle e approda in ambienti politico-intellettuali europei dell Ottocento, al centro dei quali si muove, con inquietante disinvoltura, il greco Simonidis, uno dei più grandi falsari del suo tempo. Ed è seguendo le sue tracce che Canfora giunge a svelare la prova che pone la parola fine all affascinante enigma sulla paternità del misterioso papiro.

5 LUCIANO CANFORA, filologo classico e storico, è professore ordinario all Università di Bari e collabora abitualmente con il Corriere della Sera. Tra i suoi numerosi libri, tradotti in tutto il mondo, ricordiamo: Storia della letteratura greca (Laterza 2001), Noi e gli antichi (Rizzoli 2002, ora in Bur), Il papiro di Dongo (Adelphi 2005), Esportare la libertà. Il mito che ha fallito (Mondadori 2007), Ma come fa a essere un papiro di Artemidoro (con Luciano Bossina, Edizioni di Pagina, 2008), Il papiro di Artemidoro (Laterza 2008), La storia falsa (Rizzoli 2008) e i recenti La biblioteca scomparsa (Sellerio, nuova ed., 2009), La natura del potere (Laterza 2009) e La prima marcia su Roma (Laterza 2009).

6 «Nulla affina e forma la ragione addestrata più della geografia.» Immanuel Kant «Disse di aver visto troppo.» Daniel Kehlmann, Die Vermessung der Welt

7 Questo libro deve molto all apporto e alla critica di: Luciano Bossina, Giuseppe Carlucci, Aldo Corcella, Vanna Maraglino, Stefano Micunco, Rosa Otranto, Massimo Pinto, Claudio Schiano. Siano qui ringraziati.

8 Premessa

9 Artemidoro: chi era costui? 1. Ci furono nel mondo antico biografie dei filosofi, dei poeti, degli oratori, a partire da un certo momento anche dei politici, e poi anche dei grammatici e dei retori. Erano categorie che praticavano arti che si insegnavano: la consapevolezza dell esistenza di una tradizione nel senso pieno del termine («passarsi qualcosa di mano in mano») era molto viva in tali ambienti, e si esprimeva, tra l altro, attraverso la narrazione della vita di coloro che tale tradizione avevano incarnato. Ci furono però anche mestieri, o meglio pratiche intellettuali, che non si insegnavano e che non sussistevano autonomamente, ma erano se così si può dire un aspetto di un altro mestiere. Tale fu lo scrivere storia: in genere un prolungamento della politica, un «fare politica con altri mezzi», per usurpare la celebre espressione di Carl von Clausewitz. Tale fu il descrivere, o tentare di descrivere, o immaginare, la terra, o parte di essa: la «geografia». Si può osservare come sin dal principio essa si intrecci fortemente, indissolubilmente, con altre pratiche: in Anassimandro o in Ecateo, come in Erodoto o in Annone, o in alcuni generali e ammiragli di Alessandro Magno, ovvero in Eratostene, ma anche in Polibio, in Posidonio o in Giulio Cesare, in Plinio il Vecchio. Donde anche il profilarsi di diverse maniere di fare «geografia». Per ciascuno di questi autori, e per altri ancora che potremmo mettere in lista, si comprende quasi sempre quali interessi di indagine, o di tipo pratico, abbiano messo in moto le loro curiosità e attività di «geografi», spesso insoddisfatti delle conoscenze fino a quel momento disponibili. Artemidoro di Efeso, fiorito verso la fine del II secolo a.c., mentre l espansione imperiale romana si protendeva, fiaccata la grande potenza macedone, verso il mondo ellenistico dell Asia Minore e del Vicino Oriente, ci è noto solo attraverso le molte tracce che la sua opera ha lasciato, ma assai poco come personaggio. Indizi certi ci fanno intendere che nella sua Efeso da sempre uno dei centri più importanti della grecità era un notabile di molto rilievo, ma il nesso tra il suo peso sociale, la sua attività prevalente (che non ci è nota), e la sua epocale attività come geografo ci sfugge. Sappiamo che era legato all importantissimo santuario di Artemide a Efeso i cui diritti (o privilegi) fu dalla sua città mandato a perorare davanti al Senato romano; ma vorremmo meglio conoscere la natura del

10 suo stretto rapporto col tempio, con quell importante luogo di culto del mondo greco. In un mondo sin dall origine policentrico come quello che fu teatro dell egemonia della cultura greca (da Marsiglia a Siracusa, ad Alessandria, al regno di Ashoka) era quanto mai arduo raccogliere in modo unitario canoni di autori genere per genere (specie quando i confini di un genere non erano nemmeno ben definiti). Lo si poté fare ad Alessandria, da Zenodoto a Callimaco a Didimo, avendo però sott occhio soprattutto il patrimonio letterario «antico», molto meno i «moderni». I moderni (è esperienza anche nostra) sono noti ai contemporanei, ma rischiano di diventare presto ignoti. Efeso era e poteva considerarsi un centro, non periferia di altre aree. E quando Pergamo ospitò una biblioteca di importanza mediterranea, ancor più Efeso fu «centro» di quel mondo ellenistico policentrico che scivolò man mano sotto il controllo di Roma. È probabile che tradizione e documentazione scritta sulla letteratura efesina nei suoi vari aspetti (da Eraclito e Ipponatte in avanti) sussistessero a lungo: certo la sommersione della grecità d Asia travolse anche questo. L idea, consolidatasi a posteriori, di una lineare traditio lampadis da Atene ad Alessandria a Bisanzio (passando per Roma) è solo un illusione ottica. Ma per fortuna, come scrisse panglossianamente il massimo esponente della storiografia illuministica, Edward Gibbon, in uno dei più serafici capitoli di Decline and Fall of the Roman Empire, dall antichità sono sopravvissute opere (che forse si sono salvate proprio per il loro carattere, le quali ci danno una summa delle principali conoscenze accumulatesi in un millennio circa (se partiamo da Esiodo e Omero). Gibbon indicava, esemplificando, Aristotele, Plinio il Vecchio, Quintiliano, Galeno. Ma il criterio è valido: non si spiega altrimenti la salvezza di opere quali Diodoro Siculo, Tolomeo, Diogene Laerzio, Ateneo, e più tardi Marziano Capella, Stefano di Bisanzio o Isidoro di Siviglia etc. E la lista potrebbe allungarsi di molto se solo si considerasse il modo in cui si sono salvati gli scrittori cosiddetti «tecnici»: quali si sono salvati e come furono via via compendiati. 2. Nel campo della geografia greca ci sono quattro grandi «contenitori»: Strabone (età di Augusto), Tolomeo (tarda età antonina), e le due complementari collezioni di origine tardo-antica dei cosiddetti «geografi minori» confluite nei due preziosi manoscritti, rispettivamente del X e XIII secolo, il Palatino greco 398 di Heidelberg e il Parigino Supplément Grec 443, riemerso dopo lunga latitanza nel 1837, quando lo acquistò la Bibliothèque Nationale (allora daccapo Royale) di Parigi e contenente quanto resta del corpus di Marciano di Eraclea.

11 Due di questi quattro straordinari strumenti, i diciassette libri di Strabone e il corpus di Marciano (autori entrambi originari del Mar Nero, l uno suddito di Augusto, l altro vissuto certamente dopo Diocleziano), sono anche delle «enciclopedie» geografiche: un repertorio ragionato, e spesso più polemico che critico, della tradizione geografica greca. Nomi noti e meno noti si susseguono nelle loro pagine: in modo più scolastico e sistematico nelle prefazioni di Marciano perché egli vive in un epoca in cui si ha ormai la percezione (così viva nel Panegirico dell imperatore Costanzo, del retore Temistio) che qualcosa, forse molto e in modo incontrollabile, si sta perdendo, e che dunque un regesto del sapere, oltre che un compendio, è indispensabile. E allora osservare, in entrambi, la presenza pervasiva, diremmo la onnipresenza, di Artemidoro di Efeso ci fa capire la statura, e il peso nelle età successive, di quell autore inghiottito per effetto delle perdite prodottesi nella lunghissima fase storica che si suole definire «fine del mondo antico» ma che è forse più appropriato definire, alla maniera di Michail Rostovcev, «restringimento» (e fine) della civilitas ellenistico-romana: quella civilitas policentrica e capillare che fu sommersa, coi suoi ginnasi, coi suoi libri, con le sue biblioteche, con le sue alacri borghesie urbane e che non si riprese nemmeno con l avvio dell «era costantiniana». Che fu, invece, l inizio di un mondo completamente diverso, di un mondo arroccato in difesa, di un mondo che tutelava, potenziando alcuni centri come suoi punti di forza, quanto rimaneva di quella grande e pervasiva cultura della quale non era stato possibile fare, come un tempo ad Alessandria, il regesto. Restavano i grandi contenitori. Paradossale condizione la nostra: intravedere l influsso scientifico, anzi la presenza, in opere altrui di personalità come Artemidoro o Posidonio, ma non disporre che di frustuli, o di riflessi, della loro opera. Per Artemidoro, cui lo stesso Posidonio si era contrapposto, la difficoltà è accresciuta. Polibio e Posidonio erano entrati ed erano rimasti al centro delle cerchie politiche più importanti del loro tempo (gli Scipioni, Pompeo, Cicerone): Artemidoro, dopo aver lungamente viaggiato e dopo l exploit romano, si può supporre sia rientrato a Efeso. Stentiamo a immaginare che ci fossero tracce biografiche di lui in opere letterarie o politiche del centro dell impero (come accade invece per Posidonio, venerato interlocutore di uomini quali Pompeo e Cicerone). 1 Eppure per Strabone, che si è sistemato a Roma, il confronto con Artemidoro è continuo: Artemidoro è dentro i suoi diciassette libri anche quando non è nominato. A un certo punto egli lo dichiara candidamente, in una pagina alquanto inconsueta, in cui si mette a dialogare con Polibio e apologeticamente lo apostrofa ricordandogli che lui, Strabone, ha preso (adopera addirittura il verbo «trasferire», ) quasi tutto ( ) da Posidonio e da Artemidoro, per cui anche gli errori che commette, per esempio nel campo delle «distanze», sono

12 da perdonarsi. E riassume il lavoro che sta svolgendo in due operazioni: dire meglio ciò che è stato già detto da altri e aggiungere ciò che è stato trascurato per mancanza di informazioni (X, 3, 5). E ovviamente la misura del debito rispetto ai due è ben diversa: Posidonio, nell Oceano, aveva trattato solo alcuni luoghi e alcune questioni, l opera di Artemidoro copriva invece gran parte della materia compresa nel trattato di Strabone. «Se potessimo leggere Artemidoro di Efeso, il quale descrisse la terra circa cento anni prima di Strabone» scrisse con la consueta lucidità il maggiore storico della civiltà ellenistica, Ulrich von Wilamowitz «di Strabone non terremmo alcun conto». 2 Salutare nettezza. E rincarava la dose osservando che in realtà «Strabone fu tenuto in considerazione dalla scienza greca seria altrettanto poco che Diodoro». In realtà si dovrebbe essere ancora più drastici, e osservare che Plinio il Vecchio (23-79 d.c.) ignora e mai adopera Strabone, mentre discute frequentemente Artemidoro. Il nome di Strabone non figura da nessuna parte, nemmeno nelle liste degli autori utilizzati che occupa l intero libro I della Naturalis Historia. Al contrario, per i libri geografici (in particolare il II e il III della Naturalis Historia) Plinio indica entrambe le volte Artemidoro come sua fonte nell elenco degli autori non di lingua latina, e per il III, largamente dedicato alla Spagna, Artemidoro è al primo posto (l ordinamento non è alfabetico). È ovvio: lo scienziato non si rivolge alla mediocre copia, attinge all originale. E notare che Plinio anche per Diodoro ha una buona parola : lo mette in lista e nella praefatio generale lo elogia: 3 ma Strabone proprio no, quando si può disporre direttamente di Artemidoro. 4 Di Strabone, Wilamowitz ridimensionava anche l opera storiografica: «Pura e semplice compilazione, persino sul piano formale». E sull opera geografica ironizzava: «Si è pochissimo sprecato in ricerche originali; è deplorevole che, per quel che riguarda la Grecia, egli abbia avuto interesse unicamente per la preistoria omerica». Ancor più seccamente Eduard Schwartz aveva scritto che Strabone «ricopia Artemidoro». 5 Il silenzio totale di Plinio su Strabone e l uso diretto di Artemidoro sono una forte prova in tal senso; e anche il fatto che Marciano abbia deciso di epitomare Artemidoro, e non Strabone, è un ulteriore conferma. Naturalmente siamo tutti lieti perché disponiamo dei diciassette libri di Strabone, sebbene sappiamo che proprio le opere di compilazione (Strabone stesso, l Epitome di Marciano) hanno contribuito all uscita di scena dell opera maggiore, quella di Artemidoro. Che, con fastidiosa petulanza, Strabone citi Artemidoro quasi solo per criticarlo e fargli la lezione ricorrendo per lo più alla dottrina di Posidonio non ci stupirà, né ci metterà fuori strada. Si tratta di quella ben nota pratica dei Greci

13 stigmatizzata con efficacia dal grande storico ebraico Giuseppe Flavio al principio del Contro Apione (I, 15-16), dove constatando che ciascuno storico greco cita i suoi predecessori solo per confutarli deduce, tra il serio e il faceto, che dunque tutti, presi nel loro insieme, non hanno detto che falsità! Ovvio che si tratta, per l appunto, della reductio ad absurdum di un procedimento (ti cito solo quando dissento da te) che ha tante volte portato fuori strada, nello studio delle fonti, gli studiosi moderni. Il che significa, per tornare al nostro tema, che per farsi davvero un idea concreta di Artemidoro bisogna leggere distesamente Strabone: non limitarsi, come si usa, alle sole, non benevole citazioni esplicite che Strabone si concede o, peggio, ai toponimi che Stefano di Bisanzio trovava «in Artemidoro». 6 Ciò premesso, possiamo addentrarci tra le rovine ancora visibili della grande enciclopedia geografica elaborata da quel notabile efesino tra la fine del II e il I secolo a.c.: che tipo di opera era, cosa includeva e cosa lasciava fuori, e con quale densità narrativa, in ben undici libri. È a tali domande che questo libro cerca di rispondere. *** Studiosi, anche di grande nome, che per ragioni diverse si sono compenetrati o immedesimati in un autore, o in un genere, si cimentano talvolta nel ricrearlo. Sir Ronald Syme che si fa Tacito quando crea lo splendido falso Titus et Berenice: A Tacitean Fragment (Roman Papers, VII), è solo un esempio, certo molto al di sopra della media. La sua è una specie di beffa o di sfida al devastante destino che presiedette alla storia della conservazione e della perdita dei testi antichi. Il cavalier Marino, che inventa un settore del paradiso dove si sono rifugiati i testi che, tra i mortali, sono andati perduti, obbedisce alla stessa pulsione. Più burloni, ma alquanto venali, quei mercanti di Chio che nella Parigi del Seicento [1682] si fecero pagare in anticipo, dagli emissari del re, un edizione di Livio che promettevano completa (!) e che invece scomparvero poi nel nulla. Del resto, non avevano altri greci, mescolando verità e menzogna, caduta ormai anche Buda, fatto intravedere elenchi di tesori nascosti nella Biblioteca del Serraglio? Ritrovare l autore che non c è più, riempire un vuoto, è la spinta principale alla creazione del falso. Lo raccontammo in un precedente libro (La storia falsa) apparso in questa collana. E fu il secolo XIX, nel campo dei manoscritti, il secolo dei falsi così come il XX lo fu per le opere d arte. Le stesse, benemerite, raccolte di frammenti di autori perduti erano, in tal senso, quanto mai suggestive. Ci fu chi si diede a occasionali cimenti e chi invece lo fece con metodo e per mestiere.

14 E ci fu uno che volle riportare in vita i geografi greci che non c erano più. Artemidoro parve, a quel virtuoso, cui è dedicata la seconda parte di questo libro, un terreno su cui edificare e un modello in cui rispecchiarsi. Egli incominciò presto a frequentarlo immettendo frammenti noti di lui nelle proprie opere. Poi un disegno maggiore prese corpo. E nel fare un Artemidoro egli ricorse ai manoscritti principali dei geografi, di cui era avido cercatore. Da quei manoscritti mutuò persino i simboli che immise nel suo. Alcuni (il Vatopedi 655 del Monte Athos) li aveva anche materialmente saccheggiati. Perché lo fece? Per porsi nel solco di una tradizione erudita e patriottica della Grecia oppressa? Per emulare figure del secolo precedente quali Meletios o Niceforo Theotokis? Per colmare, con uno stravagante para-artemidoro, un vuoto nella raccolta (canonica per i greci) degli Zosimadai (Vienna 1807) modellata su quella, insuperata, di John Hudson (Oxford 1698), dove per l appunto il maggiore geografo ellenistico ovviamente mancava? Certo è che, data l ampiezza della sua opera, egli non avrebbe potuto ottenere i risultati che ottenne senza una rete. Sin da molto presto egli si legò ad ambienti inglesi che gli accordarono protezione: forse anche per simpatia verso il suo antipapismo. Nella seconda parte di questo libro cercheremo di scoprire il modus operandi di quest uomo, nella cui testa fanatismo confessionale, voglia di riscatto politico, mania del falso e identificazione col modello si saldarono strettamente. Si chiamava Costantino Simonidis. 1 C erano poi anche altri personaggi col suo nome, che hanno confuso la testa ai moderni. 2 Die griechische Literatur des Altertums, Teubner, Leipzig 1905, p Praef. 25: «Apud Graecos desiit nugari Diodorus et historiam suam inscripsit». 4 Anche questo è un indizio non da poco della effettiva ampiezza e consistenza dell opera di Artemidoro. 5 RE, s.v. Agatharchides, col. 740, 1-4. Qualcosa del genere lasciava intendere Marciano quando accostava, dal punto di vista strutturale, Artemidoro e Strabone (GGM I, p. 566, 4-6: ). 6 Cioè come è stato dimostrato nell Epitome di Artemidoro redatta da Marciano di Eraclea.

15 Parte Prima Artemidoro, il geografo e i suoi viaggi

16 Fig. 1. Luoghi di culto di Artemide in Asia Minore

17 I. Il geografo del tempio di Artemide 1. Efeso sorse, in origine, sul mare: proprio alla foce del fiume Caistro, sulla costa asiatica dell Egeo. Oggi il fiume si chiama Küçük Menderes. Gli apporti alluvionali del fiume hanno fatto in modo che, nel corso del tempo, la città si venisse a trovare via via sempre più lontano dalla costa. Basti considerare che un calcolo risalente all immediato anteguerra fotografò una situazione radicalmente innovativa rispetto a quella antica: una distanza di ormai otto chilometri tra le rovine e la costa. È stato identificato un arcaico agglomerato urbano, precedente la colonizzazione greca e legato strettamente a un antichissimo santuario, luogo di culto della dea della fecondità della terra che i Greci subentrati (coloni ionici che si proclamavano discendenti del mitico re Codro) assimilarono ad Artemide. Santuario, culto di Artemide e insediamento pregreco (potenziatosi con l arrivo degli Ioni) sono la realtà di partenza di una città, Efeso, posta all incrocio delle principali vie di comunicazione dell Asia Minore: tra la costa e l interno, tra Nord e Sud. Per lungo tempo gli Androcleidi (che si proclamavano discendenti di Androclo, figlio di Codro) e i Basilidi governarono la città. Al dominio aristocratico subentrò la tirannide, come di norma nel VI secolo a.c. I tiranni, grandi mediatori nella lotta delle fazioni, dovettero anche destreggiarsi nei confronti di potentati esterni assai temibili quale fu Creso, conquistatore della città verso la metà di quel movimentatissimo e fervido secolo che fu, sulla costa greca d Asia, il VI a.c. L elemento cario, originario, non era stato del tutto sommerso dalla colonizzazione ionica: e questo è in certo senso confermato dalla continuità cultuale. Pur nel mutare vorticoso dei regimi e nel dispiegarsi dei conflitti, il tempio di Artemide venne assumendo un importanza crescente. E Creso stesso se ne fece assertore e promotore. Egli contribuì alle spese del primo grande Artemisio, promosse lo sviluppo urbano, ebbe l accortezza di non stravolgere gli ordinamenti cittadini: anzi, se per un verso pretese il tributo, per l altro agevolò l evoluzione politica in senso popolare. Il Tempio intanto assumeva ulteriore prestigio e peso: come luogo inviolabile e tutore rigido del diritto d asilo all interno dello spazio sacro, e come epicentro economico (un arcaica forma bancaria ). Intervennero numerosi cambiamenti politici e vicende militari nei secoli

18 successivi: dall annessione, per opera del Gran Re persiano Dario, alla satrapia ionica, alla liberazione dai Persiani ad opera di Cimone, all ingresso nella Lega delio-attica, fino ad Alessandro Magno e all inclusione della città nel regno di Pergamo. Anche questo movimentato scenario aiuta a comprendere perché si sia venuto via via potenziando il ruolo del Tempio: unica salda linea di continuità, religiosa e politica insieme. Una considerazione a parte meriterebbe anche un altro aspetto della storia di Efeso: l ininterrotta fioritura culturale della città, dall epoca assai remota di Callino [650 a.c.], Ipponatte [540 a.c.] ed Eraclito [500 a.c.], fino agli esperimenti storiografici di un Andron [IV a.c.], a tacere dell intrecciarsi della cultura efesina, anche teatrale, con quella ateniese del grande secolo. Che proprio a Efeso sia sorta, con Artemidoro, l iniziativa intellettuale di grandissimo rilievo consistente nel tentare una geografia completa del mondo conosciuto, si spiega meglio alla luce della significativa tradizione di pensiero che caratterizzò la città. La crisi rivoluzionaria, suscitata con armi materiali e spirituali dal misterioso Aristonico (che si pretendeva figlio dell ultimo re) a seguito del passaggio di Pergamo sotto il controllo romano (133 a.c.), investì anche Efeso, quantunque privilegiata, all interno della provincia romana d Asia, grazie a uno statuto speciale. Quella crisi segnò anche la vita del Tempio. L avidità del fiscalismo romano, ben diversa dalla tolleranza persiana o dalla sostanziale inerzia degli Attalidi, lasciò il segno. Quando, all indomani della terribile crisi della Repubblica romana che va sotto il nome di guerra sociale (90-88 a.c.), Mitridate solleverà l Asia e la Grecia e per un momento non breve parrà ripristinare, alquanto velleitariamente, la riscossa greco-orientale nel segno di Alessandro, Efeso si lancerà nella lotta attuando uno dei più memorabili massacri degli odiati oppressori romani. È in questo infuocato periodo, tra la rivoluzione mistico-utopistica di Aristonico e il ritorno di Roma sulla punta delle armi sillane, che si colloca Artemidoro il geografo. E il suo nome è, nelle poche testimonianze certe, strettamente legato al tempio di Artemide. Strabone, che come sappiamo ha usato larghissimamente l opera di Artemidoro, non dice molto della sua vita. L unico avvenimento cui dedica molto spazio, se si considera l economia dell intera opera, è la missione diplomatica che era stata affidata ad Artemidoro dai suoi concittadini, e certo in primo luogo dal Tempio, affinché rivendicasse, intervenendo direttamente a Roma, le prerogative del Tempio conculcate dagli appaltatori delle imposte. È di per sé evidente che un passo del genere non poté aver luogo che prima della spaventosa crisi mitridatica. Dopo, il clima era tutt altro. E Silla vincitore, che volle radunare proprio a Efeso i notabili delle varie città d Asia ormai ricondotte all ordine (84 a.c.), poté in

19 quell occasione ricordar loro con dure parole l enormità dell ingratitudine dimostrata verso Roma: «Approfittando del nostro impegno in Italia» 7 aveva detto tra l altro «alcuni di voi hanno chiamato Mitridate, altri sono passati con lui dopo il suo arrivo!» Strabone lascia intendere che quella missione a Roma era stata l avvenimento più importante della vita di Artemidoro. Ecco la sua dettagliata notizia: 9 Dopo la foce del fiume Caistro c è una palude formata dall acqua di mare che deborda e dilaga. Si chiama Selinusia. E subito accanto ce n è un altra che mescola le sue acque con quelle della prima. Esse procurano consistenti entrate. Pur trattandosi di entrate sacre, i re [di Pergamo] le tolsero alla dea. 10 I Romani gliele restituirono. A loro volta però i publicani, 11 con un atto di forza, avocarono a sé tali tributi. Artemidoro, come egli stesso racconta, 12 in veste di ambasciatore, recuperò le paludi alla dea, 13 e inoltre riottenne anche la Eracleotide, che si era separata. Il giudizio si tenne a Roma. Come premio per tali successi, la città gli innalzò una statua d oro 14 all interno del tempio. Nella parte più interna della palude c è un edificio sacro detto il tempio del Re che dicono sia stato fondato da Agamennone (XIV, 1, 26). Non tutto è immediatamente chiaro in questo resoconto. Poiché vi è incertezza sulla identificazione della regione Eracleotide, recuperata grazie ad Artemidoro, non è neanche molto chiaro il nesso tra il recupero delle entrate (delle «paludi alla dea») e il recupero della Eracleotide «che aveva defezionato». Fu suggerita l identificazione di questa area con la località «Eraclea nel Tauro Lidio» nota a Stefano di Bisanzio (p. 303, 18 Meineke), 15 ma essa non si fonda su indizi di un qualche peso: per giunta un ulteriore motivo di dubbio lo introdusse lo stesso Meineke nell edizione di Stefano edita nel 1849 quando suggerì di mutare «Lidia» in «Licia». Quel che appare chiaro è che in tanto Efeso poteva in quel momento rivendicare il ripristino della propria autorità sulla «Eracleotide» in quanto continuava a usufruire dello status di «civitas libera atque foederata»: 16 una concessione fatta alla città dai Romani al momento della creazione della provincia d Asia (133 a.c.) e messa in crisi dall insurrezione antiromana esplosa (89-88 a.c.) con l attacco di Mitridate alla provincia d Asia. Solo in una situazione di rapporti favorevoli con Roma Artemidoro poteva conseguire il duplice successo che poi vantò (ne parlava nella sua opera, dice Strabone), 17 ottenuto in una causa discussa a Roma, immaginiamo davanti al Senato. Di tale «libertas», che comportava anche la pomposa condizione di «foederata» di Roma, faceva parte è da pensare il diritto ad avere alle proprie dipendenze territori circostanti: per esempio, l area denominata «Eracleotide». Aggiungiamo che una tale concessione da parte di Roma doveva avere a che fare anche con il comportamento tenuto da Efeso al tempo della rivolta di Aristonico ( a.c.), allorché gli Efesini

20 avevano respinto e sconfitto il ribelle con la loro flotta. 18 La parola adoperata da Strabone a proposito della Eracleotide («che aveva defezionato», ) fa pensare appunto a un rapporto di questo genere. Quanto al momento in cui l ambasceria ebbe luogo, sembra ragionevole mettere in relazione la akmé di Artemidoro, che conosciamo grazie a Marciano Olimpiade ( a.c.) appunto con l ambasceria a Roma, fatto memorabile della sua vita. 20 Se quella sia stata anche l occasione del suo viaggio in Occidente oltre le «Colonne d Ercole», o se invece egli già fosse un rinomato geografo quando i concittadini lo inviarono a Roma, 21 resta per ora questione aperta; ma immaginare che Artemidoro si mettesse a battere il Mediterraneo occidentale anziché portare sollecitamente la buona notizia ai suoi concittadini sembra improbabile. 3. Perché era stato scelto proprio Artemidoro? In ogni caso perché a Efeso era un notabile. Sono state prospettate varie ipotesi per rendere più precisa questa ovvia risposta. David Magie, uno dei maggiori studiosi della provincia d Asia, ricostruì la vicenda in questi termini: «Solo quando uno speciale ambasciatore il famoso geografo Artemidoro fu mandato a Roma dai responsabili del tempio [the temple-officials] a presentare la questione davanti al Senato, quelle entrate furono restituite». 22 Magie è il primo a ipotizzare che Artemidoro fosse inviato a Roma a sostenere la causa del tempio quando era già un noto geografo. François Lasserre, benemerito editore di vari libri di Strabone per la «Collection Budé», pensava, in un primo momento, che a Efeso Artemidoro fosse un personaggio politico. 23 Modificò presto questa veduta e lo definì «sacerdote egli stesso dell Artemide di Efeso, e molto attento a segnalare i santuari della dea». 24 Lasserre coglieva un elemento significativo, che andrebbe sempre preso in considerazione quando ci si ponga le domande basilari: come sorse l iniziativa del grande viaggio per mare compiuto da Artemidoro? E chi sostenne la non facile impresa? Torneremo su questo punto. Un legame ufficiale di Artemidoro con il tempio e con il culto di Artemide Efesia fu nuovamente prospettato da Michel Gras, il quale segnalò altri indizi. In particolare ne ravvisò una traccia nel resoconto straboniano sulla fondazione del tempio di Artemide a Marsiglia, colonia focese (IV, 1, 4). Quasi certamente Strabone traeva da Artemidoro le informazioni sulla richiesta dei Focesi alla dea di Efeso che affidò loro come guida una Aristarca, legatissima al tempio: notizie che sembrano derivare dagli archivi del santuario efesino, certo non accessibili a chiunque. 25

21 La profonda conoscenza da parte di Artemidoro della storia del tempio di Artemide trova conferma nello stesso contesto in cui Strabone racconta la vicenda del recupero delle entrate del tempio. In realtà tutto il racconto, a partire dalla prima menzione di Efeso e del suo tempio, 26 poggia verosimilmente su Artemidoro. Ma Artemidoro entra direttamente in scena quando si tratta della controversa questione del denaro grazie al quale fu assicurata la ricostruzione del tempio dopo il celebre incendio dovuto al piromane Erostrato (356 a.c.). Artemidoro, il cui pensiero Strabone sta qui ricopiando alla lettera, confutava la calunnia di Timeo secondo cui il tempio era stato ricostruito facendo ricorso ai «depositi persiani». 27 Timeo «il calunniatore», scriveva Artemidoro, 28 non conosceva i documenti e perciò si lasciava andare a tali affermazioni: c erano invece dei decreti di quel tempo remoto che documentavano ciò che era davvero accaduto. Erano state mobilitate le ricchezze delle donne (sia i monili personali che i loro averi) 29 ed erano state persino recuperate le colonne del precedente edificio. Artemidoro incalzava: era falso che ci fossero mai stati «depositi persiani» e, comunque, di sicuro non ce n erano a quell epoca (notizia che può provenire soltanto dalla documentazione interna al tempio). Se c erano prima, non poterono che andar bruciati insieme col tempio. Artemidoro aggiungeva un altro dettaglio tecnico molto importante: dopo l incendio era andata distrutta la volta e il recinto che circondava l aula centrale del tempio era allo scoperto: quali tesori vi si sarebbero potuti mai conservare? Quanto al tesoro della dea, esso veniva tenuto nella «cella interna» (opistodomo) e affidato alla custodia di un «controllore» ( ). 30 Nel medesimo contesto Artemidoro rievocava, con compiacimento, la fiera risposta che «un Efesino» (ovviamente uno dei responsabili del tempio) aveva dato ad Alessandro Magno, il quale era passato di lì una ventina d anni dopo l incendio di Erostrato e si era offerto di risarcire lautamente le spese che la città si era imposta per ricostruire il suo tempio a patto che il suo nome venisse messo su di un epigrafe da murare nell edificio. Quell Efesino era stato tagliente: «Non è conveniente, per un dio» disse «offrire ex-voto ad altri dei!». Artemidoro commentava: «Non vollero acquisire gloria approfittando di un sacrilegio e di una rapina». 31 Segnalava infine che l architetto che aveva terminato la ricostruzione del tempio e aveva fatto ricorso agli ex-voto per compensare gli operai impegnati nella costruzione, era il medesimo che aveva avviato il lavoro di costruzione della città di Alessandria e che aveva persino promesso ad Alessandro di modellare sulla sua immagine il monte Athos. 32 Attraverso questa documentazione il rapporto di Artemidoro con il tempio si precisa ulteriormente. Poteva trattarsi di una dinastia sacerdotale di Artemidori. Frammenti epigrafici ben conservati, provenienti dal teatro di Efeso e pubblicati già nel 1912 dagli archeologi austriaci, ci restituiscono quasi al completo la lista degli agonoteti delle Dionisie per gli anni dal 51 al 17 a.c. Vi appare, per l anno a.c., un Artemidoro

22 divenuto «sacerdote del culto di Roma» ( ), il quale era figlio di un Artemidoro, figlio a sua volta di un altro Artemidoro. 33 Costui, a proprie spese, con apprezzabile evergetismo, aveva finanziato l allestimento delle Dionisie. Nella lista si incontrano via via altri agonoteti (il cui patronimico è Artemidoro, e che vengono presentati con la qualifica ). Un altro documento quasi coevo, un decreto popolare efesino la cui cronologia («nel decimo anno della vittoria di Giulio Cesare») ci porta a dieci anni dopo Farsalo, designa tra gli altri a far parte della ristretta «guardia del tempio» di Artemide Timone, il giovane figlio di Artemidoro, 34 che ritroviamo anche nella lista degli agonoteti per l anno a.c. 35 È una cerchia abbastanza compatta di notabili che si dividono tra la devozione al tempio, l evergetismo per la città e la dedizione a Roma. Siamo perciò portati a chiederci se il «Gaio Cassio Artemidoro figlio di Artemidoro», onorato con un decreto dai suoi concittadini di Efeso «per la sua virtù e per il bene che ha fatto al popolo» 36 non sia un componente di questa dinastia che nel a.c., nell imminenza della guerra di Filippi, s è trovato, per i suoi legami di clientela con Cassio il cesaricida, dalla parte sbagliata e ha comunque cercato di evitare alla sua città le vessazioni finanziarie che i liberatori inflissero alle città d Asia in preparazione di quella guerra. 37 Un «Artemidoro figlio di Artemidoro» è menzionato, in un documento quasi coevo della controversia per le rendite del tempio, come ambasciatore di Efeso e componente della delegazione che sotto protezione e per impulso del promagistrato romano siglò un patto di amicizia tra Efeso e Sardi. 38 Lo si è messo in relazione con il geografo. 39 L accostamento tra i due personaggi sembra probabile. Più che mai l idea di un sacerdozio ereditario va valorizzata. Il sacerdote del tempio di Artemide a Efeso era un personaggio di primo piano. Ed è giusto attendersi da lui che fosse molto determinato nella difesa dei diritti e delle rendite del tempio, 40 le quali come osservò a suo tempo Franz Susemihl andavano direttamente a beneficare i sacerdoti del tempio. Riflettendo sulla vicenda della controversia tra Efeso e i publicani, Michail Rostovcev rilevò che i «casi di interferenza dei publicani nelle terre di templi comprese nel territorio di città» furono nel complesso ben pochi. 41 La rarità del fenomeno ne accresce il rilievo e fa risaltare ancora di più il peso dell intervento di Artemidoro. A Roma, la grande potenza che ha messo in ginocchio quasi tutte le monarchie ellenistiche e che, con la creazione della provincia d Asia, controlla ormai anche il Mediterraneo orientale, le città greche mandano in ambasceria personalità di rilievo: notabili, soprattutto se capaci di imporsi per la loro facondia ed efficacia nell argomentare. 42 Nell anno 155 a.c., per una controversia con Oropo, Atene aveva inviato a Roma addirittura tre grandi esponenti delle scuole filosofiche. Possiamo esser certi che anche Efeso, città di antichissima cultura e faro religioso in quanto epicentro del culto di Artemide, si sarà comportata in modo analogo. 4. Forse l Eracleotide aveva approfittato del caos creatosi con la rivolta di Aristonico

23 per affrancarsi dalla dipendenza da Efeso. Non conosciamo alcun dettaglio, ma siamo portati a pensare che questa dipendenza avesse a che fare con le entrate del tempio, se le due cause furono affrontate insieme davanti al Senato. Se Roma diede pieno consenso alle rivendicazioni che Artemidoro illustrò, ciò significa che l avvenimento deve collocarsi prima delle progressive crisi interne e internazionali che funestarono la Repubblica: da Saturnino e Glaucia alla guerra sociale, fino al durissimo conflitto con Mitridate, in cui Efeso si schierò irreparabilmente dalla parte sbagliata. Non bastò, al momento del cambio di fronte, mentire spudoratamente affermando, in un documento ufficiale, che Mitridate s era impadronito della città di Efeso «con l inganno», «con attacco a sorpresa» e «con forze soverchianti», e proclamare, nello stesso decreto, che addirittura «sin dal primo momento il popolo di Efeso aveva mantenuto la propria benevolenza nei confronti dei Romani [sic!]» e che, «non appena offertosi il momento favorevole», aveva «deciso di dichiarare guerra a Mitridate in nome dell egemonia di Roma e della comune libertà». 43 La libertas garantita loro dai Romani dopo la fine di Attalo III e poi di Aristonico non poteva, dopo i «vespri di Efeso», essere la stessa. E Silla non mancò di dimostrarlo. Già nell anno 95 erano incominciate le tensioni con Mitridate, il quale, approfittando, poco dopo, della guerra sociale (90-88 a.c.), presto occupò tutta la provincia d Asia e la Grecia. Nell 88 Efeso si schierava senz altro con Mitridate e si rendeva responsabile di un massacro indiscriminato di tutti i Romani presenti in città compiuto con inaudita violenza, calpestando persino il diritto d asilo garantito dal tempio di Artemide, e per giunta con un azione simultanea e coordinata in un sol giorno. 44 E intanto venivano abbattute tutte le statue di personaggi romani erette in città. 45 Mitridate fece la sua apparizione ostentando la sua speciale devozione per Artemide. 46 Nell 86 Efeso cambiò fronte 47 e cercò di tornare nelle grazie di Roma. Ma quando, dopo la pace di compromesso tra Silla e Mitridate, Silla fece il suo ingresso a Efeso (84 a.c.) il trattamento che inflisse alla città fu molto duro 48 soprattutto sul piano fiscale. In questo aspro dopoguerra impegnato, possiamo immaginarlo, a far dimenticare il massacro di Efeso, male si inserirebbe la missione di Artemidoro e ancor meno la bonomia romana verso le richieste di Efeso avverse ai publicani. L episodio si lascia collocare meglio nella fase precedente. Dunque la datazione della fortunata ambasceria negli anni della akmé ( a.c.) esce confermata anche da queste considerazioni.

24 Fig. 2. Efeso e le sue paludi 7 Guerra «sociale» (90-88 a.c.) e sue conseguenze politiche. 8 Appiano, Libro mitridatico, 9, Ripropongo qui, con ritocchi migliorativi, la traduzione già apparsa in «QS» 65, 2006, pp Artemide, il cui tempio era nel luogo più interno e remoto della palude. 11 Appaltatori della riscossione delle imposte. 12 : cfr. fr. 127 Stiehle. 13 Data la precisazione, possiamo ritenere che Artemidoro si esprimesse esattamente così:. E queste parole, alla terza persona come le adatta Strabone al suo racconto, saranno state incise nell epigrafe che di sicuro corredava la statua di cui si dice subito dopo. 14 Carmine Ampolo ha messo in luce che per «statua d oro» ( ) deve intendersi una statua di bronzo dorata, ricoperta d oro (Onori per Artemidoro di Efeso, «La Parola del Passato» , 2008 [ma 2009], pp ). Invero nessun interprete pensava a statue di oro massiccio. Di «statua dorata» parlava già John Thornton nella breve rievocazione di questo episodio: Misos Rhomaion o phobos Mithridatou? Echi storiografici di un dibattito diplomatico, «Mediterraneo antico» 1, 1998, p E. Guhl, Ephesiaca, Nicolai, Berlin 1843, pp Vi si adegua L. Bürchner (RE, s.v. Herakleotis, VIII, 1912, coll ).

25 16 Attestato da ILS 34 (si veda il relativo commento di Dessau). Il miglior commento su che cosa propriamente significasse un tale status è, ovviamente, in Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III, Hirzig, Leipzig 1887, pp Per l usuale capovolgimento del senso della parola «libertà» nel quadro della politica imperiale romana è illuminante la formulazione adottata contro Aristonico, il quale come si intravede persino dalla periocha liviana (59) «Asiam occupavit, cum testamento Attali regis legata populo Romano libera esse deberet». 17 (XIV, 1, 26). 18 Strabone, XIV, 1, Proemio all Epitome di Menippo, 3 (GGM I, p. 566, 31-33). 20 Su ciò vedi anche C. Ampolo, Onori, cit., p. 362 e già J. Thornton, Misos Rhomaion, cit., p È ciò che suggerisce, con buoni argomenti, Gianfranco Purpura, sul cui saggio (cfr. infra, nota 49) torneremo fra breve. A lui si deve anche un tentativo di interpretare la «defezione» della Eracleotide in tutt altro senso: cioè come «distacco dalla terraferma di un lungo istmo costiero che un tempo avrebbe potuto chiudere completamente una palude e comprendere la zona detta Eracleotide». Ignorandosi del tutto cosa sia la Eracleotide (termine che appare unicamente in questo luogo di Strabone) ogni congettura è, a priori, possibile. Ampolo (Onori, cit., p. 361) promette una più ampia trattazione in cui argomenterà che, grazie all ambasceria di Artemidoro, le paludi furono «restituite agli Efesini invece che agli abitanti della Herakleotis». 22 Roman Rule in Asia Minor, I, Princeton University Press, Princeton 1950, p «Staatsmann und Geograph» (Lexikon der alten Welt, Zürich und Stuttgart 1965, col. 336). 24 Strabon. Géographie. Livres III et IV, II, Les Belles Lettres, Paris 1966, p. 197 (nota 2 a p. 67). 25 M. Gras, L Occidente e i suoi conflitti, in I Greci, II.2, Einaudi, Torino 1997, pp Strabone, XIV, 1, Denaro e tesori che i Persiani avevano depositato nel tempio. 28 Strabone, XIV, 1, 22 (= fr. 126 Stiehle) Su ciò va vista l eccellente nota di Helmut Engelmann (Zum Opisthodom des ephesischen Artemisions, «ZPE» 102, 1994, pp ) che risana il testo di un epigrafe che onora uno di questi controllori, il quale era anche uno dei venti «acrobati di Artemide» che svolgevano importanti funzioni rituali. 31 L accoglimento di una tradizione polemica contro Alessandro è anche un gesto di simpatia per Roma. Si pensi alla polemica liviana (IX, 17-19) intorno ad Alessandro, destinato a sicura sconfitta se avesse osato attaccare Roma, e al perdurare, per converso, di una storiografia in greco critica verso Roma (Timagene). 32 Strabone, XIV, 1, Forschungen in Ephesos, II, österreichisches Archäologisches Institut, Wien 1912, nr. 30 (e cfr. anche il II Anhang alle pp ). Nuova edizione in Inschriften von Ephesos, Teil I.A, a cura di H. Wankel, Habelt, Bonn 1979, pp Edito da Knibbe, in «Jahreshefte des österreichischen Archäologischen Instituts Wien» 50 [Beiblatt ], pp. 2-6 (= SEG 26, 1241). 35 Forschungen in Ephesos, cit., rr del lato sud della lastra (H. Wankel, Inschriften von Ephesos, cit., p. 58).

26 36 Edito da Knibbe, in «Jahreshefte des österreichischen Archäologischen Instituts Wien» 55, 1984, pp (= SEG 34 [1984], 1085). 37 Secondo Appiano, Guerre civili, IV, 74, 313, Cassio chiese e pretese dalle città della provincia d Asia il versamento anticipato di dieci anni di tributi! 38 OGIS 437, rr e R. Kallet-Marx, Hegemony to Empire. The Development of the Roman Imperium in the East from 148 to 62 B.C., Univ. California Press, Berkeley-Los Angeles 1996, p. 141, nota Se poi era anche un esperto geografo, ciò poteva, nella controversia sfociata a Roma, risultare tanto più giovevole: cfr. infra, cap. II. 41 Storia economica e sociale del mondo ellenistico [1939], tr. it. [ ], II, La Nuova Italia, Firenze 1973, pp e nota Una lista è nella voce Presbeia, in RE, Suppl. XIII, 1973, coll Syll. 3, 742, Efficacemente ha scritto Stefan Karwiese: «Die mithridatische antirömische Propaganda scheint schließlich zu einer Massenhysterie geführt zu haben» (Gross ist die Artemis von Ephesos. Die Geschichte einer der grossen Städte der Antike, Phoibos Verlag, Wien 1995, p. 72). 45 Appiano, Libro mitridatico, Strabone, XIV, 1, 23. Mitridate volle, con un gesto spettacolare, ampliare l area su cui far valere il diritto di asilo del tempio di Artemide, cercando di superare, in ciò, anche Alessandro Magno. È molto probabile che Strabone tragga tutti questi dati da Artemidoro, qui largamente citato. 47 Appiano, Libro mitridatico, Ivi,

27 II. Le rendite del tempio 1. Ma quali erano i termini esatti della controversia alla cui soluzione Artemidoro si impegnò così bene? Qual era l oggetto del contendere? Un incremento alla comprensione della testimonianza di Strabone lo ha dato Gianfranco Purpura, con uno studio su Artemidoro e la dogana dell Asia. 49 Qui daremo conto in breve di tale intervento. Si trattava dei proventi della pesca che si svolgeva nelle due lagune alla foce del fiume Caistro, formate dall acqua marina che «dilagava» ( è il verbo usato da Strabone) appunto alla foce del Caistro, e così formava e alimentava le due lagune. La questione in termini giuridici era: se le acque delle due lagune, la Selinusia e l altra confluente, dovessero ritenersi interne, e dunque sotto la giurisdizione cittadina e del tempio, ovvero spettanti al mare, e quindi a Roma, come sostenevano i publicani, i quali appunto perciò se n erano impossessati. È evidente in una situazione del genere la difficoltà di stabilire con certezza la distinzione tra acque interne e acque di provenienza marina confluenti nell estuario del fiume e, di conseguenza, di stabilire la pertinenza del materiale pescato, per non parlare del sale, altra fonte di reddito. 50 «I proventi della pesca in acque interne avrebbero potuto essere assegnati a comunità locali o ad istituzioni religiose, a differenza dei redditi della pesca in mare, assoggettati invece ad una imposta appaltata ai publicani romani dopo la conquista e l istituzione della dogana dell Asia, e da costoro dunque pretesa a svantaggio delle comunità locali. Tale imposta [ ] denominata come veniva riscossa allo sbarco o alla vendita del pesce di mare nel mercato e si era perpetuata fino all età romana». 51 Che dunque, per caldeggiare le ragioni di Efeso e del tempio, si sia fatto ricorso ad Artemidoro anche per le sue competenze geografiche (evidentemente all epoca già note) è ipotesi plausibile. Oltre tutto Artemidoro, come apprendiamo da Strabone (III, 5, 7), aveva diretta esperienza e sue proprie teorie intorno a fenomeni del genere, visti da lui a Gades e lungo la costa atlantica della Spagna (III, 2, 4) da Gades al Promontorio Sacro. Il fatto che Strabone parli di ciò con un sussiego che rasenta il disprezzo e dichiari, come vedremo, di preferire la spiegazione del fenomeno data da Posidonio non cambia i termini della questione. (Né certo intacca la fiducia che i concittadini nutrivano per Artemidoro forse

28 anche in ragione delle sue competenze.) 2. Riportiamo qui per larghi tratti il resoconto di Strabone (III, 5, 7). «Dice Polibio che nell Herakleion di Gades c è una fonte di acqua potabile: per raggiungerla bisogna scendere pochi gradini.» Il fenomeno veniva spiegato da lui in modo alquanto complicato: «Secondo lui, il regime delle acque di questa fonte varia col flusso e il riflusso del mare ma in modo inverso: con l alta marea si abbassa e con la bassa marea si alza di livello». Polibio spiegava il fenomeno introducendo un terzo elemento, «l aria che scaturisce dalle profondità» e che bloccherebbe i condotti della fonte appunto al momento dell alta marea. «Artemidoro» prosegue Strabone «contesta questa teoria e ne propone una sua propria ( )»; ma non ci dice quale sia. Riferisce invece che Artemidoro si richiamava contro Polibio a una teoria in merito formulata dallo storico amico e seguace di Annibale, Sileno di Calatte. 52 Con tono sprezzante, Strabone commenta: «A me però non sembra che tali spiegazioni siano degne di essere riferite perché non dovute a scienziati». 53 La teoria cui Strabone aderisce è quella di Posidonio, il quale discuteva, per confutarla, la spiegazione di Polibio, e ne proponeva una sua, non meno complicata: che cioè le fonti erano addirittura tre, due dentro l Herakleion e una in città. Il fenomeno era comunque talmente anomalo da entrare come lo stesso Strabone ricorda poco dopo nelle raccolte di mirabilia. Sarebbe stato interessante conoscere il pensiero di Artemidoro, che però è l unico che Strabone omette di riferire. Ci fa invece sapere che Artemidoro oltre ad aver visto si era documentato sull opera di due storici (i quali erano di orientamento opposto: Polibio e Sileno) a loro volta diretti osservatori della fonte dell Herakleion. Dunque l attenzione rivolta a fenomeni di questo genere è ben congruente con il ricorso ad Artemidoro nella questione delle due lagune alla foce del fiume Caistro. Ed è ovvio che la discussione sarà stata avviata in un primo tempo col magistrato romano locale prima di essere portata a Roma davanti al Senato. 49 Il geografo Artemidoro e la dogana dell Asia, in Per il LXX compleanno di Pierpaolo Zamorani, Giuffré, Milano 2009, pp Cfr. C. Ampolo, Onori, cit., p. 363, nota Così G. Purpura, Il geografo Artemidoro, cit., p. 358, il quale porta notevoli informazioni sull affissione pubblica, nell ufficio della dogana, delle norme in proposito, e sul Monumentum Ephesinum, da lui studiato in «Iura» 52, 2002 [ma 2005], pp

29 52 FGrHist 175 F9. 53 (III, 5, 7).

30 III. Perché si mise in viaggio, e per chi scrisse «Heureux le voyageur qui peut se flatter d avoir profité de sa position, et d avoir ajouté quelques vérités nouvelles à la masse de celles que nous avons acquises!» 1. Alexander von Humboldt, Voyage aux régions équinoxiales du nouveau continent (Paris 1812) È improbabile che si trattasse di un impresa individuale, dell attuazione di un giovanile impulso. Non esistono forse mai avventure solitarie. Da ragazzo Alexander von Humboldt, ascoltando la storia del ribelle Aguirre che aveva disceso l Orinoco quando non esisteva alcuna mappa che descrivesse la regione, si era entusiasticamente ripromesso: «La disegnerò io!». Ma quando anni dopo si mise davvero in marcia per una tale impresa (e molte altre ancora) pose delle serie premesse politiche e diplomatiche (ed economiche) prima di muoversi. Il suo ispiratore, il coerente e ascetico giacobino di Magonza, Georg Forster, che aveva girato il mondo col capitano James Cook, gli aveva anche raccontato che alla fine il suo capitano era stato bollito e mangiato dagli aborigeni delle Hawaii. E comunque anche Cook, l autodidatta che si era formato studiando Euclide, aveva esordito sotto la protezione e con l appoggio dell ammiraglio Graves, in qualità di «ingegnere geografo». Acquisita un inattesa e immensa quantità di danaro alla morte della madre (la sua quota di eredità era di franchi oro dell epoca), Alexander decise di rivolgersi al governo spagnolo (mentre già era in trattativa col governo francese che stava allestendo e finanziando la spedizione in Egitto). Il suo primo obiettivo era il Messico, la «nuova Spagna», e più in generale i paesi dell America centromeridionale sotto controllo spagnolo: tornava, senza romanticherie e coi piedi per terra, al sogno adolescenziale formatosi in lui quando aveva letto di Aguirre. Dal governo spagnolo ottenne enormi facilitazioni e appoggi di ogni genere. Venne anche rifornito di due distinti passaporti, uno rilasciato dalla Prima Segreteria di Stato e l altro dal Consiglio delle Indie: documenti che non solo gli

31 consentivano «la libera circolazione nelle colonie spagnole d America ma anche l accesso agli archivi e alla documentazione ufficiale. Egli veniva inoltre autorizzato a compiere rilievi e misurazioni geografiche e a raccogliere ogni genere di materiali.» 54 La fregata Pizarro, messa a disposizione dalla Spagna, partì da La Coruña, fece tappa a Tenerife e, in capo a quaranta giorni, giunse a Cumanà. L intera vicenda di questo memorabile viaggio, nel corso del quale Humboldt e il fedele amico e collaboratore Aimé Bonpland, medico e filantropo, dovettero evitare di sconfinare in area controllata dal Brasile (e dal filo-britannico Portogallo), durò dal 1799 al 1804 e culminò in un torrenziale Saggio politico sul regno della Nuova Spagna, di oltre 1700 pagine in uno splendido francese. Nel frattempo molte cose erano cambiate in Europa. A Parigi era appena nato l Impero e la Spagna era ormai un paese satellite della Francia. Il ritorno dei due fu trionfale. Bonpland divenne l interlocutore prediletto dell imperatrice Giuseppina alla Malmaison. 55 Se nel 99 Alexander avesse mantenuto in piedi e condotto a buon fine la trattativa col governo francese, sarebbe stato uno dei tanti nella spedizione scientifica che affiancò Bonaparte in Egitto. Ora invece egli era, con l aiuto della Spagna, il primo «viaggiatore scienziato» che descriveva agli europei un altro mondo. 2. E Artemidoro? La sua impresa non può non aver avuto una finalità concreta. Va da sé d altra parte che, per aggirarsi con tanta curiositas nelle recenti e meno recenti province della Repubblica imperiale romana, una qualche forma di benestare (o di collaborazione) da parte dell autorità vigente nelle varie regioni via via toccate dalla spedizione sarà stata necessaria. Così, ad esempio, tra le notizie che Artemidoro dava, c era ogni volta quella relativa alla provincializzazione romana e ai confini delle province che l amministrazione romana aveva stabilito nelle singole regioni. Nel caso della Spagna indicava con puntigliosa esattezza i limiti geografici di ciascuna delle due province: 56 donde poteva trarre queste conoscenze se non dal personale romano presente in loco? Difficilmente un passante o viandante, interrogato in itinere, poteva essergli così preciso. E che questa notizia fosse presente, nel suo resoconto, dovunque possibile, lo si ricava indirettamente anche dal rimprovero che Marciano gli rivolge di esser venuto meno, in un caso, a questo criterio: di non aver fatto cenno ai confini della provincia della Gallia Transalpina. 57 Se poi, come altri coevi o di poco successivi Artemidori in vista nella vita pubblica di Efeso, egli era anche, la eventuale collaborazione con le autorità romane prende ancora maggiore consistenza.

32 Cosa significasse condurre una indagine geografica in relazione e per conto di un potere politico gli era ben noto. Così come doveva essergli ben nota l opera di esplorazione e descrizione geografica degli ammiragli al servizio dei Tolomei, e in particolare del Filadelfo, come il famoso Timostene, la cui conoscenza da parte di Marciano 58 deve ritenersi mediata appunto attraverso Artemidoro (che è alla base dell ampia rassegna critica contenuta nella lettera prefatoria all Epitome di Menippo). Gli era noto, più in generale, l impegno scientifico che aveva accompagnato la spedizione di Alessandro in Asia (di cui Plinio sapeva che ispiratore era stato Aristotele): 59 perfetta coniugazione di colonialismo e scienza che troverà un tardo imitatore nel Bonaparte in Egitto (mentre non altrettanto può dirsi dei frutti, sul piano dell etnografia, della campagna cesariana nelle Gallie). Gli era nota, probabilmente, la semileggendaria impresa, ufficialmente promossa «dal Senato», di Annone cartaginese consistente nello spingersi oltre lo stretto e lungo la costa della Mauretania. 60 E sapeva del famigerato Pitea di Marsiglia. 3. Ma per un autorevole esponente del santuario di Artemide a Efeso, il più importante di tutto il mondo gre-co ed ellenizzato (dall estremo Occidente all Oriente), è questo legame primario che deve aver avuto un ruolo anche nella iniziativa del viaggio. Fare tappa a Massalia (fondazione focese), a Hemeroskopeion, a Emporion (fondazioni massaliote) come Artemidoro risulta aver fatto 61 significava anche, per l autorevole esponente del tempio efesino, visitare le più prestigiose propaggini occidentali del culto antichissimo irradiato dalla sua città. Un culto, quello di Artemide Efesia, il cui tempio in Efeso era «metropoli» non solo per tutta la Ionia ma per tutte le città greche d Asia (dove Artemide si fonde con l iranica Anahita e diviene simbolo della fecondità femminile) e per le fondazioni ioniche in Occidente. Ricondotto alla leggendaria fondazione da parte delle Amazzoni, e posta la nativa Ortigia per l appunto in Efeso, il culto della «metropoli» efesina assurge a un ruolo primario anche rispetto alle altre sedi privilegiate della dea: dall Arcadia alla Laconia, alla Messenia, all Attica, all Elide, alla grecità periferica del Mar Nero. Ne emerge un panorama mediterraneo che copre un area vastissima: dalla Spagna alla Gallia meridionale, alla Tauride, dalla Grecia alla Ionia, all intera area anatolica (Lidia, Caria, Licia) fino a Laodicea di Siria, dove così raccontarono al periegeta Pausania Seleuco I aveva trasportato l immagine di Artemide direttamente da Brauron. 62 Artemidoro nel suo periplo non ha affatto perso di vista questo filo rosso. La massa di notizie su Artemide e sui suoi luoghi di culto, che troviamo in Strabone, 63 è un ulteriore conferma dell attenzione costante che Artemidoro aveva riservato a

33 quei santuari nel corso dei suoi viaggi. Ecco qualche esempio: III, 4, 6: Tra Nova Carthago e il fiume Ebro c è il fiume Sucro con l omonima città. Tra il Sucro e Cartagena «si trovano tre piccole fondazioni massaliote, non molto distanti dal fiume; la più famosa delle tre è Hemeroskopeion [cfr. Artemidoro, fr. 19 Stiehle], che possiede sull acropoli il santuario di Artemide, molto venerato». IV, 1, 6: «Massalia è fondazione dei Focesi, posta in luogo roccioso; il porto è ai piedi di una roccia a forma di teatro [ ] sull acropoli c è l Ephesion nonché il santuario di Apollo. L Ephesion è il santuario di Artemide Efesia». [Segue il racconto di cui s è già detto nel primo capitolo, della designazione di Aristarca, «una delle donne più illustri di Efeso». Qui Artemidoro è la base d informazione pressoché unica per Strabone. Aristarca, una volta fondato il santuario di Artemide Efesia a Massalia, ne divenne sacerdotessa.] «Dappertutto» è questo il commento che tiene dietro a tale informazione «nelle colonie la dea viene venerata tra le prime, e tutto è ricalcato sul modello della metropoli [cioè dell Artemision di Efeso]: statua della dea, costumi rituali etc.» In IV, 1, 8 aggiunge dettagli topografici e architettonici sulla costruzione del tempio. Questa trattazione era stata preannunziata in precedenza (III, 4, 8): «La costa è ricca di approdi fino ad Emporion. Emporion è colonia dei Massalioti, distante circa *** stadî dai Pirenei 64 e dal confine tra Iberia e Celtica, città prospera e con un ottimo approdo. Qui si trova anche Rhodos, piccola fondazione degli abitanti di Emporion. Anche qui come a Emporion viene venerata Artemide Efesia. E ne diremo il motivo quando tratteremo di Marsiglia». Segue un approfondito resoconto della vicenda degli abitanti di Emporion, dapprima arroccati nell antistante isolotto di S. Martino («Palaiopolis»), poi passati sul continente e lentamente mescolatisi con la popolazione locale degli Indiceti. Nel viaggio a Occidente, Massalia fu un approdo importante per Artemidoro, come si ricava dall ampio capitolo iniziale del libro IV di Strabone. E Massalia è nell area l alleata di Roma soprattutto nel conflitto con le tribù galliche, per fronteggiare le quali si dovette ricorrere al carisma e all abilità militare di Gaio Mario. E otterrà di mantenere la propria autonomia di città «libera e federata» allo stesso modo di Efeso nella provincia d Asia anche quando sorgerà la provincia di Gallia Transalpina (Narbonese). E il pegno dell amicizia politicoreligiosa tra Massalia e Roma sarà come Artemidoro notò e come Strabone puntualmente riferisce la statua ( ) di Artemide posta sull Aventino, identica a quella venerata a Massalia, a sua volta identica a quella di Efeso. 65 L attenzione ai luoghi del culto di Artemide si estende per tutta l opera, con specifiche distinzioni da culto a culto: ora si tratta di Artemide Etolica (V, 1, 9: a proposito della presenza cultuale di Diomede in area veneta, alle foci del Po), ora si tratta di Artemide Aricina (V, 1, 12: a proposito dell Artemision di Aricia, sulla via Appia, a 160 stadî da Roma), ora si tratta della Vergine Taurica (VII, 4, 2) e così via. «Il tempio di Artemide Aricina» avverte Strabone «è una copia, si dice, di Artemide Tauropolos. 66 Infatti nei riti predomina un elemento barbarico e scitico. Diviene sacerdote lo schiavo fuggitivo che abbia ucciso di

34 sua mano il sacerdote prima di lui in carica: è sempre armato di spada e si guarda attorno paventando attacchi da cui difendersi» (V, 1, 12). Seguono accurati dettagli topografici sul tempio, al centro dei quali c è sempre l Artemision: per esempio ci viene detto che il monte Albano è in posizione più elevata, e di lì «si può ammirare l Artemision», che anche lì c è un lago, «più grande di quello del santuario di Artemide»; e così via, per decine e decine di luoghi che raccolti tutti insieme finiscono col costituire una enciclopedia sul culto di Artemide in ogni parte del mondo grecizzato. Per l Eubea osservò François Lasserre la descrizione risalente ad Artemidoro «si fonda su di una approfondita ispezione personale dei luoghi»: in particolare Calcide e lo stretto dell Euripo, la costa antistante la Beozia, e poi l Attica, fino a Caristo; «i porti a nord dell Euripo forse li ha soltanto visti da lontano». 67 Siamo dunque, ancora una volta, al cospetto di Artemide in Aulide, sull Euripo, di fronte a Calcide: il celebre tempio dove era localizzata la vicenda del sacrificio di Ifigenia. Segue il tratto da Caristo al Capo Sunio, all estrema punta dell Attica, doppiando il quale si giunge a Brauron, altro fondamentale luogo di culto di Artemide (Strabone, IX, 1, 22). E il passaggio, grazie a Ifigenia, del culto di Artemide nel paese dei Tauri era adeguatamente segnalato (Strabone, XII, 2, 3); così come l Artemide Perasia, la cui sacerdotessa calpesta indenne, a piedi nudi, carboni ardenti (XII, 2, 7). Né minore attenzione veniva dedicata agli edifici del culto di Artemide. Ad Adrasteia, in Troade, c erano inizialmente un oracolo di Apollo e uno di Artemide. Ma il santuario a un certo punto fu devastato e allora tutto l arredo fu spostato ancora più in là, lungo l Ellesponto, a Parium. Lì fu costruito un nuovo altare di Artemide, l architetto si chiamava Ermocreonte: altare immenso, lungo circa uno stadio, 68 di straordinaria bellezza (XIII, 1, 13). Artemidoro, come rileva Strabone (X, 5, 3), faceva un calcolo delle Cicladi diverso da quello usuale: per lui erano quindici. Esse fanno corona intorno a Delo. E ovviamente quest isola comporta la menzione del «Leton», santuario in onore di Latona, che comporta a sua volta la citazione delle sacre doglie da cui nacquero Apollo e Artemide. Ma la notizia è data come leggendaria ( ) 69 forse perché, per gli adepti del culto efesino, Artemide era nata invece a Ortigia che, come sappiamo, subiva (alquanto disinvoltamente) una localizzazione a Efeso. Non stiamo, ovviamente, dicendo che il viaggio di Artemidoro fosse in primo luogo un fatto rituale (un «pellegrinaggio»); diciamo, piuttosto, che la fitta rete dei luoghi del culto di Artemide è stata una guida oltre che una base e anche uno degli obiettivi. Né solo di Artemide. L interesse religioso e cultuale-demografico s intravede anche in altro. Tutta l ampia trattazione relativa al Promontorio Sacro sta lì a dimostrarlo: 70 Artemidoro prese molto sul serio l informazione ricevuta dagli indigeni secondo cui lì, nel «sacro» promontorio, di notte dimoravano gli dei, e si adeguò al rituale locale che vietava di passarvi la notte e imponeva di attrezzarsi per un pernottamento ai margini della zona sacra. Un atteggiamento

35 rispettoso e curioso insieme, che diede fastidio a uno scienziato di fede stoica come Posidonio, che volle infrangere personalmente il tabù e dimostrò che si trattava di fole. Il ruolo dei santuari nel «viaggio» di Artemidoro appare dunque di immediata evidenza. Una considerazione a parte meriterebbe l interesse per il culto di Era e di Eracle, che ci porta ancora una volta alla fondamentale tappa spagnola di Artemidoro: Eracle gaditano (e il suo corrispettivo indigeno ), Eracle e il suo tempio, la identificazione delle «Colonne» a Calpe o invece a Gades. Tutto questo trovava ampio sviluppo nel libro sulla Spagna (il II degli undici), come si comprende leggendo Strabone (libro III) e Plinio (libri II e III) È comprensibile che chi fa un periplo abbia un filo conduttore. Quanto osservato sin qui non deve però lasciare in ombra il fatto che l osservazione etnograficopolitica (si pensi, per fare un solo esempio, alla ricchissima pagina sugli ordinamenti di Massalia) 72 e l intento più strettamente geografico di fissare le distanze hanno rappresentato, per il grande viaggiatore, obiettivi altrettanto importanti. È plausibile inoltre che il viaggio si sia svolto in più tempi. La conoscenza e perlustrazione dell area greca continentale e ionica non deve necessariamente appartenere alla stessa fase di viaggi che portò Artemidoro fino all estremo Occidente. La Ionia era il suo mondo: non sappiamo se davvero la sua opera sulla Ionia che Ateneo, alla fine del II d.c., indica con un autonomo titolo (Memorie della Ionia) 73 fosse davvero un opera a sé stante rispetto agli undici libri delle, come Diodoro chiama l opus maius, ma specie se il titolo era appunto quello noto a Diodoro l ipotesi più plausibile è che le Memorie ioniche rientrassero poi nel grande disegno. Potrebbero essere nate per prime e aver avuto perciò, in un primo momento e per un certo tempo, circolazione autonoma. Che sia proprio un cacciatore di rarità come Ateneo a parlarne non dovrebbe stupire. Chi ha un idea storicamente fondata dell «edizione» nel mondo antico non si dovrebbe sgomentare davanti a fenomeni del genere. Un viaggio svoltosi in più tempi e una composizione per gradi di una così vasta opera suscitano anche la domanda intorno alla effettiva uniformità redazionale, da parte a parte. E si aggiunga poi la mescolanza di cose viste, di cose udite, di cose soltanto lette. Il tutto produsse un risultato non uniforme (come Marciano non mancò di notare). La minuziosa attenzione al rapporto tra gli indigeni dell entroterra e i greco-massalioti impiantatisi prima a Palaeopolis poi a Emporion (che traluce attraverso il riassunto straboniano), ovvero le notazioni sulla ormai acquisita familiarità con l alfabeto latino da parte degli «Iberi della

36 costa [s intende mediterranea]» (fr. 22 Stiehle), ovvero l accurata descrizione degli ornamenti femminili e della propensione delle donne spagnole per il velo e le stravaganti acconciature dei capelli (fr. 23 Stiehle), o ancora le informazioni intorno alla fiorente agricoltura della Betica, 74 denotano un modo di raccontare ben diverso rispetto alla più asciutta descrizione di coste unita a un certo disinteresse verso l interno del paese, che Strabone ravvisava nella descrizione artemidorea dell Etolia e della Acarnania Un ultima considerazione o meglio un ultima questione va qui posta, che è a rigore la prima da porsi quando si affronta un autore di impegnative imprese: per chi scriveva Artemidoro? Il problema del destinatario fa parte integrante della questione perché un autore intraprende un impresa (nel nostro caso, perché si mette in viaggio e perché si mette a scrivere). Sappiamo troppo poco per rispondere in modo soddisfacente a questa domanda. E nondimeno qualche considerazione possiamo pur farla. A partire, sempre, dalla premessa della finalità pratica di un opera del genere, che è, ad esempio, apertamente dichiarata (come militare e politica) da Strabone nella prima pagina della sua opera. L autore di cui qui si discorre, oltre al ruolo suo personale nella sua città e nel suo santuario, oltre al soggettivo interesse che deve aver nutrito per la «conoscenza della terra» e per le opere scientifiche del grande passato ellenistico (certo Eratostene e Timeo, ma forse anche Polibio, tornato in Grecia al seguito dei nuovi padroni del mondo ), l autore dicevamo è anche (e ciò deve aver contato) lato sensu un suddito della Repubblica imperiale romana. 76 Egli non può non essersi rapportato a questa realtà effettuale, che ha anche un risvolto culturale non secondario. Già prima che nascesse la provincia d Asia, infatti, tra Pergamo e Roma c è stata, sul piano dei rapporti culturali, vicinanza e anche reciprocità. Pergamo per molte ragioni guarda a Roma, e i Romani colti per parte loro usano le risorse culturali di Pergamo (per esempio i libri della grande biblioteca, ma anche l insegnamento dei grammatici, retori ed eruditi pergameni). Dunque quello di Roma è un significativo, potenziale pubblico per un autore che si trovi a operare nell ex regno di Pergamo (ora provincia) e che si è anche trovato ad avere col centro stesso del potere romano un motivo di «incontro» per lui non trascurabile. Scrivere in greco per un pubblico (colto) romano è già stata la scelta di Polibio, e lo sarà a maggior ragione per Strabone e Diodoro. Non è senza motivo che come intravediamo dal poco che ci è rimasto questa Geografia di Artemidoro dava conto, tra l altro, della struttura provinciale che la Repubblica imperiale veniva imprimendo al mondo conosciuto. Ed è anche da chiedersi se sia da prendere sul serio la possibilità che Artemidoro fornisse le

37 principali misurazioni al tempo stesso in stadî e in miglia, contando su lettori sia greci che romani Citiamo dal saggio introduttivo di R. Giura Longo alla parziale ristampa anastatica del Viaggio al Messico, alla Nuova Granata e al Perù, ossia Saggio politico sul regno della Nuova Spagna [Napoli 1832], Edipuglia, Bari 1992, p Dura e atroce fu invece la sua sorte nel secondo viaggio ( ), funestato dalla feroce prigionia in Paraguay. 56 Lo sappiamo dal riassunto di Marciano, che leggiamo nel fr. 21 Stiehle. 57 Mare esterno II, 19 (su questo passo si veda più oltre il cap. VIII, Il viaggio a Occidente). 58 GGM I, p. 565, Nat. Hist., VIII, Regione su cui Artemidoro si soffermava ampiamente (cfr. Strabone, XVII, 3, 2). 61 Strabone, IV, 1; Plinio, III, 19-22; Stefano, s.v., etc. 62 Pausania, III, 16, 8. E si favoleggiava di sacrifici umani connessi con lo specifico culto di Artemide Brauronia. 63 Spesso esplicitamente dipendenti da Artemidoro, come vedremo. 64 Il numerale è corrotto. Segnaliamo sin d ora che 8 stadî mediamente equivalgono a un miglio romano, che a sua volta equivale a circa 1480 metri. 65 Strabone, IV, 1, 4 e Adorata nel paese dei Tauri. 67 Strabon. Géographie. Livre X, t. VII, Les Belles Lettres, Paris 1971, p La notizia della misura di questo stupefacente oggetto Strabone l aveva già data (senza rendersi conto del doppione) in un altro libro (X, 69 Strabone, X, 5, Cfr. più oltre il cap. X. 71 Il tempio di Eracle a Lixos in Mauretania, la visita ad Atlante etc. rientravano probabilmente nel libro sull Africa ( ). 72 Che Strabone ha probabilmente integrato con le più recenti vicende cesariane. 73 (Ateneo, III, 111D = FGrHist 438 F1). 74 Cfr. Strabone, III, 1, 6; Plinio, XV, 3, 8 etc. 75 Strabone, X, 2, 21; cfr. F. Lasserre, Strabon. Géographie. Livre X, cit., p La città era libera e federata di Roma, ma Roma calpestava, se necessario, senza problemi la libertà dei Greci. E Plutarco esprimerà bene questa imbarazzante situazione con il celebre cenno ai «calzari dei Romani su di noi». 77 Su ciò cfr. il capitolo seguente. Non dimentichiamo che i frammenti superstiti sono tutti di tradizione indiretta.

38 IV. Misurare il mondo 1. È, purtroppo, opinione diffusa che Artemidoro fornisse essenzialmente, se non esclusivamente, delle distanze ( ) tra le diverse località che via via nominava, o comunque delle misurazioni. Questo convincimento erroneo è nato dal fatto che su di lui si è riverberata in realtà l immagine di Marciano: la cui opera consiste effettivamente in una sequenza quasi ininterrotta di tale genere di dati. L errore si consolidò grazie anche all equivoco, lungamente vigente, consistente nel considerare l Epitome di Menippo fatta da Marciano della quale è conservato, oltre alla prefazione, un ampio frammento tutto «diastematico» riguardante Asia Minore e Mar Nero come un superstite brandello dell Epitome di Artemidoro fatta da Marciano (che si è del tutto persa). E anche quando questo equivoco fu dissipato (ma non lo è stato mai del tutto!), l opinione vulgata che si era venuta formando e affermando non poté essere cancellata. Continuò ad avere efficacia. Che dell Epitome di Artemidoro fatta da Marciano si conservi tuttora una parte (che invece è l Epitome di Menippo) lo si continua a leggere in varie opere di consultazione ben dopo la dimostrazione con cui Hoffmann (1836) chiarì la situazione. Non ci riferiamo ovviamente soltanto al simpatico Emmanuel Miller, nel cui Marcien (1839) l Epitome di Menippo continua a essere presentata come un ampio frammento di quella di Artemidoro, ma anche a una lunga tradizione enciclopedica. 78 Tale immagine totalmente distorta dell opera di Artemidoro ha tratto e continua a trarre in inganno moltissimi studiosi: e tra gli altri anche l incauto falsario che creò lo pseudo-artemidoro su papiro che di recente ha fatto scalpore. Costui infatti ha palesemente operato avendo in testa il presupposto che l opera di Artemidoro fosse, appunto, più o meno analoga a quella di Marciano. E ha creato un mostro: dopo una sconclusionatissima praefatio racimolata pescando di qua e di là, ha piazzato un perimetro della Penisola iberica e un periplo di trenta righe consistente unicamente in una fitta gragnuola di «distanze», scelte peraltro del tutto a capriccio. 79 Esse sono precedute da una frase di preannunzio che le qualifica come una «epitome», cioè come un compendio (di una ancor maggiore quantità di «distanze») avente per obiettivo quello di «dare un idea generale delle distanze»! Per colmo di sbadataggine, poi, questo peripletto o pre-periplo come qualcuno ha cercato di gabellarlo, anziché incominciare da Gades o da Calpe (come tutti i peripli della Spagna di cui si abbia contezza) incomincia dai Pirenei. Insomma, una gaffe dopo l altra.

39 Per liberarsi dunque da questa erronea visione conviene, ancora una volta, guardare all opera di Strabone, nella quale le distanze sono, ovviamente, ben presenti, e spesso la fonte esplicitamente indicata è Artemidoro, ma non costituiscono affatto l ossatura del resoconto 80 (come invece accade in Marciano). È questa, come sappiamo, la sola via per farci un idea concreta dell opera cui Strabone stesso dichiara (X, 3, 5) di attingere massimamente. 2. È ovvio che Artemidoro desse già nel I libro le distanze fondamentali: quelle dal Gange a Gades e da Gades al Promontorio degli Artabri che Plinio desume da lui e pone al principio della sua «geografia» (Nat. Hist., II, 242), alla conclusione cioè del II libro della Naturalis Historia (la Cosmologia ), cui tiene dietro la descrizione del mondo. 81 Tali distanze, per le quali è Artemidoro la fonte che Plinio assume come valida, sono date sia in termini di percorso marittimo sia in termini di percorso (prevalentemente) terrestre e più sicuro, cioè più fededegno (certior). Un altro caso evidente di doppia misurazione da parte di Artemidoro, una delle quali deve essere terrestre, lo recuperiamo grazie a una duplice citazione da parte di Strabone in due libri diversi. Nel XIV (5, 3) «Artemidoro dice che Celenderis, e non Coracesium è l inizio della Cilicia e che da Pelusio [bocca del Nilo] a Orthosia [presso Tripoli di Siria] ci sono 3900 stadî». Nel XVI (2, 33): «Artemidoro dice che da Orthosia a Pelusio sono 3650 stadî se uno naviga sottocosta». 82 Dunque è evidente che la misura maggiore è una misura terrestre, non certo una misura marittima «in linea retta» 83 (che evita cioè di seguire il profilo delle coste) giacché in tal caso sarebbe minore, e di molto, rispetto all altra. Dunque in Artemidoro vi erano varie volte non solo nei casi indicati da Plinio per le distanze massime la misura marittima e quella terrestre. Ricordiamo ancora il giudizio di Plinio, in realtà dello stesso Artemidoro, sulla maggiore precisione della misura terreno itinere (definita «certior»), e constatiamo che Agatemero (15-19) si è attenuto, derivando anche lui da Artemidoro, proprio a quella. Ma per lo meno quelle grandissime cifre complessive che Plinio traeva da Artemidoro (8578 miglia dall India a Gades, ovvero 8945 miglia seguendo un percorso per lo più terrestre etc.) non erano frutto di una personale misurazione: non possiamo immaginare Artemidoro percorrere due volte la faccia della terra, dapprima secondo un percorso di un tipo, quindi secondo un altro. Sono calcoli fondati su altri calcoli (per lo più di Eratostene eventualmente ritoccato). Quelle cifre maggiori si articolavano in sottosezioni: 5169 miglia dal Gange all Eufrate, 244 miglia dall Eufrate a Mazaca in Cappadocia, 499 fino a Efeso e così via fino

40 alle 831 miglia dai Pirenei alla costa atlantica, più «7,5 miglia di traversata fino a Gades»: «Il che, secondo il calcolo di Artemidoro (Artemidori ratione), dà una distanza di 8945 miglia». 84 Ora è proprio questa espressione che deve interessarci. Essa significa che Artemidoro disponeva di dati già presenti nella tradizione e, in parte, poteva averli verificati con sue esperienze dirette: su quei dati faceva dei calcoli (Artemidori ratione vuol dir quello) e aveva ottenuto determinati risultati. Plinio li riferisce, e tra di essi include anche le 991,5 miglia da Gades al Promontorio degli Artabri, ma non manca di raffrontarli, per esempio, coi dati forniti, con altri calcoli, da Isidoro di Charax. E nota che questi differivano per il tragitto breve cioè quello prevalentemente marittimo, dall India a Gades di quasi 500 miglia rispetto ai calcoli di Artemidoro. 85 E qui conviene ricordare che anche un Polibio, pedante con se stesso e con gli altri, e pronto ad accusare geografi e storici di accogliere «le opinioni vulgate intorno alle distanze», veniva ricambiato di tale accusa da Artemidoro e da Posidonio: teste Strabone (X, 3, 5). C era dunque una consistente tradizione di misure vulgate alle quali, non di rado, anche i migliori finivano col richiamarsi. Così ad esempio la circonferenza del Mar Nero nota a Polibio era di stadî 86 (sempre tonde queste cifre ). Strabone reagisce: sono circa. E poco dopo dà cifre diverse, più grandi, anche per il Mar d Azov (II, 5, 22-23): anziché gli 8000 di Polibio, ben 9000 stadî di circonferenza. In questo secondo caso Plinio dà due misure (questa volta non dovute alla medesima fonte, parla invece di «tradizione»: traditur): 1406 ovvero 1125 miglia. Sono tutte cifre irrealistiche e di parecchio superiori alla realtà: 87 quelle di Strabone deriveranno da Artemidoro. 88 Erano mere congetture, come suggerisce Walbank? O «tradizioni» prese per buone, o calcoli fatti in modo troppo approssimativo. Poiché sia Porfirio 89 che Marciano, 90 certo indipendentemente, gratificano Artemidoro dell epiteto di «precisissimo» ( ), è da pensare che Artemidoro stesso esaltasse la propria precisione. Strabone invece, che tanto se ne serve, trova il modo una volta di accusarlo di falsare le cifre (XIV, 5, 22) a proposito dell unica area geografica che sicuramente conosce meglio di lui (Sinope, il fiume Halys, Amasea). Gli fa la lezione nell unico caso in cui ritiene di saperne di più (è il suo paese!). Una sorpresa non piccola viene dalla lettura del fr. 67 Stiehle perché, a prendere sul serio la fonte che tramanda il frammento, si dovrebbe concludere che Artemidoro avesse dato la misura delle distanze (in quel caso della Crimea e della costa nord del Mar Nero) 91 non solo in stadî ma in miglia. Non dimentichiamo che Plinio dà le misure di Artemidoro sempre e solo in miglia. Si dovrà pensare a una sistematica traduzione dei dati dall una all altra unità di misura tanto da parte di Plinio che dell anonimo periplo del Ponto Eusino (a meno di non supporre che,

41 talvolta, Artemidoro stesso desse entrambe le misure). 3. Quando dunque si parla delle misurazioni di distanze che Artemidoro forniva nel corso del suo resoconto, conviene sempre chiedersi se fossero di norma misure di navigazione o non piuttosto (quando possibile) terrestri. È la insistente definizione marcianea dell opera di Artemidoro come «periplo» che ha fatto pensare unicamente a misure espresse in termini di distanze marittime, in quanto raccolte e registrate navigando lungo le coste sia del Mediterraneo sia di quel (poco o molto) che Artemidoro direttamente vide al di là di esso. Marciano, con le sue prolisse considerazioni teoriche in materia (sui diversi modi di misurare per mare, sugli inconvenienti da lui sanati presenti, in questo campo, negli autori che sta epitomando), ci sospinge ancor più all arbitraria illazione che si trattasse unicamente di misure navali. Il suo merito però è di aver colto bene il fenomeno più allarmante della geografia antica, di cui aveva vasta esperienza. E se ne vantava. 92 Il fenomeno che lo aveva colpito e di cui cerca insistentemente di darsi una spiegazione è la contraddittorietà delle informazioni intorno alle misure e alle distanze, presso autori che parlano dei medesimi luoghi. Di Marciano abbiamo tre proemi e in tutti e tre questa tematica viene sviscerata. «L esattezza in questo campo» protesta «non deve riguardare soltanto la collocazione dei luoghi, delle città, delle isole e dei porti. Ritengo che ci si debba esprimere adeguatamente anche e soprattutto nella misurazione in stadî». Ricorre anche al non chiaro concetto di «considerazione secondo natura della misurazione del mare». Ne ammette però la difficoltà: «Non dico, certo, che dovunque per mare sia possibile determinare in maniera esatta il numero di stadî». E qui sviluppa le sue regole : «Se una costa è diritta, e non presenta né cavità né convessità, la misurazione del tragitto per mare sarà facilissima»; invece «dei golfi, dei promontori e delle penisole è impossibile misurare il periplo in modo esatto, dal momento che il percorso non viene coperto come avviene via terra lungo strade nettamente delineate». E porta l esempio di un golfo la cui spiaggia ha un perimetro di 100 stadî: «Se uno navigasse tenendosi vicino al litorale, troverebbe, al termine, di aver percorso un numero di stadî inferiore rispetto a chi, per terra, abbia invece seguito la via lungo la spiaggia» e così via: chi navigherà al largo ne troverà ancora di meno rispetto a chi ha navigato sottocosta. Il concetto gli sembra davvero significativo e perciò lo chiarisce con esempi matematici: «Come nel caso degli archi, dopo averne tracciato uno esterno se ne delinea uno interno avente gli stessi estremi, e poi un altro e poi un altro ancora, il secondo sarà inferiore al primo, il terzo rispetto al secondo e così via: allo stesso modo, nella navigazione di un golfo, è possibile fare una traversata coprendo un numero

42 maggiore o minore di stadî». «Se poi qualcuno» soggiunge «facesse la traversata in linea retta ( ), questa risulterebbe brevissima, tanto da lasciare all arbitrio di chi ha compiuto la traversata la determinazione congetturale 93 della misura in stadî, che si tratti di golfi o di promontori. Ecco perché le misure che ci forniscono [scil. nelle opere geografiche] variano in modo così forte.» 94 Per Marciano il sottinteso è che si tratti sempre di geografi itineranti, anzi naviganti (il che non è universalmente riferibile a tutti). Solo pensando alle varie possibilità che si determinano appunto navigando si spiega, a suo avviso, la sconcertante difformità dei risultati e dei dati presenti nelle varie opere. E questo procedimento diagnostico gli sembra tanto più convincente in quanto egli stesso è pervenuto a teorizzare, a formulare in forma per così dire normativa quello che empiricamente era noto da un tempo antichissimo, che cioè l unica unità di misura è in realtà la giornata (o mezza giornata) 95 di navigazione. Nella prefazione al Menippo egli fornisce in proposito dei dati: col vento favorevole si coprono 700 stadî 96 al giorno (intendendosi sempre per giorno il periodo diurno, quando c è luce); una nave molto veloce poteva giungere a 900 stadî e una meno valida non superava i Marciano presenta questi dati come generalmente accolti ( ), il che fa pensare che abbia alle spalle non soltanto diretta esperienza ma anche osservazioni di altri geografi che avevano già riflettuto sull imbarazzante fenomeno. Nello pseudo-scilace (Periplo, 69 = GGM I, p. 58, 16) la media giornaliera è un tragitto di 500 stadî. Certo non vanno trascurati fattori come il vento favorevole o contrario, l addestramento e l impegno dei rematori etc. Posti questi cardini teorici, che ripete di libro in libro in forme variate (al principio del II libro e al principio del Menippo), 98 Marciano adotta un sistema che dichiara di trovare «anche nell opera di Protagora», ma che in realtà assume di peso dall opera di quel continuatore di Tolomeo. Protagora infatti aveva tradotto in stadî le misure che Tolomeo aveva espresso in gradi e aveva stabilito il criterio, astratto ma razionale, di fornire per ogni distanza un «non più» e un «non meno»: in pratica due misurazioni, entrambe solo indicative, per ogni distanza espressa in stadî. Colpisce il fatto che, nonostante questo ampio dispiegamento di teoria, soltanto in una modesta parte dell intera sua trattazione Marciano riesce a fornire tale doppia cifra. Ciò dipenderà anche dal fatto che il Marciano a noi giunto è, come sappiamo, ulteriormente depauperato. 99 Sta di fatto che è ancora una volta la Spagna la parte meglio equipaggiata. Qui infatti in modo fitto e sistematico Marciano segnala le due misurazioni, massima e minima: a partire da Calpe e poi per tutta la costa lusitana fino all estremo settentrionale. Per la Betica atlantica egli disponeva dunque di due fonti: Artemidoro (che,

43 come egli stesso dice) aveva visto, e dunque descritto, quella costa almeno fino al Promontorio Sacro, e Tolomeo-Protagora. Ha scelto quest ultimo, e infatti dà sempre le due misure (minima e massima) con cui Protagora aveva tradotto in stadî le misure di Tolomeo in gradi. Forse non si tratta soltanto di una scelta di coerenza con tutte le altre misurazioni (per le quali Artemidoro non c era), ma di una scelta dovuta alla convinzione che ormai, dopo Tolomeo, il lavoro di Artemidoro fosse superato. 4. Alla base di questo complicato sforzo di misurazione vi era anche un problema di equivalenze. Quando infatti osserviamo che le distanze marittime sono espresse in stadî (il che è comune nella letteratura periegetica e nei peripli, in Strabone, in Pausania, nella prosa storiografica), cioè con una unità di misura tipica delle misurazioni terrestri, dobbiamo aver presente che alla base c è un opera di traduzione, a partire da un equivalenza (su cui Marciano, come abbiamo visto, si effonde e che si vorrebbe meglio comprendere come fosse stabilita) tra tragitto percorso e valutato in giornate di navigazione e sua resa in stadî. Vi era poi un altro genere di traduzione da mettere in conto, soprattutto quando si voleva far capo a informazioni e dati già disponibili (a quelle nozioni popolari su cui Strabone, come dicemmo, ironizza): a informazioni, cioè, già acquisite ma espresse in altro sistema. È la questione dell equivalenza tra miglio e stadio. Un esempio concreto: quando Artemidoro è andato in Spagna, nella parte controllata dai Romani, le informazioni (relative alle distanze) su cui ha potuto contare da parte di coloro con cui è entrato in contatto erano in miglia terrestri (specie quando i suoi interlocutori appartenevano all apparato romano presente in loco). Egli traduceva quei dati in stadî, quando non si trattava di sue misurazioni di prima mano. Ma l equivalenza miglia/stadî (per Plinio codificata, poi, nella misura 8 stadî = 1 miglio) non era da sempre univoca. Esistono almeno sette diversi valori dello stadio in rapporto alle miglia romane, 100 con un oscillazione da un minimo di 7 stadî e 1/2 (sulla base dello stadio introdotto da Filetero di Pergamo) a un massimo di 9-10 (se si adotta quello di Eratostene). Ma nemmeno sulle dimensioni dello stadio di Eratostene vi è consenso. Il lavoro svolto da Artemidoro non può che essere letto alla luce di tutto ciò. Quando misura e annota la distanza tra Calpe e Gades o tra Gades e il Promontorio Sacro compie un operazione di verifica scientifica diretta. Quando ci dà il perimetro dell isola di Taprobane 101 riferisce quello che gli raccontavano le fonti cui attingeva a proposito di quella remota isola. 102 Il suo grande disegno, il suo grande sforzo, la sua durevole realizzazione fu di aver tentato una mappatura del mondo. Nessuno prima di lui ci si era cimentato così analiticamente.

44 78 Cfr. da ultimo The Encyclopedia of Ancient Natural Scientists, Rout-ledge, London 2008, p. 165, alla voce Artemidoros of Ephesos si legge: «Greek geographer, author of an 11-book geographical description of the world preserved in an Epitome by Marcianus of Herakleia»! 79 Su ciò si veda, più oltre, il capitolo XXIII, Potrebbe giovare una statistica della frequenza, in Strabone, di tali indicazioni. 81 Libri III-VI. 82 Cioè addentrandosi nel Golfo di Isso (Alessandretta):. 83, come dice Marciano. 84 Nat. Hist., II, Nat. Hist., II, Polibio, IV, 39, Si veda la nota di F.W. Walbank, A Historical Commentary on Polybius, I, Clarendon Press, Oxford 1957, p Che certamente trattava anche di questa parte del mondo (cfr. fr. 67 Stiehle = GGM I, p. 418, 15-23). Da questo frammento si ricava che Ar- 89 Antro delle ninfe, Prefazione al Menippo (GGM I, p. 566, 40-41).

45 91 All incirca fino all odierna Odessa. 92 GGM I, p. 565, 17 ss. esalta la gran quantità di letture che ha fatto. 93 (GGM I, p. 518, 22). 94 Marciano, Mare esterno, prefazione al libro I (GGM I, p. 518, 9-25). 95 Le misure minuscole (per es. i 12 stadî che Artemidoro poneva tra Cefalonia e Itaca [fr. 55] saranno stati davvero ad sensum). 96 Equivalgono all incirca a 70 miglia marine. 97 Epitome di Menippo, 5 (GGM I, p. 568, 3-8). 98 GGM I, p. 543, 26-35; I, pp Cfr. qui di seguito il capitolo Le insidie di una epitome. 100 F. Lehmann-Haupt, RE, s.v. Stadion, III A, 1929, coll Fr. 106 Stiehle. 102 Cfr. più oltre il cap. XIII Le isole del Sole.

46 V. Le insidie di una epitome * 1. La questione da porsi è dunque: che tipo di opera intese comporre Artemidoro? Una descrizione dell ecumene (come credette ancora un grande esperto di antica geografia quale Karl Müller) 103 o non piuttosto, come ripetutamente scrive l unico testimone diretto, cioè Marciano di Eraclea, essenzialmente un periplo del Mediterraneo («mare interno», «il mare che sta da questa parte», in opposizione all Oceano, «mare esterno»)? 2. Prima di procedere dobbiamo dire qualcosa su questo autore, Marciano di Eraclea, che esalta molto la propria opera ma poco o nulla dice di se stesso. Al punto che, non sapendo con esattezza collocarlo nel tempo, noi moderni siamo ridotti a un solo puntello certo: quando scrive del Ponto, egli presuppone il riordino delle province realizzato da Diocleziano. Dunque il IV secolo dopo Cristo è l epoca più bassa in cui collocarlo. Non è mancato però chi ha suggerito senza veri argomenti che egli fosse di molto più tardo, addirittura il collaboratore del geografo-enciclopedista del tempo di Giustiniano (VI secolo) Stefano di Bisanzio, 104 il quale si è servito largamente della sua opera. Forse però non va lontano dal vero chi, sulla base di qualche non ovvia coincidenza onomastica, lo mette in relazione con Sinesio di Cirene (inizio V secolo), equamente platonico e cristiano, e trova una conferma di ciò nel curioso cenno che fa Marciano al rispetto che si deve «alle divinità che tutelano il sapere». 105 Ottimi argomenti in favore di questa collocazione di Marciano nel tempo e nell ambiente ha portato di recente Didier Marcotte, recuperando l intuizione di Saumaise e di Holste, secondo cui Marciano è da identificarsi col corrector Paphlagoniae amico di Sinesio. 106 Il proposito di Marciano era di dar vita a una originale e polifonica enciclopedia geografica. Ma è Artemidoro il suo autore di riferimento. Non soltanto egli volle riassumerlo sì da poterlo inglobare nella sua silloge, ma addirittura lo assunse come base e come termine di paragone per la propria opera originale, il Mare esterno: si può dire che la riduzione e lo sfrondamento di Artemidoro furono da lui realizzati in modo tale da rendere effettivamente

47 complementari i due scritti. Scelse Artemidoro probabilmente perché era pur sempre, nel campo della geografia descrittiva, il testo più autorevole, rispetto al quale Strabone si poneva spesso come un ripetitore, non sempre benevolo, di ricerche altrui. L operazione imponeva anche qualche scelta di compromesso: se doveva avere un fine pratico c era il rischio di mescolare notizie arretrate e notizie aggiornate, sul piano amministrativo. E l anacronismo non sempre era sanabile come nel caso della Narbonese. 107 Caso evidente quello della Spagna. Quando Artemidoro la visitò, e ne parlò nel II libro della sua opera, essa era divisa in due province non proprio granitiche (la Citeriore e l Ulteriore, essenzialmente impiantate sul versante mediterraneo della penisola e sulla regione del Baetis). Perciò nell epitomare il suo Artemidoro, Marciano scrisse: la Spagna «è stata divisa dai Romani in due province» (fr. 21 Stiehle); e mise in circolazione un opera l Epitome appunto recante questa notizia arretrata. (Che è forse una delle ragioni che lo indussero a mantenere il nome di Artemidoro come autore: per datare le informazioni.) Quando, però, nel Mare esterno, riparla della Spagna, perché essa pertiene largamente anche al «mare esterno», premette alcune informazioni generali, e tra l altro precisa: «Un tempo le province erano due, ora sono tre» (GGM I, p. 544, 9-12). In questo modo ha reso utilizzabile l opera anche sul piano pratico, e ha al tempo stesso ribadito che Epitome di Artemidoro e Mare esterno vanno usati insieme, che cioè il legame tra quella epitome e l opera originale dell epitomatore è strettissimo. 3. Alla luce di quanto troviamo nel manoscritto Parigino (Supplément Grec 443), l enciclopedia geografica creata da Marciano risulta così composta: 1) in prima posizione c era l Epitome degli undici libri di Artemidoro. Essa serbava il nome di Artemidoro come autore e manteneva la originaria suddivisione in undici libri; 108 questa parte del manoscritto è perduta; 2) seguivano, ma ormai costituiscono l inizio del manoscritto, i due libri sul Mare esterno, cioè il periplo dei due oceani, opera originale di Marciano, concepita come continuazione e complemento dell Artemidoro ridotto [ff. 1-48]; 3) il terzo pezzo era ancora una Epitome (Marciano la definisce «edizione», ), questa volta dei tre libri di geografia universale di Menippo (autore di epoca augustea «molto gradito dal pubblico»), messa in essere da Marciano in modo analogo all altra: Menippo figurava come autore e veniva mantenuta la divisione in libri dell originale [ff ]; 4) Periplo dell ecumene, tramandato sotto il nome di Scilace di Carianda (in realtà una compilazione di tardo IV secolo a.c., non certo l opera originale di

48 Scilace, attivo, secondo Erodoto, alla fine del VI secolo a.c.) [ff ]. Essa è preceduta (ff ) da una notizia su Scilace dovuta a Marciano; 109 5) dopo alcune informazioni frammentarie presenti nel f. 106 (lista di isole del Mediterraneo; titolo di un opera di tale «Ateneo» un cui cospicuo frammento compare, fuori posto, in un altra parte del manoscritto) seguono le Stazioni partiche di Isidoro di Charax: una descrizione delle «stazioni» o luoghi di fermata lungo la strada principale del regno partico, da Zeugma sull Eufrate ad Alessandria di Arachosia. L autore era di epoca augustea ma l opera contiene dati che giungono fino almeno al 100 d.c.: dunque si tratta anche in questo caso di una rielaborazione, secondo il modello, caro a Marciano, del compendio aggiornato [ff ]; 6) segue quel che sopravvive del cosiddetto e altrimenti sconosciuto Dionigi figlio di Callifonte: una Descrizione della Grecia, [ff e ]. Di mezzo è interposto il frammento sulle città greche di «Ateneo»: l accorpamento è dovuto all affinità tematica; 7) in fine [ff ] c è l anonimo Circuito della terra ( ), dedicato a Nicomede II (o III) 110 di Bitinia, arbitrariamente attribuito a Scimno. In inscriptio, prima del testo, ci sono le parole, su cui ha riflettuto Müller (GGM I, p. LXXIV): esse hanno determinato l attribuzione dello scritto a Marciano in una parte della tradizione. Il fatto che non sia agevole pervenire a una spiegazione certa e univoca di quelle parole non deve offuscare il dato principale, che cioè ancora una volta ritorni il nome di Marciano nella intestazione di questo scritto (mutilo in fine: ma non è azzardato affermare che fosse l ultimo della raccolta). Il rilievo di quella intestazione, dal punto di vista della storia del testo, è fuori dubbio. 111 Si può dunque considerare questa collezione come una raccolta ideata e realizzata da Marciano, 112 mirante a fornire un corpus in grado di racchiudere l intera descrizione dell ecumene. 4. Non possiamo però esser certi che la raccolta per quanto attiene al testo sia esattamente corrispondente, così come si presenta nel manoscritto Parigino Supplément Grec 443, a ciò che Marciano otto secoli prima aveva realizzato. Al contrario, molti indizi dimostrano che il tutto deve aver subìto, nel tempo, un ulteriore lavoro di abbreviazione e di compendio. Questo salta agli occhi proprio nel caso dell Epitome di Artemidoro. Noi non l abbiamo più perché il manoscritto Parigino è mutilo in principio; per fortuna tutti i fascicoli superstiti sono numerati ed il primo superstite è il terzo: dunque l Epitome di Artemidoro, che figurava in

49 prima posizione, occupava appena due fascicoli, cioè trentadue pagine (corrispondenti appunto a due quaternioni). Un agevole calcolo mostra che quei due fascicoli potevano contenere al massimo 754 righe da trentacinque lettere ciascuna, il che come compendio di undici libri è impensabile. Per giunta bisognerà togliere qualcosa per inscriptio e subscriptio, e tener conto del fatto che l ultima pagina del secondo quaternione perduto sarà stata occupata almeno in parte dall inizio del Mare esterno. Il che ci fa calare a 720 righe circa: cioè in media righe per libro! 113 Ovviamente non sembra possibile che la riduzione in epitome di un opera vasta e discorsiva come erano gli undici libri di Artemidoro (piena di digressioni descrittive di usi e credenze locali, discussioni scientifiche, descrizioni di animali rari etc.), equiparata dallo stesso Marciano dal punto di vista tipologico all imponente opera di Strabone, potesse restringersi entro due fascicoli di complessive trentadue pagine (e forse meno). Il fatto stesso che Marciano l abbia definita al plurale in quanto era anch essa divisa in undici libri ( ) 114 fa pensare a ben altra ampiezza. Se dunque quei due quaternioni iniziali si fossero salvati, ci troveremmo in realtà in presenza di una «Epitome dell Epitome». 115 (Questa forse intitolata al singolare, ) Il che risulta istruttivo anche su di un piano più generale; ci fa toccare con mano come andò la storia di opere tecniche (tale è un corpusculum geografico): è la storia di un progressivo restringimento e prosciugamento, che non ha soggezione nei confronti dell integrità e nemmeno dell autenticità testuale, ma mira unicamente a obiettivi pratici. Qualcosa di analogo, del resto, è accaduto anche all opera originale dello stesso Marciano, il Mare esterno. Qui mancano intere parti della trattazione, delle quali è rimasto solo il preannunzio: indizio di un lavoro di riduzione di cui non possiamo ormai misurare e valutare l entità se non in parte, e che si è però esplicato lungo l intero testo. Un indizio librario significativo lo ha segnalato Didier Marcotte: il fatto cioè che, nel Parigino, i titoli dei singoli libri figurano al termine (in subscriptio), completi e corredati ogni volta del nome dell autore. «Ciò fa pensare» scrisse Marcotte sulla scorta di una acuta notazione di Robert Devreesse «che il corpus fu costituito a partire da testi copiati su singoli rotoli». 116 L indizio è chiaro: non potevano che esserci rotoli alla partenza poiché è proprio dei rotoli presentare e reiterare il titolo più l autore in quella posizione finale. È il compendio di secondo grado che fu ridotto appunto perché entrasse tutto in un codex. Che potrebbe non essere lo stesso Parigino Supplément Grec 443, ma il suo modello, allestito magari in un epoca di compendi come quella di Costantino VII. Certo è caratteristico del codex l accorpamento in uno spazio il più possibile contenuto del massimo di testo; ed è caratteristico del codex accorpare autori diversi ma tematicamente connessi.

50 *** Questa serie di deduzioni, che danno un idea piuttosto precisa di una movimentata storia del testo, consente anche di trarre un corollario per quanto attiene allo pseudo-artemidoro del famigerato papiro. Il fatto che un brano di esso (colonna IV, righe 18-24) coincida alla lettera (con un aggiunta peggiorativa!) con un brano del II libro del Mare esterno di Marciano 117 dovrebbe allarmare non poco i devoti: infatti il presunto originale di Artemidoro (cioè il papiro) finirebbe in questo caso col coincidere verbum de verbo addirittura con l Epitome di secondo grado! Cioè con la riduzione medievale (Supplément Grec 443) dell epitome tardoantica (Marciano integro) del testo autentico (Artemidoro). 118 Neanche la Provvidenza avrebbe potuto tanto. * Giova avere sott occhio lo Stemma. 103 GGM I, pp A. Diller, The Tradition of the Minor Greek Geographers, Lancaster, Oxford 1952, pp Nella prefazione al Menippo (GGM I, p. 567, 28), li chiama ; «deos sermonis praesides» traduce non efficacemente Müller. 106 D. Marcotte, Le corpus géographique de Heidelberg (Palat. Heidelb. Gr. 398) et les origines de la collection philosophique, in The Libraries of the Neoplatonists, ed. by C. D Ancona, Brill, Leiden-Boston 2007, pp Cfr. infra, cap. VIII. 108 GGM I, p. 567, 4-5 e Lo dichiara con molta solennità Marciano stesso nella lettera prefatoria posta al principio dell Epitome di Menippo. 109 A. Diller, The Tradition, cit., p. 46; e D. Marcotte, Le périple de Scylax, «Bollettino dei classici» III, 7, 1986, p D. Marcotte, Les Géographes Grecs, Les Belles Lettres, Paris 2000, pp Il modello da cui dipende il Suppl. Grec 443 era già lacunoso e danneggiato. Per giunta lo pseudo-scimno è preceduto da un agglomerato piuttosto caotico di frammenti in coda al quale è rabberciata una subscriptio. Si può essere perciò tentati di pensare che sia il finale di una frase, o notizia (o didascalia) di cui già prima del modello del Suppl. Grec 443 s era persa la gran parte. Non sarei alieno dall ipotizzare che comunque precedesse un verbo, tipo etc.) di cui era dativus agentis. 112 Bene su ciò D. Marcotte, Les Gèographes, cit., I, pp. LXXVII-LXXIX. 113 Cioè all incirca l equivalente delle colonne IV e V dello pseudo-artemidoro (che pretende di darci l intero periplo della Spagna: cioè il secondo libro). 114 GGM I, p. 542, 17. Il titolo al plurale figura anche in Stefano alla voce Malaga (M ), dove si legge (p. 429 Meineke). 115 Per non aver compreso ciò il pur bravissimo Karl Müller a un certo punto abbandonò l ipotesi che i fascicoli 1 e 2 contenessero l Epitome di Artemidoro, perché gli parve troppo angusto spazio (GGM I, p. XII sub fine). Ma cfr.

51 A. Diller, The Tradition, cit., p. 19 e D. Marcotte, Les Géographes, cit., I, p. LXXVIII. 116 D. Marcotte, Les Géographes, cit., I, p. LXXXIII e nota GGM I, p. 544, Non deve stupire che qui si metta in relazione il Mare esterno con Artemidoro. Infatti i difensori del povero papiro, quando fu segnalata la coincidenza Mare esterno/papiro, si aggrapparono all idea che, in quel punto del Mare esterno, Marciano avesse riutilizzato un pezzetto della propria Epitome di Artemidoro. Ma non potevano immaginare, non avendo approfondito la storia del testo, che si fosse di fronte a un compendio del compendio. Il che rende la coincidenza rovinosa. Quanto poi all aggiunta peggiorativa di cui s è detto sopra, essa è dovuta al fatto che il falsario volle arricchire il testo che prendeva da Marciano con un dettaglio tratto da Tolomeo. E dobbiamo deplorare l avversa fortuna: in quel caso Tolomeo s era sbagliato; e così il suo errore di calcolo è finito nel papiro! Su ciò cfr. Il papiro di Artemidoro, pp

52 VI. Ben più che un periplo 1. Chiarito che cosa abbiamo effettivamente tra mano quando parliamo di Marciano e del corpus da lui creato, vediamo come egli descrive l opera di Artemidoro. In ogni proemio e di lui ne abbiamo ben tre egli non fa che spiegare come ha lavorato sul testo di Artemidoro: e lo fa anche quando non di Artemidoro si tratta, come è il caso del proemio all Epitome del Periplo di Menippo. Tiene molto acché il lettore sappia quale fosse esattamente l ambito e quale l assetto dell opera di Artemidoro: per far meglio risaltare la propria opera. Chi apra alla prima pagina il manoscritto Parigino si imbatte subito nel nome di Artemidoro. Il testo, come sappiamo, è mutilo in principio, ma Marciano sta già parlando di Artemidoro. In un certo senso si può dire che esordisca nel nome di Artemidoro. È subito chiaro che siamo già nel proemio, ma non possiamo valutare quanto ne manchi. L idea, diffusa tra i vecchi editori (Müller incluso), che si tratti solo di completare la frase iniziale è arbitraria. Ci sarà stata, in apertura, qualche notizia dell autore su se stesso. Difficilmente l avrà infilata nell Epitome di Artemidoro, composta in precedenza, perché essa si presentava come opera di Artemidoro. E comunque Marciano tende a parlare di sé appena possibile. Dunque si può ragionevolmente pensare che l ultimo dei fogli andati persi con la caduta dei primi due fascicoli del Parigino contenesse l intestazione com-pleta del Mare esterno e l avvio autobiografico del proemio. Le prime parole superstiti però si leggono a mala pena. Né si può chiedere aiuto alle copie del manoscritto Parigino allestite nel Cinquecento: 119 esse furono allestite quando il danno si era ormai prodotto, e le righe iniziali erano già evanescenti, sicché quei copisti addirittura rinunciarono a trascrivere le prime due righe del modello. Dunque proprio la prima frase superstite, che descriveva (questo è certo) il contenuto degli undici libri di Artemidoro, ci sfugge almeno in parte. Teniamoci comunque alle parole sicuramente leggibili: 1) «il mare che si trova [ ]»; 120 2) «[ ] che si immette [ ]»; 121 3) «l Oceano chiude a occidente». 122 Che anche (2) si riferisca all Oceano è sicuro, visto che nel seguito quell espressione ritorna, in riferimento all Oceano. 123 Del resto basti pensare alla

53 vasta e consolidata tradizione che vede l Oceano come un immane, incombente, massa d acqua che preme addosso alle terre e ai mari interni penetrandovi fortemente e con irruenza: da Avieno (Ora maritima : «Oceanus iste [ ] circumlatrator [ ] nostrumque in orbem vis profundi inlabitur») a Pomponio Mela (I, 6: «Terras aperit atque intrat»), a Plinio (II, : «interfusus intrat per tot maria»). 124 Orbene, il mare di cui l Oceano segna il confine occidentale non può che essere il Mediterraneo. Dunque è questo che Marciano diceva subito in principio il centro dell opera di Artemidoro era il Mediterraneo, ed è al Mediterraneo che Artemidoro aveva dedicato i suoi ben undici libri Marciano aggiunge però anche una precisazione: nel fare l epitome degli undici libri di Artemidoro egli ha «eliminato le superflue digressioni scritte da costui», «nonché le città etiopiche dei barbari». Dunque, in questo suo periplo del Mediterraneo, Artemidoro aveva inserito una serie di «digressioni» (che Marciano, del cui giudizio non sappiamo se fidarci, considerava «superflue») e addirittura parlava largamente anche dell Etiopia, cioè di una regione sicuramente non mediterranea. Ma evidentemente ne parlava in connessione con l Egitto, cui dedicava amplissimo spazio, come apprendiamo da un lettore infaticabile e storico universale quale Diodoro Siculo (III, 11). E se uno storico ed etnografo come Diodoro ha attinto con profitto alla trattazione artemidorea sull Egitto, ciò significa che essa conteneva ben più che uno scheletro geografico o una semplice lista di toponimi e distanze. Le parole di Diodoro meritano attenzione. Diodoro, che visse nella seconda metà del I secolo a.c., 126 è il primo autore (superstite) che parli di Artemidoro. E dà, tra l altro, un titolo della sua opera che non ha suscitato l interesse che meritava: «Artemidoro, colui che ha messo insieme (compilato) le geografie». 127 Espressione che potrebbe tanto riferirsi alle descrizioni geografiche composte da lui, quanto suggerire che Artemidoro aveva attinto esplicitamente ad altre opere geografiche. 3. Diodoro non si limita a una generica dichiarazione di stima. Fonda il suo apprezzamento su di un esempio concreto l Egitto e l Etiopia e istituisce un nesso tra Artemidoro (libro VIII) e Agatarchide (libro II) elogiando entrambi: quanto avevano scritto sull Egitto e sull Etiopia era da ritenersi pienamente fededegno di contro a una miriade di fantasiosi lavori di altri. Forse però Diodoro non s è accorto che l uno dipendeva dall altro (o forse, dato il suo modo di lavorare, la cosa non gli faceva impressione). Agatarchide

54 precedette Artemidoro di circa mezzo secolo: era nato circa l anno 200 a.c., se verso l anno , per sua dichiarazione, era già molto vecchio. 128 Agatarchide era fonte di Artemidoro. Così si spiegano le coincidenze spesso verbali tra quel che Fozio ricava e trascrive da Agatarchide e quello che Strabone dice di ricavare da Artemidoro. Dunque, in questo senso e per certe parti degli undici libri, davvero Artemidoro «compilò geografie». Anche per quel che riguarda una notevole collezione di animali assai strani, Artemidoro fece capo alle incredibili informazioni di Agatarchide di Cnido. L opera geografica di Agatarchide, intitolata Sul Mare Eritreo, 129 riguardava, non con intento sistematico, Egitto, Etiopia, Corno d Africa, e quella parte di Oceano Indiano compresa tra la costa meridionale dell Arabia e la costa occidentale dell India, fino a Taprobane: e perciò recava quel titolo. Un tragitto che ha una sua logica nautica e che fu adottato da altri celebri viaggiatori quali George Viscount Valentia nei primi anni dell Ottocento (Voyages and Travels to India, Ceylon, the Red Sea, Abyssinia and Egypt, London 1809), uno dei primi dilettanti, cui si devono la segnalazione e la comprensione di quel monumento della grecità ellenistica su suolo etiopico che si denomina «Monumentum Adulitanum». 130 L uso di Agatarchide da parte di Artemidoro 131 è l elemento decisivo per comprendere quanto ampi sono stati i tagli inflitti da Marciano agli undici libri del suo autore; e aiuta a comprendere come mai Artemidoro si fosse occupato persino di Taprobane, pur assumendo come impalcatura di base della propria opera un periplo del Mediterraneo. 4. Su questo punto Marciano ritorna negli altri due proemi che abbiamo di lui: al principio del II libro del Mare esterno e nel proemio dell Epitome di Menippo, ogni volta modificando le sue formulazioni nei dettagli ma sempre attribuendo ad Artemidoro il merito e il proposito di un periplo del Mediterraneo. Dalla comparazione dei tre testi si comprende che Marciano è ben consapevole del fatto che negli undici libri di Artemidoro c era molto altro. Ma questo di più parve a lui così parziale e così poco soddisfacente sul piano della «precisione» da indurlo a rivolgersi per compilare il Mare esterno al «divinissimo Tolomeo» e a Protagora e ad altri «antichi». 132 Nel terzo proemio (che è una lettera dedicatoria a un certo Anfitalio), Marciano presenta un panorama storico-critico della geografia greca e ancora una volta viene a parlare di Artemidoro (dopo averlo posto sullo stesso piano di Strabone): «Artemidoro, il geografo di Efeso, che fiorì nella CLXIX Olimpiade, aveva compiuto il periplo della maggior parte del Mediterraneo, aveva visto anche l isola di Gades e

55 parti del mare esterno, 133 che chiamano Oceano: ebbene come descrizione della terra la sua opera è insoddisfacente. Invece il periplo del mare che è delimitato dallo stretto di Eracle e la relativa misurazione egli li ha fatti, negli undici libri, con la necessaria cura, sicché ha composto il più chiaro e più preciso periplo del mare interno». Questo modo di esprimersi può trarre in inganno. Il senso non è che l opera di Artemidoro fosse una descrizione dell ecumene e che però il periplo del Mediterraneo ne costituisse la sola parte valida. Il senso è invece che le varie digressioni non bastavano a farne un accettabile descrizione dell intera ecumene; quantunque il ricorso a opere quale quella di Agatarchide (o di altri) potesse dilatare il periplo in più direzioni. E forse ci si può spingere anche più in là nel tentativo di recuperare l effettivo profilo di quest opera. Visto che Marciano, pur parlando di varie «digressioni superflue» da lui soppresse, in realtà porta solo l esempio delle «città barbare dell Etiopia», 134 sembra legittimo pensare che proprio quella fosse la maggiore espansione oltre i confini del periplo: cioè quella relativa a un arco geografico gravitante sul Mar Rosso e che costituiva appunto la materia del gran libro di Agatarchide. 5. Ulteriori digressioni portavano Artemidoro a parlare anche di altre aree geografiche? Non lo si può escludere. Ma si sbaglierebbe se si volesse vedere dietro a ogni toponimo, comunque tramandato come registrato in uno dei libri di Artemidoro, l indizio della descrizione, da parte di lui, di un intera regione. È l errore di prospettiva che sta alla base della più recente edizione dei frammenti, quella allestita oltre centocinquant anni fa da Stiehle (1856, su «Philologus»). Non basta, ad esempio, il toponimo che Stefano cita come presente in «Artemidoro nel libro XI» per concludere che nell XI libro Artemidoro abbia dedicato una trattazione alla Scizia 135 (e non piuttosto, come si deduce da Strabone XI, 2, 14, qualche cenno a un punto della costa del Mar Nero). Per una eventuale futura edizione dei frammenti (veri!) di Artemidoro è questa la scelta più delicata. Bisognerebbe dunque mettere a frutto soltanto le pagine di autori nelle quali ci sono consistenti e riconoscibili parafrasi: nei libri di Strabone, in Plinio, forse in Agatemero. E isolare in una sezione a parte tutto il resto. E vi è comunque un motivo di ulteriore cautela che investe tutto il materiale che ricaviamo da Stefano di Bisanzio. Stefano come sappiamo non disponeva più di Artemidoro, ma lavorava sull Epitome redatta da Marciano (e circolante ab initio come di Artemidoro, per le note ragioni). Orbene Marciano dichiara di aver

56 integrato l Epitome di Artemidoro con suoi apporti: «Con accurata aggiunta di altre informazioni da me trovate, ridussi in epitome il periplo di Artemidoro». 136 Dunque se si includono sic et simpliciter nella massa di frammenti su cui fondare la ricostruzione tutti i toponimi che Stefano dichiara di trovare «in Artemidoro», a parte le fantasie che si è portati a costruire a partire da quei toponimi, c è anche il rischio di cadere in un circuito vizioso: chi saprebbe, infatti, ormai distinguere i toponimi che erano già nell originale e quelli eventualmente aggiunti dall epitomatore? Così si rafforza il rischio di ricostruire sezioni mai esistite di un opera che, secondo Marciano, era essenzialmente un ottimo periplo del mare interno. 119 Vaticano Palatino greco 142, Monacense greco 566, Scaligerano 32 (Leiden) (ma forse si può leggere anche ajpotelei. 123 GGM I, p. 519, (e certo anche 518, 34-35). 124 Su questo tema va visto il lucido saggio di F. Borca, In orbem intrare : l Oceano, il Mediterraneo e le Colonne d Ercole, in M. Khanoussi-P. Ruggeri-C. Vismara (a cura di), Atti del XIV Convegno Internazionale di Studi L Africa romana (Sassari, dicembre 2000), I, Carocci, Roma 2002, pp GGM I, p. 516, 4-6: 126 Aveva compiuto il suo viaggio di istruzione in Egitto nell anno a.c.: cfr. Diodoro I, 44, 1; 46, 7; 83, Fozio, Biblioteca, cap. 250, 110 (460b). Ma c è chi pensa l anno in questione sia il 145 a.c. (così anche Jacoby nell introduzione al commento relativo ad Agatarchide, FGrHist 86, pp ). 129 O, se si preferisce, Sul Mar Rosso:. 130 Voyages and Travels, III, pp Su cui cfr. S. Micunco, tesi dottorale San Marino-Reims, 2008, La geografia nella Biblioteca di Fozio: il caso di Agatarchide. La dipendenza di Artemidoro da Agatarchide era generalmente riconosciuta: illuminante, come sempre, Eduard Schwartz, RE, I, 1893, col. 740: «Agatarchide fu saccheggiato dagli autori successivi, in primis Artemidoro, che Strabone letteralmente ricopia». Cfr. anche J.L. Ferrary, Philhellénisme et impérialisme, Ecole Française, Roma 1988, p. 235, nota 38. Ma Micunco ha dato la dimostrazione analitica. 132 GGM I, p. 542, Protagora è il geografo che, seguace di Tolomeo, Fozio trovava nello stesso manoscritto (Biblioteca, cap. 188, 145b 16-26). 133 Certo si trattava almeno del Capo S. Vincenzo, oltre che di Gades. 134 GGM I, p. 516, Lo ha pensato anche F. Susemihl, Geschichte der griechischen Literatur in der Alexandrinerzeit, I, Teubner,

57 Leipzig 1891, p. 695, nota 302, che, in fondo, estremizza quanto trovava in Stiehle. 136 GGM I, p. 516, 9-10.

58 VII. L equivoco del «periplo» e delle misurazioni marittime Nelle prime parole di lui che ci è dato leggere (nel f. 1 del Suppl. Grec 443), Marciano cerca di dire che Artemidoro avrebbe «composto un periplo». Ma l espressione è piuttosto tortuosa: intenzionalmente tortuosa. In realtà è Marciano che ha ricavato dalle di Artemidoro un periplo quando ha creato l Epitome di Artemidoro (e l ha messa in circolazione con il nome di Artemidoro come autore); ma l opera come Marciano stesso ammette conteneva anche altro. Marciano cerca anche di far passare la sua idea, che cioè solo la parte che egli ha ridotto in forma di periplo era «la più compiuta e perfetta» tra tutto quanto stava dentro le di Artemidoro. Ma forse ciò è arbitrario. Marciano vuole, come si suol dire per metafora, spazio per il suo Mare esterno e perciò vuol far credere che solo la parte da lui estratta come periplo dai libri di Artemidoro fosse valida. Ecco perché al principio si esprime così goffamente. Rileggiamolo: «(Del mare interno) Artemidoro, geografo efesino, negli undici libri della Geografia ha composto il periplo; e noi di codesti libri, avendo tolto le parti superflue e le città barbare dell Etiopia, e aggiuntevi con cura le novità, in epitome abbiamo ottenuto nella maniera più nitida il periplo». 137 Non avrebbe senso imputare a Marciano di non saper scrivere. Lui sta cercando di fissare nella testa del lettore l idea che già nel proposito di Artemidoro l opera in undici libri doveva essere «un periplo del mare interno». È facile osservare che sta forzando le cose. Infatti in un altra praefatio, scritta alquanto tempo dopo, quella all Epitome di Menippo, Marciano si tradisce e scrive senza rendersi conto che si sta contraddicendo e smentendo che Artemidoro e Strabone sono autori di opere tra loro affini: che entrambi hanno composto un genere di opera che era «al tempo stesso e periplo». 138 E poco dopo esprime un giudizio su entrambi gli aspetti, là dove giudica gli undici libri di Artemidoro «non sufficientemente precisi come ma eccellenti come periplo». 139 E non è superfluo rilevare che l elogio che Marciano riserva alla parte periplo dell opera di Artemidoro ( ), Porfirio lo estende all intera opera. 140 La situazione era dunque ben diversa. L opera di Artemidoro (lo si capisce chiaramente da quanto ne hanno tratto Strabone, Plinio etc.) era più vasta, si chiamava a ragion veduta (come sappiamo da Diodoro III, 11); 141 è Marciano che ha creato il mito che, in fondo, non fosse che un periplo del

59 Mediterraneo. E ha sortito anche un effetto collaterale: con l insistente uso di ha creato un altro mito: quello di un viaggio tutto per mare, foriero di una miriade di misurazioni di distanze tutte espresse (da Artemidoro!) come misurazioni marittime. È un mito che, una volta compresa la vera natura dell opera di Artemidoro, va in crisi. Allo stesso modo va in crisi lo pseudo- Artemidoro papiraceo, costruito sull idea di un periplo per mare della Spagna e irto di misurazioni che vogliono essere intese come misurazioni marittime. Il falsario, a quanto pare, per fabbricare questo oggettino non ha fatto altro che ispirarsi a Marciano. 137 GGM I, p. 516, Ivi, p. 566, Ivi, p. 566, De antro Nympharum, 4 (p. 57 van Goens). 141 Il titolo, noto a Diodoro, è confermato da Porfirio, De antro Nympharum, 4 (p. 57 van Goens): «[come ad es. ( ) Artemidoro] nel quinto libro della sua in undici libri etc.». Cfr. infra, cap. XIV.

60 VIII. Il viaggio a Occidente 1. L «avventura» di percorrere per intero le coste del Mediterraneo (all epoca non tutto controllato da Roma) studiandone non solo la conformazione geografica, ma anche i popoli e i loro costumi, e di viaggiare oltre le Colonne spingendosi fino alla punta più occidentale del mondo, cioè il Promontorio Sacro, non era forse agevole per un anziano notabile. Non si va forse lontano dal vero collocando i viaggi di Artemidoro nella sua giovinezza e la scrittura degli undici libri nell età matura. Nella redazione della sua vasta opera egli ha immesso non solo il frutto delle sue osservazioni di viaggiatore, ma anche le suggestioni provenienti da letture molteplici. Egli scrisse avendo sottomano una buona biblioteca storico-geografica. Ormai la provincia d Asia era stata pacificata, una prima volta (Aristonico) e una seconda (Mitridate). Pergamo era la biblioteca più importante e più vicina; 142 per non parlare della stessa patria di Artemidoro che ebbe biblioteche di ginnasi ben prima di quella augustea 143 e di quella maestosa traianea, detta «biblioteca di Celso», di cui ammiriamo ancora i resti monumentali. Artemidoro visse infatti nell area del mondo ellenistico forse più densamente popolata di biblioteche e già solo nella sua città la continuità bibliotecaria è impressionante. Nonostante l esiguità dei resti dell opera di Artemidoro, i riferimenti che egli faceva, spesso critici, agli autori che metteva a frutto appaiono ben numerosi: Ecateo di Mileto, Aristagora di Mileto, Ctesia di Cnido, Eforo, Timeo, Eratostene, Pitea, Polibio, Sileno etc. 144 La vivace, assidua, discussione con i predecessori fa necessariamente pensare a un lavoro di lunga lena che si è svolto in appropriato contesto quando ormai il periodo dei viaggi si era concluso. E l impulso di quest uomo a scrivere una geografia descrittiva di vaste proporzioni non sarà venuto proprio dal desiderio di rettificare quanto quei libri dicevano alla luce della sua diretta esperienza di viaggiatore vero e non libresco? Come che sia, è probabile che, come parve già a David Magie, al tempo della fortunata missione a Roma la sua fama come geografo fosse già affermata nella sua città. Il che porta a ipotizzare per i viaggi, soprattutto per il grande viaggio a Occidente, un periodo alquanto precedente gli anni dell akmé e della missione diplomatica ( a.c.).

61 2. Possiamo tentare di farci un idea il più possibile concreta del mondo che egli vide. Per esempio, il Mediterraneo orientale, all epoca, non era ancora controllato pienamente da Roma: la Siria era ancora un regno indipendente, ancorché in pieno declino, 145 e altrettanto può dirsi dell Egitto; Mitridate incombe molto da presso, per non parlare dello strapotere dei pirati, soprattutto nell area compresa tra Cipro, Creta, la Cilicia e la Siria (ma ancora al tempo di Spartaco [73-70 a.c.] essi erano persino in grado di trattare con lui in vista di un eventuale trasbordo dell armata ribelle attraverso lo stretto di Messina). Persino a Occidente il controllo romano dell area mediterranea non era così completo, se solo si considera la facilità con cui i Cimbri e i Teutoni avevano sfondato nella recentissima provincia (118 a.c.) della Gallia Transalpina, arrivando fino a Vercelli e dilagando nella pianura Padana, o a sud la faticosa successione di Micipsa, re di Numidia, e tutta la allucinante vicenda della guerra contro Giugurta ( a.c.). Anzi, probabilmente un indizio che ricaviamo da Marciano ci fa capire che, quando Artemidoro ha visitato le coste galliche e spagnole del Mediterraneo, la Transpadana non esisteva ancora come provincia: e Artemidoro come si esprime Marciano «non fece distinzione tra le province spagnole e l area narbonese». Di conseguenza, Marciano si era sentito autorizzato, nel suo lavoro di epitomatore «aggiornatore», a interpolare, nell Epitome di Artemidoro una parte sua, nuova, relativa alla provincia romana della Narbonese: «Nell Epitome di Artemidoro, il periplo della Gallia Narbonese è opera nostra, ed è fatto in modo chiaro, anche se il suddetto Artemidoro non fece la distinzione ( ) rispetto alle province spagnole ( ) [scil. della Narbonese]». 146 Questo luogo rilevantissimo di Marciano è stato stravolto con correzioni superflue e peggiorative, mentre in realtà è perfettamente sano. Si tratta solo di comprendere che indica anche il distinguere una cosa da un altra, e che, col genitivo, significa «distinzione da qualcosa». 147 S.F. Wilhelm Hoffmann, lo studioso che ha compreso per primo l assetto del corpus di Marciano, 148 era molto vicino a intendere esattamente il senso di quella frase, ma ebbe il torto di accogliere passivamente la traduzione latina di Emmanuel Miller (1839), il quale non aveva capito nulla e traduceva: «Sebbene Artemidoro non abbia indicato la divisione delle province che sono in Spagna». 149 Da questa aberrante traduzione di Miller deriva la proposta di Müller di inserire un intera riga nel testo di Marciano per fargli dire una stupidaggine: «Sebbene Artemidoro non abbia indicato una divisione <delle province della Gallia, così come l aveva fatto> per quelle della Spagna». 150 L origine di questa serie di fraintendimenti è nella mancanza di date certe nella

62 biografia di Artemidoro. Ipnotizzati dalla data unica disponibile (akmé nella Olimpiade 169 cioè nel a.c., che probabilmente vuol solo dire che in quegli anni va collocata la missione sua a Roma), si tende a concentrare tutto ciò che egli fece appunto in quel torno di tempo. Questo pregiudizio ha impedito di vedere ciò che era scritto chiaramente nelle parole di Marciano: che cioè Artemidoro aveva visto quelle regioni prima del 118 a.c., prima del costituirsi della nuova provincia romana della Gallia Transalpina. Perciò non aveva fatto distinzione tra quell area (la Narbonese) e le province iberiche. Ciò significa: a) che una trattazione da parte sua dell area tra i Pirenei e il Rodano unitamente alle province spagnole ( ) comportava anche la segnalazione dell antico valore di, appunto come area compresa tra Ebro e Rodano; valore poi man mano soppiantato dall uso di nel senso di dovuto appunto al formarsi delle due province iberiche dopo la seconda punica e soprattutto dopo la durissima guerra contro Viriato; 151 b) che quando Artemidoro ha visto la Spagna, in un momento successivo alla caduta di Numanzia (133 a.c.), i Romani erano ben lungi dal controllare «l intera Lusitania». E in particolare tutta l immensa area della Spagna settentrionale era come scrisse Polibio, che aveva visto da vicino la guerra di Numanzia terra incognita. Insomma, il mare nostrum (per usare l orgogliosa formula imperiale che appare per la prima volta all inizio del V libro del cesariano De bello gallico) era davvero di là da venire quando il coraggioso Artemidoro veleggiava per il Mediterraneo e oltre le Colonne. 152 All epoca, poi, le due province romane di Spagna, la Citeriore e l Ulteriore, erano essenzialmente costiere: ed è per questo, infatti, che Artemidoro come ricaviamo da Marciano (presso Costantino VII, De administrando imperio cap. 23 = fr. 21 Stiehle) indicava il confine tra le due province con località o costiere (Nova Carthago) o prossime alla costa mediterranea (le fonti del Baetis). *** Perciò uno degli aspetti più disastrosi dello pseudo-artemidoro su papiro è che il falsario, avendo aggiunto le parole «l intero paese» ( ) a quelle, che riutilizza, del fr. 21, ha fatto dire ad Artemidoro che, al suo tempo (fine II a.c.) le due province romane (Hispania Citerior e Hispania Ulterior) coprono l intera Spagna! Eppure era di là da venire la conquista del Nord del paese, realizzata da Augusto quando Artemidoro era morto da un pezzo

63 Fig. 3. La Spagna al tempo di Artemidoro 142 La cessione dei libri ad Alessandria (se mai avvenne) era ancora di là da venire. 143 Cfr. W. Alzinger, Augusteische Architektur in Ephesos, Osterreichisches Archäologisches Institut, Wien 1974 («Sonderschriften» XVI), pp Né va dimenticato l uso bibliotecario del tempio stesso di Artemide attestato in riferimento a Eraclito di Efeso da Diogene Laerzio IX, 5-6 e Taziano, Adversus Graecos (ed. E. Schwartz), Leipzig 1888, p Un quadro ben fatto presso F. Susemihl, Geschichte, cit., p. 695, nota Ma la conquista la compirà Pompeo nel 67 a.c. e solo allora nascerà la provincia romana di Siria. E forse all epoca Artemidoro era già morto. 146 GGM I, p. 551, Non soltanto «divisione di qualcosa in parti». Perciò Aristotele nella Politica (1294a 34) dice intendendo «la distinzione tra queste due forme politiche». 148 Cfr. la sua edizione Marciani Periplus (Lipsiae 1841, pp ); nonché il fondamentale Die Iberer im Westen und Osten del «Licet Artemidorus nullam fecerit divisionem provinciarum in Iberia» (Périple de Marcien, Paris 1839, p. 82). Che è una sciocchezza: basti pensare al fr. 21 dove sono indicate e delimitate le due province spagnole. 150 GGM I, p. 551, 7-9:. 151 Per il destino dello pseudo-artemidoro su papiro, entrambe queste constatazioni sono nefaste, visto che lì l incauto falsario ha voluto far scrivere ad Artemidoro che, quando egli fu in quella regione, la Ulterior comprendeva «tutta la Lusitania». Inoltre si capisce finalmente, credo, perché nel fr. 21 si debba serbare : l autore sta dicendo che, oltre all antico valore di fino al Rodano ce n è anche uno che

64 equipara Iberia e Hispania, dovuto alla nascita delle province spagnole da un lato dei Pirenei e della Narbonese dall altro. 152 Perciò è buffo leggere «il nostro mare» nello pseudo-artemidoro del papiro ( : col. IV, riga 35). Mai anacronismo linguistico-politico fu più incauto.

65 IX. Le Colonne d Ercole 1. Artemidoro chiamava «Colonne d Ercole» non già lo stretto di Gibilterra, cioè lo stretto passaggio tra monte Calpe e la costa africana antistante, ma, come si esprime Marciano, «poneva le Colonne all isola di Gades» (Mare esterno II, 4). Il che significherà che Artemidoro e altri, come Marciano precisa indicava come «Colonne d Ercole» lo stretto tra Gades e la costa spagnola posta di fronte a tale isola. Conviene considerare l intero contesto per capire esattamente cosa intende dire Marciano: [II, 3] Incominceremo dunque il periplo del mare esterno (cioè dell Oceano) a partire dallo stretto di Eracle. Questo stretto infatti divide entrambi i continenti, l Iberia (che chiamano anche Spagna) che è una parte dell Europa e l antistante Libia. 153 Per chi esce dallo stretto di Eracle e si inoltra verso l Oceano, sulla destra c è la provincia spagnola della Betica, sulla sinistra, cioè dalla parte della Libia, ci sono le cosiddette Mauretanie. 154 Ciò che sta di mezzo si chiamava A chi ha attraversato e superato lo stretto e il tempio di Era (che si trova a mano destra all uscita dallo stretto) si para davanti l Oceano, che si distende lungo entrambi i continenti, l Iberia e la Libia, e si spinge verso occidente per una estensione immensa e a nessuno nota. [II, 4] Sulla destra c è innanzi tutto l isola di Gades, dove consta 155 che ci siano le Colonne d Ercole. Infatti se è vero che alcuni sostengono che le Colonne siano al monte Calpe, il quale si trova all interno dello stretto di Eracle, altri, come il geografo Artemidoro, ritengono che le Colonne siano a Gades. Dunque Marciano adotta il punto di vista di Artemidoro: le Colonne sono a Gades. Nondimeno, prosegue, «nulla impedisce di incominciare il periplo della Spagna a partire dal monte Calpe, come fa la grande maggioranza (dei geografi)». In questo modo Marciano si libera della fedeltà ad Artemidoro e adotta l opinione vulgata sulle Colonne che del resto sin dal principio aveva deciso di adottare: 156 perciò, poco dopo, fa coincidere il limite occidentale del Mediterraneo con le Colonne (II, 7 = GGM I, p. 544, 13-14) in conformità con l opinione vulgata. Il suo comportamento è coerente. 157 Ciò che Artemidoro diceva a proposito delle Colonne e più in generale su tutta l area circostante lo si ricava da varie fonti. Strabone è, come sempre, prezioso. Nel libro XVII, dedicato alla Libia, così si esprime:

66 Abitano qui i Maurusii, detti così dai Greci (Mauri dai Romani e dagli indigeni): importante e ricca popolazione. Essi stanno esattamente di fronte all Iberia. Qui c è anche lo stretto, che coincide con le Colonne d Ercole, delle quali abbiamo detto molto [libro III]. Per chi si inoltra via mare oltre lo stretto delle Colonne, avendo la Libia sulla sinistra, 158 c è un monte: i Greci lo chiamano Atlante e i barbari Dupis. Da quel punto si protende una propaggine di montagna verso occidente, punta estrema della Mauretania, detta le Coteis. Accanto c è una minuscola cittadina, sul mare, che i barbari chiamano Tingis: 159 Artemidoro la chiama Lynx, invece Eratostene Lixos. Tale località si trova in posizione esattamente simmetrica rispetto a Gades: la distanza tra le due località è di 800 stadî, tanto quanto ciascuna delle due dista dallo stretto delle Colonne. 160 Questa puntuale descrizione del triangolo determinato dai tre punti equidistanti (Tingis-Gades-lo stretto delle Colonne) è dovuta ad Artemidoro, il quale probabilmente in questo punto si discostava da Eratostene unicamente nel toponimo (Lynx invece di Lixos). Il recupero è prezioso. Indica che Artemidoro era ben consapevole della distanza tra lo stretto e Gades: quando dunque poneva le «Colonne d Ercole» a Gades non aveva preso un abbaglio. Al contrario egli ha costeggiato i due continenti nelle due opposte direzioni, a partire dallo stretto, e ha misurato che dallo stretto a Gades così come dallo stretto a Lixos (Lynx) ci sono 800 stadî. Se non avesse consapevolezza dello stretto, non darebbe tali misure. Che tutta questa parte risalga ad Artemidoro lo conferma Strabone quando poco oltre nello stesso libro (XVII, 3, 8) chiarisce diffusamente che Artemidoro aveva discusso e contestato l opinione in proposito di Eratostene: Artemidoro si contrappone a Eratostene ( ) rimproverandogli di aver chiamato Lixos una città che si trova all estrema punta occidentale della Mauretania, che invece si chiama egli dice Lynx. Ma Artemidoro rimproverava a Eratostene addirittura di non averle viste quelle località. 161 Dunque aveva perlustrato l intera area dello stretto sia sul versante atlantico sia su quello mediterraneo, sia verso nord (Gades) che verso sud (Lynx), aveva misurato le distanze e stabilito quel triangolo equilatero (Gades-stretto- Lynx) di cui si è appena detto. Se perciò, in opposizione agli altri geografi e viaggiatori, «poneva le Colonne a Gades» (come ci informa il suo epitomatore Marciano) non le poneva sullo stretto, e non poteva certo dire come il falso Artemidoro del papiro che «la costa mediterranea della Spagna arriva fino a Gades» dal momento che ben sapeva e scriveva che tra lo stretto e Gades, per chi si inoltra nell Oceano, ci sono 800 stadî. Il passaggio dello stretto e la navigazione lungo le coste atlantiche della Spagna e dell Africa dovettero essere una delle esperienze più memorabili del suo viaggio a Occidente. Forse però la commozione dantesca per aver imboccato il varco verso l Oceano è assente da questa esperienza. Altri, ad Artemidoro certo ben noti, erano già passati di lì, come ad esempio Annone e Imilcone cartaginesi, e Pitea di

67 Marsiglia: dunque non esisteva neanche più il mito negativo dell incognito pericolo. 2. Qui merita di essere notato che Artemidoro discuteva del toponimo registrato da Eratostene, e lo contestava in favore della forma, quando parlava del suo viaggio oltre lo stretto di Ercole e fino alle Colonne a nord e a sud. È un punto di contatto tra Annone e Artemidoro. Nel Periplo di Annone ( 6) si legge infatti: «Di qui, condotti dalla corrente giungemmo a un grande fiume, il Lisso (, che scorre dalla Libia. Presso questo fiume i Lissiti ( ), gente nomade, facevano pascolare le greggi». Stefano (p. 420 Meineke) ha anche una voce tutta ricavata da Artemidoro, come si comprende dal raffronto col passo, ora ricordato, di Strabone:. («Lynx, città della Libia nei pressi di Gades, dopo il monte Atlante. C è anche un isola di Atlante e una città Lynx [?], come dice Artemidoro. L etnico è Lynxites oppure Lyngios.») Dalla scarna e non chiarissima voce di Stefano si ricava dunque un altra informazione: Artemidoro segnalava che nei pressi di questa minuscola città c era un isola omonima. Da Strabone apprendiamo che Artemidoro largheggiava in dettagli sulle popolazioni abitanti nella zona e sulle loro abitudini alimentari, anche su questo terreno in polemica con Eratostene. Insomma sembra chiaro che per Artemidoro quest area, da lui vista direttamente, era stata oggetto di grande interesse. Egli aveva com è chiaro da Stefano e da Strabone percorso almeno una parte del tragitto compiuto e descritto da Annone nel Periplo. E, come Annone, aveva fondato alcune deduzioni sui caratteri peculiari del clima secco e infuocato di quella regione. Questa non irrilevante coincidenza tra Annone e Artemidoro è sfuggita ai moderni studiosi Si sa che nel linguaggio dei geografi greci «Libia» è tutta l Africa settentrionale escluso l Egitto. 154 Qui è presupposta la divisione della Mauretania in due province (post-dioclezianea). 155 Per l uso di cfr. LSJ s.v. (in fine). 156 Infatti il proemio del II libro (dedicato all Oceano settentrionale, e dunque con avvio dalla Spagna) incomincia con le parole: «Il secondo libro comprenderà l intero periplo a partire dallo stretto di Eracle» (GGM I, p. 541). La menzione (II, 7) dell opinione anomala di Artemi- doro è dovuta al fatto che l opera che Marciano ha realizzato prima di intraprendere questa sul Mare esterno è l Epitome di Artemidoro. 157 Non lo è invece quello del cosiddetto papiro di Artemidoro : col. IV, 33-37, dove del lato mediterraneo della

68 Spagna è detto, contemporaneamente, che «giunge fino a Gades» e che si distende «lungo il Mediterraneo, cioè entro le Colonne d Ercole». Su ciò cfr. anche «QS» 69, pp Cioè navigando sotto costa lungo l odierno Marocco. 159 Qui va letto non. 160 Strabone, XVII, 3, Stiehle, nella ormai datata raccolta dei frammenti di Artemidoro (Der Geograph Artemidoros von Ephesos, «Philologus» 11, 1856, pp ), numera questo come Non al falsario Simonidis: in proposito cfr. infra, nota 224.

69 X. Il Promontorio Sacro Artemidoro navigò ben oltre Gades. Quando parlava del Promontorio Sacro, precisava di esserci stato di persona. 163 Non abbiamo purtroppo il suo racconto, ma la parafrasi che ne fa Strabone, non sempre benevolo verso gli autori cui più deve. Anche così, però, ci rendiamo conto che si trattava di una narrazione piena di dettagli, anche pittoreschi, alcuni dei quali avevano irritato Posidonio. Per dare un immagine d insieme dell area, importante da un punto di vista generale perché rappresenta e Strabone lo ripete forse adoperando proprio le parole di Artemidoro «il punto più occidentale di tutta l ecumene» (III, 1, 4), Artemidoro ricorreva a un paragone di fantasia: faceva un esercizio di (il gioco delle rassomiglianze ), ed evocava, soprattutto a beneficio dei lettori greci, l immagine di una nave. Quel Promontorio, detto dai latini Cuneus, gli suggeriva la forma di una nave ( ). Aggiungeva che il paragone era ancor più calzante in ragione delle tre isolette che sono lì vicino, delle quali una sembra il rostro, mentre le altre due (ricche di ancoraggi) sembrano i paranchi. Effettivamente, viste dal mare, le tre isolette di Armacão, Caxão e Leixão suggeriscono l idea schematizzata di un imbarcazione. L interesse per i culti e le leggende locali ma anche il proposito di raffrontare la propria diretta esperienza con i racconti di altri viaggiatori illustri si intrecciavano nelle pagine che Artemidoro aveva dedicato alla Spagna. Con Eforo (sempre che non si tratti di un lapsus per Ecateo, come suggerito da François Lasserre) 164 Artemidoro era molto aspro: lo accusava di «mentire» per aver egli affermato che al capo San Vincenzo c era un tempio di Eracle: «Artemidoro afferma che da quelle parti non c è né un tempio di Eracle (è menzogna quella di Eforo in proposito) e nemmeno un altare, e neanche templi o altari di altre divinità. Si tratta egli soggiunge semplicemente di gruppi di tre o quattro massi che si trovano un po dovunque: in osservanza a un costume locale, i visitatori li spostano e, dopo aver proceduto a libagioni, li ricollocano al loro posto». Si trattava, evidentemente, di un rituale al quale lo stesso Artemidoro si era adeguato. Altro dettaglio da lui riferito: «È vietato sacrificare, né si può mettere piede di notte in quella zona poiché sostengono gli indigeni di notte vi abitano gli dei; i visitatori sono tenuti a dimorare in qualche villaggio vicino e a portarsi sul luogo quando è giorno, ma ben riforniti d acqua, perché sul posto non ce n è». 165

70 Se davvero era Eforo il bersaglio di questa accurata confutazione fondata su un esperienza diretta dei luoghi, si dovrà pensare che a sua volta Eforo abbia utilizzato in modo impreciso una notizia che trovava in Ecateo, il quale deve aver parlato del culto, al Promontorio Sacro, di Saturno-Baal, non di Eracle-Melqart. A ogni modo, Artemidoro era andato sul posto e aveva visto che si trattava di forme arcaiche di devozione. Non può essergli sfuggito che i massi disposti in un certo ordine, e da ricollocare nello stesso ordine dopo determinate libagioni, sono forme arcaiche di «altare». E la notturna presenza della divinità è coerente con tale contesto. Il tono di leggero scherno verso tutto ciò, che serpeggia nella pagina in cui Strabone parafrasa questo racconto di Artemidoro, non risale ad Artemidoro ma piuttosto a Posidonio, la cui critica alla credulità di Artemidoro noi diremmo al rispetto che Artemidoro aveva mostrato verso le credenze locali è subito di seguito riferita con gusto e fatta propria da Strabone: Può anche essere che le cose stiano così, e dobbiamo credergli. Ma tutto il resto che lui [Artemidoro] aggiunge, conformandosi all opinione volgare dei più, 166 assolutamente no. Infatti Posidonio dice che la massa delle persone pretende che lì il sole, al momento del tramonto lungo le coste oceaniche, diviene più grande e, ancora, che, calando, produca una specie di sfrigolio come se il mare ribollisse nello spegnerlo, visto che il sole affonda nel profondo delle acque [III, 1, 4]. L idea popolare era che l Oceano fosse talmente immenso che il sole vi sprofondava sfrigolando, salvo poi rispuntare la mattina dopo. Era Posidonio che aveva propugnato la tesi che il sole cala al di là dell Oceano. La confutazione degli errori popolari da parte di Posidonio (riferita da Strabone) colpisce altri due pregiudizi: che al Promontorio Sacro, al cospetto dell Oceano, la notte cali improvvisamente, e che il sole appaia molto più grande sia al tramonto sia al suo sorgere. Sul primo punto Posidonio faceva rilevare che il prolungarsi della luce dopo il tramonto, che si verifica in montagna, era alla base dell equivoco o meglio dell illusione quando il tramonto viene osservato davanti ad una distesa marina della scomparsa repentina e totale della luce solare. Sul secondo punto aveva spiegato che la maggiore grandezza era un illusione ottica dovuta ai vapori acquei che funzionano come cristalli di vetro e ingigantiscono l immagine. In questo contesto Posidonio faceva riferimento ad Artemidoro, anche se Strabone non è molto chiaro su questo punto. Dopo aver riferito le ben fondate opinioni di Posidonio e aver precisato che per fare i suoi rilevamenti il filosofo aveva trascorso ben trenta giorni a Gades, Strabone commenta: «Quanto ad Artemidoro, egli afferma che il sole, al tramonto, è cento volte più grande [s intende: al Promontorio Sacro] e che la notte lì cala istantaneamente» (III, 1, 5 = fr. 12 Stiehle). Nessuno dubita che Posidonio abbia letto Artemidoro e che i rilevamenti da lui compiuti soggiornando trenta giorni a Gades mirassero, tra l altro, a confutare

71 quanto raccontato dal geografo di Efeso nel suo lungo e dettagliato resoconto. Resta il fatto che la connessione polemica, in questa pagina che abbiamo parafrasato, la istituisce Strabone. Per polemica contro il grande predecessore, ci tiene a segnalare che due delle opinioni contro cui Posidonio rivolgeva la sua critica si ritrovavano anche in Artemidoro. E di suo aggiunge (a meno che non provenga anche questo da Posidonio): come poteva Artemidoro parlare di improvviso calar della notte e delle dimensioni centuplicate del sole all albeggiare se lui stesso afferma di essersi adeguato al dettame religioso di non soggiornare al capo nottetempo? Analoga puntigliosità manifesta Strabone contro quello che, in occasione dello stesso viaggio, Artemidoro aveva scritto delle popolazioni abitanti nei pressi di Lixos (a sua volta in polemica con Eratostene). Oltre al toponimo Lixos (in luogo di Lynx), Artemidoro rimproverava a Eratostene di aver sostenuto che «nelle regioni occidentali dell Etiopia 167 l aria sa di mare e nelle ore mattutine e serali è pesante e caliginosa». L argomento forte di Artemidoro era che in una zona torrida e secca (si pensi al resoconto di Annone in proposito) ciò non sarebbe stato possibile. Strabone però lo coglie in contraddizione, perché osserva «secondo lui, dei Lotofagi erano sopraggiunti in quelle zone, si sarebbero cibati di loto, una specie di radice grazie alla quale non avevano bisogno di bere» (XVII, 3, 8). L addebito non è chiarissimo, anche perché spesso la volontà polemica danneggia la chiarezza espositiva. Quel che qui interessa è la ricchezza di dettagli, forse in parte appresi sul posto ma non visti, che connotava il racconto di Artemidoro relativo a quest area atlantica al di là dello stretto. Usi, abitudini alimentari, credenze religiose, risorse linguistiche erano materia cui Artemidoro concedeva largo spazio. Non a caso il suo non geniale epitomatore di cinque secoli più tardi, Marciano di Eraclea, gli rimproverava le «digressioni» con cui farciva il suo racconto. Effettivamente deve averle letteralmente falcidiate se gli undici libri di Artemidoro erano stati compressi dall epitomatore nel ristrettissimo spazio equivalente ai due quaternioni mancanti al principio del Supplément Grec *** Questa constatazione dell abisso che intercorreva tra l Artemidoro intero, frondoso narratore che lo stesso Marciano equipara, da questo punto di vista, a Strabone, e l Epitome messa in essere da Marciano dovrebbe bastare da sola a chiudere le dispute intorno allo pseudo-artemidoro dell infelice papiro di Torino, che della stringatezza di una più che modesta e confusa epitome serba tutte le

72 caratteristiche. (Chi l ha confezionato ha avuto sott occhio Marciano e vi si è ispirato.) 163 (Strabone, III, 1, 4). 164 Andando un po oltre l affermazione di Jacoby (FGrHist 70 F130 Komm.). 165 Artemidoro, fr. 13 Stiehle (= Strabone, III, 1, 4). 166 Non credo si alluda qui ad altri autori (come intende Lasserre) ma alle credenze popolari. 167 Anche in questo caso l ambito del toponimo è molto ampio. 168 Su ciò cfr. A. Diller, The Tradition, cit., p. 19.

73 XI. In Lusitania 1. Quanta parte della costa atlantica della Spagna vide Artemidoro dopo aver passato lo stretto? Anche su questo punto dobbiamo far capo a Marciano, il quale aveva letto direttamente Artemidoro e merita dunque la considerazione che si riserva a una fonte primaria. Due volte, con la ripetitività che gli è propria, Marciano afferma che della costa spagnola sull Atlantico, oltre lo stretto, Artemidoro aveva visto ben poco: una prima volta nel proemio al II libro del Mare esterno (GGM I, p. 542, 21-23) e una seconda volta nel proemio all Epitome di Menippo (opera giuntaci mutila e che fu a lungo creduta dai moderni, e ancora da Miller nel 1839, parte della perduta Epitome di Artemidoro). Qui Marciano è ancor più preciso, e dice che Artemidoro aveva visto ( ) «solo Gades e qualche segmento ( ) del mare esterno» (GGM I, p. 566, 35-36). È chiaro che Marciano traeva questo dato dal testo stesso di Artemidoro. La prima volta dice: «Anche se Artemidoro ha menzionato ( ) alcune parti del mare esterno»; 169 la seconda volta accenna a ciò che Artemidoro aveva effettivamente visto del «mare esterno»: «Gades e alcune parti del mare esterno». 170 Se si esprime così, vuol dire che ha visto «Gades e qualcos altro non molto lontano da Gades»: altrimenti la frase non ha senso (chi direbbe: Gades e l intera costa atlantica?). È degna di attenzione la distinzione tra ciò che Artemidoro aveva effettivamente visto ben poco del mare esterno e ciò di cui comunque «faceva menzione» a proposito del mare esterno. Questa distinzione investe, chiaramente, anche le misure (le distanze) che Artemidoro riferiva: per esempio le grandi e grandissime distanze, come quelle (riferite da Plinio, II, 242) «tra l India e le Colonne d Eracle a Gades» cui Artemidoro aggiungeva anche l altra imponente cifra degli stadî che intercorrono tra Gades e il Promontorio degli Artabri all estremo nord della Spagna. O quando parlava dei Sarmati «circa Tanain» (fiume Don), che non aveva mai visto. Quando dunque Marciano delimita drasticamente e puntigliosamente ciò che Artemidoro aveva effettivamente visto del «mare esterno» (certo sulla base di ciò che leggeva nell opera di lui) intendeva anche dire che quanto di lui aveva scartato nel fare l epitome degli undici libri dei (per esempio tutto quello che si leggeva nei libri X e XI dell area compresa tra l Etiopia e Taprobane) era tutto materiale di seconda mano, era

74 tutto racconto di cose non viste. Se dunque Marciano incominciava il II libro del Mare esterno con un analitica descrizione, e relativo stadiasmòs, della Betica atlantica e della Lusitania, 171 ciò significa che in Artemidoro questa parte era quasi del tutto assente (o comunque si limitava «all isola di Gades e a quei» che Artemidoro aveva effettivamente visto) Secondo Marciano, quando doveva definire il confine settentrionale della provincia romana della Hispania Ulterior, Artemidoro si esprimeva in modo vago: diceva che essa si estende «fino alla Lusitania» ( ). 173 Non sapeva con esattezza e invero non ne erano del tutto consapevoli, all epoca, neppure i Romani quanta parte della vasta regione denominata «Lusitania» rientrasse nella provincia, tanto più che, come denominazione geografica, «Lusitania» era considerata tutta la regione bagnata dall Atlantico, fino all estremo nord. 174 Aggiungiamo che di tutti i frammenti superstiti, uno solo, il 31, riguarda un toponimo della Lusitania: peraltro è un frammento sui generis perché pertiene ai Lusitani considerati nell insieme, in quanto denominati anche Belitanoí, dal fiume Belion. 175 Questo riferimento era nel libro III, mentre della Spagna Artemidoro parlava nel II. Statisticamente un solo frammento sui 137 censiti da Stiehle non è indicativo: forse non c era una trattazione adeguatamente ricca e fondata intorno alla Lusitania, e ancor meno sul Nord del paese, la cui conquista notoriamente avvenne sotto Augusto. Addentrarsi in profondità nell indomita Lusitania, specie al tempo in cui probabilmente Artemidoro fece il suo tour occidentale, poteva forse essere un azzardo. Le due province spagnole erano essenzialmente mediterranee, e oltre il Tago non era realistico parlare di effettiva autorità romana. 176 Ed è sintomatico che Cesare, promagistrato nella Ulterior nel 61 a.c., impegnato in una politica di fondazioni, abbia impiantato colonie, ancora una volta tutte a sud del Tago. 177 Questa era già la situazione quando la Spagna era sotto i Cartaginesi: «Se i Cartaginesi dalla costa spinsero il loro possesso anche all interno, fu essenzialmente per reclutare soldati», e, quando subentrò Roma, «due secoli occorsero perché Roma raggiungesse il dominio dell intera penisola, con guerre continue, nelle quali si intrecciavano lotte civili, anche con vere guerriglie. La penetrazione avvenne più facilmente su per le valli che sfociavano nel Mediterraneo, in quanto vie aperte alla fascia costiera; più dura e più lunga nelle zone montuose e negli altipiani frapposti, per gli ostacoli che lo stesso paesaggio naturale e il clima opponevano ai conquistatori, e per la resistenza degli abitanti,

75 dalla loro medesima vita di nomadi fatti più pronti a sfuggire agli inseguitori. Intorno al 20 a.c. tutta la Spagna era romana e per gran parte si poteva dire solo allora rivelata per le conoscenze acquisite». 178 Sulla nozione di conquista territoriale forse conviene essere più precisi rispetto alle genericità correnti. In aree come la Grecia, o l ex regno di Pergamo o anche la Sicilia, conquista significava immediato controllo militare del nuovo territorio provinciale. In aree come la Spagna settentrionale e la Gallia la situazione era del tutto diversa. La conquista fu un lungo processo, che, ad esempio nel caso della Gallia, durò circa un secolo dopo che erano ormai terminate le campagne cesariane. Nel caso della Spagna tale processo non solo fu di oltre un secolo e mezzo, ma fu costellato da continui conflitti con le popolazioni del Centro e del Nord. Il tratto dominante fu che i Romani si trovarono a fronteggiare per un periodo lunghissimo, ogni volta le stesse popolazioni, a combattere reiteratamente contro i medesimi avversari. Quando Garnsey e Whittaker, svariati anni fa, misero in luce che la conquista effettiva e il controllo del territorio della Gallia Transalpina erano stati il risultato di un processo durato molto a lungo (un secolo) dopo le campagne cesariane, il guadagno di conoscenza e l aiuto alla comprensione dei meccanismi della conquista romana dell Occidente furono notevoli. L astratta nozione vigente era quella della conquista e del controllo del territorio come automatica e istantanea conseguenza delle campagne militari e delle vittorie sul campo. La realtà concreta era ben diversa. Una campagna militare coronata da successo produce inizialmente il controllo delle vie di comunicazione (quando ci sono) e delle piazzeforti, quando si è in grado di tenerle e difenderle anche dopo che il grosso dell esercito si è ritirato negli accampamenti e nelle basi di partenza. Contro un nemico uso alla guerriglia, diviso etnicamente 179 e dislocato in un ampio territorio spesso inaccessibile (la Spagna interna e settentrionale è un esempio tipico in tal senso), riuscire a imporre lo scontro in «battaglia» è già di per sé un risultato importante e non facile da conseguire: e che per lo più si realizza, nelle condizioni ora descritte, spingendosi in profondità dentro il territorio non ancora controllato. In casi del genere la distinzione tra battaglia vittoriosa in territorio nemico e spedizione punitiva è tenue. Per quel che riguarda la Spagna (Lusitania a nord del Tago, paese cantabrico, altopiano dell interno etc.) si può ben dire che a lungo essa rimase una spina nel fianco. Non era sotto controllo romano l area a nord del Tago nemmeno dopo la vittoria di Pompeo su Sertorio e i suoi. Né si capirebbe tutto il seguito delle vicende spagnole dalla campagna cesariana di Munda (45 a.c.) alle durissime campagne spagnole di Augusto (27-23 a.c.) se non si partisse dal presupposto che il controllo romano continuava a essere parziale e prevalentemente mediterraneo. Per i figli di Pompeo, dopo la sconfitta subita a Tapso (46 a.c.), la mossa più ovvia fu di passare in Spagna e organizzare lì le

76 premesse per un nuovo contrattacco. E le premesse c erano: non solo le vecchie clientele pompeiane ma c era, soprattutto, il fatto macroscopico che l autorità romana si estendeva solo fino a un certo punto. Né bastò la sconfitta di Munda. Appena un anno più tardi (Cesare è appena stato ucciso), per i cesaricidi presi dal panico per il fallimento del loro colpo di Stato, i possibili rifugi, subito evocati in una drammatica lettera di Decimo Bruto di pochi giorni successiva alle Idi di marzo, sono appunto la Spagna, dove tuttora opera indisturbato (nonostante Munda!) Sesto Pompeo e tiene impegnato Asinio Pollione promagistrato nella Ulterior, e la Siria, dove la provincia è per metà persa a seguito di un grave ammutinamento saldatosi con realtà indigene (mai del tutto domate). La lettera è conservata nella raccolta ciceroniana Ad familiares (XI, 1). 3. C è anche da dire che l obiettivo della conquista della Spagna, una volta debellata Cartagine, non era tanto il controllo totale di una regione, in gran parte sconosciuta. Era il controllo delle sue risorse: in primo luogo delle sue risorse aurifere. Dunque il problema era di assicurarsi il controllo dei porti sulla costa atlantica a sud del Tago, dai quali far giungere via mare, attraversando le Colonne, quelle risorse (assolutamente imprescindibili per la politica imperiale) fino a Roma. Il problema di domare i Lusitani, saldamente insediati (e difficilmente vulnerabili) a nord del Tago, nasceva dunque non tanto dalla smania di espandersi comunque ma piuttosto dalla necessità di proteggere la più esposta delle province, la Ulterior, proprio perché di lì partivano quei preziosi convogli. Per questo è giusto considerare le cicliche guerre contro di loro piuttosto come delle spedizioni punitive volte a tutelare la sicurezza della provincia che non come delle guerre di conquista. La creazione del porto di Salacia, ad esempio, avvenuta molto tardi, 180 è in linea con una tale visione del ruolo economico della Ulterior. Né sarà da considerarsi casuale che per la Spagna «ulteriore» la documentazione tanto numismatica 181 quanto epigrafica di epoca repubblicana provenga per l appunto dall area a sud di Olysipo e di Salacia: è un indizio molto chiaro. È da notare che i giacimenti auriferi della Spagna erano concentrati essenzialmente in due zone: nella Betica, dai cui porti partivano per Roma i preziosi carichi, e nel Nord-Ovest, cioè nella parte più settentrionale della Lusitania. Poiché da una circostanziata testimonianza di Floro 182 apprendiamo che soltanto a seguito della conquista augustea furono sfruttate le miniere settentrionali (Epitome II, 33, sub fine), 183 è evidente che prima di quell epoca i Romani non controllavano quell area. (Non dimentichiamo che lo sfruttamento

77 minerario è il loro principale obiettivo e che l oro è il fondamento della loro economia.) Nell ampio excursus che dedica ai trenta popoli della Lusitania, Strabone dice qualcosa di analogo, quando osserva che i Lusitani dispongono di ricchezze immense, tra l altro di oro e argento, 184 ma non le hanno messe a frutto, non se ne sono nemmeno accorti e hanno preferito «vivere di banditismo» e «di una continua guerra». 185 Circa un secolo dopo la conquista augustea del Nord della Spagna Plinio scrive: «Secondo certi resoconti l Asturia, la Galizia e la Lusitania assicurano ogni anno ventimila libbre di oro» Per comprendere appieno perché ancora così tardi la Spagna lusitana e settentrionale rimanesse così impervia per i Romani basterà uno sguardo sommario alle campagne mai risolutive susseguitesi, nel corso del tempo, contro i Lusitani, sin dal 114 a.c. Allora la Ulterior era stata affidata addirittura a Mario, con poteri e rango proconsolari, perché ponesse rimedio a un sempre più esasperante fallimento della presenza romana nell area. Dopo Mario toccò a Lucio Calpurnio Pisone Frugi e a Marco Giunio Silano (112 a.c.), dei quali il primo trovò la morte proprio nel corso dell ardua impresa. Nel 1c10 toccò al fratello di Gaio Mario, Marco, il quale affrontò sia i Lusitani che i Celtiberi ma, pur dopo varie vittorie sul campo, passò la mano a Lucio Cornelio Dolabella, il quale celebrò il trionfo nel 98. Che nel 93 Publio Licinio Crasso abbia dovuto trionfare daccapo sui Lusitani a quanto pare senza durevole costrutto, visto che negli anni seguenti una dura repressione fu attuata da Publio Cornelio Scipione Nasica (antefatto remoto della pericolosa e devastante secessione di Sertorio) è la prova più eloquente dell impossibilità, ancora in quegli anni, per i Romani, di affermarsi nella regione. E con Sertorio si può dire che il controllo romano è ridotto ai minimi termini, ma ancora durante la propretura nella Ulterior (61 a.c.) Cesare ha dovuto condurre una dura campagna contro Callaeci e Lusitani, culminata nell attacco contro Brigantium. 5. Quando Polibio volle descrivere in sintesi il livello di effettivo controllo del territorio spagnolo da parte dei Romani dopo la caduta di Numanzia (133 a.c.) e dopo le vittorie di Bruto Callaico (136 a.c.), fece riferimento a un intera area interna e settentrionale di cui i Romani non avevano nemmeno chiara nozione. Egli così si esprime: «La parte situata lungo il Mediterraneo [dai Pirenei] fino alle

78 Colonne d Ercole è chiamata Iberia, quella lungo il mare esterno, detto grande, non ha una denominazione complessiva perché è stata esplorata solo di recente. È abitata fittamente da popolazioni barbare delle quali parleremo partitamente in altra occasione». 187 Questa chiara indicazione dei limiti concreti del controllo romano, nonché dell ambito del toponimo Iberia, non dovrebbe mai essere persa di vista quando si discorre delle due province create in Spagna dai Romani, delle quali l Ulterior fu a lungo soltanto un avamposto incentrato sullo sfruttamento e protezione delle miniere aurifere della Betica. Sin dal primo momento, dunque, si trattò della fascia mediterranea. E, come s è detto in principio, anche per i Cartaginesi il controllo si era limitato all area che va dalle Colonne all Ebro. Su questo punto Polibio è molto chiaro. 188 *** Se dunque lo pseudo-artemidoro, forzando la sua fonte, 189 allegramente afferma che nella Ulterior era compresa «tutta la Lusitania», 190 ciò, oltre ad essere un intollerabile anacronismo (ove l autore dovesse considerarsi davvero Artemidoro!), è anche una conferma della propensione del falsario per (e spiccatamente per ). 191 Un tic che vale oro. Come s è detto in principio, Artemidoro aveva visto ben poco ( ) al di là di Gades. Chi ebbe ben altra conoscenza della costa lusitana, fino al Nord, fu Posidonio. Una sua pagina, dal trattato Sull Oceano, ripresa da Strabone, è dedicata alle isole Cassiteridi «situate le une vicino alle altre, in mare aperto, a nord della costa degli Artabri». 192 A lui risale il racconto che qui di seguito riportiamo, quanto mai istruttivo per comprendere come si sia man mano e progressivamente sviluppata la conoscenza, la scoperta, di quella costa, nota a Polibio quasi esclusivamente per i suoi (immaginari?) pesci giganteschi e voraci. 193 Sono abitate [le Cassiteridi] da una popolazione che utilizza mantelli neri, tuniche che cadono sui piedi, cinture strette intorno allo sterno, e bastoni per camminare, proprio come gli attori che impersonano, a teatro, la Vendetta. Gli abitanti sono per lo più nomadi e vivono di pascolo. Possiedono inoltre miniere di stagno e di piombo, che insieme alle pelli di animali, barattano con i mercanti in cambio di vasellame, oggetti in bronzo e sale. Prima erano solo i Fenici a intraprendere questo commercio partendo da Gades. Tenevano segreta a tutti questa navigazione, al punto che, quando, un giorno, un vascello romano li seguì per conoscere questa via commerciale il capitano fenicio [cartaginese] indirizzò per dispetto il vascello verso un basso fondale, per condurre alla stessa rovina coloro che lo seguivano; lui si salvò dal naufragio e fu rimborsato del bottino perduto dal tesoro pubblico. Dopo numerosi tentativi, i Romani alla fine scoprirono la rotta; e Publio Crasso, 194 giunto lì dopo una traversata, scoprì che i metalli erano estratti a poca profondità e che la popolazione era pacifica, e spinse chi lo volesse a sfruttare questo mare, pur essendo queste isole molto più

79 distanti rispetto alla rotta verso la Bretagna. Con questo racconto, Strabone conclude il suo libro sulla Spagna. 169 GGM I, p. 542, GGM I, p. 566, GGM I, pp Perciò appare almeno sorprendente che nel cosiddetto «P. Artemid.» lo pseudo-artemidoro nomini solo tre città per la costa mediterranea (Emporio, Tarracona e Nova Carthago) e molte di più (località, fiumi etc.) per la costa atlantica, purtroppo ripetendo sempre l errore di trattare Gades come terraferma! 173 Cfr. Artemidoro fr. 21, che, ormai è generalmente riconosciuto, è un brano di Marciano, Epitome di Artemidoro: cfr., tra le altre, l autorevole dimostrazione di Margarethe Billerbeck, Sources et technique de citation chez Etienne de Byzance, «Eikasmòs» 19, 2008, specie pp Cfr. Strabone, III, 3, 3: («La Lusitania è delimitata a sud dal Tago, a ovest e a nord dall Oceano»). Sofisticare sul significato di questo limpido passo è stolto. Per ulteriore chiarezza Strabone premette che la Lusitania è la regione più grande della Spagna ( ). Perciò è ridicolo difendere l autenticità dello pseudo-artemidoro, il quale fa dire all autore che pretende di impersonare che la Hispania Ulterior comprende «tutta la Lusitania» (col. IV, 13-ftn). 175 Noto anche a Strabone (III, 3, 4, dove invano i moderni hanno infierito con correzioni inutili). Che nel papiro dello pseudo-artemidoro (col. V, 41) si trovi, in luogo di Belion, una delle congetture con cui i moderni hanno sfigurato quell importante toponimo avrebbe dovuto allarmare anziché eccitare i difensori del misero oggetto. 176 Cfr. Isobel Henderson, Oxford Classical Dictionary, s.v. Lusitania (ed ). 177 Cfr. A. Caballos Rufino, Colonización cesariana, legislación municipal e integración provincial: Hispania, relazione al Convegno Cesariano di Cividale, settembre 2009, in corso di pubblicazione. 178 G. Dainelli, La conquista della terra, storia delle esplorazioni, Utet, Torino 1950, p Solo in Lusitania Strabone (cioè la sua fonte) segnala «trenta popoli ( )» (III, 3, 5). 180 Salacia urbs imperatoria (Plinio IV, ) è toponimo post-cesariano. Trovarlo nel papiro dello pseudo- Artemidoro è stato divertente. Cfr. su ciò J. Cardim Ribeiro (apud Il papiro di Artemidoro, p. 74, nota 11). 181 Monete di Salacia o di località vicine e più a sud. 182 Probabilmente anche lui della famiglia degli Annei di Cordova. 183 «Itaque exerceri solum iussit [Augusto]. Sic Astures, nitentes in profundo, opes suas atque divitias, dum aliis quaerunt, nosse coeperunt.» Molto ricca di sfumature questa importante valutazione. 184 Il che conferma che Lusitania è nozione che si estende fino all estremo Nord, dove sono appunto le miniere. 185 Strabone, III, 3, 5 (e 154). Come ha osservato Robert Grosse, «hanno combattuto quasi ininterrottamente contro i Romani dal 194 a.c. fino al tempo di Cesare» (Lusitania, in Der Kleine Pauly, III, 1975, col. 786). 186 Nat. Hist., XXXIII, Quando Traiano decise di annettere la Dacia all impero, la spinta era la medesima.

80 187 Polibio, III, 37, III, 35, 1-4. Tra l Ebro e i Pirenei c erano popolazioni che Annibale considerava troppo legate a Roma. 189 Artemidoro, fr. 21 Stiehle. 190 (col. IV, 13-14). Per le recentissime, disperate manipolazioni di questo passo (Bravo, West), cfr. infra, cap. XXIII, Su ciò vedi, più oltre, il testo del cosiddetto «Callinico» nel cap. XXIV. 192 Strabone, III, 5, Polibio, XXXIV, Pretore nella Ulterior (96-94 a.c.), uno dei tanti che celebrarono il trionfo sui Lusitani. È il padre del triumviro.

81 XII. Gli animali fantastici 1. «Artemidoro ha parlato di serpenti della lunghezza di trenta cubiti» scrive con ironia Strabone «in grado di avere la meglio su elefanti e tori, ed è stato per così dire moderato: i serpenti indiani sono ancor più favolosi, per non parlare di quelli libici, sul cui dorso si favoleggia che cresca addirittura l erba» (Geografia, XVI, 4, 16). È solo un esempio di ciò che Artemidoro sosteneva di aver visto, a sud dell Egitto e nei pressi della Trogloditica, ma che trovava invece in opere di scrittori precedenti, per lo più in Agatarchide di Cnido. Nel XVI libro di Strabone il racconto geografico segue un andamento (Siria, Egitto, Trogloditica e Arabia) che sembra rispecchiare nella disposizione della materia quello del libro VIII di Artemidoro. Nel caso del libro VIII è la circostanziata testimonianza di Diodoro (III, 11) che ci assicura che il contenuto di quel libro fosse per l appunto l Egitto e l Etiopia: termine quest ultimo comprensivo di un area molto vasta come ad esempio la zona costiera antistante l Arabia, detta Trogloditica. Ancora una volta dunque vi è piena corrispondenza tra Artemidoro e Strabone. Ciò non impedisce però a Strabone di rivolgere, al solito, ad Artemidoro marginali critiche, questa volta soprattutto per la sua credulità in un campo, non nuovo in verità, che potremmo definire di zoologia più o meno fantastica. Non si può certo affermare che, su questo terreno, Artemidoro abbia dimostrato un inclinazione critica particolarmente vigile. Anche in questo campo si coglie in lui (che potremmo spingerci a definire sacerdote-scienziato, memori del suo legame col Tempio) un misto di scienza e credulità: il che si vide già nel suo accurato e devoto resoconto dell esperienza fatta al Promontorio Sacro. Ma questo non ci deve sorprendere, visto che uno scienziato come Plinio, che di Artemidoro ebbe alta considerazione, registrava con rispetto anche quanto egli aveva scritto sulla straordinaria complessione fisica e longevità degli abitanti di Taprobane Un esempio istruttivo del modo di procedere di Strabone, di fronte a questa zoologia a tratti sconcertante che Artemidoro recepiva integralmente dalle sue

82 fonti, riguarda la descrizione della giraffa. 196 Riferisce Strabone: In questi luoghi vivono anche le giraffe ( ), che con il leopardo ( ) hanno poco a che fare. Le chiazze disseminate sulla pelle rassomigliano alle macchie screziate dei cerbiatti. La parte posteriore del corpo è più bassa di quella anteriore tanto che l animale sembra quasi appoggiarsi sulla zona caudale. Ha l altezza di un bue, le zampe anteriori non sono meno lunghe di quelle del cammello. Il collo si erge diritto verso l alto di modo che l animale porta la testa molto più su rispetto a quella del cammello. In ragione di tale asimmetria, ritengo che la giraffa non raggiunga quella velocità che Artemidoro ha definito insuperabile, anzi penso che non sia nemmeno definibile come belva ( addomesticato: infatti non manifesta alcuna ferocia. ) ma, piuttosto, come animale Questa discussione sulla giraffa è alquanto singolare. Si può osservare che il dissenso di Strabone nei confronti di Artemidoro riguarda un dato soltanto: la velocità dell animale. Artemidoro parlava di velocità «ineguagliabile», ed era certo un iperbole: ma l elemento curioso è la replica di Strabone, il quale non contrappone a tale iperbole una sua empirica constatazione del contrario, bensì un ragionamento di tipo congetturale (poiché la giraffa ha un corpo asimmetrico, non può essere veloce). Sembra che entrambi parlino di cose non viste direttamente. Nel caso di Artemidoro nulla di strano in ciò, dal momento che quanto raccontava dei mirabilia (animali, usanze etc.) della vasta regione costiera posta sulla sponda africana del golfo arabico, detta Trogloditica, egli lo ricavava, con ogni probabilità, dal geografo ed etnografo Agatarchide di Cnido. Era Agatarchide che si era effuso su questa materia, come si ricava dagli estratti che Fozio (Biblioteca, capitolo 250) trasse dall opera di lui. La giraffa viene presentata da Agatarchide al 72 di quel lunghissimo e prezioso capitolo con i medesimi tratti che Strabone ricava da Artemidoro nel brano che abbiamo riportato. Non parla della velocità, ma tutto il resto c è. E c è anche la stessa successione di animali che Strabone nomina subito dopo, sempre seguendo Artemidoro («Dice 197 che lì si trovano anche sfingi, cinocefali e cebi», «il cebo ha la faccia del leone e il corpo della pantera etc.»). Strabone ricopia Artemidoro, che ricopia Agatarchide. Sembra dunque non azzardato pensare che magari quell accentuazione della velocità della giraffa, che suscita la critica un po libresca di Strabone ( non può esser veloce perché ha un corpo asimmetrico!) fosse un aggiunta personale di Artemidoro al libro di base, cui fedelmente si atteneva, di Agatarchide. Ma non bisogna dimenticare che di Agatarchide leggiamo pur sempre quel che Fozio o i suoi amici trascelsero per gli estratti. Dunque può aver omesso, abbreviato etc. Ecco quel che ci dà: «Si trova, nella Trogloditica, un animale che i Greci chiamano kamelopardalis perché la sua natura ha qualcosa di composito, come il suo nome. È screziato come il leopardo e grande come il cammello. Il suo spessore è straordinario, ha un collo talmente alto che può attingere direttamente il cibo dalla cima degli alberi».

83 Agatarchide raccontava tutto ciò nel Mar Rosso. Per fortuna disponiamo di un ulteriore possibilità di verifica. Nel III libro della Biblioteca storica (capitoli 12-48) Diodoro parla degli stessi luoghi e degli stessi animali, con le stesse (o quasi) parole di Agatarchide, come le leggiamo in Fozio. E si dichiara, subito prima, un ammiratore della serietà con cui hanno parlato di Egitto ed Etiopia sia Artemidoro che Agatarchide (III, 11). Dunque la filiazione di tutte queste fonti (andando a ritroso: Strabone Artemidoro Agatarchide; ma anche Diodoro Artemidoro Agatarchide) ci riporta sempre ad Agatarchide. Il che ci conferma ulteriormente nella convinzione che da lui derivi ciò che Artemidoro raccontava su queste terre per eccellenza mirabolanti. Poco prima Strabone scrive: «La regione pullula di elefanti e di leoni detti formiche ( ): questi hanno i genitali al contrario, la pelle color oro e la chioma folta dei leoni d Arabia». 198 Anche questa figura di leone anomalo denominato formica viene da Artemidoro, menzionato poco dopo, e Artemidoro la trovava già in Agatarchide. 199 In realtà, nella gran parte delle altre fonti che parlano di, si intende davvero la formica. Anche quando (Erodoto) si tratta della mostruosa «formica cercaoro», non si ha comunque a che fare con un felino. L animale coniato dalla fantasia di Agatarchide ha avuto la fortuna di passare, via Artemidoro, nel libro più teratologico di Strabone, quello sulla Trogloditica. 3. Se dunque sul verso dello pseudo-artemidoro troviamo un mostruoso felino alato la cui didascalia è, è evidente che il disegnatore ha in animo (prendendo una cantonata che parte dalla fantasia di Agatarchide) di raffigurare uno degli animali di Artemidoro. Il che è confermato dal fatto che anche vari altri che popolano il verso del sullodato papiro sono quelli di Artemidoro raccontati da Strabone: 200 elefante che lotta col serpente,, giraffa, leopardo, il grosso serpente con didascalia, e molto probabilmente anche la speciale iena capace di imitare la voce umana detta di cui ancora una volta il punto di partenza è in Agatarchide, ma che ha avuto fortuna fino ad incontrare le elucubrazioni animalistiche di Porfirio. Un bilancio si impone. Se si mettono insieme tutti i luoghi in cui Strabone esplicitamente menziona Artemidoro, si può facilmente osservare che la gran parte delle occorrenze sono nel libro III (la Spagna) e nel libro XVI (Egitto, Trogloditica, Arabia). Sembra dunque non casuale che, nel papiro dello pseudo- Artemidoro, sul recto ci sia la Spagna e sul verso proprio gli animali della Trogloditica, per i quali Strabone a ogni passo cita e discute Artemidoro. 201

84 Fig. 4. Taprobane 195 Cfr. su ciò il capitolo seguente. 196 Strabone, XVI, 4, S intende Artemidoro. 198 Strabone, XVI, 4, Fozio, Biblioteca, cap. 250, 455a Lo ha mostrato in via definitiva S. Micunco («QS» 64, 2006, pp. 9-15; «QS» 68, 2008, pp ). Le contestazioni nei suoi confronti sono frivole. 201 Può essere divertente segnalare che tra le armi sfoderate per ridare una qualche credibilità a quel manufatto sia stata invocata la dottrina di un illustre zoologo, Ragnar Kinzelbach, al quale è stato richiesto di rivelare quanto in fondo già si sapeva: che cioè gli animali disegnati sul verso del papiro, reali o fantastici, erano noti ab antiquo (Beiheft nr. 28 dell «APF», De Gruyter, Berlin-New York 2009). E chi ne dubiterebbe? Con queste nostre note

85 abbiamo cercato di confortare questa ininfluente ovvietà.

86 XIII. Le isole del Sole 1. Artemidoro non aveva visto che una parte del mondo che descriveva. Marciano, che lo aveva letto attentamente, assicura che non aveva visto per nulla l Oceano meridionale. Resoconti di esperienze dirette si alternavano, come s è già detto, con racconti tratti da altri autori. Ma, anche in tali casi, fiduciosamente egli si dilungava non soltanto sulla delineazione geografica di aree (che forse non aveva mai visto) ma si avventurava anche a parlare di costumi appresi da libri altrui. Ne abbiamo la certezza, grazie a una precisa attestazione di Plinio il Vecchio, a proposito dell isola di Taprobane. Scrive Plinio: «Artemidoro afferma che nell isola di Taprobane la vita degli esseri umani dura moltissimo senza che si produca alcun infiacchimento del corpo» (VII, 30). Questa attestazione ha delle straordinarie conseguenze. Accade infatti che la medesima frase figuri nel II li-bro di Diodoro, all interno del fantastico resoconto di Giambulo sul suo soggiorno nelle «isole del Sole»: «[Giambulo disse che] lì gli uomini sono straordinariamente longevi, tanto da giungere persino fino a centocinquant anni e che non si ammalano» (Biblioteca storica, II, 57, 4). 202 Se ne ricava che, tutto l episodio di Giambulo, Diodoro lo ricavava da Artemidoro. Del resto, poco dopo Diodoro afferma di aver molto apprezzato il racconto di Artemidoro su Egitto ed Etiopia (III, 11) ed è proprio dall Etiopia che si è mosso Giambulo, stando al racconto. «Diodoro» osservò Benjamin Farrington «inserisce la descrizione di queste isole tra la descrizione dell Arabia e quella dell Etiopia, il che significa che egli ha creduto di descrivere un luogo veramente esistente». 203 Per parte sua Marciano, nel proemio al Mare esterno, sostiene di aver eliminato dall opera di Artemidoro, quando ne aveva fatto l epitome, «le digressioni superflue nonché i racconti relativi alle città etiopiche». 204 E questo spiega perché della parte dell opera di Artemidoro, relativa all Oceano Indiano, parlino soltanto le fonti più antiche, che l hanno letta in originale Diodoro e Plinio, mentre le fonti più tardive, che ormai leggevano soltanto l Epitome di Marciano (per esempio Stefano di Bisanzio) che aveva eliminato quelle digressioni, non ne parlano più. E l episodio di Giambulo che doveva essere per l appunto una di quelle digressioni che Marciano ritenne «superflue» è sopravvissuto soltanto grazie a Diodoro e, indirettamente, a Plinio. Limitarsi dunque a constatare la «sorprendente ingenuità» (Farrington) di

87 Diodoro non ha molto senso, né vale immaginare che egli si sia lasciato catturare da «una piacevole opera di fantasia». Al contrario, Diodoro ha seguito, attenendosi anche alla progressione geografica dei luoghi, una delle sue fonti più importanti e, in genere, più accreditate: appunto Artemidoro. Il quale, come si esprime efficacemente Farrington (che però non pensava ad Artemidoro bensì a una fonte romanzesca), «trattava, in queste pagine, di una società ideale, presentata alla maniera di Defoe e di Swift», con particolari soggiunge assai minuziosi «che ebbero la singolare fortuna di ingannare lo storico universale». Il problema si sposta dunque all indietro: donde trasse Artemidoro quel fantastico resoconto di viaggi e avventure? Era una fonte geografica, utopistica o senz altro romanzesca? Si potrebbe pensare ad Agatarchide, che da Artemidoro è stato messo a frutto per esempio nella descrizione ovviamente non autoptica di animali fantastici. Non deve sfuggire che Diodoro (III, 11) li nomina insieme, Agatarchide e Artemidoro, e stabilisce anche delle equivalenze tra i loro racconti: in particolare tra il II libro di Agatarchide e l VIII di Artemidoro, a proposito dell Egitto. Ne risulta un quadro particolarmente significativo dei filtri e dei passaggi che, nel caso particolare, si arricchisce della misteriosa presenza dell altrimenti ignoto Giambulo. Che l episodio di Giambulo si presentasse già nella fonte usata da Diodoro come un autonomo racconto a sé stante lo si può ricavare da vari elementi: innanzitutto dal fatto che, in Diodoro, è Giambulo il narratore (Diodoro si limita a riferire il suo racconto); in secondo luogo dal modo stesso in cui il racconto ha inizio. Esso appare, infatti, a chiunque abbia esperienza di prosa greca, come il tipico esordio novellistico «ohne Kopula» 205 molto diffuso nella letteratura narrativa (Erodoto, I, 6: etc.; Tucidide, I, 24, 1: etc.; I, 126, 3: etc.). Così nel nostro caso, Diodoro, dopo aver preannunciato di voler esporre «l origine della scoperta» delle isole dell Oceano meridionale (II, 55, 1), attacca nar-rativamente: etc. Trova dunque nella sua fonte questa lunga novella sul viaggio di Giambulo e la ingloba, compendiandola, nel suo racconto. È significativo il termine «scoperta», ed è illuminante la relazione, che Diodoro istituisce, tra la scoperta di quelle isole e il racconto relativo a Giambulo. La spiegazione più probabile è che già la fonte, cioè Artemidoro, presentasse questo racconto come la prova dell esistenza di quelle isole al centro dell Oceano meridionale (cioè dell Oceano Indiano). Diodoro, compendiando, salta un passaggio e dice: «c13etterò le cause della scoperta di queste isole Giambulo era uno che sin da ragazzo aveva dedicato le sue forze all educazione etc.». Avrebbe dovuto più esplicitamente dire che la sua fonte presentava il viaggio (involontario) di Giambulo, approdato per caso alle isole del Sole, come la della loro scoperta.

88 La coincidenza tra Plinio, che dichiara di prendere quelle informazioni su Taprobane da Artemidoro, e Diodoro, che le presenta senz altro come resoconto fatto post eventum da Giambulo, è il punto di partenza. Esso ci conferma che Diodoro usa Artemidoro, il quale a sua volta adoperava un resoconto tramandato come di Giambulo. Ma Diodoro omette di dire che ricava quel racconto da Artemidoro e lo presenta direttamente come (sua) prova dell esistenza di quelle isole. A questo punto si ripropone la domanda: e Artemidoro donde traeva quel racconto? Certo lo presentava come documento sulle isole al centro dell Oceano meridionale. E probabilmente, a sua volta, dipendeva da Agatarchide di Cnido, il quale era per sua ammissione già vecchio nell anno a.c. 206 e quando Artemidoro era ancora giovanissimo. Agatarchide era un gran raccoglitore di storie, tradizioni, novelle (si pensi alle sue ) ed era anche, da buon seguace della scuola peripatetica, un fiero avversario dello stile cosiddetto asiano di Egesia. 207 Per Artemidoro fu fonte preziosa e adoperata, come si è visto nel precedente capitolo, con fiducia, forse eccessiva. Nulla esclude che proprio ad Agatarchide si debba la scoperta di Giambulo e, forse, la connessione con Taprobane delle isole di cui egli parlava in quel romanzo utopistico 208 avente come protagonista Giambulo. Nel passaggio da Agatarchide ad Artemidoro e, poi, da Artemidoro a Diodoro questo nesso è diventato altra cosa: la narrazione attribuita all (immaginario) Giambulo è diventata la prova dell esistenza di Taprobane! Ma questa illogicità non potrà ascriversi ad Artemidoro. Il quale ha soltanto incorporato il racconto di Agatarchide a proposito di terre che lui non aveva potuto vedere. Ed ecco, in sintesi sommaria, il racconto di Diodoro, che occupa la parte finale del II libro della Biblioteca storica. La cornice spiega come Giambulo si sia trovato al centro dell Oceano Indiano alle prese con isole di cui ignorava persino l esistenza. Rapito da pirati etiopi, condotto con un compagno di ventura in una località della costa etiopica, era stato lì «vittima» di un rituale che tra quelle popolazioni si ripete ogni sessanta generazioni: si mette uno straniero su di un imbarcazione, lo si affida alla corrente con la consegna di non fare marcia indietro pena la morte. Invece, Giambulo e il suo compagno non solo ebbero la fortuna di giungere a destinazione, ma poterono anche raccontare, una volta ritornati, ciò che avevano visto. 2. Non fu dunque un vero viaggio quello di Artemidoro alle isole del Sole, ma un viaggio letterario, mediato da una fonte cui lui prestava fede. È ragionevole, infatti, pensare che Artemidoro non si spinse fino a Taprobane ma che ne parlò attingendo a discutibile letteratura geografico-utopistica-teratologica. Che per lui

89 avesse un senso completare in tal modo la descrizione della Trogloditica, del Mare Eritreo e dell Arabia dipende dal fatto che, anziché affidarsi ancora una volta a una perigliosa navigazione, egli ha con ogni probabilità immaginato Taprobane sulla base della «Carta del mondo» di Eratostene. Lì, recta via e costeggiando la Gedrosia e un India ridotta ai minimi termini (per errori di calcoli fatti a tavolino), si giunge agevolmente a Taprobane. Il viaggio, fatto, come dice l Ariosto, «sul Tolomeo», non è sgomentante. 3. Recuperato ad Artemidoro il racconto diodoreo su Giambulo, per lo meno nella sostanza se non nei dettagli, diamo qui in traduzione un brano che potrebbe aggiungersi ai superstiti materiali artemidorei (Diodoro, II, 56-60): [Giambulo riferisce che] avvicinandosi all isola alcuni indigeni vennero loro incontro e tirarono a riva la loro imbarcazione. Si raccolsero a riva gli abitanti, stupefatti per lo sbarco dei due stranieri; li trattarono con molta affabilità e li fornirono del necessario. (2) [Giambulo notò che] gli abitanti dell isola sono molto diversi dagli altri esseri umani che abitano il nostro mondo [ caratteristiche fisiche che per gli usi e costumi. ], sia per le Innanzi tutto sono molto simili tra loro per conformazione fisica e, quanto alle dimensioni, superano i quattro cubiti; le loro ossa sono pieghevoli e altrettanto agevolmente si raddrizzano allo stesso modo delle parti nervose. (3) [Riferisce Giambulo che] i loro corpi sono straordinariamente teneri e delicati, ma di gran lunga più vigorosi dei nostri. 209 Prova ne sia che, quando uno di loro ha preso in mano qualcosa nessuno riesce a strappare ciò che essi trattengono con le dita! Peli o capelli ne hanno unicamente in testa, nelle sopracciglia sulle palpebre e nella barba. Per tutto il resto, il loro corpo è liscio, sicché non appare sul loro corpo la benché minima lanugine. (4) Spiccano per bellezza ( ) e per ogni aspetto della loro figura presentano proporzioni perfette ( ). Hanno [dice Giambulo] i buchi delle orecchie molto più ampi dei nostri e (le loro orecchie) sono munite di qualcosa di simile a una epiglottide. (5) Particolarissima è anche la loro lingua: in parte si tratta di una caratteristica naturale, in parte è ottenuta artificialmente. Infatti per un certo tratto la loro lingua è effettivamente divisa in due, ma poi loro la tagliano ulteriormente di modo che essa diventa davvero duplice fino alla radice. (6) Di conseguenza essi sono particolarmente versatili ( ) nella emissione di suoni, essendo capacissimi di imitare qualunque lingua parlata da esseri umani, ma anche il canto di ogni varietà di uccelli. Insomma, sono capaci di imitare qualunque suono. Ma la cosa più paradossale è che essi sono in grado di conversare contemporaneamente con due

90 interlocutori, con una sezione della lingua parlano con l uno e mediante l altra con l altro. (7) Il clima [dice Giambulo] presso di loro è particolarmente temperato visto che vivono sull equatore e non possono quindi essere disturbati né dal caldo né dal freddo. I frutti maturano perciò presso di loro durante tutto l anno. 210 In ogni stagione, presso di loro, il giorno dura quanto la notte, e a mezzogiorno gli oggetti non fanno alcuna ombra perché il sole è allo zenith Vivono [riferisce Giambulo] raggruppati in agglomerati, fondati sulla parentela ( ): per gruppi non superiori a quattrocento unità. 211 Trascorrono il tempo sui prati poiché il suolo offre moltissimo per il nutrimento. E il nutrimento scaturisce spontaneamente data la fertilità dell isola e la mitezza del clima. (2) Presso di loro nasce ed è molto diffuso un arbusto i cui frutti vengono fatti macerare nell acqua tiepida, poi impastati e diventano pani dolcissimi. (3) Dovunque ci sono fonti: alcune di acqua tiepida, vengono adoperate da tutti per bagni rilassanti ( ); altre, fresche e della più squisita dolcezza, giovevoli per la salute. Presso di loro la cultura in ogni suo aspetto è in auge, massimamente l astrologia. (4) Si servono di un sistema alfabetico in cui appena sette segni equivalgono a ventotto lettere, giacché ogni segno ha quattro valori diversi. 212 Non scrivono orizzontalmente come noi, ma verticalmente, dall alto verso il basso. Gli abitanti sono straordinariamente longevi, giungono per lo più ai centocinquant anni senza mai patire alcuna malattia. (5) Se per caso qualcuno è mutilato o ha qualche menomazione o sofferenza fisica, in forza di una legge inesorabile gli impongono di togliersi la vita. 213 Presso di loro è norma che si viva fino a una determinata età prestabilita, e che, una volta compiuta tale età, si lasci la vita spontaneamente con un tipo di morte particolarmente singolare. Nasce infatti presso di loro una speciale pianta nella quale vanno a sdraiarsi e senza accorgersene scivolano nel sonno della morte [Riferisce Giambulo] che gli abitanti di quell isola non praticano il matrimonio, ma praticano la comunanza delle donne, e i figli che nascono li allevano come appartenenti a tutti e li amano perciò tutti in ugual misura. Quando i piccoli sono ancora infanti, le nutrici si scambiano i lattanti in modo che nemmeno le madri riconoscano i propri figli. E così non si sprigiona tra loro alcuna rivalità, vivono senza conflitti e ponendo al di sopra di tutto la concordia. 215 [ ] In ciascun (falansterio) chi è via via più anziano ha il comando, come un sovrano, e a lui tutti obbediscono. Quando il primo (detentore del comando) ha compiuto i centocinquant anni e secondo la legge deve morire, è il più anziano dopo di lui che eredita il potere. [ ] Durante le feste e nei banchetti [sostiene Giambulo] vengono pronunciati e cantati, presso di loro, encomi e inni agli dei, soprattutto al Sole, dal quale si denominano e denominano le isole. L epilogo della vicenda è drammatico e consiste nella cacciata di Giambulo dall isola come «e male educato ( )». Le isole sono, in una lunga e consolidata tradizione letteraria, il luogo privilegiato dell utopia. Nei Lusiadi Luis Vaz de Camões fece approdare nell «isola d amore»

91 Vasco de Gama coi suoi naviganti, reduci da Calicut e li fece lì consolare della lunga via dalle solerti Oceanine in un contesto di vegetazione e risorse spontaneamente al servizio dell uomo. Niccolò Zeno, all incirca coetaneo di Camões, inventò Estotilandia e Icaria. Ed Étienne Cabet, nella prima metà dell Ottocento, installò per l appunto nell isola di Icaria la sua complicata utopia sociale (Voyage en Icarie), che poi tentò di calare sulla terra quando approdò nell Illinois nell ultimo tempo della sua vita. Ma è superfluo seguitare andando su e giù lungo i millenni, dall antichissima Atlantide, all isola degli Ermafroditi che Thomas Artus (1605) coniò a partire dalla suggestione del discorso, anch esso utopistico, di Aristofane nel Simposio platonico, all isola del dottor Moreau di Herbert George Wells. *** Resta il fatto, e merita attenzione, che egli sia stato attratto da un racconto che era nella sostanza una variante dell «utopia solare». Merita attenzione perché l utopia degli adoratori del Sole era stata la bandiera dei ribelli guidati da Aristonico, quando avevano tenuto in scacco per anni i Romani che si accingevano (133 a.c.) a ereditare il regno di Pergamo lasciato in eredità «al popolo romano» dall ultimo degli Attalidi, Attalo III. Quella rivolta aveva coinvolto Efeso, patria di Artemidoro, città che era entrata a far parte del regno di Pergamo mezzo secolo prima, con la pace di Apamea (188 a.c.). Insomma l esistenza e la vitalità altrove, nel bel mezzo dell Oceano meridionale, dell utopia solare non dovevano essere apparse cosa totalmente inverosimile ad Artemidoro, che di quel moto aveva avuto, da giovanissimo, diretta nozione. Questo interessante dato ci aiuta a dare maggiore sostanza all universo mentale di Artemidoro. Un uomo che, come vedemmo, ha avuto a che fare direttamente col potere romano e ha anche, viaggiando, scoperto l Occidente, ma che resta, per la cultura e la realtà cittadina e sacrale cui appartiene, essenzialmente un uomo dell Oriente greco. 202 «Artemidorus ait in Taprobana insula longissimam vitam sine ullo corporis languore traduci» (Plinio = Artemidoro, fr. 107 Stiehle); «(Diodoro). 203 Lavoro intellettuale e lavoro materiale nell antica Grecia, Cooperativa del libro popolare, Milano 1955, p. 129 [Head and hand in ancient Greece, Watts, London 1947]. 204 GGM I, p Autosufficiente, senza una connessione sintattica ( etc.) con quanto precede. 206 Cfr. Fozio, Biblioteca, cap. 250.

92 207 Cfr. E. Norden, Die antike Kunstprosa, B.G. Teubner, Leipzig 1898, pp. 135 ss. 208 Prova che dunque il romanzo ebbe origine, nel mondo ellenistico, ben prima di quel che pensano i moderni. 209 Notare l enorme spazio riservato alla descrizione fisica dei corpi degli abitanti di Utopia. 210 Come nell isola dei Feaci: Odissea, VII, Charles Fourier potrebbe essersi ispirato a questo passo quando ha stabilito per i falansteri di prova, detti da lui «Armonie minime», non più di quattrocento «societari». 212 Artemidoro segnalava l alfabeto latino adottato dagli spagnoli della costa. 213 In questa società utopica deviare dalla bellezza implica la morte. 214 Il manzanillo di Giava, nella cosiddetta valle della morte, viene addotto come termine di paragone. 215 Una situazione alla Lebensborn.

93 XIV. «Le Geografie» di Artemidoro Perché Artemidoro inserì, in un opera fondata sull osservazione diretta dei luoghi e dei popoli, parti o svolgimenti su cose non viste quali i mirabilia della Trogloditica o di Taprobane? In omaggio forse a un idea di completezza del disegno dell ecumene, che lo portava ben oltre l orizzonte del periplo. Ma che, ovviamente, espose la sua opera, così critica verso i predecessori, ad altrettali critiche. Tale sua scelta ben si accorda con l idea di un opera che è venuta crescendo nel tempo per la progressiva accumulazione delle esperienze e dei dati. L inizio sarà stato il suo mondo, la Ionia; perciò il nucleo iniziale dell opera furono le Memorie ioniche ( ). E tale esordio fu anche alla base della fama di geografo che propiziò il suo ruolo di competente rappresentante del Tempio nella controversia sulle rendite rivenienti dalle acque delle due lagune. Ionia e Grecia occupavano un ampia parte dell intero: circa tre libri su undici. L opera si ampliò probabilmente a seguito dell esperienza approfondita dell Occidente, dell altra parte del mare interno, e poi delle Colonne e poi del mondo oltre le Colonne. Un passo ulteriore dovett essere il proposito di ampliare l orizzonte oltre l Egitto, approdo obbligato di ogni viaggio d istruzione geografica (Ecateo di Abdera, Diodoro di Sicilia, Strabone). Non solo per lo studio inesauribile, e tra gli scienziati assai dibattuto, del Nilo, delle sorgenti come anche del delta, ma anche per lo stesso carattere primario di quel mondo, rispetto al loro, che i Greci hanno percepito sin dall inizio: da Ecateo a Erodoto a Platone, allo stesso Alessandro. E, non ultima ragione, per le risorse scientifiche della Grande Biblioteca di Alessandria: lì c era l opera degli scienziati, geografi, matematici, astronomi di tutti i tempi. E chi intendeva correggere Eratostene non poteva che recarsi in quel tempio del sapere. È il mondo «oltre l Egitto» che sfuma nelle nebbie del non visto, della leggenda, dell utopia, della elucubrazione sull altro, su un mondo possibilmente diverso, non si sa mai fino in fondo se più giusto o più crudele. Avventure intellettuali che Luciano fustigò senza fare sconti nella Storia vera. Un opera che si venne formando probabilmente in questo modo, come progressivo accumulo di trattazioni diverse, bene si intitolava (Descrizioni della Terra), titolo che ci viene serbato da due fonti tra le più vicine all autore: Diodoro innanzitutto, ma anche Porfirio; ovvero (Scritti di geografia),

94 che è il titolo noto a un prezioso testimone dei tesori librari alessandrini, quale Ateneo (prima della catastrofe di metà III secolo). Titoli che mettevano in rilievo come è stato osservato il carattere di opera narrativa, 216 non di asciutte misurazioni, che era proprio di quell imponente raccolta di esperienze e di racconti. Se Marciano parla talvolta di quando reiteratamente descrive il lavoro di Artemidoro, 217 questo non deve stupirci (il termine, usato al singolare, aveva perduto ormai il suo originario valore di carta geografica). Né può mettersi in contrasto con la restante tradizione. Anzi, proprio il fatto che autori tardi i quali adoperano non più Artemidoro ma l Epitome di Marciano (Stefano, gli scolii ad Apollonio Rodio) usino normalmente ci assicura che Marciano deve aver adottato appunto quel titolo per indicare l opera di Artemidoro. Ed è anche probabile che lo abbia esteso all intera raccolta delle Epitomi e degli altri scritti che aveva messo insieme nel corpus che si è salvato in parte nel manoscritto di Parigi Supplément Grec 443. Non stupirà l oscillazione tra quanto scrive Diodoro e quanto scrive Ateneo, i quali entrambi hanno avuto accesso direttamente all opera di Artemidoro: i due titoli dicono esattamente la stessa cosa, tanto da apparire l uno come parafrasi dell altro. Ed è probabile che entrambi i termini ricorressero più volte nel corso della trattazione di Artemidoro. *** L opera del maggiore geografo greco prima di Tolomeo è stata quasi inghiottita dalla distruttività della trasmissione dei testi. Riusciamo a farcene un idea solo perché è finita, metabolizzata, dentro la Geografia di Strabone, come alimento di quell accurato compendio. La biografia di Artemidoro in gran parte ci sfugge, ed è quasi ovvio che quel pochissimo di notizie sicure che abbiamo su di lui le dobbiamo a Strabone, che largamente lo utilizzò, e a Marciano, che lo riassunse. Entrambi ricavarono quel poco che ci dicono su di lui dall opera stessa. Poiché, d altra parte, ad Alessandria il lavoro erudito-biografico fu rivolto essenzialmente agli autori «antichi», e per giunta secondo un criterio assiologico che può spiacere ma che risultò decisivo innanzi tutto ai poeti e solo in seguito agli altri, 218 e comunque dei «moderni» non si indagò la biografia, nessuno si stupirà per il silenzio della tradizione erudita intorno a un autore reputato tecnico quale un geografo, per quanto ricca fosse anche su altri piani la sua opera. Un opera usata per le informazioni che dava, non perché interessasse spiccatamente la personalità dell autore. Ragion per cui il lavoro di ricostruzione intorno a questa imponente figura della scienza ellenistica è arduo e non sempre gratificante.

95 Speriamo di aver connesso in maniera ragionevole i frammenti superstiti di lui. Egli però non poteva prevedere che, venti secoli dopo, gli sarebbe toccata una singolare resurrezione. Un altro viaggio. È di tale straordinaria avventura che parleremo nella Seconda Parte. Fig. 5. The world according to Strabo 216 S. Micunco, in Il papiro di Artemidoro, p Strabone non dà mai un titolo dell opera del suo predecessore e autore. 218 Aristarco commentò Erodoto (lo sappiamo da un papiro), per Tucidide bisogna aspettare Didimo, per gli oratori si ricorse alla storiografia e alla pamphlettistica, per i filosofi alle tradizioni delle singole scuole.

96 Parte Seconda Il viaggio di Simonidis L inchiesta

97 Artemidoro è presente sin dal principio nell opera creativa di Costantino Simonidis. Ne seguiremo le tracce

98 XV. L incontro di Simonidis con Artemidoro 1. Nel corso del suo terzo viaggio (1851?) al Monte Athos, Simonidis sottrasse vari fogli del Vatopedi 655 (ora Additional 19391). Nel bottino c era anche l epitome di Agatemero, fondata su Artemidoro: al f. 3v Simonidis leggeva le parole «presso Artemidoro e Menippo». Negli ampi e dotti Prolegomena alla sua edizione del falso papiro del Periplo di Annone da lui medesimo creato, Costantino Simonidis focalizza la sua attenzione su di un passo di Marciano tratto dalla prefazione all Epitome di Menippo, che gli interessa, tra l altro, perché lì è nominato Annone. Scrive: «Marcianos the Heracleitian, from the Euxine, in the epitome of Artemidoros and Menippos, mentions, with many others, the name of Hannon». 219 Di quella prefazione, Simonidis traduce un brano significativo (GGM I, p. 565, 31-36) con qualche intervento interpretativo, là dove riduce a due gruppi quelli che nell originale di Marciano sarebbero tre. E probabilmente intende bene ciò che Marciano voleva dire: che cioè alcuni degli autori elencati avevano trattato per intero il mare interno, altri solo delle parti del mare esterno. Non è casuale l attenzione che Simonidis rivolge a questo brano: lì sono nominati infatti alcuni degli autori su cui egli ha lavorato creando falsi papiri geografici; innanzitutto Annone, ma anche Androstene, di cui annunciò sul «Liverpool Daily Post» la scoperta, con lettera datata 6 settembre 1860, e che pubblicò nei (Liverpool 1864, p. 5). 220 C è poi in questo stesso brano una formulazione riguardante Artemidoro che merita attenzione, 221 là dove Simonidis definisce l Epitome di Menippo, da cui sta citando, come «Epitome of Artemidoros and Menippos». Simonidis, che certo conosce bene tanto il Supplément Grec 443 quanto il Palatino greco di Heidelberg 398, qui comunque sta usando l edizione di Müller (GGM), che infatti cita spesso nell apparato critico del suo (falso) Annone. Müller presenta correttamente l Epitome di Menippo come riguardante, per l appunto, il solo testo di Menippo, ridotto da Marciano nella forma che tuttora osserviamo nel grosso frammento superstite. Perché dunque Simonidis si esprime in quel modo? A suo tempo già notammo che la perdurante erronea opinione espressa ancora dal competentissimo Stiehle l anno dopo l uscita dei Geographi di Müller secondo cui quella invece era l Epitome di Artemidoro deve aver suggerito a Simonidis questa

99 formula di compromesso («the epitome of Artemidoros and Menippos»). Ma c è di più, c è una ragione più specifica. Non dimentichiamo che Simonidis dispone anche della vecchia raccolta di Hudson garbatamente plagiata da Alexandrides per la «degli autori geografici in epitome» edita dai benemeriti (e da Simonidis venerati) fratelli Zosimadai (Vienna ). Qui i frammenti di Artemidoro sono comodamente raggruppati per autore citante (prima Diodoro, poi Strabone, poi Porfirio, poi Stefano, poi Costantino VII, poi l anonimo Periplo del Ponto Eusino). 222 Così Simonidis trovava agevolmente un importante rinvio ad Artemidoro e per lui molto significante perché riguardante una città, Odessa, che come vedremo, contò molto nella sua vita proprio nell anonimo Periplo del Ponto Eusino [GGM I, pp ], 223 che Müller in prefazione spiega (pp. CXVI-CXVIII) essere fabbricato in buona parte anche sulla base dell Epitome di Menippo. La presenza dunque della variante tratta da Artemidoro («Artemidoro invece dice che la distanza dal Chersoneso a Odessa è 4430 stadî») dentro quel testo che Müller giustamente considera come un derivato dall Epitome marcianea di Menippo ha suscitato la formulazione non del tutto infelice adottata da Simonidis: «The epitome of Artemidoros and Menippos». La trovata nasce da un fraintendimento. Simonidis ha certamente sotto mano la raccolta di Hudson (Geographiae veteris scriptores Graeci minores I, 1698-III, 1712). E qui subito in apertura del I tomo, nella terza pagina della praefatio, dove Hudson presenta gli autori che ha raccolto, trovava, nel paragrafo Marcianus, l espressione «Epitomes Artemidori Ephesii et Menippi Pergameni». 224 E il lettore può essere indotto, da queste parole che trova subito ad apertura di libro, a pensare che Hudson considerasse il lungo frammento come Epitome di entrambi gli autori. Un altra insidiosa espressione che poteva orientare allo stesso modo si trova, più oltre, alla pagina 151, nella Dissertatio di Dodwell De scriptis et aetate Marciani: «Itaque hunc Oceani Periplum quem nos alium ab Artemidoro et Menippo Marciani ostendimus etc.». Ma non sembra che Hudson e Dodwell intendessero parlare di un unica epitome comprendente entrambi (Artemidoro e Menippo). Infatti più in là, quando appare finalmente il testo di Marciano, nella sesta sezione del complicatissimo volume, l Epitome è presentata (secondo il pregiudizio all epoca corrente) 225 come epitome del solo Artemidoro: «Fragmentum Epitomes undecim librorum Artemidori Ephesii» (pagina 61 della parte sesta, riservata a Marciano). Se dunque, com è assai probabile, Simonidis adottò l espressione «Epitome di Artemidoro e Menippo» cavandola da questa capitale edizione di Hudson, è altrettanto chiaro che l ha intesa in senso diverso: nel senso appunto di un epitome che includeva entrambi (laddove Hudson e Dodwell intendevano

100 riferirsi, in modo brachilogico, a due distinte Epitomi). Comunque, chiamiamola anche felix culpa, la trovata di Simonidis ha un suo senso. (Ed è tanto più escusabile in una situazione così complicata e insidiosa; né il dominio del latino da parte di Simonidis sarà stato perfetto.) Quella formulazione gli sarà parsa adeguata a spiegare, ad esempio, come mai dentro un periplo come l anonimo del Ponto Eusino, a giudizio di Müller largamente collimante col Menippo di Marciano, 226 ci fosse quell innesto da Artemidoro. La formula «Epitome di Artemidoro e Menippo», come viene riproposta e intesa da Simonidis, è un modo interessante di prospettare qualcosa che forse corrisponde al vero: che cioè Marciano stesso può ben aver segnalato via via nel lavoro su Menippo come accade in questo caso varianti tratte dall altro autore su cui aveva lavorato: Artemidoro appunto. 2. L incontro di Simonidis con Artemidoro era avvenuto ben prima: prima ancora che vedesse la luce il I tomo della raccolta di Müller, e quando suo strumento di lavoro era, ovviamente, la raccolta edita dagli Zosimadai, e anche quella di Hudson (da cui gli Zosimadai dipendono). L incontro con Artemidoro, o per meglio dire l utilizzo di un suo frammento per un altro falso geografico, uno dei primi, realizzato da Simonidis quando era ancora in Grecia, risale al 1850, al lancio dell inverosimile Eulyros, che suscitò polemiche e denunzie già al suo sorgere. Ecco di che si tratta. Nel 1850 Simonidis pubblicò ad Atene un opera che si presentava come la parziale edizione di uno straordinario ritrovamento: l opera di un antico geografo nativo di Cefalonia, di nome Eulyros, intitolata (ventiquattro libri) di cui Simonidis diceva d offrire come anticipazione solo una selezione di voci relative a Cefalonia, tratte dai vari libri (perciò vulgo l operetta, in tutto ventinove pagine più sedici di introduzione del curatore, viene denominata ovvero ). Il modello sono gli di Stefano di Bisanzio, opera a noi giunta in epitome, ma di cui Simonidis più volte sostenne (mentendo) di possedere un antico esemplare in redazione integrale. La scelta del campione da offrire era bene escogitata perché in Stefano (Epitome) manca proprio la voce. Il che consente al falsario di sbizzarrirsi. Lo stile è più o meno con qualche eccesso di verbosità quello di Stefano. 227 Alla pagina 15 di questa edizione del falso Eulyros c è la voce PANORMOS. Questa voce è ricalcata sul frammento di Artemidoro su Itaca, citato da Porfirio (L antro delle ninfe, 4 = fr. 55 Stiehle). La prova di ciò è data dal raffronto tra i due testi. La deduzione è agevolata dal fatto che il toponimo come porto di

101 Cefalonia ricorre unicamente nel frammento di Artemidoro citato da Porfirio ( ) e nella voce di Eulyros inventata da Simonidis ( ). La terza attestazione di è in un epigramma di Antipatro di Tessalonica (Anthol. Gr. X, 25), non come porto ma come spiaggia, costa sabbiosa ( ) dove abita Febo «protettore dei porti» ( ) epiteto che Febo condivide con altre divinità maggiori. La certezza della dipendenza della voce di Eulyros dal frammento di Artemidoro 228 e non da Antipatro è data da almeno tre elementi molto evidenti: 1) in Eulyros, Panormos è sede di un tempio di Zeus, invece in Antipatro la spiaggia di Panormos è «abitata» da Febo; 2) in Artemidoro vengono indicati 12 stadî come distanza tra Panormo e Itaca. Questi 12 stadî ritornano, in Eulyros, nella voce generale, posta all inizio dell estratto offerto da Simonidis (p. 1) come distanza tra Cefalonia e Leucata, punta sud dell isola di Leucade ( ); 3) e, soprattutto, vi è una immediata affinità, tra il testo di Artemidoro e quello di Eulyros, nello stile geografico dell esposizione (che ovviamente è assente nell epigramma di Antipatro) Eulyros fu per Simonidis una specie di prova generale. L inedito fu garbatamente ridicolizzato da Mustoxidis come opera di Simonidis e invece violentemente attaccato da Alessandro Rizos Rangabé sul periodico in una interminabile recensione a puntate ( ), che investiva l intera opera del falsario il quale contava al suo attivo, in quel momento, numerose opere, sia nel campo della pittura che in quello dell antica geografia. (Non si era ancora cimentato nella teologia.) Merita una segnalazione il fatto che il (presunto) manoscritto intero di Eulyros comprendesse una notevolissima quantità di carte e mappe a illustrazione del testo. 230 I falsi geografici erano una delle passioni dominanti di quest uomo, a partire dalla tesi di laurea consistente in un trattato geografico sul Chersoneso Calcidico (1843). Subito prima della creazione del geografo Eurylos, Simonidis aveva creato una imponente (1849), storia e geografia della sua patria, l isola di Simi, con dedica ad Andrea Mustoxidis «splendore di Corcira». E ancora prima, nella sua esordiale esperienza di viaggi (1843), facente perno su Odessa, dopo aver percorso l intera costa settentrionale e meridionale del Mar Nero «per ordine di Alessandro Sturtza, consigliere segreto dello zar Nicola», compose un Periplo del Ponto Eusino da lui denominato che dedicò allo stesso Sturtza. 231 Non è arduo comprendere che fonte di ispirazione per questa impresa

102 geografica furono i peripli del Ponto Eusino conservatisi nella tradizione: quello di Arriano e quello, assai più ampio, erroneamente attribuito ad Arriano, accessibile non soltanto grazie alla raccolta geografica degli Zosimadai e a quella di Hudson di cui s è detto sopra, ma anche nei fogli iniziali del Vatopedi (Athos) 655, a un certo momento finiti nelle mani di Simonidis e come vedremo da lui venduti a Londra. 219 «The Periplus of Hannon, King of the Karchedonians, concerning the Lybian Parts of the earth beyond the pillars of Herakles [ ]. It was discovered at Liverpool in the Egyptian Museum of Joseph Mayer, Esq., on the Twenty-ninth of July, 1860, by Konstantinos Simonides», Ph.D., Trübner, London 1864, p Anche questo falso papiro geografico è conservato a Liverpool, nei National Museums, nella collezione Mayer (collocazione M 1169 s). 221 Ne accennammo già in Il papiro di Artemidoro, pp Ora facciamo un passo avanti. 222 Che, per la metà che qui ci interessa, è tramandato nelle prime sei pagine del Palatino greco 398 di Heidelberg. 223 Artemidoro è alla pagina «Sane iteratam optime commeruit editionem, cum praeter duos libros priores (quibus Ptolemaei vestigiis pressus insistit) complectatur Epitomen Artemidori Ephesii et Menippi Pergameni.» L uso intensivo della raccolta di Hudson è dimostrato, tra l altro, dalla seguente circostanza. Tutta la dottrina nel campo delle fonti latine (Pomponio Mela, Plinio, Solino, Senofonte Lampsaceno, Isaac Vos) che Simonidis dispiega nella densa p. 19 dei Prolegomena ad «Annone» viene di peso dalle pp della Dissertatio prima che apre il vol. I di Hudson, cioè quella di Dodwell De Hannonis periplo. Lì, a p. 12, trovava anche un ampia discussione di quanto Artemidoro scriveva sulla località da lui denominata Lixos (in dissenso rispetto a Eratostene) e che si trova sulla costa della Mauretania appena fuori dalle Colonne: località sul cui toponimo Simonidis ha costruito varianti nel suo Annone. Ecco dunque un altro incontro certo di Simonidis con Artemidoro. Cfr. supra, cap. IX. 225 E mai del tutto estinto. 226 Ormai GGM I forniva tale identificazione. 227 Delle cui edizioni secentesche viene da lui imitata anche la presentazione grafica. 228 Che nella raccolta di Hudson è alla p. 82 della sezione «Marcianus». 229 Artemidoro (citato in Porfirio): «Eulyros: adduce l autorità dei di Anassimandro).» (città inventata ma in pro della quale Eulyros-Simonidis 230 «205 carte corografiche a colori, secondo lo stile bizantino» (Kephalleniakà, p. 18). 231 Le notizie che abbiamo qui riferito, citando quasi alla lettera, sul Chersoneso Calcidico e sul Periplo del Ponto Eusino, opere giovanili del Simonidis, figurano nella prima pagina degli Autographa (Mosca 1853, Odessa 1854), nell autobiografia di Simonidis firmata Callinico Ieromonaco. Nell autobiografia di lui, di pochi anni successiva

103 (1859), rielaborata in lingua inglese da Charles Stewart, le notizie parrebbero lievemente diverse: il titolo dottorale gli sarebbe stato elargito «come premio e riconoscimento» a seguito dei suoi lavori archeologici sul «Chersoneso Cario», con particolare riguardo a Cnido (p. 9). Non è detto che le due informazioni siano in contrasto tra loro, poiché potrebbe trattarsi di due lavori diversi: purtroppo sono dati non verificabili.

104 XVI. Andare per manoscritti greci Giunsi in Inghilterra dalle isole Canarie il 12 dicembre e approdai nel porto di Liverpool. In questa città mi fermai circa due mesi. Il 6 febbraio del corrente anno [1853] venni a Londra, dove tuttora mi trovo: è la prima città del mondo. Dopo alcuni giorni, vidi molti dei dotti inglesi che vivono qui e conseguentemente divenni regolare frequentatore del British Museum, dove leggevo, copiavo, traducevo ciò che lì scoprivo, per lo più documenti egizi. Ricorrevano a me molti dotti, la cui meraviglia io accresco giorno dopo giorno con l interpretazione veridica di questi documenti. Così scriveva Simonidis all allora amico Alessandro Lykurgos, verso la fine di agosto del La lettera datata 29 agosto è riprodotta quasi per intero dallo stesso Lykurgos nel volume del 1856, assai polemico verso l ex amico Simonidis, intitolato Enthüllungen über den Simonides-Dindorfschen Uranios (Rivelazioni sull Uranios di Simonides-Dindorf) e occupa le pagine Nel brano che abbiamo tradotto, e che si trova subito in principio della lunga lettera, Simonidis descrive con brevi tratti essenziali il suo usuale modo di procedere: quando giunge nelle capitali europee ricche di manoscritti la sua prima cura è entrare in contatto con le personalità della cultura per accedere poi alle maggiori biblioteche, e lì cercare e ricopiare manoscritti. A Londra, nel 1853, cercò il contatto anche con la «Philological Society», come narra poco oltre nella stessa lettera, e ne ottenne un significativo avallo. L anno dopo, a Parigi, stessa scena. E in questo caso la documentazione viene addirittura dal maggiore letterato francese dell epoca, Charles Augustin Sainte- Beuve. Ecco l incipit di una delle sue lettere di raccomandazione in favore di Simonidis: «Il latore della presente è un greco di grande merito, il signor Simonidis, che da qualche tempo fa ricerche nel dipartimento dei manoscritti della Bibliothèque Impériale. Purtroppo egli parla poco il francese e ha bisogno che gli si dedichi un attenzione particolare». Così scrive, e reiteratamente riscrive, Sainte- Beuve, nel novembre 1854, al conservatore dei manoscritti greci e lo prega di mettere Simonidis «en rapport avec celui de vos collaborateurs qui peut lui être utile pour les recherches auxquelles il se livre». 232 A Parigi, a ispezionare manoscritti, Simonidis ritornò più volte. Dieci anni più tardi, il 18 marzo 1864, scrivendo da Parigi al suo amico e protettore J.E. Hodgkin, così descriveva gli ottimi risultati ottenuti: «Il passaggio a Parigi è stato per me foriero di grande giovamento intellettuale. Introdotto nella Biblioteca Imperiale, nella sezione dei manoscritti greci, 233 ho scoperto utilissime opere

105 greche finora inedite, le quali, se pubblicate, ci insegneranno cose ancora non note e gioveranno grandemente alle scienze; mi riferisco in particolare ai commenti di Gennadio Scolario agli scritti di Aristotele e ad altro ancora. È grande la speranza che vengano scoperte anche altre opere nascoste degli scrittori greci antichi, se i manoscritti saranno adeguatamente scandagliati. Io però non posso farlo ormai perché mi affretto a rientrare a Londra». 234 Nella stessa lettera Simonidis elogia molto caldamente l eccellente trattamento ( ) che gli è stato riservato alla Bibliothèque Impériale, diversamente che nel British Museum; si compiace per l aiuto che Hodgkin gli ha dato nella campagna volta a dimostrare la falsità del Sinaitico, lanciato da Tischendorf con un forte battage; infine segnala di aver trovato, nella biblioteca parigina, «molte lettere inedite scritte in greco, di uomini dotti» riguardanti «la chiesa romana». E segnala anche un pezzo prezioso sul piano, per lui di estremo interesse, del conflitto tra ortodossia e chiesa cattolica: «Gli atti completi del Concilio di Firenze scritti in greco». 235 Nello stesso giorno, 18 marzo 1864, Simonidis consegnava a Brunet de Presle, nella sede dell Institut de France, e nel giorno in cui Brunet presentava i papiri del Louvre, le proprie opere: compreso il falso papiro «antichissimo», da lui confezionato, di parti consistenti del Vangelo di Matteo. La visita all Institut, e al Louvre, è documentata. 236 Altri documenti, come ad esempio un paio di lettere di Boissonade al conte di Marcellus (22 febbraio e 1 marzo 1855), conservate nel fondo Boissonade alla Sorbonne, consentono di stabilire che ancora nel febbraiomarzo 1855 Simonidis era a Parigi. Tra il primo soggiorno parigino, in cui poté giovarsi dell appoggio di Sainte- Beuve, e il secondo (1864), Simonidis realizzò un tour per manoscritti davvero imponente. Lo racconta un altro suo biografo, Charles Stewart, in uno scritto dal tono molto favorevole al protagonista: A Biographical Memoir of Constantine Simonides of Stageira, Londra Il racconto di Stewart parte dalla trionfale accoglienza riservata a Simonidis, a Parigi, nel novembre 54, dal ministro dell Istruzione e da Villemain, allora presidente dell Institut de France. Quindi prosegue: «Dopo aver esaminato la Biblioteca a Parigi, Simonidis passò in Spagna per esaminare le biblioteche di questo paese». Va ricordato che da pochi anni era disponibile un attendibile catalogo a stampa dei manoscritti greci dell Escorial, quello pubblicato da Emmanuel Miller nel Il resoconto prosegue: «Di qui egli passò in Portogallo e dopo pochi giorni tornò a Londra». Dopo di che le tappe successive sono: «a pleasure tour» in Belgio, un viaggio «attraverso alcuni stati tedeschi» (è da ritenere probabile una visita alla Palatina di Heidelberg, nel Granducato del Baden), infine Berlino e Lipsia, dove giunse il 15 luglio A Lipsia, come sappiamo dallo scritto polemico del conterraneo ed ex amico

106 Lykurgos, fu sua cura chiedere e ottenere, al solito, la possibilità di ispezionare i manoscritti greci: in particolare gli interessavano i frammenti del Sinaitico portato in Germania da Tischendorf nel E dopo il celebre incidente dell Uranios (su cui torneremo) ci fu il soggiorno a Monaco, dove ebbe accesso alla Biblioteca Regia. Prima del viaggio a Occidente, Simonidis aveva percorso l ampia area che va da Odessa ad Alessandria d Egitto passando per l Athos, sua meta privilegiata, e sede di un suo memorabile soggiorno. Il bilancio di tali peregrinazioni volte unicamente, stando al biografo inglese, allo studio dei manoscritti greci fu il seguente: per i meriti conseguiti nei monasteri dell Athos come restauratore di manoscritti, «he became the possessor of many highly valuable Greek manuscripts, the greater portion of which he took from the monastery of Esphygmenos»; 239 come risultato dei reiterati soggiorni ad Alessandria e in altre contrade dell Egitto, «having discovered [N.B.] many things in these countries, such as manuscripts of great antiquity on Egyptian papyrus and parchment, several inscriptions, registers of the Olympiads, annals, list of kings, ethnographies and other matters extremely interesting, he conveyed them away and placed them in security». 240 Queste parole appaiono in un libro edito nel 1859 a Londra: fino a quel momento Simonidis non aveva ancora sfoderato papiri ma solo manoscritti su carta, pergamene e palinsesti. Soltanto a partire dal 1860 i papiri entreranno in scena. Perciò quella informazione di una collezione di papiri 241 in possesso di Simonidis già prima del viaggio a Occidente, va segnalata. Come sappiamo, i papiri che Simonidis pubblicò figurarono tutti come provenienti dalla collezione privata di Joseph Mayer di Liverpool: papiri che Mayer acquistò dal reverendo Stobart (complice di Simonidis). 242 Quanto leggiamo in Stewart è autorizzato (se non materialmente scritto) dallo stesso Simonidis, il quale certo non aveva alcun interesse a contraddirsi o a smascherarsi. Piuttosto, quella preziosa informazione significa con tutta probabilità che Simonidis aveva con sé ancora altri testi su papiro, oltre quelli fatti giungere al collezionista egittomane Mayer, e che non li aveva messi tutti in circolazione. 243 Notiamo anche che, tra i papiri «trovati in Egitto», che egli fa scrivere di aver serbato presso di sé («placed in security») vi erano anche «ethnographies». Considerando retrospettivamente la propria carriera di cacciatore di manoscritti di ogni genere e di ogni epoca, Simonidis scriverà, nella prefazione alla propria edizione del (falso) papiro «mayeriano» di Annone, di aver conseguito un alta competenza paleografica «obtained from reading and assiduous study of thousands of manuscripts, on various subjects, of every period, before Christ as well as after Christ», di avere inoltre appreso, grazie a questa lunga

107 esperienza, «the distinction of the papyri of every Egyptian country and period» nonché «the mode of preparing the skins, and, besides, the ancient distinction of the ink». 244 Ma, accanto a queste indubbie competenze, che anche i contemporanei gli riconobbero (e a denti stretti persino il grande Wilamowitz) 245 ve n è un altra che Simonidis rivendicò sempre: la competenza teologica appresa e affinata nella scuola patriarcale di Halki (presso il Patriarcato costantinopolitano, dove egli visse oltre un anno, ospite del Patriarca) e completata a Odessa, su suggerimento dello stesso Patriarca che a tal fine lo raccomandò al consigliere spirituale dello zar Nicola. 246 La Biblioteca del Patriarcato costantinopolitano (a Halki) conserva tuttora, di Simonidis, il volume del 1858 contenente i «quattro trattati teologici contro i Latini». 247 Dall esperienza fatta in tali ambienti e dalle assidua frequentazione di testi teologici bizantini, arricchita di qualche apocrifa integrazione, discende con molta probabilità l immagine, che campeggia al principio del proemio dello pseudo-artemidoro, secondo cui la geografia, al pari della filosofia «divinissima», cioè della teologia, parla «per dogmi», perché «armata di tutto punto». Lo scrivente pensava evidentemente in termini di «panoplia dogmatica», arredo fondamentale della paideia teologica orientale, ma anche occidentale. 232 Cfr. O. Masson, Le faussaire grec C. Simonides à Paris en 1854, avec deux lettres inconnues de Sainte-Beuve, «Journal des savants» luglio-dicembre 1994, pp Questo può far pensare che gli fosse concesso di visitare gli scaffali, non soltanto di richiedere singoli manoscritti. Fu normale concedere ciò per agevolare gli studiosi ancora fin oltre la metà del secolo XX. 234 H Additional 42502A, f La lettera è conservata a Londra, British Library, 235 «Nella Biblioteca imperiale di Parigi sono conservate molte lettere inedite ( ), scritte in greco, di dotti intorno alla Chiesa di Roma. Nella stessa biblioteca ci sono gli atti completi del Concilio di Firenze in greco ( )» Si riferirà molto probabilmente ai manoscritti Parigini greci 422 e 423, i più completi tra quanti ci tramandano gli atti di quel

108 Concilio. Si noti che nella Collectio del Mansi gli atti del Concilio di Ferrara-Firenze si presentano in forma nettamente incompleta. 236 Cfr. Il papiro di Artemidoro, pp Vedremo quali tracce ha lasciato questa visita nell opera di Simonidis. 238 Ch. Stewart, A Biographical Memoir of Constantine Simonides of Stageira, with a Brief Defence of the Authenticity of His Manuscripts, Skeet, London 1859, pp Ivi, p Ivi, p Di provenienza egiziana. 242 Come esplicitamente denunciato dal periodico greco del 30 settembre 1861 (cfr. Wie kann das ein Artemidor-Papyrus sein?, a cura di L. Canfora e L. Bossina, Edizioni di Pagina, Bari 2008, pp. 140 e 143). 243 Non trascuriamo comunque di registrare che il primo soggiorno di Simonidis a Liverpool risale già al 1853: cfr. anche Ch. Stewart, Biographical Memoir, cit., p The Periplus of Hannon, cit., pp U. von Wilamowitz, Geschichte der Philologie [1921], Teubner, Leipzig 1998 (rist.), p. 18 (tr. it. Einaudi, Torino 1967, p. 47). 246 Ch. Stewart, Biographical Memoir, cit., p Comunicazione del Metropolita Apostolos al Dr. Elephtherios Despotakis [17 febbraio 2009], che qui si ringrazia.

109 XVII. Nuovo, insidioso incontro con Artemidoro: come si abbrevia la parola stadion 1. Nel terzo viaggio all Athos, nel 1851, Simonidis si illustrò in un impresa assai disinvolta, per usare un eufemismo: sottrasse una serie di fogli al prezioso manoscritto geografico posseduto dal monastero di Vatopedi (nr. 655) e li portò con sé per servirsene in vari modi: parziale copiatura, riutilizzo, vendita. Questi fogli li vendette alla British Library solo dopo alcuni anni. Ma quei manoscritti gli erano familiari da molto tempo, perché ancora più antica era la sua frequentazione dell Athos. Il Vatopedi 655 era stato già deprivato di fogli ad opera di Minoide Mynas nel Mynas per parte sua copiò ma non sottrasse i fogli contenenti Annone, fu Simonidis che li sottrasse, appunto nel suo terzo viaggio alla montagna sacra (1851). L iniziativa disinvolta può essergli stata suggerita proprio dall aver ritrovato deprivato ad opera di un altro visitatore quel manoscritto importantissimo (a lui già noto), contenente una collezione completa, incluso Tolomeo e la Crestomazia di Strabone, dei geografi greci. Nel frattempo si era familiarizzato con il loro contenuto. Come si è detto, quei fogli contenevano tra l altro il Periplo di Annone, che Simonidis ricreò poi sotto forma di papiro antico (ovviamente falso), quando poté, ben protetto, operare in Inghilterra. Anni dopo ( ), quando visitò le biblioteche europee alla ricerca di manoscritti, si recò in Germania e forse anche a Heidelberg, perla bibliotecaria del Granducato del Baden, dove poté consultare il Palatino greco 398, cioè la maggiore silloge dei geografi greci, 248 modello da cui il Vatopedi 655 dipende. E ne trasse profitto. Era, insieme col Parigino Supplément Grec 443, l altro grande testimonio dei geografi greci minori. Nella terza pagina (13 v, ultima riga) del Palatino di Heidelberg trovava Artemidoro, e lo ritrovava alla pagina seguente (14 r, r. 6) come autore di una prosa geografica costruita unicamente di, ovvero e le relative misure, in maiuscola, in stadî e in miglia. Ma attenzione: il modo in cui sono indicati gli stadî (C ) è esattamente quello che troviamo nello

110 1) Heidelberg, Staatsbibliothek, Palatino greco 398, f. 14 r, r. 12. Siamo all interno dello pseudo-arrianeo Periplo del Ponto Eusino (ff. 11 r -16 v ); nella medesima pagina figurano due citazioni da, ai rr. 1-4 (ma il nome è all ultima riga del f. 13 v ) e rr. 6-9 (= GGM I, p. 418, e = fr. 67 Stiehle), in cui è adoperato il compendio per 2) Heidelberg, Staatsbibliothek, Palatino greco 398, f. 14 r : pseudo-arriano, Periplo del Ponto Eusino. 3) London, British Library, Additional (olim Vatopedi 655), f. 4 v. È il manoscritto geografico di Simonidis, composto dei fogli sottratti al Vatopedi 655. Per la raccolta dei geografi greci minori, ivi compreso il Periplo del Ponto Eusino pseudo-arrianeo (ff. 4 r -7 v ), esso è copia del Palatino greco 398 di Heidelberg. In questi due esempi, tra i molti che ricorrono, si vede il compendio per con delta sovrapposto, sia minuscolo che maiuscolo.

111 4) P. Artemid, col. V, rr. 34 e 36. (a cura di Giuseppe Carlucci) pseudo-artemidoro, dove il presunto «sampi» non è che un simbolo per indicare le migliaia. Inoltre è identico il sistema adottato per segnalare i numerali nel Palatino e nello pseudo-artemidoro: ogni volta preceduti e seguiti da un punto in alto, e sormontati da una barretta. Nei papiri non si verifica nulla di tutto ciò, e men che meno si trova il compendio. Dunque quel manoscritto medievale fu il modello, per colui che ha fabbricato lo pseudo-artemidoro: cioè Simonidis. 2. Tra i fogli del Vatopedi 655 sottratti in loco da Simonidis (e poi da lui venduti al British Museum) ci sono anche quelli contenenti per l appunto lo pseudo-arrianeo Periplo del Ponto Eusino. Esso si trova ai ff. 4 r -12 v e comprende i Le due citazioni da Artemidoro sono al f. 6 v, nelle ultime cinque righe in fondo alla pagina. Anche qui l abbreviazione è la medesima:. Con un ulteriore dettaglio: il sovrastante si presenta spesso nel Vatopedi con un prolungamento che rappresenta il compendio della desinenza, esattamente come nello pseudo-artemidoro, colonna V, riga 38. È lecito pensare che è dall incontro con questi due manoscritti (nel caso del Vatopedi 655 fu ben più che un incontro!) che nacque la trovata di inserire in un antico papiro il compendio C A per il plurale di, termine che invece nei papiri non si presenta mai in tale forma compendiata, 249 tipica delle scritture minuscole. In altri termini è la presenza di questo compendio, nonché l adozione sistematica dei puntini prima e dopo le cifre (sovrastate da trattini orizzontali come è norma nei manoscritti medievali), una prova materiale del carattere moderno dello pseudo-artemidoro; il cui autore si è ispirato a questi modelli, a questi manoscritti dei quali aveva avuto diretta esperienza, e che con ogni probabilità aveva ricopiato. 250 La medesima forma (punto in alto abbreviazione di ovvero cifra sormontata da trattino punto in alto) si ritrova sempre nel Parigino Supplément Grec 443, testimonio fondamentale di Marciano visitato probabilmente dal Simonidis già durante il soggiorno parigino del 1854, nonché nel Vatopedi 655, limitatamente ai fogli che Simonidis sottrasse, mise a frutto e rivendette al British

112 Museum. Che dunque quel singolare compendio, un vero hapax, figuri soltanto nei tre manoscritti utilizzati da Simonidis e poi nel suo papiro artemidoreo, sembra una coincidenza schiacciante. Non può non tornare alla mente, dinanzi a un fenomeno del genere, un analogo fenomeno: la ripresa, cioè, delle forme peculiari del Parigino gr ( etc.) allorché l autore del papiro scelse di aprire la colonna IV proprio con le circa dieci righe del fr. 21 di Artemidoro tramandati dal solo Parigino gr (al f. 46 v ). Simonidis immette dunque nella sua creazione le forme che viene via via mutuando dalle sue fonti manoscritte. 3. L area del Ponto Eusino cui si riferiscono i due frammenti di Artemidoro citati dallo pseudo-arriano nel Periplo del Ponto Eusino (Trapezunte, Odessa etc.) sono anche luoghi della giovinezza russa di Simonidis. La sua frequentazione di Odessa, documentata dalla pubblicazione in quella città dei primi suoi scritti (le Ricerche chimiche relative all Athos, 251 del 1843, la Storia dei monasteri dell Athos, dello stesso anno, fino alla Raccolta di papiri inediti greci, 252 del 1854), è confermata dall interessato nella biografia che attribuì a Callinico Ieromonaco, suo fittizio alter ego: «Nell anno 1843, essendo in Odessa sotto la tutela del consigliere segreto dello zar Nicola, Alessandro Sturtza, 253 partì per Trebisonda per svolgervi dei compiti politici per conto di Sturtza. [ ] Avendo percorse una dopo l altra tutte le città costiere anche le più piccole del Ponto Eusino» 254 ( ). L azione da lui svolta in quell area sarebbe stata, a quanto viene lì raccontato, di penetrazione religiosa ( ). L andamento del resoconto riguardante questo viaggio (o meglio questa missione ) è piuttosto simile a quello dell antico Periplo: Si è dubitato a torto, da parte di studiosi moderni, di questa tappa (Odessa) della vita di Simonidis. Una conferma venne già subito dall inchiesta riservata condotta da Hodgkin a Odessa la cui traccia documentaria è nell Additional 42502A, ff. 256, , 279, 302, 304. C è poi una rara stampa di Simonidis: il testo intero ( ) della Lettera di Barnaba (compresi i primi cinque capitoli) da lui scoperto nel 1837 sul monte Athos 255 pubblicato a Smirne nel 1843 per opera di Giorgio Rhodokanakis, della famiglia dei Rhodokanakis attivi a Odessa. Per curiosità biografica 256 aggiungiamo che anche gli amici inglesi di Simonidis, che lo aiutarono attivamente nella sua opera di falsario sui generis, 257 indagarono etc.

113 sui Rhodokanakis per accertare se davvero Simonidis fosse stato in Russia e a Odessa in quei primi anni Quaranta dell Ottocento. E constatarono che c era stato davvero. 248 Che i moderni dopo Diller chiamano corpus A, per distinguerlo dal minore corpus D rappresentato dal Supplément Grec Cfr. ad es. P. Mich. inv (ed. a cura di W. Luppe, «ZPE» 139, 2002, p. 47: fr. A, righe 6-7); P. Yale 19, col. II, 4; P. Oxy. 1376, ; P. Berol. inv , col. II, 12; P.Michael. Gr. 4, col. I, 16 (riedizione a cura di A. Stramaglia, «ZPE» 97, 1993, p. 8); P.Oxy. 1092, col. V, 8 [Erodoto]; P.Oxy. 4455, col. II, 8-9 e 11 [comm. a Erodoto]; P. Berol. inv. 9570, fr. A, rr [Polibio]. Giova segnalare che nei manoscritti medievali degli storici e dei geografi [Marciano gr. 395 di Dione Cassio; Parigino gr di Strabone; Marciano gr. 413 di Pausania periegeta; Vatopedi 655 di Tolomeo Geografia etc.], l unità di misura è scritta sempre in extenso, così come i numerali. Particolarmente significativo il caso del Vatopedi: infatti in tale manoscritto il compendio figura soltanto nei fogli finiti grazie a Simonidis al British Museum ma non figura più nel corpo del manoscritto che contiene Tolomeo e Strabone [segnalazione di G. Carlucci]. 250 Ciò vale certamente per il Vatopedi 655: prima di vendere quei venti fogli al British Museum (dove divennero l Additional 19391) Simonidis ne avrà tratto copia Celebre diplomatico russo ( ). La figlia, la principessa Gagarin, pubblicò le sue opere in Francia intorno al L ampia notizia biografica da cui traiamo queste poche frasi si trova, nel volume di Simonidis intitolato Autographa (Odessa 1854), cfr. infra, cap. XXIV. 255 Dunque sette anni prima che Tischendorf mettesse le mani su una parte del Sinaitico (1844). 256 Ne parleremo meglio altrove. 257 Senza avere questo pool alle spalle non sarebbe riuscito a realizzare e diffondere un opera così vasta.

114 XVIII. Un incontro decisivo: il Parigino greco 2009 Una nuova tappa verso la realizzazione dell Artemidoro (pseudo) fu per Simonidis la visita (1854) alla Bibliothèque Impériale di Parigi di cui s è detto supra, cap. XVI, propiziata dai suoi amici e protettori filelleni: dal conte di Marcellus, il celebre trafugatore della Venere di Milo oltre che raccoglitore dei canti cleftici, al grande Sainte-Beuve che caldamente lo aveva raccomandato al conservatore dei manoscritti greci, al generoso Brunet de Presle, il quale da tempo era alle prese coi papiri del Louvre (inizialmente affidati alle cure di Jean-Antoine Letronne e per un po abbandonati, dopo la scomparsa di lui). A Parigi, per le sue creazioni geografiche, poté accedere a manoscritti importanti quali il Supplément Grec 443 (riemerso pochi anni prima e valorizzato da un altro filelleno e speranzoso frequentatore dell Athos quale Emmanuel Miller), ovvero il Parigino greco 2009 (De administrando imperio di Costantino VII). In quest ultimo egli trovava (f. 46 v ) uno dei più lunghi frammenti «di Artemidoro», quello sulla divisione in province della Spagna. 258 Lo ricopiò nella forma in cui esso si presenta nel vetusto manoscritto e ne serbò le forme erronee o peculiari quando, più tardi, inserì quel frammento nella quarta colonna del suo «Artemidoro»: in luogo di, 259 in luogo dell usuale (ben tre volte in sette righe). 260 Inoltre, trovandovi la forma la adottò (rr. 9-10), mentre quando si mette a fare il periplo scrive (col. V, r. 22). A Parigi ebbe modo di consultare anche i manoscritti di Manuele Philes (Sulle proprietà degli animali) illustrati da Angelo Vergezio: in particolare il Parigino greco (L opera gli era ben nota dal tempo in cui soggiornava, e copiava manoscritti, nel monastero russo, Monè Panteleemonos, del monte Athos, diretto da suo zio: lì c era un Philes non illustrato nel manoscritto nr. 505.) Questi disegni così come il gruppo di oltre venti animali che compongono la gran parte del bestiario di Philes si ritrovano con coincidenze indiscutibili nel verso dello pseudo-artemidoro. 261 Nel Supplément Grec 443, come sappiamo, era anche incluso lo scritto di Isidoro di Charax Stazioni ( ) del regno Partico (ff ). E vedere sbucare la vignetta degli nella mappa senza capo né coda che adorna il P. Artemid. tra «proemio» (colonne I-III) e colonna IV non fa che confermare l uso di quell importante, e all epoca nuovissimo, manoscritto 262 da parte del falsario.

115 258 Fr. 21 Stiehle = Paris. Gr. 2009, f. 46 v, righe Col. IV, 8 = f. 46 v, r Col. IV, 6, 7 e 12 = f. 46 v, rr. 9 e Da Philes (Carmina V, 52, 20: ) trasse che figura nella colonna II (riga 5). 262 Rispuntato fuori e acquistato dalla Bibliothèque Royale parigina nel 1837, subito edito da un interno della Biblioteca come Miller (1839), poi da Hoffmann (1841), poi da Müller (1855).

116 XIX. L incontro coi grandi geografi berlinesi Dopo Parigi, Simonidis ebbe una movimentata vicenda in terra tedesca (dove egli apparve come scrisse Freytag nel luglio 1855), legata anche questa volta a sue brillanti falsificazioni: fogli del Pastore di Erma e un opera totalmente inventata, la Storia egizia, di un autore semi-sconosciuto, ma esistente, 263 e cioè Uranios, noto unicamente da citazioni negli Ethnikà di Stefano di Bisanzio. Abbiamo sommariamente narrato altrove questa vicenda 264 e non vi torneremo qui. A Lipsia egli non venne soltanto per offrire all attenzione dei dotti i suoi «inediti». Volle anche qui fare esperienza dei manoscritti greci della Biblioteca Universitaria. Come raccontò poi il suo ex amico e maestro privato di greco antico Lykurgos, gli interessavano i fogli del Sinaitico che Tischendorf aveva portato in Germania dopo il primo soggiorno a Santa Caterina del Sinai. Comunque, dopo l iniziale successo, Lipsia fu uno scacco, dal quale non uscì bene nemmeno il suo estimatore Dindorf. Resta il fatto che in terra tedesca Simonidis aveva sfidato l élite filologica più agguerrita d Europa. C è però anche un altro aspetto, meno noto, della tappa tedesca: il contatto con alcune insigni personalità dell Accademia delle Scienze. Humboldt, il «dotto autore di Cosmos», parlando di Simonidis, diceva che egli era «un enigma» e che «congetturare su di lui era un nuovo nodo gordiano tutto considerato insolubile.» E aggiungeva che «ciò che è stato detto e ripetuto giorno dopo giorno su Simonidis non offriva alcuna luce ai fini del raggiungimento della verità, anzi erano puerili e ridicole sofisticherie che oscurano l intelligenza e che, da parte di persone sensibili, meritano disprezzo». Egli inoltre dichiarò la sua opinione secondo cui i sostenitori delle ipotesi che hanno risuonato insistentemente nelle orecchie delle persone sono stati a loro volta ridicolizzati per aver scritto su Simonidis affermazioni dissennate. «E tutto questo» disse Humboldt «ha avuto origine dal carattere imperturbabile, e di sua natura non comunicativo, di Simonidis.» Questa testimonianza riguardante una articolata dichiarazione di Alexander von Humboldt intorno a Simonidis figura al principio del Biographical Memoir di Charles Stewart, la cui prefazione è datata «Londra, agosto 1859». Alexander von Humboldt, nonagenario, era morto da pochissimo, il 6 maggio Curiosamente, adopera la medesima espressione, sempre in riferimento a Simonidis, John Eliot Hodgkin scrivendo a James Yates nel gennaio 1863: «He is a

117 thorough enigma, and the more I see of him the more inscrutable he becomes» (Addit , f. 24). Chi fosse Charles Stewart è un altro enigma. Quantunque risulti disagevole individuarlo tra i vari Charles Stewart presenti nei repertori o archivi biografici e il catalogo a stampa della British Library si limiti a definirlo «Charles Stewart, of London» semplicemente perché la prefazione di quest unica sua opera è datata «London, August 1859», è molto probabile che lo si debba identificare con Charles Stewart di Brighton, deputato conservatore, scomparso quasi nonagenario il 30 giugno Che la materia biografica raccolta in questo volume sia in ultima analisi dovuta appunto a Simonidis è comunque la sola eventualità possibile. Della sostanza del libro non può che essere lui l autore. È la presentazione del testo in lingua inglese, in questo come in altri casi, 266 che dovrà essere attribuita a uno dei componenti del gruppo, o «rete», col cui fattivo sostegno Simonidis agiva. 267 Solo il diretto protagonista poteva conoscere la complicata serie dei suoi viaggi da Odessa ad Alessandria, alle Canarie, a Madrid, a Costantinopoli etc., fittamente elencati alle pagine 2-14 del Biographical Memoir. Dunque il ricordo, in apertura di volume, delle parole di Humboldt risalirà anch esso a Simonidis. Il quale, in questo modo, ci informa del contatto, della conoscenza diretta che c è stata tra lui e Alexander von Humboldt e delle valutazioni intorno al suo carattere espresse dal grande geografo. Humboldt disse davvero quelle parole? Difficilmente lo sapremo da altra fonte. Possiamo solo osservare che un grande coetaneo di Simonidis, Jacob Burckhardt ( ), in una conferenza, da lui pubblicata, del 1882, L autenticità dei quadri antichi, ricorre a un concetto non lontano da enigma per definire il caso Simonidis: «Le falsificazioni non sono sempre ed esclusivamente da ricondursi a una mera sete di guadagno; esistono delle persone che si sentono virtualmente portate, spinte da un irresistibile impulso interiore e che sviluppano una mirabile virtuosità nelle attività in questione. Venti o trent anni or sono, un greco, Simonidis, è riuscito a fabbricare niente di meno che l opera completa di un antico scrittore greco e a pubblicarla come autentica». 268 Il riferimento di Burckhardt è al caso del falso Uranios, creato da Simonidis, inizialmente accolto come autentico, con piena convinzione, dall Accademia delle Scienze di Berlino, cioè dal più alto consesso scientifico del mondo, o meglio della nazione all epoca all avanguardia negli studi classici, storici e scientifici: un consesso dove sedevano, oltre allo stesso Humboldt, Meineke, Bopp, Böckh, Bekker, Ranke, Trendelenburg, Ritter, Savigny, J. Grimm, W. Grimm, Kiepert etc. Dai verbali delle sedute dell augusto consesso (10, 17 e 31 gennaio 1856) si ricava che Humboldt non era presente, né quando Wilhelm Dindorf, da Lipsia, si presentò all Accademia brandendo il prezioso manufatto, né quando con enorme imbarazzo «der Vorsitzender zeigte kurz an, dass der Text des Uranios in dem der

118 Akademie vorgelegten Codex rescriptus, den mit dem Codex vorgenommenen Überprüfungen zufolge, als gefälscht erschien». 269 Alexander von Humboldt non era presente probabilmente per ragioni da ricondurre all età avanzatissima (aveva allora ottantasette anni). Certo non si dovette esprimere né in un senso né nell altro, il che ben si accorderebbe con la formula (se è sua) dell «enigma Simonidis». La trovata, da parte di Simonidis-Stewart, di aprire il Biographical Memoir nel nome di Humboldt in quanto autore di Cosmos è anche una replica al velenoso pam-phlet scagliato contro di lui dall ex amico e suo ospite in Lipsia, lo studente in teologia Alexandros Lykurgos. Infatti quel pamphlet che Simonidis ha più volte demolito portando dati e dettagli sull ambiguo comportamento di Dindorf nella vicenda culminava, nella sua prima edizione, nell aneddoto volto ad attestare che tra Alexander von Humboldt e Simonidis non vi era un buon rapporto. Lykurgos immagina di aver avuto con Simonidis una surreale conversazione in cui incitava l allora amico ad apprezzare, della Germania, se non le città almeno le personalità. E gli avrebbe detto in tale occasione: «Ma quale altra nazione può vantare un Humboldt, l Aristotele dell età moderna?». E soggiunge: «Questo nome, per quanto poco egli potesse pronunciarlo, Simonidis non poteva sopportarlo (konnte aber Simonides gar nicht leiden). E pensare che Alexander von Humboldt era colui il quale, attorniato dall entusiasmo di molti dotti berlinesi, non molto credeva all autenticità dell Uranios del che io ho letto con i miei occhi la più attendibile testimonianza, potrei dire scritta di suo pugno». 270 Inutile addentrarsi nel mediocre tedesco e soprattutto nel contorto pensiero di Lykurgos: ciò che si dovrebbe ricavare da questo brano è (a dire di Lykurgos) l insofferenza di Simonidis nei confronti di Humboldt e un giudizio negativo 271 di Humboldt sull autenticità di Uranios. Lykurgos aggiunge un elemento autoptico e vuol far credere di aver visto Humboldt scrivere di suo pugno le parole «non credo molto all autenticità di Uranios». Neanche di questo incontro sapremo mai se, come e quando si sia verificato. Che da parte degli avversari si cercasse di usare Humboldt contro Simonidis si ricava anche da un informazione falsa che Tischendorf volle diffondere nel «Dresdner Journal» del 5 febbraio 1856, che, cioè, quando Dindorf aveva proposto l Uranios all Accademia berlinese «solo Alexander von Humboldt manifestò dubbi». 272 A sua volta Tischendorf, che non era a Berlino e non apparteneva all Accademia, si richiamava a una notizia trasmessagli per lettera il 29 gennaio (1856) dall archeologo Brugsch, il quale era in quel momento a Berlino, ma non apparteneva neanche lui all Accademia. In realtà, come risulta dai verbali 273 delle sedute, Uranios fu presentato il 10 gennaio, ma Humboldt era assente. 274 Pertanto la notizia partita privatamente da Brugsch, riversata da Tischendorf sui giornali e immessa di peso da Lykurgos nel suo volume, è falsa. E il suo fine è chiaro:

119 quando Lykurgos parla in proprio di questo tema sfodera i dubbi di Humboldt sull Uranios («mentre intorno a lui si manifestava l entusiasmo di molti dotti tedeschi»), ma ne parla in modo assai contorto e oscuro mentre preferisce insistere sulla insofferenza di Simonidis verso «l Aristotele del tempo nostro». Per parte sua Simonidis ha usato più volte a proprio vantaggio la frase di Humboldt che lo assimilava, in quanto enigma, al «nodo gordiano»: facendola inserire in interventi giornalistici a proprio favore («The Dial», 17 gennaio 1862; «Bath Chronicle», 13 marzo 1862) e inserendola egli stesso, come gemma conclusiva, in una lista di giudizi elogiativi intorno alla propria persona: «The Guardian», 21 gennaio Ma se si accostano le due testimonianze, la scena riferita da Lykurgos e le parole di Humboldt riferite da Stewart, si può osservare che esse hanno in comune un dato: la conoscenza diretta tra l «enigmatico» greco e il grande e venerato geografo. Non altrimenti si comprenderebbe il riferimento puntuale di Humboldt al carattere di Simonidis, al suo atteggiarsi: descritto in modo che ben si accorda con quanto scrisse, nello stesso torno di tempo, il conte di Marcellus a proposito del taciturno e un po lugubre Simonidis, suo visitatore a Parigi. 275 La deduzione più ovvia è che Simonidis, nel suo viaggio tedesco, ha cercato e incontrato Humboldt, il grande geografo ed etnografo messo all indice dal papa di Roma, ma probabilmente visto con favore da Simonidis anche per la scelta da poco tempo compiuta da Humboldt di porsi sotto l egida dello zar Nicola ai fini della grande spedizione nell Asia centrale ( ), i cui risultati erano apparsi in volume da non molto, sia in tedesco (1849) 276 che in francese ( ). Non va trascurato che Sturtza, il protettore russo di Simonidis, era uno dei più ascoltati consiglieri dello zar Nicola, come entrambi i biografi di Simonidis, il cosiddetto Callinico e Stewart, non mancano di ricordare. E inoltre Sturtza era anche marito della figlia di un celebre medico di Dresda 277 (l altra grande città del Regno di Sassonia, oltre Lipsia), dove Sturtza aveva lungamente soggiornato. Simonidis come era del resto costume all epoca visitava le personalità per lui potenzialmente interessanti nei vari paesi in cui si recava per studiare i prediletti manoscritti greci. Aver aspirato a incontrare il grande geografo, maestro del non meno rinomato Carl Ritter (membro anche lui dell Accademia berlinese), ben si accorda con l orientamento geografico di tanta parte della produzione di Simonidis, il quale, anche quando si installò in Inghilterra, fece in modo di stabilire contatti durevoli con la Royal Geographical Society, della quale Carl Ritter era membro ad honorem. Alla quale Royal Society Simonidis sottopose, per l approvazione, l introduzione al suo Annone prima ancora che esso fosse pronto per intero o pubblicato. 278

120 263 Diversamente da Eulyros. 264 L. Canfora - L. Bossina, Wie kann, cit., pp ; L. Canfora, Simonidis: il ritorno di Uranios, in «Miscellanea Codicum Graecorum Vindobonensium», I, a cura di Ch. Gastgeber, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien 2009, pp Su di lui cfr. più oltre il cap. XXII, 6 (fine). 266 Le prefazioni e i commenti ai papiri di Matteo e di Annone; la traduzione inglese (che accompagna il testo in greco) della Epistolimaia Diatribé etc. 267 Simonidis aveva bisogno di un «interprete» per comprendere l inglese, sostiene Ch. Stewart, Biographical Memoir, cit., p J. Burckhardt, Arte e storia [1918], tr. it., Bollati Boringhieri, Torino 1990, p «Il presidente ha brevemente riferito che il testo di Uranios contenuto nel palinsesto esibito all Accademia, a seguito degli esami ai quali il codice è stato sottoposto, è risultato falso» (seduta del 31 gennaio, punto 16 dell o.d.g.). Il verbalista è sempre Böckh, l intero verbale è un suo autografo: Zentrales Archiv der Akademie der Wissenschaften, Historische Abteilung, Abschnitt II: Akten der Preussischen Akademie der Wissenschaften (Protokolle, Plenum) [Signatur: II - V, 36]. 270 Enthüllungen über den Simonides-Dindorfschen Uranios, Fritzsche, Leipzig 1856, p. 25. Nella seconda edizione, apparsa nello stesso anno, dopo questo finale, seguono delle appendici. 271 Ma non drasticamente tale: «Non credeva molto». 272 «Nur Alexander von Humboldt wurde als Zweifler namhaft gemacht.» L articolo è riprodotto per intero da Lykurgos nelle Enthüllungen (pp ). La frase in questione è a p Autografi di Böckh. 274 Come lo fu alle due successive sedute. 275 «Athenaeum Français», 23 febbraio Reise nach dem Ural, Altai und den Caspischen Meere [1842, ]. 277 Si chiamava C.W. Hufeland e Sturtza ne scrisse una appassionata biografia. 278 Cfr. la lettera di Simonidis a Hodgkin nell Addit A, f. 34. Sull utilizzo dell esordio della Erdkunde di Ritter nelle prime righe dello pseudo-artemidoro cfr. M. Calvesi in «Storia dell arte» 119, 2008, pp , e L. Canfora-L. Bossina, Wie kann, cit., pp. VII-XV.

121 XX. Incontro con Artemidoro in Baviera Fuggito da Lipsia, dopo aver rischiato gli arresti, quando, nel febbraio 1856, fu smascherato il suo palinsesto del falso Uranios grazie all intuizione dell egittologo Lepsius (che indicò la fonte moderna di un passo dell estesissimo falso), Simonidis si rifugiò nel Regno di Baviera. E di lì mosse una specie di contrattacco pubblicando lo spericolato libretto Zur Echtheit des Uranios in difesa dell «autenticità» del suo prodotto. Ma non mancò di visitare, secondo il suo solito, i manoscritti greci della Biblioteca. Il catalogo dei manoscritti greci era uscito da ormai cinquant anni, a cura di Ignatius Hardt (scomparso precocemente nel 1811). Qui c era, nel III volume, non solo la accurata descrizione ma anche la parziale edizione del contenuto del manoscritto nr. 287: un manoscritto di 163 fogli (fine XV secolo), tutto di mano di Michele Suliardos, tutto, o quasi, di contenuto astronomico, riccamente illustrato con disegni zodiacali o dei pianeti, e recante nel penultimo foglio (161 v -162 r ) un ampio estratto intitolato «Artemidoro geografo. Sul Nilo». 279 Nello stesso anno 1806, Franz Xav. Berger pubblicò e tradusse in latino questa pagina di «Artemidoro» nel II volume dei Beiträge zur Geschichte und Literatur a cura di Johann Christoph von Aretin: Artemidori geographi fragmentum de Nilo (pp ). Quasi due pagine di Artemidoro, all interno di un gruppo di estratti provenienti da altri autori e riguardanti le piene del Nilo: il tutto in un contesto iconograficamente molto ricco. David Hoeschel segnalò con molta evidenza la presenza di Artemidoro nel sommario, redatto di suo pugno, figurante al principio del manoscritto. E nel commento al capitolo su Ctesia della edizione della Biblioteca foziana (1601), poi divenuta canonica, trascrisse un estratto dal Monacense greco 287. Si tratta dell estratto, ricavato appunto da Ctesia, riguardante un felino denominato 280 descritto da Agatarchide, e da Artemidoro (Strabone, XVI, 4, 16), e che si ritrova ovviamente in Diodoro (III, 35, 10) dipendente anche qui da Artemidoro e da Agatarchide, in Porfirio De abstinentia (III, 4), nonché, mirabilmente, sul verso dello pseudo-artemidoro. 281 La tappa monacense fu feconda, a giudicare dalle significative assonanze stilistiche tra lo spurio frammento Sul Nilo e le colonne quarta e quinta dello pseudo Artemidoro. 279 (ma è scritto. Diller ha portato argomenti a

122 sostegno dell ipotesi che si tratti di un falso umanistico (Studies in Greek Manuscript Tradition, Hakkert, Amsterdam 1983, p. 29), Paul Pédech (Sur un fragment du géographe Artémidore, in Le Mond grec: pensée, litérature, histoire, documents. Hommages à Claire Préaux, éd. par J. Bingen et al., Édition de l Université de Bruxelles, Bruxelles 1975, pp ) pensava a estratti forse derivanti da Artemidoro. 280 Photii Bibliotheca [ ], Ad insigne pinus, Augustae Vindelicorum 1601 (è l editio princeps), p. 933(a). 281 È l animale (la cui didascalia è persa) che viene descritto nell ed. LED (2008) dello pseudo-artemidoro (p. 331) sulla scia di quanto indicato in modo illuminante da S. Micunco, Figure di animali: il verso del papiro di Artemidoro, «QS» 64, 2006, p. 25, nota 34.

123 XXI. Ancora Parigi 1. Un viaggio fruttuoso fu quello a Parigi del febbraio-marzo Ma il Simonidis che torna a Parigi in quell anno è molto più forte sul piano del prestigio e degli appoggi di vario genere. La movimentata vicenda dell arresto berlinese, presto finito nel nulla per un conflitto di competenze tra Regno di Prussia e Granducato di Sassonia (l uomo, arrestato a Lipsia, non poteva essere processato a Berlino), era ormai alle spalle. «Il criminale Simonidis» lo aveva definito, allora, il capo della polizia berlinese, Wilhelm Stieber, in una lettera del 22 marzo 1856 probabilmente indirizzata a Tischendorf, tuttora conservata alla Universitätsbibliothek di Lipsia. Dalla accogliente Baviera, Simonidis aveva replicato a chi lo accusava di aver creato un falso; era poi passato a Vienna dove comunque piazzò il falso palinsesto del Pastore di Erma (Vindob. Suppl. Gr. 119). Il suo passaggio in Inghilterra fu adeguatamente preparato e avvenne non senza contrasti e interferenze dall esterno. 282 Il volume di Charles Stewart, biografico e apologetico (1859), fu il segno tangibile dell appoggio di cui egli godeva in alcune cerchie. Poco dopo, Simonidis ebbe un trionfo mediatico con la sontuosa pubblicazione dei cospicui frammenti neotestamentari (Matteo, Lettera di Giuda etc.) da lui creati ma fatti giungere abilmente (con l aiuto del reverendo Stobart) nella collezione egittologica di Joseph Mayer di Liverpool. Fac-similes of certain portions of the Gospel of St. Matthew written on papyrus in the first century and preserved in the Egyptian Museum of Joseph Mayer, Esq. Liverpool (data di pubblicazione 1861) fu un successo in molti ambienti: era la più antica testimonianza del Nuovo Testamento! Il successo non fu senza ombre: il conservatore dei manoscritti del British Museum, Frederich Madden, non si lasciò abbagliare, anche se oculatamente acquistò quella parte della mercanzia di Simonidis che gli sembrò autentica (dall Epitafio di Iperide ai fogli del Vatopedi 655, divenuti Additional 19391). Lo scandalo tedesco pesava. Dalla Grecia si levò una voce accusatoria («, 30 settembre 1861) che intendeva mettere in guardia dall empio falsario che inventava e ritoccava testimoni pseudo-antichi della Sacra Scrittura; ma in altri ambienti (per esempio ecclesiastici) quell insperato antico testimonio del Vangelo di Matteo risultava gradito. E in Francia intanto divertite cronache dello smacco subìto dalla scienza tedesca nella sua più alta e autorevole

124 espressione (l Accademia berlinese delle Scienze) arricchivano il quadro. Non ci sarebbe stato un così inatteso successo se a Londra e Liverpool non ci fosse stata una forte rete protettiva. In Francia dunque Simonidis giunge, nel febbraio del 1864, con doni (sue opere) da destinare opportunamente alle biblioteche e alle istituzioni in cui intendeva operare. Le sue litografie zeppe di inediti (epigrafi e papiri soprattutto: ) 283 furono donate alla Bibliothèque Impériale, dove tuttora si trovano, il 27 febbraio All Académie des inscriptions et belles lettres (Institut de France) Simonidis destinò un donativo molto più ampio; alle due raccolte litografiche aggiunse quanto era venuto pubblicando in Inghilterra, a Londra: il trattato, in greco e in inglese, sui geroglifici ( ), 1860; il trattato su Horus of Nilopolis, 1863; e il sontuoso Matteo, Probabilmente era all Institut che gli premeva di ottenere maggiori aiuti. Il giorno in cui incontrò il segretario dell Académie, Brunet de Presle, per effettuare il donativo, è il medesimo in cui Brunet de Presle procedette alla presentazione ufficiale dell edizione con fac-simile dei papiri del Louvre. Ed è appunto al più ampio e rinomato di essi, 284 il cosiddetto Eudosso, che Simonidis poté allora accostarsi. C è più di un indizio in tal senso, che riconduce ancora una volta allo pseudo-artemidoro. L Eudosso non solo presenta, come lo pseudo-artemidoro, testo e immagini che si alternano sul recto (e si tratta in entrambi i casi di immagini che non hanno visibile relazione con il testo cui si affiancano), ma addirittura presenta, come lo pseudo-artemidoro, un intenzionale e inusuale nesso tra recto e verso. L Eudosso presenta sul verso un acrostico, in posizione centrale e attorniato da documenti (di controversa datazione), che si riferisce al testo para-astronomico presente sul recto (a sua volta intramezzato da segni zodiacali più o meno fantasiosi): ed è dall acrostico posto sul verso che si ricava la (fallace) attribuzione a Eudosso del testo che si trova sul recto. Analogamente l inconsueto nesso recto/verso viene stabilito anche nello pseudo-artemidoro: il manipolo di animali più o meno esotici che figura al centro del verso del papiro occupandone la gran parte altro non è che quel gruppo di animali che, manifestando molto scetticismo, Strabone (libro XVI) dichiara di ricavare dalla «Trogloditica» di Artemidoro. 285 Gli animali del verso rimandano ad Artemidoro che è l autore cui il testo posto sul recto vuol farsi attribuire. Non deve stupire che proprio un fenomeno anomalo sia stato oggetto di imitazione: al tempo in cui Simonidis decise di irrompere, con le sue creazioni, nel mondo dei papiri la quantità di materiali disponibili come termini di confronto era assai minore che oggi o già all inizio del XX secolo: c erano i papiri di Ercolano (la cui scrittura è imitata dallo pseudo-artemidoro), 286 i papiri di Iperide (la cui scrittura Simonidis imitò in molte sue creazioni, dall Uranios al Matteo ai pezzi

125 storiografici minori da lui detti ), e i papiri del Louvre, che finalmente diventavano accessibili dopo le traversie che ne avevano ritardato la pubblicazione. Rimirare quella scrittura così diseguale e quella presentazione testuale così sconcertante non fu senza frutto, come s è appena osservato. Anche la singolarissima forma dello molto simile allo zeta dell alfabeto latino (Z) passò dall Eudosso allo pseudo-artemidoro Ma anche il soggiorno alla Bibliothèque Impériale diede frutti. Come sappiamo, ne dà conto con soddisfazione, in una lettera proprio del 18 marzo 1864, lo stesso Simonidis, 288 che sembra stendere un vero e proprio rapporto sull attività svolta indirizzato all amico J.E. Hodgkin. Parla di opere inedite, trovate tra i manoscritti greci del Département des Manuscrits, la cui pubblicazione farà epoca, e parla, in coda al lungo rapporto, daccapo di altre scoperte fatte nel medesimo Département: «Molte lettere inedite, scritte in greco, di dotti», e precisa «riguardanti la chiesa di Roma», «e molto necessarie in funzione del tuo trattato 289 storico». La dichiarazione è interessante, seguita anche dal cenno a un esemplare dei completi in greco del Concilio di Firenze, perché conferma il lavoro di gruppo entro il quale Simonidis si è inserito. La visita dev essere stata intensa e non tutto il programma di lavoro (ammesso che ce ne fosse uno prestabilito) è stato attuato. Perciò al principio della lettera dice che, se avesse avuto più tempo e non dovesse tornare a Londra, avrebbe certamente trovato «molti altri scritti di antichi greci»; e alla fine della lettera, dopo aver segnalato i materiali che interesserebbero Hodgkin, conclude: «Se avessi tempo sufficiente li copierei per la pubblicazione». In questa intensa visita sono venute fuori «lettere inedite di dotti bizantini». Non è da scartare l ipotesi che, tra queste lettere inedite, gli siano apparse degne di nota quelle di Tzetzes contenute nei due Parigini greci 2644 e 2750, nel secondo dei quali una nota manoscritta moderna 290 segnala che si tratta di inediti. 291 Un altro campo sterminato e fertile di inediti epistolari erano, ovviamente, le lettere di Niceforo Gregora (che sono rimaste di fatto inedite fino al 1925). A Parigi Simonidis poté trovare il manoscritto greco 3040 (XVIII secolo), che ai fogli comprende lettere di Niceforo Gregora: autore a lui ben familiare, tra l altro, per l elogio che ne fa Meletios al principio della sua Geografia 292 in ragione per l appunto delle considerazioni introduttive e di metodo che Niceforo dedicava alla geografia nella introduzione alla sua, da non moltissimo apparsa nel «Corpus Bonnense». 293 Le suggestioni ricavate dalle prefazioni di Niceforo Gregora e di Meletios ai fini della creazione dell incredibile proemio dello pseudo-artemidoro sono molteplici,

126 non ultima l insistenza sul cosmo quale, concetto che in Niceforo (Bekker-Schopen, p. 4) si fondeva e mescolava con quello, a lui caro, della realtà naturale «araldo muto» ( ) del creato ( ) cui si oppone in modo fecondo la, la voce parlante degli scrittori, i quali «in eterno» ( «filosofeggiano» ( ), naturalmente (p. 5, 5). Il tutto arricchito, in Meletios, dall immagine del geografo che «incontrando le Muse, si unisce al loro coro» ( ). Chiunque può riconoscere in questi due proemi i motivi che si ritrovano nel proemio (col. I) dello pseudo-artemidoro. 294 Dove ugualmente spicca quell espressione («quel peso veramente degno di Atlante», ) che sbuca fuori nel bel mezzo della seconda epistola di Tzetzes, per giunta corredata di altri due elementi pseudo-artemidorei lievemente variati ( ). 295 Ovvero l immagine, a Simonidis piuttosto familiare, del «battersi in difesa della scienza» (Epistolimaia Diatribé, Londra 1860, p. 25), 296 che ricorre nella Epistola 35 di Niceforo 297 e campeggia nelle prime righe (12-13) della colonna I dello pseudo-artemidoro. Insomma anche la seconda visita alla Bibliothèque Impériale fu proficua, come Simonidis ripete più volte senza risparmiare elogi ai bibliotecari francesi e alla loro benevolenza di contro alla degli «oscurantisti» ( ) che dirigono il British Museum. 282 Un feroce e illuminante intervento contro di lui, che era apparso nella «Allgemeine Zeitung» di Augsburg del 28 novembre 1853, fu ripreso da vari organi di stampa inglesi, quali «The Athenaeum» e «The Gentleman s Magazine» nel febbraio e nel marzo del 56, all indomani dello scandalo berlinese. Il conservatore dei manoscritti del British Museum lanciò un allarme preventivo contro di lui. 283 Entrambe presentano Odessa (1854) come luogo di stampa. 284 Da tempo lì giacenti senza che Jean Antoine Letronne riuscisse a compiere la sua fatica editoriale. 285 Cfr. supra, cap. XII. 286 Cfr. D. Delattre, La main du Papyrus dit «d Artémidore» et les écritures dessinées de quelques papyrus d Herculanum, «QS» 68, 2009, pp , nonché R. Janko, The Artemidorus Papyrus, «The Classical Review» 59.2, 2009, pp Su ciò cfr. Il papiro di Artemidoro, p. 431 e tavole 3a, 3b. 288 Cfr. supra il cap. XVI Andare per manoscritti greci. 289 (argomento). 290 Segnalata da Harles nel rifacimento della Bibliotheca Graeca del Fabricius (XI, p. 239, nota 44). 291 Theodor Pressel le aveva pubblicate in buona parte a Tübingen (1851) ma la cosa poteva essere rimasta inosservata. L edizione (fuori dalle collane più note) non ebbe grande diffusione. 292, Venezia 1729 ( ). Libro di testo assai noto e diffuso non

127 soltanto in ambito greco. 293 Vol. 38, a cura di I. Bekker e L. Schopen, Bonn Del resto non sarà casuale che Simonidis abbia inventato un Meletios di Chio come autore della sua, falsa,. 295 Su ciò cfr. L. Canfora, Una fatica veramente atlantica, «QS» 70, 2009, pp «Sono pronto a fare tutto il possibile in difesa della scienza» ( ). 297 Ed. Les Belles Lettres, 1927, a cura di R. Guilland, p. 153: «.

128 XXII. L Artemidoro, capolavoro mancato 1. Colmare un vuoto è il primum movens per qualunque falsario. Tra i falsi geografici che Simonidis pretendeva di aver realizzato ma non poté divulgare ce n è uno la cui esistenza è stata sin qui ignorata: l intero Anaplus Bospori di Dionigi di Bisanzio. Egli ne parla in una lettera all erudito antiquario James Yates del 17 aprile Come si sa, la gran parte di quell opera fu sottratta nel 1841, da Minoide Mynas, dal medesimo Vatopedi 655 depredato, dieci anni dopo, da Simonidis. Simonidis pretendeva di aver scoperto, ricopiato e commentato l intero Anaplus Bospori, sulla base appunto di quel manoscritto. Aggiungeva che tale copia gli era stata rubata dal capo della polizia di Berlino Stieber nel gennaio 1856, il quale l aveva poi regalata a «professori tedeschi amici della polizia». (L allusione a Dindorf, Lepsius e allo scandalo di Uranios è evidente.) L Anaplus Bospori, assente, tranne gli estratti latini di Gillius, dai Geographi Graeci minores di Müller, appariva perciò a Simonidis come un desideratum: uno stimolo per la sua fantasia di falsario, confortato dalla certezza che almeno un esemplare di quell opera, a un certo punto, era riemerso. 299 Nella stessa lettera Simonidis vanta anche molte altre sue scoperte di opere geografiche ( ), ma non dà altri dettagli. Costruire uno pseudo-artemidoro, o meglio la sua epitome, che Simonidis evoca più volte, era un obiettivo quasi obbligato per un devoto della geografia greca, il quale si era già cimentato in creazioni di varia fortuna: Artemidoro appariva chiaramente, dal modo in cui ne parla Marciano, autore ben noto a Simonidis, il grande assente delle raccolte geografiche, così come assente è nei Geographi di Karl Müller, che, pure, progettava di includerlo nella sua raccolta. C è una evoluzione tra il 1860 e il 1864 nel modo in cui Simonidis si riferisce a Marciano. Nella lettera al «Liverpool Daily Post» del 25 agosto 1860, quando ha appena terminato l opera geografica di Androstene, e ne dà notizia attraverso la stampa, presenta Marciano (sua fonte) come autore della «Epitome del periplo di Menippo». Invece nei Prolegomena (1864) al Periplo di Annone (p. 16) Marciano diventa l autore del Periplo di Artemidoro e Menippo, e ciò sulla base delle letture che abbiamo a suo tempo ricostruito. 300 Dunque Simonidis ha studiato, in quegli anni, la complicata vicenda dell opera di Marciano cercando di stabilire quanto Artemidoro ci sia nella parte superstite della sua opera.

129 Il lavoro di raccolta dei materiali, come si è visto, si è venuto svolgendo nel tempo, a partire dal (presumibilmente) primo incontro col frammento su Panormos, porto di Cefalonia. La composizione dovette procedere in tempi diversi. Sembra ragionevole pensare che, inizialmente, non ci fosse che il «periplo» (colonne IV-V), che infatti pretende di incominciare con un inizio : «A partire dai monti Pirenei etc.» ( etc.); ma che purtroppo incorre nell incidente di adoperare come inizio un brano, il cosiddetto fr. 21 Stiehle, che invece tale non era e che anzi proviene da un contesto in cui palesemente non costituiva l inizio. 301 In realtà, come diremo più oltre dettagliatamente, il fine della fabbricazione era modesto: non più che un epitome in forma di periplo, imperniata su di un frammento (lunghetto) di Artemidoro già disponibile. Servirsi, per rendere più autenticamente antico il prodotto, delle varianti del fr. 21 presenti nell unico testimonio che lo tramanda, il Parigino greco 2009, 302 non fu una brillante trovata, perché ha reso più facile identificare l operazione compiuta. Lo confortò, nella manipolazione del frammento, constatare che già Isaac Vos lo aveva riscritto trasformandolo nella forma in cui poi si è trascinato da un edizione all altra. 303 Vos aveva dato forma al suo tentativo in un libro che Simonidis conosceva benissimo: le Observationes ad Pomponium Melam de situ orbis (1658), che Simonidis cita più volte in prefazione all Annone. 304 Per giunta quella pagina di Vos fu ripresa pari pari e posta al termine dell opera da Alexandrides nella Raccolta delle epitomi geografiche, opera familiarissima a Simonidis edita a Vienna (1807) dai fratelli Zosimadai. Solo in un secondo momento Simonidis immaginò di creare anche un cappello proemiale, un elogio della geografia (e del geografo) alla maniera del grande manuale neogreco di Meletios (del quale abbiamo detto supra nel capitolo Ancora Parigi). Il fine essendo quello di un epitome in forma di periplo, l incauto autore non si pose il problema che un testo che dà istruzioni a chi si accinga a un opera geografica 305 non può che essere un esordio generale laddove, nel vero Artemidoro, la Spagna era nel libro II, che non poté incominciare con un proemio generale e fondativo per giunta introdotto da parole denotanti inequivocabilmente l INIZIO. Per creare questo elogio sommamente ostico e sconclusionato, Simonidis ricorse a vari materiali: dalla prima riga di Strabone ai primi capoversi della Géographie générale comparée di Carl Ritter, all inedita orazione di Eustazio per Manuele I Comneno (leggibile all Escorial 306 nel manoscritto Y.II.10 zeppo di epitafi inediti e di oratoria d apparato e sacra, da poco segnalato da Miller), dalla Seconda Epistola di Tzetzes (che nel Parigino 2750 era segnalata come inedita) all inedita Epistola 35 di Niceforo Gregora, alla praefatio dello stesso Niceforo tanto apprezzata dal suo prediletto Meletios. Insomma un collage di frasi e di fonti, il cui risultato non è eccelso e che tanto più zoppica sul piano logico quanto più è frutto

130 di un bricolage tra varie fonti pescate tra inediti di vario genere. L incipit abilmente costruito intrecciando Ritter e Strabone era una bella alzata d ingegno, ma anche un azzardo. Era una fatica più complessa dell Annone o del Matteo o del Tucidide, che sostanzialmente replicavano testi già esistenti, sia pure con imponenti aggiunte in forma di sesquipedali subscriptiones. E comunque anche Annone era stato un gran lavoro, condensato nei ricchissimi Prolegomena, che Thomas Hodgkin, lo storico, congiunto di John Eliot Hodgkin, aveva suggerito a Simonidis di presentare alla Royal Geographical Society: lì già c erano riferimenti a Marciano e ad Artemidoro. 2. Ma questa volta qualcosa non funzionò. Il 9 e 10 febbraio 1863 si riunì a Londra la Royal Society of Literature per esaminare i papiri della collezione Mayer, tra i quali Simonidis aveva «scoperto» il Matteo e via via altre perle, nonché il palinsesto di Uranios. L 11 febbraio fu letto in pubblico il risultato della riunione, che fu di netta condanna: avevano preso parte alla discussione Madden, Rawlinson, Goodwin, Simonidis stesso (assistito, come riferisce il Report del Council della Royal Society of Literature, «da uno dei suoi amici greci»). Tra gli argomenti addotti contro l autenticità del materiale ci furono: la somiglianza della scrittura un po in tutti i papiri presi in considerazione, la somiglianza con la scrittura di papiri documentari di varie epoche, il colore non uniforme dei vari pezzi di papiro messi insieme, l inusuale lunghezza delle linee di scrittura. C.W. Goodwin (il quale aveva fatto pochi anni prima l expertise per Churchill Babington del papiro dell Epitafio di Iperide venduto anch esso da Stobart) fece notare che in un caso vi erano tracce di carta assorbente di colore rosso, usata, secondo Goodwin, per erodere la scrittura ieratica, preesistente sullo stesso papiro, e far posto alla scrittura in greco. Nella stessa seduta però fu riconosciuto che due rotoli in scrittura ieratica esibiti da Simonidis erano da considerarsi genuini. Quando fu portato all esame dei dotti presenti il palinsesto di Uranios, 307 si determinò una situazione imbarazzante. Si pose, ovviamente, la domanda: se la scrittura inferiore (cioè Uranios) è falsa, cosa pensare di quella superiore? 308 Non si approdò a nulla, perché si disse «non abbiamo sotto mano un microscopio». Un microscopio avrebbe dovuto servire a stabilire se la scrittura inferiore fosse stata pazientemente dipinta ex post dal falsario negli spazi disponibili, negli interstizi all interno di ciascuna lettera e tra una lettera e l altra, e senza mai sovrapporsi alla scrittura superiore (del XII secolo). Notare che si tratta di ben settantadue fogli di pergamena, sicché l ipotetico lavoro di intarsio avrebbe dovuto risultare quasi sovrumano. Altrimenti non restava che prendere atto che anche la magnifica scrittura superiore è un falso dello stesso Simonidis o,

131 in alternativa, che entrambe le scritture sono autentiche! (Lo stesso dilemma si pone anche per i trentuno fogli dal Pastore di Erma, dove ugualmente la scrittura superiore è, a dir poco, ineccepibile.) 309 In verità i convenuti alla Royal Society di Londra si richiamarono a un esame al microscopio fatto a Berlino, «nel gennaio 1856» dai «ben noti microscopisti, i professori Christian Gottfried Ehrenberg, Heinrich Wilhelm Dove e Gustav von Magnus, i quali avevano condannato l Uranios». 310 Incauta dichiarazione quella del Report londinese visto che i verbali delle sedute dell Accademia delle Scienze, di cui quei tre erano membri («physikalisch-mathematische Klasse»), sono conservati, come sappiamo, e scritti di pugno di August Böckh; e da tali verbali risulta che i tre avevano affermato, in gennaio, esattamente il contrario. Del resto, ecco come Freytag rievoca la scena: «L Accademia delle Scienze fece esaminare il manoscritto dai più diversi punti di vista: a tal fine lo affidò a un buon numero di suoi componenti. Due grossi nomi analizzarono la cosa dal punto di vista chimico, un altro grande nome procedette a un esame al microscopio, numerosi grandi dotti si diedero ad un esame critico. La conclusione fu: sì, questi sono i nostri antenati!». 311 I tre Ehrenberg, Dove e Magnus risultano regolarmente presenti nelle sedute del 10 e 17 gennaio 1856 (in cui tutto sembrava andare a gonfie vele per l Uranios), mentre nella seduta del 31 gennaio, nel corso della quale tocca ai presenti di ascoltare la comunicazione nr. 16 del presidente ( Uranios è falso ), il solo assente è Magnus, il fisico e tecnologo cui era stata affidata l ispezione al microscopio. Dunque la Royal Society si liberava del problema troppo alla leggera, visto che gli esami al microscopio cui si richiamava avevano dato nel gennaio 56 un risultato opposto a quello asserito nel Report (ammesso che ci fosse davvero stato poi anche l altro responso). Preferirono glissare, anche perché andare a fondo, su questo terreno, significava ammettere una maestria inaudita da parte di Simonidis, per esempio nelle scritture minuscole. 312 L argomento al quale si erano aggrappati era invece un altro: la scomparsa, dal testo di Uranios, di quella espressione (che avrebbe dovuto significare «a mio parere») che Dindorf aveva tranquillamente stampato nella sua sventurata edizione-anteprima dell Uranios 313 e che invece aveva giustamente insospettito qualcuno poiché stilisticamente moderna. Ora, nello stesso punto del palinsesto, in luogo di quelle parole anacronistiche, si leggeva un più classico («come sembra a me»). Il prestigiatore Simonidis ne aveva fatta un altra delle sue. Fu richiesta a Dindorf un attestazione scritta sulla precedente variante 314 e l argomento parve giustamente molto pesante. In conclusione: anche se la seduta londinese non approdò a un verdetto formale, l impressione complessiva (nonostante le perduranti ombre sull intera vicenda Uranios) fu che Simonidis non ne fosse uscito bene. E questo non poteva

132 non toccare anche l Annone, appena stampato, poiché nell esame della collezione Mayer nel suo complesso, la Royal Society si era certo occupata anche del cospicuo papiro contenente il Periplo. 315 Questo però non bastò a bloccare la pubblicazione, al principio del 1864, del Periplo di Annone, opera ricchissima di dottrina nell ampia introduzione, e ricca di repliche polemiche ai critici nelle appendici che figurano dopo il testo. Quest opera ebbe larghissima diffusione e si trova in molte biblioteche in Europa e in America. (Lo stesso Simonidis fece in modo che giungesse alla parigina Académie des inscriptions.) C è anche da dire che Joseph Mayer, il collezionista fortunato possessore del ben di Dio prodotto da Simonidis, aveva già pagato le spese di stampa per una tiratura di duecento copie (centinaia di sterline!) e anche le spese per i viaggi di Simonidis «to London, Paris and Cambridge for matter entirely connected with M. Mayer s papyri». 316 Convinto, a torto, di essere finalmente in una posizione di forza nei confronti dei critici (Tischendorf in primis) che avevano smascherato Uranios, Simonidis aveva fatto l errore di scatenare, alla fine del 1862, un contrattacco : aveva lanciato sulla stampa inglese una campagna volta a dimostrare che il codice Sinaitico della Bibbia, sottratto al monastero di Santa Caterina nel Sinai appunto da Tischendorf e portato con grandi clamori in Europa, era in realtà opera sua: di un Simonidis giovane e, agli ordini dell igumeno Benedetto, intento a fabbricare un magnifico esemplare antico della Bibbia per lo zar Nicola. L «affare del Sinaitico», come è stato chiamato dal bravissimo J.K. Elliott (Codex Sinaiticus and the Simonides Affair, 1982), creò qualche dissapore anche all interno della cerchia inglese che proteggeva Simonidis. J.E. Hodgkin, come s è già detto, 317 avviò una riservata inchiesta a Odessa per appurare se le lettere di Callinico che confermavano la paternità simonidea del Sinaitico, incluse da Simonidis in uno dei volumi litografati da lui stesso, fossero autentiche. Sta di fatto che, come scrive senza fornire molti dettagli 318 James Anson Farrer, Simonidis nel 64 «lasciò, a quanto pare, precipitosamente l Inghilterra». 319 Fece perdere le sue tracce. Diffuse la notizia della propria morte nell ottobre 1867, ma dopo alcuni anni riprese a colpire 320 forse facendo ormai base ad Alessandria. 3. Le esatte circostanze della fuga sono oscure. Quello che sembra legittimo affermare è che i papiri che Simonidis aveva prodotto rimasero presso Mayer: forse per volontà di entrambi visto che il curatore della collezione Mayer era J.E. Hodgkin, principale alleato di Simonidis. E Mayer, nonostante le contestazioni crescenti cui Simonidis era andato incontro, non solo conservò presso di sé tutto quel materiale ma lo incluse alla sua morte nel lascito per il museo di

133 Liverpool. Privato della sua rete inglese, Simonidis sperò, con la trovata della falsa morte, di creare le premesse per una ripresa, comunque, delle sue attività. Ed è in certo senso ammirevole che ci sia in parte riuscito se è vero che ha «lavorato per H. Brugsch», come attesta Seymour de Ricci; 321 e ha fatto giungere in Germania il nuovo suo falso (Eschilo, Persiani) appunto tramite Brugsch. Il quale non poteva certo ignorare chi lui fosse, e nondimeno si prestò all attuazione di questa nuova impresa offrendo un aiuto prezioso: quello di apparire lui come mittente del nuovo frammento. Quando Simonidis sia davvero scomparso non è facile dire con certezza. Né è chiarissimo fino a che punto il legame con la sua rete inglese si sia interrotto visto che, pur ufficialmente già morto nel e lontano ormai dall Inghilterra, il 23 agosto 1869 Simonidis invia, con dedica al medico Alexander Craig Gibson ( ) il suo ricchissimo opuscolo di papiri storici (Liverpool 1864), ovviamente falsi ( ), denominati «Codex Thebanus» in evidente mimesi rispetto ai papiri di Iperide. Per lo meno il legame con Craig Gibson non s era interrotto. 4. Tra questi testi storiografici da lui creati, contenenti spesso scene di battaglia, e di battaglie navali in particolare, va segnalato l ampio frammento degli immaginari di Androstene. Androstene è presente anche lui nella prefazione di Marciano al Periplo di Menippo, 323 dove figura come autore che ha saputo scrivere «ragionevolmente» [?],, insieme a molti altri nomi. Simonidis già scrivendo al «Liverpool Daily Post» quattro anni prima (6 settembre 1860) aveva dato notizia del papiro di Androstene in suo possesso richiamandosi ancora una volta al testo di Marciano: «Marcianus in his Epitome of the Periplus of Menippus speaks of Androsthenes, son of Diodorus, as a geographical writer of some note». 324 È una traccia interessante questa lettera al giornale di Liverpool: mostra come talvolta intercorressero anni tra la creazione, da parte di Simonidis, di un pezzo (papiro o pergamena che fosse) e la effettiva sua diffusione; e mostra come egli tornasse sempre sulla stessa rassegna di autori geografici (dove il più diffusamente trattato è Artemidoro) per trarne spunti per i suoi falsi (Annone, Androstene, Artemidoro sono tutti elencati e presentati in queste pagine di Marciano). 5. Mentre la «Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft» del 1871 registra una morte di Simonidis a Londra (non ad Alessandria), il poligrafo

134 Chatzephotis, nelle note biografiche su Simonidis, 325 lo fa morire nel monastero di San Saba nel Un necrologio del «Times» di Londra del 20 ottobre 1890 lo fa morire invece in Albania appunto nell ottobre di quell anno, ma lascia intendere che potrebbe anche non essere effettivamente morto. Nel 1907 si tornò a parlare molto di Simonidis e alcuni dei suoi vecchi sodali inglesi alquanto se ne stupirono. Si verificarono in quell anno due fatti, in due scenari tra loro lontani, ma in un certo senso convergenti dal punto di vista dei risultati. A Londra, presso Longmans, Green & Co., esce un volume, Literary Forgeries, scritto da un sessantenne poligrafo educato a Eton e a Oxford, James Anson Farrer, che dedica un ampio e ben documentato capitolo a Simonidis. L intento, abbastanza evidente, dell autore è di confutare quasi tutte le accuse rivolte a Simonidis come falsario. Come in un plaidoyer di avvocato, Farrer vanifica gli argomenti della Royal Society (essenzialmente di Madden) contro i papiri della collezione Mayer e in vari casi formula critiche pertinenti; addirittura ribalta l opinione prevalente sull affare del Sinaitico e prova a sostenere che davvero potrebbe essersi trattato di un prodigioso lavoro di Simonidis. Di costui si cercava da tempo di non parlare più, di dimenticarlo, e già l averlo ripescato fece scalpore, ma ancor più stupì il tono. Tanto più che, con quelle pagine, Farrer si addentrava in un campo per lui insolito. John Eliot Hodgkin (che era stato il «curator» della collezione Mayer) scrive a John Newton (22 marzo 1907) e giudica il libro di Farrer «spassionato, imparziale». 326 È lo stesso Hodgkin cui, nel marzo 1864, da Parigi, Simonidis scriveva raccontando le proprie scoperte di codici greci e caldeggiando ogni possibile iniziativa nella disputa sul Sinaitico. Intervenendo, nell anno 1900, sulla popolare rivista «Notes and Queries», Hodgkin trovò modo, partendo da un pretesto, di menzionare con onore Simonidis rivendicandone la veridicità (21 luglio 1900). Nel 1907, nella lettera a Newton, dichiara anche, nelle prime frasi, di aver aiutato Farrer nel suo lavoro, di avergli passato dei materiali («letters etc.»). Nel fondo «Simonidis» conservato nella Biblioteca Gennadios di Atene 327 si trova una lettera di Farrer a Hodgkin, scritta mentre Farrer era impegnato nella scrittura del capitolo Simonides delle Forgeries. Caro Hodgkin, Le sto lasciando tutte le carte che presi l altro giorno tranne i curiosi ricalchi in onciale che sembrano provenire dal Pastore di Erma. Sono ansioso di metterli a raffronto al British Museum con il facsimile di Tischendorf dello stesso scritto, situato al termine del suo codice. Io mi aspetto che il suo volume di lettere litografate contenga un trattato di Simonidis sulla, sull arte religiosa del Monte Athos. Una lettera, che ho trovato, di Alessandro Sturtza (per lo meno, credo che sia indicato lui con le lettere puntate A.S.S.) è datata da Odessa, 14 aprile 1852, e ringrazia per l invio di tale libro. Se le cose stanno così, bisogna presumere che anche le altre lettere furono effettivamente litografate in quella data.

135 La sistemazione delle carte è quasi a posto, il che io spero faciliterà il riferimento a esse, per usi futuri, se ce ne sarà bisogno. Suo J.A. Farrer P.S. C è una prova interna, p. 9, riga 17, della genuinità dell opera. La parola è stata omessa da Simonidis, e aggiunta dall autore del frontespizio. Cfr. il suo Λ completamente diverso dal λ di Simonidis. È un documento molto istruttivo sull elevato grado di collaborazione tra i due. John Newton è il figlio di quel Charles Newton che, negli anni , aveva ricopiato le epigrafi di Priene, poco dopo il viaggio che Pullan aveva compiuto in quella zona per conto della «Society of Dilettanti»; 328 anni prima lo stesso Simonidis aveva percorso quelle medesime contrade della Caria per ricopiare epigrafi e raccogliere antichità di ogni genere. 329 John Newton, che nel 1907 ha ottantaquattro anni, aveva ben conosciuto Simonidis negli anni Sessanta; ora ne parla con distacco: «Che io sappia tutte le persone coinvolte sono morte. Mayer, Tregelles, Tischendorf sono morti da tempo. Simonidis anche, che io sappia; e se è vivo del che io dubito perché non ha fatto segno?». 330 Notevole il margine di dubbio tuttora sussistente intorno alla mai bene accertata scomparsa di Simonidis. Ironicamente Newton respinge l incitamento proveniente da Hodgkin (e dal libro di Farrer) a riaprire la questione dei controversi papiri della collezione Mayer. «Ciò che a suo tempo mi colpì subito» scrive «è la facilità con cui Simonidis trovava papiri nella raccolta Mayer, mentre gli studiosi sul campo in Egitto e Palestina pensavano a trovare modesti frustuli.» 331 Comunque, «per entrare in quel Museo» scrive Newton «avrei anche pagato, ma lei ha tardato quarant anni a scrivermi, ed ora è troppo tardi. Ho ottantaquattro anni, sono afflitto dai reumatismi etc.». Insomma il tentativo Hodgkin-Farrer di riaprire il caso Simonidis nel 1907 sembra essersi arenato dopo questa risposta. Merita comunque attenzione un fenomeno abbastanza insolito: la pubblicazione simultanea in Inghilterra e in Germania, proprio a Lipsia, del libro di Farrer, che viene tradotto presso l editore Thomas di Lipsia a cura di F.J. Kleemeier col titolo Literarische Fälschungen. Tali pubblicazioni non restarono comunque senza effetto, se il recensore del Farrer nel «Gentleman s Magazine», vol. 302 (gennaio-giugno 1907, p. 327), finisce col concludere che tutto sommato il giudizio su Simonidis va riconsiderato e riequilibrato. E addirittura l anonimo recensore in «The Academy» (9 marzo 1907, p. 235) conclude il lungo resoconto del volume di Farrer con un elogio della «profonda erudizione» di Simonidis e con un sibillino non liquet sulla questione del Sinaitico. Farrer va ricordato qui era andato a visionare i papiri di Simonidis, e aveva descritto la collezione Mayer conservata a Liverpool, quando preparava il suo saggio. E aveva notato un dettaglio importante, che segnalò con scrupolosa

136 precisione: «Vi sono» scrisse «nella collezione, tre papiri ancora non srotolati, consunti e fragili, simili ad enormi sigari: chissà quali preziosi segreti dell antichità contengono!». 332 Segnalava cioè che a Liverpool nel Museo, nella collezione Mayer, c erano ancora tre inediti di Simonidis di grandi dimensioni. (Notiamo già qui, ma torneremo presto su questo punto, che cento anni dopo quei tre grossi papiri sono scomparsi!) 333 E si esprime in modo quasi ammiccante, come se avesse intravisto qualcosa del loro contenuto. Nello stesso anno 1907 usciva ad Atene un volume (382 pagine) sulla marineria bizantina: Hellenikòs Autokratorikòs Stolos, il cui autore si presentava sotto il nome di Konstantinos Saraphes Pitzipios, e si qualificava come alto ufficiale della marina greca. Saraphes Pitzipios (della famiglia di Pitzipios di Chio) sosteneva di essere entrato in possesso di un manoscritto cartaceo di ben 2085 pagine (di cui alla quinta pagina esibisce in fac-simile la 1074). La materia trattata nell ampio volume è vastissima; dovrebbe andare dall epoca romana a Costantino XI Paleologo, ma in realtà comprende anche una parte iniziale sull età greca classica e sulle tecniche di battaglia navale documentate da Tucidide nella sua Storia. Già subito (pp. 5-6) l autore segnala che le triremi in uso al tempo della guerra peloponnesiaca sono rimaste sostanzialmente immutate fino al Medioevo; accenna alla riorganizzazione periclea della flotta (p. 9) ma è un lapsus per temistoclea, quindi si sofferma sulle due classiche manovre della battaglia navale (il e il, l aggiramento e lo sfondamento al centro : pp ) con esempi tucididei, e mostra anche di conoscere pur se ne parla in modo impreciso la scoperta avvenuta nel 1881, tra i fondi dell Ambrosiana, di un manoscritto, 334 valorizzato e edito da K.K. Müller (Würzburg 1882) contenente il cosiddetto Strategikon di Siriano. Non ci addentreremo oltre in questa farragine, che l autore ricordiamolo sostiene di aver ricavato dal mastodontico manoscritto. Diremo piuttosto che, appena reso pubblico, il volume fu oggetto di un analisi minuziosa e severa nel «Neos Hellenomnemon» (4, 1907) da parte di Spiridione Lambros, il quale avanzò l ipotesi che il voluminoso manoscritto preso a base da Saraphes altro non fosse che la Byzantís di Simonidis, o meglio l opera la cui esistenza fu da Simonidis rivelata nelle prime pagine, introduttive, dei Kephalleniakà e menzionata anche dal criticissimo Rangabé quando smascherò quello scritto. 335 Ovviamente Lambros non pensa che nel esistesse già un opera che menzionava una scoperta avvenuta nel Il senso della connessione con la Byzantís è un altro. Non è necessario pensare che quando Simonidis fornisce, nel 1850, una pirotecnica lista di opere di migliaia di pagine (tra cui la Byzantís) esse esistessero già tutte: erano notizie di opere che Simonidis si guardava bene dall esibire, soprattutto perché non esistevano, così come non esistevano le numerosissime altre pagine di Eulyros dalle quali erano estratte le poche pagine

137 riguardanti Cefalonia. Erano idee, talvolta progetti, alcuni dei quali hanno trovato attuazione molto dopo. Il merito di Lambros consiste nell aver connesso l indigesto manoscritto che Saraphes Pitzipios dice di aver adoperato con il titolo (e argomento) della Byzantís di Simonidis. Se avesse saputo dei rapporti stretti tra Simonidis e i Pitzipios di Chio (e del manoscritto di Simonidis conservato fino a poco tempo fa, insieme all opera di Pitzipios, nella Biblioteca Korais di Chio) il suo sospetto sarebbe divenuto certezza. E ancor più si sarebbe rinsaldato nella sua ipotesi (che peraltro ha trovato consensi anche presso Henri Grégoire 337 e Karl Krumbacher) 338 se avesse potuto osservare che una parte dei frammenti storiografici creati da Simonidis (Leipsana Historikà) 339 contengono per l appunto immaginarie battaglie navali di epoca greca. 340 Dal punto di vista tecnico, la Byzantís fu un operazione molto meno sofisticata rispetto a quelle realizzate da Simonidis durante il soggiorno inglese. Un ritorno alle origini: esibire un solo foglio, su immaginari 2085, rassomiglia straordinariamente al procedimento usato da lui stesso ai tempi di Eulyros e della Symaïs. Non sappiamo, a meno che un eventuale nuova documentazione non lo chiarisca, quando Saraphes Pitzipios ha deciso di condensare in un libro quel manoscritto, né quando ne sia entrato in possesso. Quello che merita segnalazione è che anche questa operazione avente come base un altra fatica di Simonidis è venuta alla luce nello stesso momento (1907) in cui Farrer e Hodgkin tentavano quel rilancio di Simonidis che abbiamo prima ricordato. E come Pitzipios sfodera la, così Farrer rende noto agli studiosi (ma non a loro soltanto ) che esistono a Liverpool tre grossi papiri ancora inediti della collezione Mayer- Simonidis. 341 L operazione compiuta da Farrer fu molto più sottile: pur impegnandosi a demolire gli argomenti contrari all autenticità di Uranios, Annone etc., e pur mostrando di trovare fondata perfino la rivendicazione di Simonidis di essere lui l autore del Sinaitico, Farrer colloca comunque Simonidis tra i falsari più insigni. Lo difende sia come falsario nel caso del Sinaitico (che a rigore non sarebbe nemmeno un falso se commissionato, secondo la versione dei fatti cara a Simonidis, come manoscritto di tipo antico!), sia come autore di pezzi autentici ma revocati in dubbio dagli avversari con argomenti che lui si industria di demolire. Sicché l esclamazione con cui commenta la rivelazione dell esistenza di altri tre papiri di Simonidis (gli «enormi sigari») «chi sa quanti preziosi segreti dell antichità contengono!» sortisce un effetto di assoluta ambiguità. 6. È forse questo il momento per tentare di tracciare brevemente il profilo della

138 banda ruotante intorno al mecenate Joseph Mayer e al suo prodigioso calligrafo. La base per comprendere questo intreccio è il manoscritto Addit A e B della British Library, una cospicua raccolta di carte, lettere, documenti, fotografie messa insieme da John Eliot Hodgkin ( ) e approdata, grazie a suo nipote A.E. Hodgkin, appunto alla British Library. Il ruolo centrale di quest uomo si ricava già dal convergere in questo suo archivio monografico sul caso Simonidis di lettere (tantissime), a lui indirizzate, di quest ultimo, di documenti che lo riguardano, di lettere di Charles Stewart e di carte, anche riservate, di J. Mayer. La più clamorosa e significativa, tra queste, è la distinta delle spese sostenute da Mayer per finanziare Simonidis. 342 E non si capirebbe come mai un tale documento fosse finito nelle mani di Hodgkin se non si sapesse che egli era il curator proprio della collezione papirologica ed egittologica di Joseph Mayer. 343 Quella lista, cui s è già fatto cenno, è di per sé eloquente. Se Masson adombrava, nel suo bel saggio su «The Griffon» (giugno 1993), che Mayer fosse il protettore delle attività di Simonidis (p. 8), in questo documento vi è ogni possibile dettaglio a riprova: Mayer non solo paga per la stampa e per i viaggi di Simonidis necessari per le sue fabbricazioni ma anche per la traduzione dal greco in inglese dei suoi scritti. A tal fine vengono mobilitati diversi traduttori (dei quali viene registrato il nome), ciascuno con proprie tariffe. Curiosa la notazione a proposito delle spese di viaggio, che sarebbero «far larger» rispetto alle 65 sterline segnate. Hodgkin è anche uno dei traduttori delle opere che Simonidis viene componendo, anzi è quello di cui egli si fida di più. Quando lo zio di Hodgkin (quasi certamente lo storico Thomas Hodgkin [ ]) 344 incita Simonidis a comporre dei Prolegomena ad «Annone» da presentare alla Royal Geographical Society, Simonidis appena finito il lavoro invoca Hodgkin stesso come traduttore «unico in grado di affrontare l impresa». 345 Nel marzo del 1864, scrivendo a Hodgkin da Parigi, accusa ricevuta delle lettere di Hodgkin relative al «codice pseudosinaitico» (sic!) e gli assicura che sono state diffuse anche in tedesco ( ). Inoltre è in attesa degli scritti di Hodgkin sullo stesso argomento destinati al «Guardian» ( ) e al «Journal of Ecclesiastical Philology» ( ) «per tradurli lui stesso in francese» ( ) e «per diffonderli anche in Francia, nei più importanti giornali francesi». 346 Da tutto questo si ricava anche che c è stata, da parte di Hodgkin, attiva partecipazione alla campagna contro Tischendorf. E si ricava anche che il francese di Simonidis non doveva poi essere così scadente, come egli aveva fatto credere a

139 Sainte-Beuve e a Marcellus, se poteva ora impegnarsi nella traduzione francese degli interventi di Hodgkin in inglese, concordati con lui. (Era stata una trovata per farsi assistere meglio nella Bibliothèque Impériale?) Del resto Hodgkin si esprime anche sull autenticità dei papiri dell amico. Il 30 gennaio 1863 scrive a Dowson in difesa delle «lettere di Ermippo» e della «Carthaginian History» (parrebbe da intendersi Annone visto che precisa: il papiro presenta parole in più rispetto alle «printed editions») e quanto a Ermippo è categorico quando, il 30 gennaio 1863 (in vista della seduta di febbraio della Royal Society), gli viene chiesto di testimoniare come «curator» della collezione Mayer: «The Hermippus is as unquestionally genuine as is possible». 347 Egli aveva assistito allo srotolamento e Simonidis non era mai rimasto solo e non sorvegliato. In un caso poi il modo in cui Simonidis si esprime scrivendogli fa pensare alla consapevolezza esplicita di entrambi intorno alle falsificazioni via via apprestate («Ti accludo» scrive infatti Simonidis a Hodgkin). 348 È degno di nota che non scrivesse «sto preparando Annone» o «sto preparando Artemidoro», bensì, in tono più ammiccante, «ti mando il Simonidis». Del gruppo faceva certamente parte Stobart, in un ruolo che fu intuito dall anonimo autore dell attacco contro Simonidis apparso nell «(«Stella d Oriente») il 30 settembre Il ruolo da lui svolto è forse il più imbarazzante: vendeva (sia a Mayer che al British Museum) pezzi che Simonidis stesso aveva confezionato, e suggeriva poi che il dott. Simonidis fosse interpellato per riconoscerne il contenuto. Quando Joseph Mayer, nella dichiarazione scritta resa a James Yates nell imminenza della seduta della Royal Society (febbraio 1863), 350 attesta che i papiri riconosciuti e decifrati da Simonidis erano già in suo possesso prima che costui li ispezionasse è probabilmente in buona fede. E se lo è, la posizione del venditore Stobart diventa inevitabilmente quella del complice di Simonidis (a meno di non propendere per l autenticità di quei papiri, come farà Farrer qualche decennio più tardi). Se invece non lo è, il gioco diventa ancor più di squadra, e Mayer passa dal ruolo di collezionista naif a quello di collezionista scorrettamente proteso ad arricchire consapevolmente di falsi la propria collezione. E se di complicità si può parlare a proposito dei protagonisti di questa vicenda è difficile non considerare emblematico il dono che Simonidis, ormai ufficialmente morto, fa al chirurgo Alexander Craig Gibson datandolo 21 agosto Per costui era dunque ovvio che Simonidis fosse tuttora ben vivo. Né si penserà a una sciocca imprudenza da parte di lui. Lasciamo in ultimo Stewart, in questa rapida rassegna. Della sua fisica esistenza non ha senso dubitare visto che sono conservate sue lettere 351 e messaggi di Simonidis che comunicano a Hodgkin il suo recapito. 352

140 7. Negli anni successivi al 1907, nel turbine di vicende e di sconvolgimenti che hanno rischiato di annientare «il mondo di ieri», il nome di Simonidis riaffiora di tanto in tanto, imprevedibile. Nel 1921, in una pagina ben meditata e sottilmente ironica della Storia della filologia di Wilamowitz (un greco «stava per beffare persino l Accademia delle Scienze di Berlino»); nel 1922, in un sontuoso volume di G.A.E. Bogeng sui grandi collezionisti, che rievoca l acquisto avvenuto, in un anno imprecisato, da parte di Sir Thomas Phillipps, di una pergamena omerica «in scrittura antichissima»: 353 offerta all esperto collezionista da Simonidis, definito da Sir Thomas «uno dei maggiori conoscitori di manoscritti greci» nonché autore di falsi «che nessun Montfaucon avrebbe potuto scoprire». 354 Testimonianza interessante anche per quel che riguarda l attenzione di antica data di Simonidis per i vari alfabeti greci, viva sin dal tempo in cui aveva elucubrato sull alfabeto cario, non solo in una specifica dissertazione del 1843 (Smirne) ma anche nel corposo volume sulla scuola di Simi (1849). Di lui riparlò nel saggio di Warren Dawson (1934) sulla figura di un pioniere dell egittologia come Charles Wycliffe Goodwin (Oxford University Press), dove, con curioso perbenismo, il parere positivo di Goodwin sulla autenticità dei due rotoli in scrittura ieratica acquisiti da Mayer via Stobart già nel 1855 è molto sommessamente ricordato (pp ). Nel 1956, un intero capitolo gli viene dedicato nel IV tomo dei Phillipps Studies, dedicato a The formation of the Phillipps Library from 1841 to 1876 a cura di A.N.L. Munby, bibliotecario del King s College di Cambridge. 8. Ma è nel 1972 che Simonidis riappare, in modo consistente, sul mercato antiquario. Vengono messi all asta, a Londra, pezzi della Bibliotheca Phillippica (Phillipps), da Sotheby; e il 4 luglio 1972 vengono messi all asta e venduti numerosi pezzi di Simonidis. Innanzitutto quell Omero antichissimo per cui Sir Thomas non dormì un intera notte e che alla fine acquistò (è il nr. 16 della lista pubblicata da Charles Stewart). 355 Si presentava in scrittura bustrofedica e con la dedica a «Ipparco figlio di Pisistrato» da parte degli abitanti di Chio. Fu acquistato da Quaritch (lotto 1724). Seguivano Esiodo, Anacreonte, Tirteo, Focilide, tre crisobolli (il terzo dei quali dell imperatore Romano) 356 tutti acquistati da H.P. Kraus e finiti, almeno in parte, nella Yale University Library. E ancora: Dionigi di Furna (il trattato sulle tecniche della pittura bizantina, ricopiato e variamente interpolato da Simonidis, ma da lui attribuito, con una subscriptio, a un copista Acacio). In realtà la riscoperta stessa del trattato di Dionigi in uso come manuale nei monasteri dell Athos è legata strettamente alla biografia di Simonidis. 357 L abbondantissima messe (la notizia della vendita si meritò un intero articolo del

141 «Times» il 5 luglio 1972, ma l asta era preannunciata con un amplissimo servizio già il 24 giugno, a p. 12) seguitava con i preziosi manoscritti dei primissimi falsi del nostro: la Symaïs di «Meletios di Chio» (presente nel catalogo Phillipps come «History of the Byzantine Painting»). Nel luglio 1972 fu acquistata da Pickering & Chatto. Seguivano (lotto 1732) tre manoscritti che si aggiudicò Martin Breslauer: Cronache di Babilonia, gli Ethnikà di Eulyros e la Storia bizantina di Neocomo di Simi. 358 Seguono alcune opere a stampa di Simonidis, quale la sua edizione dell elogio di Costantino il Grande ad opera di Costantino Acropolita. La copia era impreziosita, come si ricava dal catalogo d asta, da una nota di pugno di Thomas Phillipps sull Uranios di Simonidis. Il fortunato acquirente fu, nel luglio 72, Winifred Myers. E ancora la Dissertation on Hieroglyphic Letters (greco e inglese) legata insieme a un pamphlet politico del principe Comneno (1853); una copia del Memoir di Stewart annotata da Thomas Phillipps (acquistata da Quaritch) e una striscia del papiro di Matteo (per il resto depositato a Liverpool nel fondo Mayer). Notevole anche una lettera autografa di Thomas Phillipps che difende l autenticità dell Omero bustrofedico e dell Esiodo. Altre vendite avvennero l 8 luglio 1975 e il 26 novembre dello stesso anno. Interessante per molte ragioni la vendita del luglio 75 comprendente non solo un Memoir di Stewart con correzioni autografe (lotto 3409) ma anche un ampia collezione di lettere, documenti etc. (lotto 3408) relativa ai rapporti tra Thomas Phillipps e Simonidis, ivi compresa una velina per il ricalco litografico con un testo relativo a Palefato: prova conclusiva del fatto che a Simonidis appunto va attribuito come intuì Girolamo Vitelli il frammento dalla praefatio di Palefato che Botti (e poi Jacoby!) presero per buono. Nello stesso lotto (acquistato anch esso da Bernard Quaritch) si notano frammenti omerici ed esiodei (di Simonidis) la cui peculiarità è la ricercata anomalia e rarità di forme dell alfabeto greco maiuscolo. 9. Il riemergere di tutto questo materiale, il cui cammino successivo alle tre vendite è difficile ricostruire, essendo gli acquirenti, a loro volta, degli antiquari, ripropose all attenzione la figura di Simonidis. Il frutto più apprezzabile di tale rinnovato interesse fu, anni dopo, il capitolo molto documentato di Christian Gastgeber in Kopie und Fälschung (Graz 2001). Ma il dato inquietante è la scomparsa dei tre «enormi sigari» dalla collezione Mayer di Liverpool. Non è facile stabilire quando tale scomparsa sia avvenuta. Dall inizio degli anni Sessanta al 1978 curatrice dei papiri del Museo fu Dorothy Downes, 359 attualmente presidente della Wirral Ancient Egypt Society. Non risponde nulla alla domanda (trasmessale tramite Fay Samuels) se ci fossero all epoca, nella collezione Mayer, «three unrolled papyri, time-worn and bittle, looking like huge

142 cigars»: 360 rinvia all attuale «curator» Ashley Cooke. Secondo Cooke, dagli «anni Ottanta» al 2003 è stato «curator» della collezione Piotr Bienkowski, attualmente al Manchester Museum oltre che docente in quella Università, già direttore del Wadi Arabah Project (indagini storico-archeologiche nel deserto del Negev). Bienkowski ha in mente «some papyrus cigars from my time in Liverpool» ma non ne ricorda alcun ulteriore dettaglio. 361 Non è stato possibile sapere altro e nemmeno attingere alla documentazione relativa ai visitatori («the history file for each object or collection noted» precisa Bienkowski [18 dicembre 2008] «who had enquired about it, visited it or published it»). La sola conclusione che sembra lecito trarre è che dopo il 1978 dovrebbero essere scomparsi quei tre «unrolled», e malconci, papiri. 10. In ragione dell emanazione nel 1972 delle leggi egiziane che hanno posto dei limiti più severi all esportazione di oggetti d arte (papiri o altro), l approdo (il presunto approdo dall Egitto) in Europa dello pseudo-artemidoro è stato collocato, dai suoi gestori, dapprima nello stesso 1972, successivamente addirittura nel Gli è stato attribuito come originario possessore Kashaba Pasha, attivo ad Asyut all inizio del Novecento, perché inizialmente si è voluto affermare che lo pseudo-artemidoro provenisse da una maschera funeraria (o da qualcosa del genere) e Kashaba era, tra l altro, un noto anche se non cristallino collezionista di maschere funerarie, la cui collezione è però (vedi fortuna!) in gran parte dispersa, mentre, d altronde, Asyut è di fatto inaccessibile. Riepiloghiamo. Tra il luglio 1972 e il giugno 75 si svolge nel mercato antiquario una intensa vendita di falsi papiri di Simonidis. Nel 78 il professor Bienkowski assume la direzione del Museo di Liverpool e tuttora ricorda di avervi trovato i tre «grossi sigari». «Negli anni Ottanta del Novecento qualche papirologo cominciò a essere consultato» sul cosiddetto Artemidoro. 363 In un primo momento, invece, si era sostenuto che «verso la metà degli anni Novanta» si fosse diffusa la notizia, «in una ristrettissima cerchia di papirologi», dell esistenza del cosiddetto Artemidoro. 364 In successive ondate le informazioni sulla provenienza dello pseudo-artemidoro son venute cangiando fino all infelice iniziativa di esibire a Berlino (13 marzo 2008) la foto «unica superstite» fino ad allora non esibita nel decennio di un oggetto di partenza del sofferente papiro, il cosiddetto Konvolut. Purtroppo la foto è risultata un fotomontaggio, 365 il che ha squalificato tutta la serie di «verità» sfoderate per spiegare l avvento del misterioso oggetto, nonché la credibilità, nel complesso, dell intera operazione. Quando poi i dubbi sull autenticità dello pseudo-artemidoro (che comunque non viene più ascritto a

143 quell autore nemmeno dai difensori dell antichità del reperto) si sono manifestati e Simonidis è stato indicato, con argomenti non facilmente esorcizzabili, come autore perlomeno del testo che leggiamo nel papiro, è stato sollevato, come estremo scudo a difesa, l argomento: ma perché il falsario non lo commercializzò a suo tempo, né lo pubblicò? Ora che abbiamo, sia pure in iscorcio, constatato che non tutta la produzione di Simonidis fu messa in circolazione né fatta oggetto di edizione, quel tipo di scudo potrebbe essere serenamente accantonato. 11. Ma forse è opportuno, dopo tante analisi particolari, tornare sul punto più indicativo: perché un prodotto così a lungo elaborato fu lasciato inedito? La fuga di Simonidis dall Inghilterra era avvenuta poco dopo la divulgazione quasi contemporanea di Annone e dei Frammenti storici. Il carattere improvviso di quella decisione può essere preso in considerazione come causa determinante. Per giunta molti materiali restarono a Liverpool mentre Simonidis si rituffava in Oriente facendo base ormai ad Alessandria. Dunque il prezioso pezzo non era più a sua disposizione, nelle sue mani. Ma forse intervennero anche altri fattori. Il pezzo presentava seri difetti, fatta salva l estrosa originalità. Errori di fatto, contraddizioni col vero Artemidoro, prestiti da opere agevolmente identificabili o da inediti che non erano tali: tutto questo non può non aver pesato nella decisione di lasciar stare il pezzo intorno al quale il versatile falsario aveva speso energie puntando forse al suo capolavoro nel campo da lui prediletto dei falsi geografici. E soprattutto c era stato l incidente della scrittura che era andata a imprimersi, capovolta, anche sul verso. Un fenomeno unico, mai attestato altrove in tale forma: la sua peculiarità consiste nella totale riproduzione sul verso della scrittura del recto (per giunta senza che quest ultima si sia significativamente attenuata). Le spiegazioni addotte dagli zelatori dello pseudo-artemidoro sono state, nel corso del tempo, diverse, tra loro incompatibili e soprattutto inconsistenti. Inizialmente pensarono a un copista frenetico che riarrotola nevroticamente man mano che scrive, 366 poi invocarono l umidità 367 trascurando di considerare che essa avrebbe prodotto confuse macchie nere e aloni di inchiostro non già un effetto timbro. La spiegazione più probabile appare invece quella prospettata e tecnicamente argomentata da Luigi Vigna: 368 un incidente nel corso del procedimento litografico. Il rischio di incidenti è relativo al delicato passaggio dall originale alla pietra litografica attraverso la carta trasparente su cui avviene il ricalco della scrittura. Della sua esperienza intorno ai lussuosi fac-simili di Annone Simonidis parla in questi termini: «I have endeavoured to give the colour and the character of the writing in the lithographic fac-simile, which is printed on two tables, to avoid folding». 369 Molte altre sono le

144 testimonianze sulla familiarità di Simonidis con tale procedimento, 370 a cominciare da lui medesimo nella lunga «evidence» sul proprio lavoro a Liverpool a fianco di Joseph Mayer, conservatasi tra le carte del suo stretto sodale J.E. Hodgkin, dove si parla di «pencils, tracing paper, engravings on blocks» etc. 371 Farrer addirittura trovò traccia di questi materiali di lavoro di Simonidis accanto ai papiri Mayer conservati a Liverpool. 372 Nella lunghissima lettera scritta in replica al Report della Royal Society del febbraio 1863 e pubblicata in appendice all Annone, Simonidis ricorda di aver usato la litografia già per la sua Storia dell Armenia, anzi precisa: «The latter were lithographed at the establishment of M. Cayol». 373 Più eloquente di ogni altra attestazione è forse la lista delle spese di Joseph Mayer, 374 dove si legge come prima voce: «To Bills various for the Lithographing of fragments still unpublished, viz. Saint John (on stone, but not printed), Hermippus (200 copies printed), Theopompus (on stone, not printed), Historical Fragments (200 copies printed), Dynasty of Carthage (200 copies printed), Hanno (200 copies printed)». L importo complessivo è di 225 sterline, somma decisamente imponente. Una nota avverte che 43 sterline, per il saldo di queste fatture, «have already been advanced by Mr. Mayer». L allarme per la bravura di Simonidis in questo campo l aveva lanciato, sin dal 1853, Mordtmann sulla «Allgemeine Zeitung» di Augsburg, 375 quando ne aveva denunciato le straordinarie capacità tecniche: «Espertissimo in tutti i ritrovati chimici e meccanici», «straordinaria capacità di imitare tutte le possibili scritture persino per quel che riguarda l inchiostro» (del che, come sappiamo, menava vanto lo stesso Simonidis, nella prefazione ad Annone, pp ). Il capolavoro, dunque, per le varie ragioni che si sono dette, rimase un capolavoro mancato, finché qualcuno non lo ha dissotterrato. 298 British Library, Addit , ff Müller riparò alla omissione inserendo, molti anni dopo, l Anaplus Bospori nel V volume (1883) dei Fragmenta Historicorum Graecorum. Ironia della storia: non pubblicò che il frammento rubato da Simonidis e venduto al British Museum, senza accorgersi che nel frattempo (1874) K. Wescher aveva pubblicato la maggior parte dello scritto sulla base dei fogli rubati da Minoide Mynas e finalmente acquisiti, a Parigi, dalla Bibliothèque Nationale. 300 Cfr. supra, cap. XV. 301 Era preceduto da qualcosa che spiegava che, prima della conquista e sistemazione provinciale da parte dei Romani, Ibería e Hispanía NON erano usati come sinonimi (la Ibería incominciava dal Rodano). E perciò il testo proseguiva osservando che però (fr. 21) «l area compresa tra i Pirenei e Gades viene anche chiamata, sinonimicamente, tanto Ibería che Hispanía». Non aver capito ciò ha portato già il dilettante bibliotecario Schubart (1840) e poi Meineke (1849) a devastare il testo sano di quel frammento facendo scomparire il prezioso

145 . Non a caso questa dannosa congettura si ritrova anche nel falso P.Artemid. (pseudo- Artemidoro): solo manipolando in quel modo il fr. 21 si può tentare di trasformarlo in un autosufficiente inizio. 302 Visto probabilmente nel 1854 piuttosto che nel 1864 (supra, cap. XXI, Ancora Parigi, a proposito delle scoperte fatte nel secondo soggiorno). 303 Tanto del De administrando imperio di Costantino VII, dove il frammento si trova, quanto del Lessico di Stefano, che dalla fine del Seicento in avanti lo ospitò. 304 The Periplus of Hannon, cit., p Su ciò va visto l apparato dei fontes in Artemidorus Ephesius, P.Artemid. sive Artemidorus personatus, ed. Societas emunctae naris, Edizioni di Pagina, Bari 2009, pp «Belonging to M. Simonides» dice il Report of the Council of the Royal Society of Literature on some of the Mayer papyri, and the palimpsest M. S. of Uranius belonging to M. Simonides. With letters from M.M. Pertz, Ehrenberg and Dindorf, Murray, London Evidentemente al momento della fuga dalla Germania era stato possibile a Simonidis di recuperare il suo palinsesto (e a Dindorf di recuperare i 2000 talleri che gli aveva versato per acquistare la patacca ). 308 Che trasmette il cosiddetto Quarto libro dei Maccabei (in realtà una Diegesis di Giuseppe Flavio) tramandato anche dal Sinaitico, ben noto a Simonidis. 309 Un immagine molto eloquente la si può trovare in Kopie und Fälschung (a cura di Christian Gastgeber), Akademische Druck, Graz 2001, p È inspiegabile come mai Hunger, nel catalogo dei manoscritti greci di Vienna, nel descrivere il palinsesto del Pastore di Erma di Simonidis (Vindob. Suppl. Gr. 119), dichiari senz altro autentica la scrittura superiore. Analoga inspiegabile certezza a proposito di Uranios traspariva già dal saggio di G. Freytag, Der falsche Uranios, «Der Grenzbote» 1856, nr. 7 (= L. Canfora-L. Bossina, Wie kann, cit., pp. 146 e 153). 310 Citiamo dal Report di quelle sedute, pubblicato a Londra nel 1863, p L. Canfora-L. Bossina, Wie kann, cit., p G.H. Pertz, il quale faceva parte dell Accademia berlinese, ma a Berlino dirigeva la Biblioteca reale e i Monumenta Germaniae Historica, aveva scritto a Madden, suo omologo nel British Museum, pochi giorni prima della riunione della Society londinese (15 gennaio 1863), sostenendo che dopo la relazione di Lepsius che smascherava l Uranios, dunque dopo la seduta del 7 febbraio 1856 (su cui cfr. «Monatsberichte der Königlich. Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin», Gesammtsitzungen vom 7. u. 14. Febr. 1856, p. 74), Ehrenberg, Dove e Magnus «dopo un esame al microscopio erano giunti alla medesima conclusione di Lepsius». È questa l attestazione del secondo esame al microscopio dopo quello ironicamente descritto da Freytag. Ma quel che colpisce di più è la puntualizzazione, subito seguente, di Pertz: «Essi trovarono che la scrittura dell Uranios passava di sopra al testo in minuscola», il che commenta Pertz «provava l impostura in modo inconfutabile». E però si doleva: «Né la loro opinione né la mia sono mai state pubblicate»! Che la seconda ispezione abbia notato ciò che era sfuggito alla prima (avente per fine il medesimo accertamento!) è molto strano: così come tutta la ricostruzione di Pertz apre nuovi quesiti anziché risolverli. Aggiungiamo che la lettera di Ehrenberg pubblicata in traduzione inglese in appendice al Report londinese ha un tono imbarazzato e difensivo.

146 313 Clarendon Press, Oxford 1856, p. 5. L espressione si trova nella lettera prefatoria, anch essa immaginaria, posta subito prima della Storia egizia. 314 Analogamente nello pseudo-artemidoro (col. V, 30) si è tentato (in modo molto meno abile) di far scomparire un (= 600) che dimostrava inoppugnabilmente che l autore non è Artemidoro, visto che il vero Artemidoro per la medesima distanza dà un altra cifra. Cfr. «QS» 64, 2006, pp ; 68, 2008, pp Questo parrebbe dedursi da J.A. Farrer, Literary Forgeries, Longmans, Green and Co., London 1907, pp , anche se il Report non lo afferma esplicitamente. 316 La sinossi delle spese sostenute è conservata, in autografo, nell Addit A, f. 128, dove una curiosa nota in parentesi avverte che le spese per i viaggi erano state in realtà molto più alte. 317 Cfr. supra, cap. XVII. 318 J.A. Farrer, Literary Forgeries, cit., p. 65. Non sono da escludere come causa di tale precipitosa decisione le crescenti difficoltà economiche cui Simonidis fa cenno nel lungo promemoria intitolato «Simonidis v. Mayer» compreso nel manoscritto londinese Addit A, ff. 359 ss. 319 C è però da segnalare che ancora nel 1865 l editore Trübner pubblica la sua edizioncina di Diocle di Caristo, di cui egli dedica una copia all amico chimico William Bollaert il 17 maggio 1865 (manca però la città da cui parte il dono). 320 F. Ritschl, Aeschylus Perser in Aegypten: ein neues Simonideum, «Rheinisches Museum für klassische Philologie» 27, 1872, pp Notes d épigraphie égyptienne, «Bulletin de la Société archéologique d Alexandrie» 11, 1909, p. 347: «Il fabriqua pour H. Brugsch un feuillet des Perses d Eschyle». 322 La notizia fu divulgata il 23 ottobre 1867 dal principe Rhodokanakis in una lettera indirizzata a Thomas Phillipps. Il principe era divenuto tale grazie a documenti inventati da Simonidis ed era Gran Maestro della massoneria greca nonché fondatore di logge massoniche in Inghilterra ed editore di scritti di Simonidis pubblicati negli anni Quaranta. 323 GGM I, p. 565, Cfr. J.K. Elliott, Codex Sinaiticus and the Simonides Affair, Patriarchikon Hidryma paterikon meleton, Thessaloniki 1982, p (Alessandria, Biblioteca patriarcale), 13, 1964, pp Addit A, ff Passato in rassegna da O. Masson (Le faussaire grec C. Simonides, cit.). La lettera fu incollata da Hodgkin dentro una raccolta di scritti di Simonidis acquistata, all asta, nell aprile 1931 da Giovanni Gennadios. 328 Cfr. «QS» 69, 2009, p Ch. Stewart, Biographical Memoir, cit., p Addit A, f Allusione shakespeariana (Enrico VI, atto III, scena III). [Segnalazione di M. Pinto.] 331 Osservazione che vale ben oltre il momento in cui Newton scrive e che ben si attaglia alla ferace collezione Simonian! 332 J.A. Farrer, Literary Forgeries, cit., p. 56.

147 333 L. Capponi presso Il papiro di Artemidoro, pp È l Ambrosiano B 119 sup. 335 «Pandora» 1, 1850, p. 552, cfr. S. Lambros, art. cit., pp L inedito navale contenuto nell Ambrosiano B 119 sup. 337 «Panathénaia» 7, 1908, pp «Byzantinische Zeitschrift» 17, 1908, pp I relativi papiri sono a Liverpool. 340 E, ad abundantiam, anche l ultimo capitolo dell opera di Tucidide, con fantasiosa subscriptio. 341 J.A. Farrer, Literary Forgeries, cit., p Addit A, f Cfr. A.F. Shore, The Egyptian Collection, in M. Gibson-S.M. Wright (a cura di), Joseph Mayer of Liverpool, Society of Antiquaries, London 1988, p Su cui cfr. Oxford Dictionary of National Biography 27, 2004, pp Addit A, f. 34 (lettera del 23 luglio 1862). 346 Addit A, f Addit , f Addit A, f. 5 (lettera del 18 aprile 1861). 349 L. Canfora-L. Bossina, Wie kann, cit., pp. 140 e Il testo è conservato nell Addit (lettera del 30 gennaio). 351 Fondo Deane della Victoria State Library in Australia. 352 Addit A, f In realtà bustrofedica. 354 G.A.E. Bogeng, Die Grossen Bibliophilen, in Geschichte der Büchersammler und ihrer Sammlungen, I, Seemann, Leipzig 1922, p Nel suo resoconto Bogeng dà rilievo a una testimonianza su quella memorabile trattativa: in tale testimonianza, Thomas Phillipps viene denominato cripticamente «Sir Charles». 355 Ch. Stewart, Biographical Memoir, cit., p Colui che fece allestire il Parigino greco 2009 del De Administrando Imperio. 357 Cfr. A. Papadopoulos-Kerameus, Denys de Fourna, Manuel d iconographie chrétienne, Kirschbaum, San Pietroburgo 1909, pp. 5 ss. 358 In Ch. Stewart, Biographical Memoir, cit., p. 66, viene annunciata una edizione, a cura dello stesso Simonidis, di quest opera (da lui medesimo creata) che non pare sia mai apparsa. 359 Notizia di Fay Samuels, 8 gennaio 2008 (ore 17.43) [ di Edwin Samuels]. 360 Sono le parole di J.A. Farrer in proposito. 361 Comunicazione del 14 gennaio 2009 (ore 11.32) [ d ufficio dell Università di Manchester]. 362 S. Settis, Il papiro di Artemidoro di Efeso, «Il Sole 24 ore», 10 ottobre 2004, p. 43, dove si parla di «esportazione

148 legale dall Egitto nel 1972»; Id., Artemidoro. Un papiro dal I secolo al XXI, Einaudi, Torino 2008, p S. Settis, Un papiro dal I secolo, cit., p Tre vite, p Cfr. «Corriere della Sera» 29 aprile 2009 e «QS» 70, luglio-dicembre 2009, pp «APF» 44, 1998, pp Tre vite, p. 17 (esposizione «temporanea all umido»); ed. LED, p «QS» 68, 2008, pp , specie : «Un indizio grafico di questa tecnica potrebbe essere la sagoma del serpente riprodotto sulla facciata opposta nel disegno contraddistinto come V25 (ed. LED, p. 63), nella quale compare un contorno sdoppiato e parallelo nei tratti, forse l indizio di un leggero scorrimento del foglio al momento della stampa o di un doppio ricalco effettuato sull immagine originale in sede di ricopiatura. Anche altre immagini, se osservate attentamente, manifestano analoghe anomalie. Un indizio tecnico del contatto dei fogli con la lastra litografica potrebbe invece essere proprio la sottile patina di calcite, aragonite (una forma cristallina del carbonato di calcio) : infatti, tali patine, così sottili ed uniformi da essere rilevate fedelmente solo da raffinate apparecchiature di analisi come quelle utilizzate, presenti peraltro su entrambe le superfici dei fogli, non sono da ascrivere alla tecnica del cartonnage. Inoltre, quale matrice per la litografia si utilizza solitamente la pietra calcarea, di cui una delle più pregiate è quella di Solnhofen in Germania. Inoltre con la tecnica litografica durante la prima metà dell Ottocento si disegnò sulla pietra soprattutto con la matita litografica o col gesso litografico. È un ulteriore elemento che spiegherebbe la presenza della grafite rilevata nelle Analisi dei pigmenti da D. Benedetti, E. Bontempi, L.E. Depero dell Università degli Studi di Brescia, Laboratorio di Chimica per le Tecnologie. Un ulteriore prova dell uso litografico è la stessa gomma arabica, che poteva essere utilizzata come mordente leggero (soluzione di gomma arabica e acido nitrico in acqua); in alternativa all acido nitrico si poteva anche utilizzare il percloruro di ferro e gli elementi cloro e ferro, sicuramente presenti (p. 76 dell ed. LED di Artemidoro ) nelle analisi, confermerebbero ulteriormente tale tecnica». 369 The Periplus of Hannon, cit., p Interi suoi libri sono realizzati in tal modo (per esempio i Symmiga e gli Autographa). 371 Addit A, f J.A. Farrer, Literary Forgeries, cit., p The Periplus of Hannon, cit., p. 60. Henri Cayol era un residente francese a Costantinopoli che pubblicava in quegli anni [1853] il «Journal de Constantinople». Egli introdusse in Turchia l arte litografica. 374 Addit A, f La lista risalirà alla fine del 63-inizio 64 visto che Annone vi figura come già stampato novembre 1853, coll (= L. Canfora-L. Bossina, Wie kann, cit., pp. 130 e 138).

149 XXIII. Perché il falsario scelse la Spagna e cosa ne fece Il suo punto di partenza fu, come s è detto, Marciano. Ha riflettuto sulla sua opera, è venuto affinando un idea di essa. E di Marciano si è servito tanto da inserirne un branetto (sui Pirenei) nella colonna IV. Questo lo orientava facilmente verso la Spagna: perché nel superstite testo di Marciano così com è abbreviato dopo le successive riduzioni che ha subito, gli unici veri peripli che figurano nella sua opera sono la Spagna e l Arabia. Della Spagna c era anche un frammento (il 21 Stiehle) che poteva essere utilizzato addirittura come pezzo autentico direttamente di Artemidoro (così si presenta nella citazione che ne fa il De administrando imperio), e che poteva agevolmente essere ritoccato al fine di farne un inizio, l inizio del periplo in epitome che il falsario aveva in animo. Traduzione e commento di coll. IV + V, V, [IV, 1] A partire dai monti Pirenei fino ai luoghi intorno a Gades e alle zone interne 376 l intero paese è detto Iberia e Spagna come sinonimi. È stata divisa dai Romani in due province. E nella prima provincia rientra tutto il territorio che si estende dai monti Pirenei a Nova Carthago e a Castulo 377 e alle foci del Baetis. Nella seconda provincia rientra il territorio fino a Gades nonché tutta la Lusitania. 378 La natura ha un tale, 379 intero, contorno del paese. Infatti la catena dei Pirenei divide la Celtica e l Iberia, e un estremo si spinge nella nostra terra 380 [sic] inclinando (scendendo, piegando) verso il lato 381 meridionale, 382 il mezzogiorno; 383 l altro estremo, rivolto verso nord, si spinge di molto verso l Oceano. Quanto ai fianchi dei Pirenei, gli uni sono rivolti a oriente e da essi si rimira una buona parte della Celtica; gli altri verso occidente e da essi si rimira [altrettanto?] 384 della Iberia. Stabilito ciò, bisogna pensare [= immaginarsi] tre lati 385 che circondano l Iberia: uno che si estende dai Pirenei a Gades. Questo è il lato che si allunga lungo il mare nostrum, 386 il mare cioè che si trova all interno delle Colonne d Ercole; ed è parallelo alle zone che si trovano a mezzogiorno. [V, 1] L altro lato, bagnato dal mare che sta dalle parti dell Oceano, 387 e che è rivolto verso nord, si estende fin verso 388 occidente e si unisce al terzo lato, quello che si trova a occidente, 389 nel quale accade che si trovino la Lusitania e il cosiddetto

150 Promontorio Sacro e i luoghi dalle parti di Gades [sic], 390 e proprio nelle zone che confinano con i Pirenei si piega verso oriente. Una parte della Spagna 391 completa anche il contorno di un golfo grandissimo 392 che giunge fino ai suddetti monti. Questo golfo si unisce al golfo gallico. Tale è l intera forma ( ) 393 della Spagna. Consideriamo ora il suo periplo in epitome, al fine di pensare nel complesso (= in forma complessiva!) le distanze dei luoghi. [V, 17] Dal Promontorio di Afrodite Pirenaica fino a Emporion, città colonia dei focesi, stadî 332. Da questa alla città di Tarracona Di lì fino al fiume Iber 92. Da questo fino al fiume Sucro Di lì fino a Cartagine la Nuova Da Cartagine fino al monte Calpe Da questa [?] fino a Gades 544. Tutti [scil. gli stadî] dai Pirenei e dall Afrodision [sarebbe il tempio?] fino a Gades 7084, e dopo Gades, in continuità sono 394 fino alla Torre e al porto di Menesteo Da questo fino alla seconda bocca dell Asta 120. Dopo questo [sic] fino al fiume Baetis 684 [qui viene allegramente fatto espungere il χ]. Dopo quest<o> fino a Onoba 280. Di lì fino a Mainoba 78. Dopo questa, fino alla città Ipsa 24. Dopo questa fino alle foci (estuario?) dell Ana sono, della linea retta dove c è la città Cilibe, stadî 36. A partire dalla foce dell Anas segue ( ) la punta del Promontorio Sacro e fino al luogo ultimo sono 1092 stadî. Se uno doppia quel capo fino alla torre di Salacia 395 sono 1200 stadî. E di lì fino alla foce del fiume Tago 320. Da questo fino al fiume Duero Dopo questo sfocia, a 180 stadî, il fiume Oblevion. Codesto viene chiamato anche Lethes [sic] e Limias. Dopo questo fino al fiume Benis 110. Da questo fino al Promontorio degli Artabri Da questo fino al Porto Grande [stadî] 40. Il resto della costa non l ha visto nessuno. 1. Un maniaco della parola «tutto» («la Lusitania tutta») è il peggior ritocco che Simonidis ha apportato al testo che ha preso a base per queste prime tredici righe della col. IV. Ritocco che è anche un amplificazione: la fonte dice che la Ulterior giunge «fino alla Lusitania», Simonidis le fa dire anacronisticamente che la Ulterior comprende «tutta la Lusitania». Simonidis aveva un debole per la connotazione, etc., che infila dovunque possibile. Una vera e propria raffica di in riferimento a indicazioni geografiche si trova nella sua autobiografia in greco, collocata al principio del volume intitolato Autographa (Odessa 1854), firmata con il nome Callinico Ieromonaco: 1), 2), 3), 4), 5), 6) etc. etc. Persino nella corrispondenza privata Simonidis indulgeva verso tale enfatica esagerazione: quando, in una lettera, inventa di aver scoperto nei conventi dell Athos «tutti gli scritti di Eustrazio» ( ) [Addit , f. 30]; o anche

151 quando annuncia, in una lettera a Hodgkin già ricordata, di aver trovato gli atti del Concilio fiorentino ( ), semplicemente perché si tratta di un testo amplior rispetto ad altri in circolazione [Addit A, f. 85], per fare solo alcuni esempi. Ecco la Stimmung da cui discende l inverosimile, infondato e anacronistico (su ciò vedi supra, cap. VIII, 2). Il più recente, infelice, tentativo di salvare (ritoccandola!) questa insostenibile frase è dovuto a B. Bravo («ZPE» 170, 2009, pp ). Per una sostanziale confutazione, cfr. «LEC» 77, 2009, pp Se per Bravo è un problema di cui sbarazzarsi cambiando il testo, per Martin West basta far scomparire tacitamente e scrivere (reiteratamente) «is a vague expression» («Historia», Einzelschriften, 214, 2009, p. 99). Se citasse con più onestà, se fosse meno «ingenuous», se cioè correttamente scrivesse quel che si legge nel papiro (, l espressione apparirebbe a West assai meno «vague». Ma forse si è trattato soltanto di banale superficialità. 2. Nessuno ha mai incominciato dai Pirenei Nessuna descrizione della Spagna (e peggio ancora dell ecumene!) incomincia dai Pirenei. Se ciò accade (vero hapax!) nello pseudo-artemidoro, la causa è ancora una volta nell uso aberrante del fr. 21. Il fr. 21 incomincia con le parole [ ]. Prendendo un colossale abbaglio, il falsario ha fatto di questo frammento l inizio della trattazione sulla Spagna. Di qui la scelta di incominciare la descrizione della Spagna (V, 17), e quindi dal Promontorio di Afrodite Pirenaica via via proseguendo con Tarracona, Nova Carthago, Calpe, Gades etc. Questo è uno degli errori più improvvidi che potesse commettere. 3. Tratta Gades come se fosse terraferma Col. IV, 33-34: «Il primo lato si estende dai Pirenei fino a Gades». Col. V, 4-7: «(il secondo) si unisce al terzo lato, nel quale accade che si trovino la Lusitania e il cosiddetto Promontorio Sacro, e l intera regione di Gades». 397 In realtà, ha senso dire che Gades fa parte della regione denominata Spagna (col. IV, 2-5, cfr. fr. 21) o che rientra nella provincia romana della Ulterior (col. IV, 13, cfr. fr. 21). Non ha senso invece dire che la costa spagnola arriva fino a Gades, visto che Gades è (all epoca) un isola. Anche la quinta, la sesta e la settima menzione di Gades, in questo breve volgere di righe, presuppongono l erroneo convincimento che Gades si trovi sulla terraferma [V, 24 + V, 26]: «Da Calpe a Gades 544 stadî» [V, 24]; «dai Pirenei e

152 dal Promontorio di Afrodite fino a Gades 7084, e andando oltre Gades [in modo continuo, senza interruzione, non «complessivamente» come traducono Tre vite e ed. LED, per nascondere la difficoltà] fino al porto e alla torre di Menesteo sono 7170 stadî». Dunque Gades è un luogo che si troverebbe lungo la costa proseguendo la navigazione e andando oltre, fino a Menesteo. Questo modo di esprimersi va messo a raffronto con il modo in cui si esprime Marciano sullo stesso punto: GGM I, p. 545, 15-27: «Da questo promontorio presso cui si trovano lo stretto e il tempio di Era, per chi navighi nell Oceano puntando a nord e avendo sulla destra il continente e sulla sinistra l Oceano occidentale, si para davanti il porto di Menesteo. Fino a quel punto sono 225 stadî, ovvero 160. In questi luoghi ( ) c è un isola nel mare esterno, Gades, nella quale c è l omonima città di Gades. Dal promontorio, dove c è lo stretto, all isola di Gades ci sono 270 (o 240) stadî. Dal porto di Menesteo fino alla foce del fiume Asta stadî 210. Dalla foce dell Asta fino alla bocca più orientale del Baetis stadî 385 (285)». Qui è chiarissimo che la misurazione della distanza tra il promontorio antistante e Gades non fa parte del periplo della costa; è una misura a parte. La continuità della costa è data da: promontorio Menesteo foce dell Asta. Invece nella colonna V, la continuità della costa è: Calpe Gades Menesteo foce dell Asta! La «continuità» ( ) descritta nella colonna V presuppone Gades sulla costa. 4. Il sampi che non era tale Nel tradurre il periplo dello pseudo-artemidoro (supra, 1, p. 256), si sarà notata la rettifica della cifra 940 stadî, indicante la distanza tra il Benis e il Promontorio degli Artabri, che va appunto corretta in L errore è nato dall improvvida adozione di una stravagante ma caduca ipotesi di Bruno Keil. In appendice all edizione dei papiri di Elefantina 398 Keil immaginò che un simbolo lì presente, a torto assimilato al sampi, valesse 900 (valore numerico del sampi) ma anche 1000 se sormontato dal moltiplicatore 1 (= α). L inconsistenza di tale ipotesi è di

153 immediata evidenza: a tutte le latitudini 900 moltiplicato per 1 dà 900. Una transustanziazione non è pensabile. Si veda da ultimo A. Blanchard, Ménandre, Les Sicyoniens, «Collection Budé», Paris 2009, p. cxiv, nota 6. La critica principale l aveva già formulata, negli anni Venti, Friedrich Bilabel, nella voce Siglae della «Pauly-Wissowa» (col. 2291, nota ***). Siamo in realtà di fronte a un simbolo indicante la cifra 1000, ispirato dal simbolo latino per /milia, figurante ad esempio nel manoscritto Palatino greco 398 di Heidelberg, nelle pagine che contengono il Periplo dello pseudo-arriano, dove è citato anche Artemidoro (vedi supra, cap. XVII). Cadono pertanto le fantasiose illazioni basate sull erroneo convincimento secondo cui nello pseudo-artemidoro figurerebbe un sampi originalissimo e noto soltanto a partire dai primi del Novecento. Un castello di carta ormai svanito. La misurazione che dunque figura in questa riga 43 della colonna V è da intendersi di 1040 stadî dal Benis al Promontorio degli Artabri. Le conseguenze di ciò sono interessanti. Le riferiamo qui in breve. Nello pseudo- Artemidoro, la somma totale, in stadî, delle distanze tra le varie località che si susseguono tra Gades e il Promontorio degli Artabri è complessivamente Se si assume l equivalenza 1 miglio = quasi 8 stadî (per le oscillazioni cfr. D. Engels, The Length of Eratosthenes Stade, «AJPh» 106, 1985, p. 309), la distanza in miglia che ne risulta è 890: esattamente le 891 miglia figuranti, per errore della tradizione manoscritta, in Plinio II, 242, che trae questa cifra da Artemidoro («Artemidorus adicit [ ] a Gadibus circuitu Sacri Promunturii ad Promunturium Artabrum [ ] DCCCXCI»). Fu Detlefsen [1883] ad accorgersi dell errore presente nei manoscritti pliniani, cioè della mancanza di un centum (C) che si recupera grazie a Marziano Capella, il quale adopera Plinio e fornisce, in accordo con Agatemero (4, 16), la cifra 991. Conclusione: il falsario è stato dunque tradito dall uso di edizioni pliniane difettose, anteriori all obbligata correzione di 891 in 991. Nella raccolta dei frammenti di Artemidoro anche Stiehle adopera il testo pliniano macchiato del medesimo errore, e quindi il falsario non ha avuto scampo. Sforzandosi di riprodurre il dato di Artemidoro, si è attenuto all informazione fornita da Plinio, che però era sfigurata da un errore. Egli ha riprodotto l errore. Un incidente increscioso che costituisce la prova per così dire diretta che lo pseudo-artemidoro è opera di un falsario ottocentesco. 5. Ma come si può prendere sul serio quel «pre-periplo»? Noi sappiamo da Strabone che, al fine di rendere meglio comprensibile al lettore il profilo del cosiddetto «Cuneo», cioè della sporgenza della costa lusitana in cima

154 alla quale c è il Promontorio Sacro (Capo San Vincenzo), Artemidoro ricorreva a un molto dettagliato paragone con la forma di una nave. Nulla di tutto ciò nel papiro. Dunque si dovrebbe pensare che, dopo il «periplo in epitome», ci fosse un altro periplo, questa volta analitico. E sorge ovvia la domanda: allora perché un pre-periplo? Che utilità, teorica o pratica, avrebbe potuto avere? La giustificazione addotta è quanto mai insoddisfacente oltre che oscura: il pre-periplo mirerebbe a consentire al lettore di «pensare (immaginarsi) le distanze dei luoghi [ma quali? e con quale criterio selezionati?] in modo generale [sic]». 400 Ma ammesso che questo proposito abbia un qualche senso (e non lo ha perché la è stata già descritta da col. IV, 14 a col. V, 14), esso viene comunque smentito da quel che segue, dove infatti troviamo una delineazione delle due coste, quella mediterranea e quella betico-lusitana, della Spagna corredata da un capriccioso alternarsi di distanze enormi e distanze infime: dunque nessuno sguardo d insieme, anzi nessun criterio. Così ad esempio si comincia con la distanza tra Promontorio di Afrodite Pirenaica ed Emporion (cioè una distanza modesta: 332 stadî) 401 per balzare subito a tre distanze maggiori (Emporion > Tarracona; Tarracona > Nova Carthago; Nova Carthago > Calpe). Vengono trascurate città importanti (Malaga e Abdera ad esempio, che il vero Artemidoro menzionava) 402 e fanno la loro apparizione due cifre d insieme decisamente tautologiche l una rispetto all altra («dal Promontorio di Afrodite a Gades 7084 stadî» e, daccapo, «dal Promontorio di Afrodite al porto di Menesteo 7170 stadî»). Quando però si passa alla costa atlantica il proposito della visione d insieme ( ) defunge. L unica distanza d insieme che sicuramente Artemidoro forniva (come sappiamo da Plinio II, 242: 991,5 miglia da Gades al Promontorio degli Artabri nell estremo Nord) non c è, e c è invece una raffica di distanze minime o addirittura infime: 120 stadî dal porto di Menesteo al secondo sbocco dell Asta, 84 da questo al fiume Baetis, 280 da qui ad Onoba, 78 da Onoba a Mainoba, da Mainoba a Ipsa, 404 e così via. Dove sia andata a finire, a questo punto, la giustificazione del pre-periplo («per pensare in modo generale le distanze dei luoghi») è arduo scoprire. 6. Il falsario intendeva creare l epitome di Artemidoro o semplicemente credeva che Artemidoro rassomigliasse a Marciano 1. In realtà nessuno compilerebbe prima un pre-periplo, per giunta così incoerente e capriccioso, e poi il vero periplo della stessa regione. È evidente che il falsario voleva creare l Epitome di Artemidoro, giacché ancora alla metà dell Ottocento si pensava che, già ben prima di Marciano, l Epitome di se stesso l avesse fatta Artemidoro medesimo! Si veda soprattutto la raccolta di Stiehle, il quale scrive: «Ci furono nell antichità due epitomi di quest opera, una fatta dallo stesso Artemidoro,

155 l altra da Marciano di Eraclea». 405 Ma qualche confusione poteva venire anche dalle pagine finali ( ) del I tomo dei GGM di Müller (1855), volume che Simonidis ha sottomano e cita quando elabora l Annone (1864). Era particolarmente insidiosa la situazione rappresentata dal volume di Müller. Egli infatti colloca le tre pagine di Epitome di Artemidoro, pur premettendovi il nome di Marciano, dopo l intera opera superstite di Marciano e invece non include nel volume (e neanche nel successivo) Artemidoro come tale. Non solo: Müller segnalava, in apertura della sezione su Marciano, che l Epitome di Artemidoro realizzata da Marciano doveva essere molto breve, racchiusa in appena due quaternioni (neanche completi) caduti all inizio del Supplément Grec Questa notizia dava al falsario anche la misura cui attenersi, e alla quale si è infatti attenuto creando un secondo libro (la Spagna) di cinque sgangherate colonne di complessive centocinquanta righe, equivalenti a circa quattro pagine del Supplément Grec 443. Manoscritto che come sappiamo il falsario ha ben studiato, nei suoi soggiorni parigini, e dal quale ha tratto il vezzo di aggiungere lo iota muto dopo η e ω in modo assolutamente capriccioso, come avviene appunto nel Supplément Grec 443 (fenomeno efficacemente notato da D. Marcotte, Les géographes grecs, I, p. LXXXI). 407 Non deve sfuggire che l autore dello pseudo-artemidoro non solo si è attenuto alla misura suggeritagli dal manoscritto cui si è ispirato, ma ha effettivamente dato vita a un testo che si pretende completo, come si ricava dalla battuta conclusiva, con la quale si chiude il «periplo in epitome». Il prodotto dunque si espone alla medesima obiezione che James Yates aveva rivolto al falso «papiro di Annone»: il papiro creato da Simonidis osservò Yates vuol apparire un intero, là dove il corrispondente testo conservato nel Palatino greco 398, da Simonidis ritrascritto su papiro, è in realtà «un frammento o al più un estratto». 408 La debolezza di offrire un testo completo è un lapsus classico dei falsari. L impulso a fare l Epitome, o l auto-epitome, di Artemidoro veniva dunque al falsario da vari fattori: a) la rivelazione, nel primo decennio dell Ottocento, dell esistenza di un lungo «frammento di Artemidoro» Sul Nilo 409 in perfetto stile alla Marciano (solo distanze!); b) la pubblicazione di GGM I (1855), dove l unico assente era proprio Artemidoro, rimpiazzato dalle tre pagine di frustuli dell Epitome; c) l apparizione, l anno dopo, della raccolta dei frammenti di Artemidoro curata da Stiehle («Philologus» 1856), dove la tesi dell auto-epitome è riproposta, e nella quale i frammenti raccolti l anno prima da Müller nelle pagine finali dei GGM I vengono presentati appunto come i pezzi superstiti di tale auto-epitome.

156 Ecco donde venne al Simonidis l impulso a creare l Artemidoro (intendimento del resto reso esplicito nella colonna V, 14-16). 2. Un altro impulso alla creazione di un Artemidoro (auto-epitome) corredato da disegni degli animali esotici di cui Artemidoro parlava a proposito del «Mare eritreo» (Trogloditica, Arabia, India, Taprobane) è venuto dalla pubblicazione, nel 1860, del volume LXXXVIII della Patrologia Graeca di Migne, contenente in prima posizione e con adeguato corredo di immagini la Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste: molti degli animali effigiati e illustrati in questa edizione si ritrovano sul verso del papiro. Il soggiorno monacense (inizio 1856) e la scoperta del catalogo di Hardt (come ripetutamente a Parigi, anche a Monaco Simonidis si dedicò alla ispezione dei manoscritti greci), la coeva uscita del I tomo didotiano dei Geographi Graeci minores (1855) e della prima raccolta scientifica dei frammenti di Artemidoro (1856 su «Philologus»), la pubblicazione poco dopo (1860) della geografia illustrata di animali esotici di Cosma Indicopleuste, la visita ai papiri del Louvre e in particolare allo pseudo-eudosso illustrato (1864) sono le circostanze che hanno portato Simonidis alla creazione del nuovo falso papiro geografico (Artemidoro) dopo la brillante trovata del falso «papiro di Annone» (edito e lanciato abilmente nel 1864). 3. Una auto-epitome di Artemidoro non è mai esistita. Il falsario è cascato in trappola. La sua cultura generale non era delle migliori, come si vide quando propose al conte di Marcellus un palinsesto contenente la vita di Nonno di Panopoli scritta da Demetrio di Magnesia! Creando l auto-epitome di Artemidoro (P. Artemid.) egli ha dato vita a qualcosa che non è mai esistito. Quale prova migliore che si tratta di un falso? 4. Si noti, a coronamento di quanto detto sopra, che Simonidis crea epitomi anche quando non esistono. Per esempio, nel dedicarsi a uno dei testi a lui più cari, Horapollo, ha creato la teoria secondo cui il testo giunto a noi (che si presenta come traduzione greca di tal Filippo di un originale egizio) sarebbe invece un epitome. Sostiene poi di aver rinvenuto l intero (ben dieci libri contro i due dell «epitome») e di aver trovato addirittura anche un altra epitome del medesimo Horapollo. Né esita a pubblicare, nella sua rivista «Memnon» (I, 1857) brani su brani, in greco, dell immaginario testo intero. Proclama infine come sappiamo di possedere lui l intero di cui lo Stefano di Bisanzio superstite è, effettivamente, soltanto un Epitome. Una polarizzazione quasi maniacale. 376 Ma che significa? Fino dove? 377 Con l aggiunta di questo toponimo alle due indicazioni presenti nel fr. 21, il falsario ha pensato di impreziosire il suo testo, memore probabilmente della notizia cesariana (Guerra civile, I, 38, 1) secondo cui il saltus

157 Castulonensis (ma non la città di Castulo, che assolveva una tale funzione nella Tabula di Agrippa) segnava il confine tra le due Hispaniae. Sfortunato dunque anche quest altro ritocco Cfr. infra, Cioè quale? Ciò che precede non è certo una! Ma neanche ciò che segue, che è una contorta descrizione dei Pirenei (in parte presa da Marciano). 380 Debebat! 381 «Lato» di che? 382 Ma come si fa a dire che il (= iugi extremitas) «scende verso il lato meridionale, cioè verso il sud»? La punta è già a sud. Quel che il falsario aggiunge a Marciano è subito una idiozia. 383 Autoscolio sorprendente. Ha replicato la forma che in Marciano figura per l altro estremo! Infatti per Marciano dice che «si spinge» [s inoltra] verso nord e ( ) verso l Oceano settentrionale. Qui lo schema viene trasferito al primo con asindeto. 384 Oppure: [buona parte]? 385 Solo ora viene fuori la nozione di. Ma le sono presupposte già qualche riga prima. 386 È un anacronismo questa espressione. Ed è buffo che, solo giunti al II libro, viene spiegato al lettore cos è il Mediterraneo. 387 Sic. Non esistono paralleli. (Il mare del mare?) Monsieur de la Palice, hai vinto! 390 Essendo Gades un isola questa definizione è assai curiosa visto che si sta parlando della costa. 391 Espressione priva di senso, non soltanto perché vaga: sta descrivendo una carta. 392 Sempre sul generico. 393 : disegno, forma : del tutto equivalente al termine figurante in col. IV, 14-15:. Chi aveva misurato l inclinazione della costa nord della Spagna rispetto ai paralleli? 394 Alla r. 25 sottintende, ma subito dopo (r. 27) sottintende. 395 Per l esattezza, «dei Salaceni». Ma, purtroppo per l incauto falsario, Salacia, «urbs imperatoria» (Plinio) è fondazione forse cesariana, che assume quel rango e quel titolo con Domiziano. 396 Non 940, come reiteratamente è stato tradotto (Tre vite, p. 157; ed. LED, p. 197). 397 Così Tre vite, p. 157; «e l intera area di Gades» ed. LED, p P. Eleph., ed. O. Rubensohn, Berlin 1907, p Ovviamente senza eliminare i 600 stadî tra la foce del fiume Asta e il Baetis ricorrendo al mediocre gioco di prestigio descritto in Truccare numeri, «QS» 68, 2008, pp Col. V, 15-16:. 401 Cifra che si dilata fino a 632 (!) in ed. LED, p Cfr. frr. 15 e 16 Stiehle. 403 Errore dovuto a fraintendimento di Strabone: Mainoba sta sul Mediterraneo.

158 404 Notizia «lunare», quest ultima, visto che Mainoba sta dall altra parte della penisola e Ipsa non esiste. 405 R. Stiehle, Der Geograph Artemidoros von Ephesos, «Philologus» 11, 1856, pp , in particolare pp GGM I, p. 515, apparato: «Priores quaterniones duo, qui nunc desiderantur [ ] continuisse videntur Epitomen Artemidori». 407 L altra sua fonte manoscritta fu come s è detto nel capitolo precedente il Parigino greco 2009 di Costantino VII, De administrando imperio (cap. 23). 408 Promemoria di J. Yates conservato nell Addit , f Da tempo sappiamo, grazie a Diller, che potrebbe essere un falso umanistico o un coacervo di estratti: cfr. supra, nota 279.

159 Parte Terza Il viaggio di Simonidis: la prova

160 Mappa della Trogloditica.

161 XXIV. La prova Abbiamo potuto consultare l «originale», conservato ad Alessandria (manoscritto 537 della Biblioteca Patriarcale), di un documento autobiografico di Simonidis che sembrava scomparso. Questo documento è risolutivo. Dimostra infatti che Simonidis, in un testo autobiografico così rilevante, si identifica con Artemidoro: inserisce in tale scritto frammenti di Artemidoro e attribuisce a se medesimo le tappe del viaggio dell antico geografo! Ed è certamente lui l autore dell operazione, visto che, oltre tutto il resto che diremo, il manoscritto alessandrino ci restituisce il suo originale. Accade inoltre che i frammenti di Artemidoro qui adoperati e adattati da Simonidis a sé siano contigui (stesse pagine di Strabone che li tramanda, stessa pagina dell edizione Stiehle che li raccoglie) rispetto a quelli che riguardano gli animali esotici descritti da Artemidoro; e proprio questi animali rispuntano sul verso del cosiddetto «papiro di Artemidoro». La deduzione è palmare: quel papiro va ricondotto a Simonidis. 1. Grazie dunque all aiuto di Agamemnon Tselikas, siamo entrati in possesso di una riproduzione digitale del manoscritto 537. Esso mancava al momento in cui, per iniziativa di un istituzione ateniese, si procedette alla microfilmatura dei manoscritti posseduti dalla Patriarcale. Nel corso però di una successiva missione è emerso, e ci è stato trasmesso in copia (maggio 2008). Dalle note presenti sul foglio di guardia risulta che fu donato nel marzo 1961 da un «Michel Melas, avocat à la Cour, Alexandrie». Una seconda nota, in basso, segnala la coeva ricezione del («volumetto») «tra i manoscritti del Patriarcato». Il «volumetto», privo di frontespizio, presenta per l appunto i testi che si trovano litografati nel volume intitolato Autographa, 410 che abbiamo più volte ricordato nei capitoli precedenti. Nel 1964 Ioannes Chatzephotis mise a frutto il manoscritto, nella biografia di Simonidis da lui pubblicata negli «Analecta» della Biblioteca Patriarcale, ma ne fece un uso sommario. 411 Nelle pagine iniziali, del manoscritto e dei volumi litografati che lo riproducono, si trova lo scritto autobiografico ricordato in apertura. Si presenta come estratto dal Viaggio di studio archeologico ( ) scritto da Simonidis e

162 abbreviato da un immaginario compendiatore cui Simonidis attribuisce il pomposo nome di Callinico Ieromonaco. Alla base di tutto vi è, quasi certamente, quella Reisebeschreibung (Resoconto di viaggi) che Simonidis nel 1853 aveva inviato all allora amico Alexandros Lykurgos (poi divenuto suo implacabile accusatore), studente di teologia e contubernale di Simonidis a Lipsia durante il movimentato soggiorno di cui s è detto a suo tempo ( ). 412 Questa Reisebeschreibung, da identificarsi dunque con l integrale, doveva contenere a quanto afferma Lykurgos non solo le notizie sui moltissimi viaggi che Simonidis sosteneva di aver compiuto nel decennio ma anche la descrizione delle sue mirabolanti scoperte, che in realtà erano quasi sempre sue fabbricazioni. Lykurgos ne parla per sommi capi: a Lemno le iscrizioni pelasgiche, a Mileto le carte geografiche di Anassimandro, in Egitto Uranios, a Costantinopoli Aristea, e ancora «molte altre scoperte di cui egli stesso fornisce il catalogo». 413 Già da questi cenni ci rendiamo conto che l originale Reisebeschreibung era molto più ampia delle tre dense pagine dell Epitome firmata col falso nome Callinico. Lo stesso Lykurgos, ovviamente, costituisce, in quanto riassume (Biographische Skizze, pp ) ciò che gli fu inviato, una fonte derivata da tale scritto. E anche il Biographical Memoir of Constantine Simonides [1859] di Charles Stewart (cui abbiamo già fatto cenno), soprattutto nella dettagliata descrizione iniziale dei viaggi di Simonidis, si baserà anch esso sullo stesso resoconto autobiografico di cui parla Lykurgos (la Reisebeschreibung). Diversamente dallo «schizzo biografico» fornito da Lykurgos (in tedesco) e dalla rielaborazione di Stewart (in inglese), l Epitome firmata Callinico è un excerptum in greco, che ci restituisce, sia pure selettivamente, le parole autentiche di Simonidis. Non è superfluo ribadire che Callinico Ieromonaco è un personaggio inesistente. Ciò è risultato da due inchieste, tra loro indipendenti, condotte rispettivamente da John Hodgkin e da William Aldis Wright 414 nel 1863, quando divampava la polemica intorno alla bomba lanciata da Simonidis contro Tischendorf con la rivelazione, fatta dal grande falsario, di essere lui l autore del Sinaitico della Bibbia. L iniziativa volta a rintracciare Callinico nasceva dal proposito di verificare quanto Callinico scrive negli Autographa sul soggiorno di Simonidis al Monastero di Santa Caterina del Sinai: non si era posta attenzione, forse a causa della difficoltà della scrittura, 415 al fatto che Callinico in realtà non è autore ma solo epitomatore: dunque la notizia relativa al Sinai in realtà veniva dallo stesso Simonidis. Ad ogni modo la ricerca approdò alla constatazione che questo «ieromonaco» era un invenzione. Persino John Hodgkin, l amico e complice di Simonidis, si mise in moto e rintracciò il tipografo di Odessa che aveva avuto tra mano la stampa degli Autographa; ma di Callinico nessuna traccia. 416 E quando Simonidis alla fine indicò lui un Callinico, costui scrisse ai giornali di non aver

163 mai avuto a che fare con Simonidis. 417 Insomma lo schizzo autobiografico, limitato agli anni , posto al principio degli Autographa, è prosa di Simonidis, ricavata da un resoconto più vasto. Che davvero egli abbia realizzato quest opera (gli Autographa) dapprima a Mosca nel 1853 e poi a Odessa nel 1854 è dato, anch esso, opinabile. Innanzi tutto colpisce che varii così drasticamente il luogo di stampa. Inoltre le date non quadrano: il 29 agosto 1853 Simonidis, da Londra, scrive a Lykurgos di essere giunto in Inghilterra, per l esattezza a Liverpool, il 12 dicembre 1852, in provenienza dalle isole Canarie. A Londra si è fermato 418 (e di lì ha spedito l intero racconto autobiografico, cioè lo, a Lykurgos), nel 1854 si trovava a Parigi. E comunque secondo Stewart (p. 14) nel Simonidis dovrebbe essere a Liverpool, Londra, Irlanda, Scozia, daccapo Londra, infine Parigi. Dunque Odessa 1854 (o Mosca 1853 ) sembrano sfumare nel nulla. Nel luglio 1855 approda a Lipsia. A Parigi si fa presentare al conte di Marcellus, a Sainte-Beuve, ai conservatori della Bibliothèque Impériale, ma a nessuno di costoro sembra aver donato quest opera zeppa di manoscritti e papiri inediti (eppure a Marcellus egli volle pur offrire manoscritti inediti riguardanti Nonno di Panopoli, che il conte garbatamente respinse). Invece gli Autographa e il gemello volume intitolato Symmiga Simonidis li porterà a Parigi nel marzo di dieci anni dopo (1864): una copia in dono alla Bibliothèque Impériale e una in dono alla Biblioteca dell Académie des Inscriptions. La deduzione più plausibile è che nel novembre 1854, quando era a Parigi per consultare, come scrisse Sainte-Beuve raccomandandolo, i manoscritti greci della Bibliothèque Impériale, quei volumi non esistevano ancora. Peraltro, a Odessa egli aveva stampato anche dell altro, a giudicare dal suo Catalogo autentico delle proprie opere: nel 1842 e nel 1843 i lavori sulla Chimica al Monte Athos, sulla Pittura al Monte Athos, sulla Agiografia al Monte Athos, e nel 1854 una Silloge di papiri greci inediti (nr. 27 di quel Catalogo, che figura al principio del falso Annone). Insomma, il vago ricordo riaffiorato alla mente del tipografo tedesco di Odessa, che Hodgkin interpellò nel 1863 (di un opera realizzata «alcuni anni prima» con tecnica litografica per conto di Simonidis), potrebbe riguardare una qualunque delle opere che abbiamo ora ricordato, non necessariamente gli Autographa. 2. Recuperata la certa attribuzione a Simonidis dell auto-epitome che apre gli Autographa, conviene darne qui almeno la traduzione.

164 Simonidis, figlio di Maria di Simi e di Simone lo stagirita, il quale a sua volta era figlio di Kostas, figlio di Fozio, figlio di Costantino, figlio di Fotocare, figlio di Andrisco, e discendente, risalendo via via indietro, di altri ottantotto antenati, nacque il 5 novembre 1820 nell isola di Idra e precisamente sulla nave da guerra di suo padre, denominata Ares, esattamente nel momento in cui uscì dal porto e navigava verso Simi, patria della madre del neonato. Quando la nave attraccò a Simi, dopo quattro giorni, il neonato viene battezzato in Cristo il 25 di novembre, e viene chiamato Costantino. Dal sacro fonte battesimale lo sollevò il capitano della nave Andrea Miaule grazie alla signora di nome Despina (se non m inganna il ricordo) giacché l eroe Miaule stava poco bene. Educato e divenuto allievo dei più preparati tra i Greci intendo dire, ad esempio, di Filetero il grammatico, del dotto Neofito Dukas, di Gregorio, figlio di Costantas, oratore straordinario, di Rigas, il celebre matematico, di Benedetto, adorno di ogni sapienza e virtù, di Giovanni Foziades di Simi, alunno delle Muse, chiamato in seguito Hierotheos, e sopra ogni altro del famosissimo Alessandro Sturtza fu proclamato dottore in filosofia avendo (in precedenza) composto il dotto trattato Sul Chersoneso Calcidico. Ma non trascurò nemmeno le belle arti, anzi anche di queste si occupò e massimamente in esse rifulse, avendo frequentato inizialmente alcuni dei migliori artisti dell Athos, Damasceno e Gennadio, e successivamente altri, in particolare il francese Vitali (Vidal?), uno dei celebri scolari del famoso francese David. Nell anno 1843, essendo in Odessa, sotto la tutela del consigliere segreto dello zar Nicola, Alessandro Sturtza, partì verso Trebisonda, per incombenze politiche, su ordine di Sturtza. Dopo essersi fermato per qualche tempo e aver percorso il paese tutt intorno ( ), si recò nel monastero greco di Sumelàs. Tornato da quel monastero a Trebisonda incominciò, di qui, a visitare, nell ordine tutte ( ) le città costiere e le piccole cittadine del Ponto Eusino catechizzando chiunque fosse degno di catechesi, di fede greca ortodossa, contro i barbari Turchi; e contemporaneamente scrivendo un trattato archeologico molto importante sul Ponto Eusino ( ). Giunto a Calcedone (oggi Scutari), tornò a Bisanzio, e di lì ad Eraclea. Partito da Eraclea e avendo percorso tutta ( ) la costa tracia, e successivamente anche il Chersoneso tracio al di qua e al di là dell Ellesponto, giunto in 419 Lisimachia, la città un tempo fondata sulle rovine della città di Cardia 420 e fermatosi poco, ripartì anche di lì dopo tre giorni e tornò al fiume Ebro. Qui ammalatosi e poi rimessosi, ispeziona le fondamenta delle antiche città della Pieride, nonché quelle delle città site nel golfo strimonico, quindi si reca a Stagira, celebre patria dei suoi antenati. Di qui si recò per la terza volta al monte Athos. Quivi fermatosi per qualche tempo, scrive sommariamente 421 la Storia dell agiografia e degli agiografi del monte Athos; l aveva composta trascegliendo la materia dai tesori filologici lì conservati. La inviò a Sturtza infatti dietro sua sollecitazione l aveva composta insieme con altri suoi scritti archeologici. Tradotta in lingua russa, sarà data anch essa alle stampe con altri scritti archeologici di lui. Andato via dall Athos, visita le isole, tutte ( ), che si trovano intorno alla montagna, nonché alcune delle Sporadi e la costa della Caria 422 e una piccola parte della Licia. Dalla Licia ritorna a Cipro (vi era stato anche altre volte) e da Cipro va per la seconda volta ad Alessandria. Da Alessandria fu al Cairo e al monte Sinai nell anno 1844, nel mese di gennaio. Fermatosi per un po nel monastero greco di questo monte e avendovi scoperto cose di grande importanza, scrive in proposito al Patriarca Costanzio. E torna daccapo al Cairo e di nuovo raggiunge il Sinai nel mese di marzo. Avendo percorso tutt intorno e accuratamente sia il monte Sinai che il territorio circostante (

165 ), quindi il paese dei Cassaniti tutto intero ( ) e quello degli Elisari, 423 e giunto fino al promontorio palindromo per svolgervi ricerche archeologiche passò, attraverso il mare degli Eropoliti 424 (comunemente detto Mar Rosso) nella città di Filotera nella Trogloditica, e di lì giunse al porto del Topo] e poi alla città di Copto. Da Copto si spinge fino a Tebe, dove essendosi fermato tre interi ( [= il ) mesi parte per le isole Philai, poste a sud di Syene [Assuan], e anche di lì, dopo sette mesi, 425 tornò ad Alessandria, con tre casse di annotazioni archeologiche. Avendo quindi attraversato la Siria tutta ( ) e la Mesopotamia, e l Arabia Petrea e il Monte Libano oltre che l Antilibano, così come anche la Panfilia e la Cilicia, tornò successivamente a Babilonia e di lì in Persia, e dalla Persia tornò daccapo in Russia sano e salvo. Nell anno 1846 andò a Bisanzio, in Bitinia, in Misia, e nella Grecia libera, dove si fece severo critico degli pseudo-apostoli americani, e liberò la Grecia dalla sozzura di questi malfattori. Quindi passa in Epiro, in Tessaglia e Macedonia, e daccapo a Bisanzio, a Odessa e Pietroburgo, e daccapo si reca a Bisanzio attraverso la Germania. 426 Da Bisanzio va a Smirne, nell anno 1851 e daccapo sull Athos e in altre città e isole della Grecia non libera. Quindi ad Alessandria, al Cairo, al monte Sinai nel marzo Dal monte scrisse a noi dieci lettere, trattando di vari argomenti, come anche da altri paesi: e prima o poi 427 ne pubblicheremo soltanto quelle di argomento filologico, insieme a quelle indirizzate a Costanzio e a Sturtza se (Dio volendo) sarà possibile. Si recò anche in Abissinia Simonidis, dal monte Sinai, insieme con due archimandriti greci. E lì vanificò le trame contrarie alla retta fede degli pseudosacerdoti della chiesa latina e, rafforzata la fede greca, tornò daccapo ad Alessandria, e di lì a Malta. Da Malta passò a Cartagine e alla regione circostante ( ) e daccapo a Malta e in Sicilia e di lì in altre città e isole dell Europa occidentale e alla fine giunse anche nella città inglese di Liverpool nell anno 1853 e poi a Londra, come si esprime il suo Viaggio di studio archeologico indirizzato a Sturtza. Dal quale anche noi abbiamo escerpito tutto quanto ( ) è sopra riferito e lo pubblichiamo ora con il consenso del nobilissimo Alessandro Sturtza, non dubitando affatto che anche lo stesso Simonidis elogerà la nostra dedizione al bello alla quale anche Simonidis fu votato sin dalla fanciullezza. Scritto in Mosca, il primo agosto dell anno 1853 Callinico Ieromonaco 3. L analisi di questo testo porta alle seguenti conclusioni: 1) Simonidis attribuisce a se stesso tappe del viaggio di Artemidoro quali si ricavano da Strabone; 2) in alcuni casi adotta la stessa successione di toponimi presente in Artemidoro [fr. 96], che legge in Strabone e forse anche nelle raccolte di Hudson e Stiehle;

166 3) fraintende, in un caso, le parole di Strabone e commette un errore che può essere stato determinato solo dal modo in cui si esprime Strabone; 4) i frammenti di Artemidoro contigui a quelli che Simonidis qui mette a frutto sono quelli relativi agli animali fantastici [fr. 97] che Artemidoro pretendeva di aver visto e che ritroviamo nel verso del cosiddetto papiro di Artemidoro ; 5) ergo il cosiddetto papiro di Artemidoro è riconducibile a Simonidis, come del resto tanti indizi linguistici, contenutistici etc. già robustamente suggerivano. Ecco il brano più rilevante: (Simonidis, Viag gio di studio archeologico)

167 (Artemidoro, fr. 96 = Strabone XVI, 4, 5). «[ ]Avendo percorso tutt intorno e accuratamente sia il monte Sinai che il territorio circostante, quindi il paese dei Cassaniti tutto per intero e quello degli Elisari, 428 e giunto fino al promontorio palindromo per svolgervi ricerche archeologiche passò, attraverso il mare degli Eropoliti 429 (comunemente detto Mar Rosso) nella città di Filotera nella Trogloditica, e di lì giunse al [il porto del Topo] e poi alla città di Copto. Da Copto si spinge fino a Tebe, dove essendosi fermato tre interi mesi parte per le isole Philai, poste a Sud di Syene, e anche di lì, dopo Syene, dopo sette mesi, tornò ad Alessandria, con tre casse di annotazioni archeologiche.» (Simonidis, Viaggio di studio archeologico) «Artemidoro dice che il promontorio arabo che si trova di fronte a Dira si chiama Acila, e che gli abitanti di Dira si mutilano il glande. Dice inoltre che, per chi si mette in mare e naviga lungo la Trogloditica partendo da Heroonpolis, la città che si incontra è Filotera, così chiamata dalla sorella del secondo Tolomeo; che la città fu fondata da Satiro, inviato con il compito di esplorare la Trogloditica e di informarsi sulla caccia agli elefanti. Dice che subito dopo c è un altra città, Arsinoe; quindi lo sbocco in mare di acque calde di sapore aspro e saline che vanno a finire in mare da un altura rocciosa, e che vicino c è un monte, nel bel mezzo della pianura, rosso come ocra; dopo di che dice c è Myòs Hormos [l approdo del topo] che chiamano anche porto di Afrodite.» (Artemidoro, fr. 96 = Strabone, XVI, 4, 5)

168 «Le merci giungono dall Arabia e dall India a Myòs Hormos. Dopo di che avviene il trasporto fino a Copto nella Tebaide sui cammelli.» (Strabone, XVI, 4, 24). 430 Che Simonidis stia citando esattamente questo passo di Artemidoro parafrasato da Strabone è dichiarato da Simonidis stesso nella Lettera a Callinico posta subito di seguito allo Spoudaiodromion, nella quarta pagina degli Autographa. In tale pagina si legge infatti: Codesta città [Heroonpolis] è detta, secondo le testimonianze geroglifiche degli Egiziani, essere stata fondata dapprima da Sesostri [ ]. 431 Stefano di Bisanzio la chiama Herò [ ]. 432 Fu chiamata un tempo lo dice lo stesso Stefano AIMO per il fatto che lì Tifone fu folgorato dal fulmine e fu versato sangue. Strabone e altri la chiamano Heroon polis. Essa si trovava nei pressi di Arsinoe nel punto più interno del Golfo Arabico prossimo all Egitto secondo la testimonianza di Strabone: vedi nel libro sedicesimo. Qui Simonidis ricopia la voce di Stefano (che infatti termina con le parole «Strabone la chiama Heroon polis»), ma la integra ricorrendo al testo di Strabone (XVI, 4, 5) donde infatti trae quel che segue e che indica esattamente con le parole «vedi nel libro sedicesimo»: e in Strabone constata che altro non v è che la trascrizione di ciò che diceva Artemidoro: e perciò interpola, nella frase di Stefano: «Strabone e altri [cioè, appunto, Artemidoro] la chiamano Heroon polis». È dunque evidente che, in quel punto dello Spoudaiodromion, Simonidis ha consapevolmente inserito il consistente frammento di Artemidoro (fr. 96) riferito quasi ad litteram da Strabone. Ed è degno di nota come Heroon polis, cioè la località posta da Artemidoro al principio della sua digressione sulla Trogloditica, sia per Simonidis oggetto di una fantasiosa ed elefantiaca amplificazione a base di false notizie e di falsi documenti: la fondazione originaria da parte di Sesostri (col relativo tempio di Ares) e poi la nuova ad opera di Giustiniano, 433 con relativo tempio di Giorgio «portatore di trofeo» (tropaiophòros), 434 nonché le false epigrafi che profonde ed allinea con la stessa disinvoltura con cui inventerà le false epigrafi che documentavano la biografia (del tutto fantasiosa) di Uranios, smascherate da Seymour de Ricci. 435 La città segnalata da Artemidoro nel recesso più interno del Golfo Arabico fu dunque, per Simonidis, di molto interesse: non solo inserì quel frammento artemidoreo in un suo falso (lo Spoudaiodromion), ma vi costruì intorno altri falsi! Né deve sfuggire, in ragione di ciò che diremo tra breve, il dettaglio che proprio in questo passo Artemidoro forniva sulla «caccia agli elefanti». La dipendenza diretta da Strabone è certa. Lo conferma ulteriormente l errore (dovuto al fraintendimento di una frase di Strabone) in cui è incorso Simonidis quando parla delle «isole Philai», dove sostiene di aver trascorso tre mesi. Non

169 esistono delle isole Philai, al contrario Philai (= Philae) è il nome di una sola isoletta di granito cristallino, e di dimensioni minuscole (460 metri di lunghezza e 150 di larghezza), 436 posta in un ansa del Nilo dopo Assuan (antica Syene), accanto ad altre isole di ben maggiori proporzioni. È Strabone che, scrivendo, (XVII, 1, 23: «Quelli che abitano Philae, oltre Syene»), lo ha indotto in errore: ha suggerito, a chi non aveva visto direttamente i luoghi ma lavorava facendo collage di fonti, l idea di un gruppo di isole chiamate, nel loro insieme, con quel toponimo al plurale. Anche nel trattato Sugli omonimi di Erma, Simonidis cita diffusamente i capitoli di Strabone (XV, 1, 72-73) contenenti in extenso il lungo brano di Nicola di Damasco sui doni recati ad Augusto dalla ambasceria del re indiano Poros (serpenti e tartarughe colossali, nonché l uomo detto erma perché privo di braccia), 437 e anche lì c è Artemidoro (= fr. 109) con altri ancora dei suoi animali fantastici, questa volta dell India, sui quali Strabone esprime il suo scetticismo. 4. Simonidis ha dunque voluto far credere di aver compiuto lo stesso tragitto di Artemidoro: in quel brano, infatti, Artemidoro (fr. 96 = Strabone, XVI, 4, 5) non sta semplicemente menzionando dei toponimi, sta dicendo di aver compiuto quel tragitto e secondo quell ordine: «(Artemidoro dice che) navigando ( ) da Heroonpolis lungo la Trogloditica c è la città di Philotera». E Simonidis inventa per sé il medesimo attraversamento delle acque del Mar Rosso: «Attraversò il mare di Heroonpolis (detto comunemente Mar Rosso) alla volta della città di Philotera nella Trogloditica». «E di lì» prosegue «giunse a Myòs Hormos.» E Artemidoro: «Quindi c è il Myòs Hormos, che viene chiamato approdo di Afrodite». Tutto quel che segue (in Strabone) è dedicato unicamente alla Trogloditica. E non è altro che una parafrasi del racconto di Artemidoro, il cui nome fa capolino ogni tanto. Si tratta dapprima di popolazioni esotiche: dai Cinamolgi, che allevano cani di ogni tipo e vanno a caccia di elefanti indiani, 438 agli Elefantofagi che danno loro la caccia con enormi archi per reggere i quali ci vogliono più persone, 439 agli Strutofagi presso i quali ci sono uccelli grandi come cervi, 440 agli Acridofagi, che si cibano di locuste, 441 agli Ittiofagi, ai Chelonofagi, che si cibano di testuggini, 442 ai Creofagi e così via. Tutte queste popolazioni vengono caratterizzate in rapporto ad animali: di cui costoro si cibano o cui danno la caccia. Quindi, dopo la breve notizia sulle due paludi piene di coccodrilli, e intorno alle quali fiorisce largamente il papiro, si passa direttamente agli animali: dall ibis al favoloso myrmex, 443 il quale rappresenta uno dei punti di contatto più strepitosi tra queste pagine straboniane dove è Artemidoro la fonte esplicita 444 e il cosiddetto papiro di Artemidoro adorno anch esso, sul verso, di un

170 inverosimile myrmex corrispondente per l appunto a questa descrizione e ben difforme dalle altre descrizioni esistenti di codesta «formica-leone», nonché di un bel manipolo di animali «di Artemidoro». 5. Come è ormai ben noto, 445 tutto il blocco centrale nell ambito dei circa quaranta animali presenti sul verso del papiro è costituito dagli animali di Artemidoro. Si veda la tabella qui di seguito. Ecco qui di seguito la significativa pagina straboniana interamente fondata su Artemidoro:

171

172 La regione abbonda di elefanti e di leoni detti myrmekes: essi hanno i genitali rivolti al contrario e il manto simile all oro, ma meno folto dei leoni d Arabia. Vi si trovano anche robusti leopardi e rinoceronti; e non di poco i rinoceronti sono inferiori agli elefanti per la stazza, come sostiene Artemidoro, in un suo veloce cenno, quantunque affermi di averne visti ad Alessandria [ ]. Vivono in questi luoghi anche le giraffe (kamelopardaleis), che non hanno nulla a che vedere con i leopardi (pardaleis): il loro manto maculato, infatti, somiglia più a quello dei cerbiatti, segnato da chiazze a strisce. La parte posteriore è decisamente più bassa di quella anteriore, tanto da suggerire l impressione che l animale stia seduto. Visto da dietro appare dell altezza all incirca di un bue, le zampe anteriori, invece, non sono da meno di quelle del cammello. D altra parte, quando il collo è sollevato e disteso, la testa si trova ad essere molto più in alto rispetto al cammello. A causa di tale asimmetria, non ritengo nemmeno che questo animale sia contraddistinto da quella velocità che Artemidoro ha definito insuperabile [ ]. Il krokotta è un misto di lupo e di cane, come il medesimo Artemidoro afferma. Metrodoro di Scepsi, nell opera Sulla consuetudine, ne parla come di un essere favoloso, cui non si deve prestare attenzione. Ancora, Artemidoro parla di serpenti lunghi trenta cubiti, in grado di sopraffare elefanti e tori, e su questo aspetto l autore si è contenuto; i serpenti indiani e quelli libici, infatti, sono più favolosi, dato che si racconta addirittura che su di essi cresca l erba. (trad. S. Micunco) I tentativi di confutare questa immediata evidenza sono falliti. D altra parte Simonidis, nel suo viaggio in Trogloditica, continua anche nel seguito a ricalcare ciò che si legge in Strabone subito dopo la rassegna degli animali di Artemidoro. Strabone registra (XVI, 4, 24) che il movimento commerciale, dall India e dall Arabia verso la Trogloditica e la capitale egiziana, segue la rotta:

173 Myòs Hormos Copto Tebe Alessandria E Simonidis immagina che il suo viaggio sia proseguito appunto secondo la rotta: Myòs Hormos Copto Tebe Alessandria È impossibile negare che Simonidis stia mettendo a frutto questo testo. Non si tratta dunque soltanto della sua approfondita familiarità con i frammenti di Artemidoro, e per giunta con quelli riguardanti gli animali esotici. È la presenza, sul verso del cosiddetto «papiro di Artemidoro», per l appunto degli animali esotici che popolano queste pagine straboniane a mettere definitivamente in rapporto quel papiro con Simonidis. Quanto gli fossero presenti quelle pagine popolate di animali esotici dovrebbe essere ormai chiaro. Comunque, ecco ancora un altro caso. Nell immediato contesto in cui Strabone nomina l isoletta di Philae di cui Simonidis, come s è visto, s è servito fraintendendolo c è lo Hierax («diverso dagli omonimi uccelli che sono presso di noi e in Egitto»), ed ecco puntualmente spuntare uno Hierax anche sul verso dello pseudo-artemidoro. Del resto, che Simonidis avesse, come abbiamo sin qui dimostrato, letto e riletto queste pagine di Strabone su Egitto e Trogloditica dovrebbe apparire, in verità, più che ovvio: se solo si tien conto della sua fisima di essere anche un eccellente egittologo, e di aver addirittura scoperto la vera decifrazione dei geroglifici, ribadita nelle sue numerose pubblicazioni egittologiche (dalla alla sua rivista «Memnon»). E le figure di animali sono, com è noto, ben presenti sia nei geroglifici che nello zodiaco (secondo i mesi egizi: cui edizioni e manoscritti umanistici di Tolomeo danno adeguato rilievo). Nella egli fa ampia ostentazione di tutto ciò, e vi include (p. 8) anche il (che puntualmente ritroviamo anche nel verso di P. Artemid). 6. Si è osservato nei capitoli precedenti che i fogli sottratti da Simonidis al Vatopedi 655 lo hanno messo in contatto con i frammenti di Artemidoro relativi a Odessa e dintorni compresi nel Periplo del Ponto Eusino dello pseudo-arriano. Ora possiamo osservare nello Spoudaiodromion che un «periplo del Ponto Eusino» Simonidis lo attribuisce anche a se stesso. Tale periplo è il primo episodio della fitta serie di

174 viaggi che lo hanno portato, sulle tracce di Artemidoro, a percorrere se gli prestiamo fede per l appunto Mar Nero Mediterraneo Mar Rosso e un tratto di Mare esterno oltre le Colonne Il processo di auto-identificazione di Simonidis con Artemidoro è dunque in questo Viaggio archeologico impressionante. Artemidoro parlava di un tragitto, da lui compiuto, dalla costa arabica alla Trogloditica che toccava e Simonidis compie lo stesso viaggio. Né va trascurata all estremo opposto del Mediterraneo la tappa oltre le Colonne d Ercole. 446 Il quadro che ne risulta corrisponde puntualmente a quello che Marciano, nelle due prefazioni (al libro I del Mare esterno e al Menippo), diceva di Artemidoro: che cioè Artemidoro aveva visto e descritto molto bene il mare interno, un pezzo di mare esterno dalle parti di Gades e la Trogloditica, cui aveva dedicato alcune «digressioni». 447 Hieroonpolis Philotera Myòs Hormos Come s è già detto, il Memoir di Stewart e l epitome di Callinico si integrano a vicenda e ci restituiscono in certa misura il Viaggio di studio archeologico di Simonidis. La tappa in Spagna e Portogallo è attestata da Stewart (p. 15), mentre Callinico parla più genericamente di spostamento di Simonidis «verso l Europa occidentale». Entrambi in realtà attestano la medesima tappa del lunghissimo viaggio di Simonidis: quella nella penisola iberica. Come sappiamo, questa fu per Artemidoro una delle tappe più significative del suo viaggio. Il processo di autoidentificazione di Simonidis col suo Artemidoro (come lui geografo greco d Asia) giunge fino a punte estreme. Ad esempio la continua definizione di se stesso, che Simonidis adotta in lettere destinate ai giornali nel corso della polemica sul Sinaitico, come «infaticabile», (tale il geografo di cui si sproloquia nella colonna I dello pseudo-artemidoro) ricorre ad un primo sondaggio almeno tre volte: «The unwearied Simonides»; «I was called

175 indefatigable mind and pen by my companions» (lettera di Simonidis del 22 gennaio 1863); «the indefatigable Simonidis» (nella lettera che Simonidis crea fingendosi Callinico). 448 Solo un preconcetto può indurre a sostenere che tutto quanto osservato sin qui sia frutto del caso. E Simonidis appare il solo candidato-autore del cosiddetto «papiro di Artemidoro». Nell ordine: a) particolare dal ritratto dell evangelista Matteo disegnato da Simonidis (Facsimiles of certain portions of St. Matthew, London 1861); b) particolare dal ritratto di Nicola di Metone (Theologikaì graphaì téssares, London 1863); c) testa (R1) figurante sul recto dello pseudo-artemidoro.

176 Le quattro mani: la prima e la quarta dal già ricordato ritratto di Nicola di Metone, le altre dal recto dello pseudo-artemidoro. 410 Il volume è sopravvissuto in pochissimi esemplari. Ne abbiamo rintracciati due a Parigi (Bibliothèque Nationale e Institut de France: vd. infra), due alla Biblioteca Gennadios di Atene e uno nella Bodleian Library di Oxford. Inoltre un esemplare è conservato presso l Università cretese (Panepistemion Kretes) [segnalazione di Stamatis Busses]. È intitolato Autographa e reca due diversi luoghi di stampa: in alcuni Odessa (1854), in altri Mosca (1853). Si tratta di tomi di non molte pagine e realizzati con procedimento litografico. Riproducono testi manoscritti, creati in realtà dallo stesso Simonidis: donde il ricorso alla litografia. 411 I. Chatzephotis,, cit., pp Cfr. A. Lykurgos, Enthüllungen, cit., p Ivi, pp Su di lui cfr. Oxford Dictionary of National Biography 60, 2004, pp [segnalazione di Massimo Pinto]. 415 Ricordiamo che le pagine iniziali degli Autographa si presentano come riproduzione litografica di un manoscritto. 416 Cfr. Addit A, ff. 256, , 279, 302.

177 417 Cfr. J.K. Elliott, Codex Sinaiticus, cit., pp Fonte di tutto ciò è la lettera di Simonidis a Lykurgos, ripubblicata da quest ultimo in Enthüllungen, cit., pp e dativo, per indicare il «moto a luogo», è uso tardo. 420 Pausania, I, 9, 9 e Stefano di Bisanzio s.v. Lysimacheia, danno questa versione, del tutto insolita, della fondazione della città. 421 : cfr. P.Artemid., V, Di qui apprendiamo che Simonidis ha fatto ricerche in Caria nel Il riferimento ai Cassaniti e agli Elisari denota ancora una volta l uso di Stefano di Bisanzio (s.v. ) e di Tolomeo (Geogr., VI, 7, 6-7). Su ciò cfr. infra, nota Anche per gli «Eropoliti» si deve risalire a Stefano di Bisanzio (s.v. ), ma soprattutto a Strabone, come vedremo tra breve. 425 Ciò significherà che ha trascorso tre mesi a Tebe e sette a Philai. 426 Questa tappa appare piuttosto singolare e tanto più degna di nota. 427 (lapsus influenzato dal parlar moderno, come il famigerato ). 428 Stefano (s.v. ) e Tolomeo (Geogr. VI, 7, 6-7) sono le uniche fonti che nominano queste popolazioni: cfr. J. Tkacˇ in RE V, 2, 1905, coll , s.v. Elisares. Anche la si trova unicamente in Tolomeo (VI, 7, 7), appunto come ultima località della : perciò Simonidis-Callinico dice, appunto perché intende che quel promontorio è l estrema località della. L uso di Stefano non soltanto di Tolomeo è ugualmente certo (come nel caso di Lysimacheia) perché la collocazione dei Cassaniti sul Mar Rosso si ricava appunto dalla voce di Stefano: il quale giova notarlo qui cita come sua fonte Marciano (p. 365, Meineke); attinge cioè probabilmente a un esemplare integro del Mare esterno (libro I), visto che questo etnonimo non figura nel Marciano ridotto, giunto a noi nel Suppl. Grec Gli «Eropoliti» hanno costituito per Simonidis motivo di speciale interesse: vd. più oltre in questo paragrafo. 430 Poco oltre, nello stesso paragrafo, vengono descritti gli spostamenti di Cornelio Gallo da Myòs Hormos a Copto, ad Alessandria. Si tratta delle uniche menzioni di Myòs Hormos in tutta l opera di Strabone. 431 È nota la pretesa di Simonidis di possedere una sua chiave per la decifrazione dei geroglifici. 432 Cfr. infatti Stefano, s.v. (p. 304 Meineke). 433 Il riferimento a Giustiniano è espresso in modo vago e insolito: «Nei giorni di Giustiniano». 434 Questo vezzo di moltiplicare i templi lo si trova anche nel rifacimento, in forma di (falso) papiro, del Periplo di Annone. 435 «Bulletin de la Société archéologique d Alexandrie», 11, 1909, pp Cfr. una nitida immagine nell Égypte et Soudan di K. Baedeker, Leipzig-Paris , p C. Simonidis, Theologikaì graphaì téssares, London 1863, pp Strabone, XVI, 4, 10 etc. 439 Ibidem.

178 440 Ivi, 4, Ivi, 4, Ivi, 4, Ivi, 4, Ivi, 4, S. Micunco, Figure di animali, cit., «QS» 64, 2006, pp. 9-15, dove ci sono tutti i chiarimenti necessari relativi alle corrispondenze indicate nella tabella (tra l altro a proposito del divertente caso V17). Si veda inoltre un chiarimento conclusivo dello stesso autore in «QS» 68, 2008, pp Cfr. la già citata lettera di Simonidis a Lykurgos del 29 agosto del 1853, nonché Ch. Stewart, Biographical Memoir, cit., p. 14. Anche la tappa siciliana di Simonidis trova riscontro in Artemidoro, frr. 49, Per giunta nell edizione Miller di Marciano, che Simonidis vide a Parigi nel 1854, nel Département dove Miller aveva lavorato per decenni, il Menippo si presenta ancora come Epitome di Artemidoro. 448 Segnalazioni di Luciano Bossina. Le tre espressioni ricorrono in J.K. Elliott, Codex Sinaiticus, cit., rispettivamente alle pp. 78, 59, 76.

179 Parte Quarta E per concludere

180 XXV. Kat emèn idéan, again and again Abbiamo rievocato (supra, cap. XXII, 2) il celebre incidente del : cioè di quell espressione indiscutibilmente moderna che, rivestita di parole greche, Simonidis aveva incastonato al principio del suo Uranios. Parole inizialmente passate inosservate ma che furono presto additate come sospette e che, insieme al riconoscimento della fonte moderna (Bunsen) di un passo dell Uranios, fecero franare l incauta fabbricazione. Abbiamo altrove fatto osservare che anche la «fatica veramente atlantica» del geografo-filosofo di cui si discorre nel delirante proemio non trova riscontri in testi antichi bensì nell «Atlantean labour», di galileiana memoria, molto di frequente ripreso nel mondo anglosassone («QS» 70, 2009, pp ). Nel solco di questi rivestimenti in greco di frasi e concetti moderni si pone anche il fenomeno, cui pure s è fatto cenno («QS» 70, pp ), delle «armi mescolate». A tal proposito abbiamo mostrato che l immaginario di chi scrisse «la geografia reca addosso ( ) una gran quantità ( ) di armi mescolate ( )» era evidentemente dominato dall iconografia dei moderni guerrieri, o guerriglieri, divenuti icone della moderna libertà della Grecia: mitizzati per i loro canti («cleftici») e anche per la loro intimorente mise di combattenti, come si usa dire, armati sino ai denti. E abbiamo dato un campione, molto essenziale, di tale iconografia, trascurando però di osservare quanto ci ha segnalato un conoscitore come pochi del greco e dei Realien quale Aldo Corcella: che cioè sia in tedesco che in francese è addirittura usuale l equivalente di, che invece in greco non ricorre mai (né potrebbe, vista l incongruità concettuale e pratica con l uso militare antico). A fronte di zero risultati nel greco di ogni epoca (Thesaurus Graecae Linguae) per l espressione (o simili), una ricerca aggiornata al novembre 2009, condotta su motori di ricerca informatici (Google books etc.) rivela una massiccia presenza di espressioni molto simili a in lingue moderne, per un periodo compreso tra il 1500 e il Ecco alcuni risultati: 404 [mit] gemischten Waffen; 49 gemischte Waffen; 7 vermischte Waffen; 3 [mit] vermischten Waffen; 222 armes mêlées, 13 armes mélangées e una ventina di casi di mingled weapons. Insomma, questo Simonidis era alquanto recidivo. In realtà anche ai più sofisticati conoscitori accade di rivestire con parole di un altra lingua, nella quale intendono esprimersi, fraseologia e sintassi allotrie.

181 La cultura, la lingua, la forma mentis del falsario finiscono sempre per fare capolino, anche nelle più sagaci fabbricazioni. Simonidis stesso ne era ben consapevole, e lo dimostrò in un occasione per lui di grande importanza, come ha rilevato per litteras Luciano Bossina: Quando il vero (o un vero) Callinico scrisse per sbugiardare Simonidis sul suo più prezioso testimone (lettera efficacissima: tutto il castello crollava), Simonidis rispose con una lettera rabbiosa, cercando di screditare a sua volta la testimonianza di Callinico. Ebbene Callinico aveva scritto in greco, e Simonidis replica tacciando quella lettera di essere un falso, perché certe espressioni sarebbero state estranee al greco e tradotte invece dal francese e dall inglese. Il che sarebbe avvenuto in modo massiccio nelle formule di saluto e di omaggio, ma in generale in tutta la lettera: That these are not genuine Greek expressions, but English or French compliments translated into our tongue, one need not be a Greek to perceive; and, indeed, the whole letter bears evident marks of translation from a foreign language (Elliott, p. 109). Questa testimonianza è preziosissima, perché dimostra che il falsario Simonidis era consapevole del problema che un testo greco falsificato potesse recare tracce di traduzione da lingue altre ( evident marks of translation from a foreign language ). Qui parla l esperienza diretta di chi aveva regolarmente questo problema nel fabbricare i propri falsi, e svela una volta di più l occulta e laterale presenza di collaboratori inglesi, francesi, tedeschi. Naturalmente questa consapevolezza non significa che egli poi riuscisse in concreto, nei suoi falsi, a evitare di cadere in questo tipo di errori. Ma è altamente rivelatorio che, nel tacciare di falso un testo greco altrui, egli persegua il criterio di individuarvi tracce di traduzione dall inglese e dal francese. Esattamente ciò che avviene nel caso di, delle armi mescolate, del prologo di Ritter etc.

182 XXVI. Onore agli «Zosimadai immortali, amanti delle Muse» Il verso dello pseudo-artemidoro contiene un altro testo, un testo figurato fornito di un titolo : dunque ciò che sotto tale titolo viene raccolto vuol apparire come un testo. Un testo sui generis, un testo fatto di immagini: alle quali si riferisce l intestazione, che tutte le include. Un idea tipicamente moderna. Naturalmente basta la circostanza della presenza di quella intestazione di tipo librario, volta a definire categorialmente gli animali raffigurati e adatta a connotare qualunque trattato «de animalibus», per togliere di mezzo le fantasticherie sul campionario per illustrar ville di cui favoleggiarono un dì gli autori dell infausta teoria delle tre vite, ormai abbandonata. 449 Il problema è: quali modelli aveva in mente l autore di un tale testo fatto solo di figure di animali? Una parte non piccola, come sappiamo (supra, cap. XXIV), è costituita dagli «animali di Artemidoro» menzionati da Strabone. Per spiegare la presenza di tutti gli altri e il complesso inquadramento degli uni e degli altri in un testo figurato conviene far capo alla trattatistica di cui Simonidis ebbe esperienza, a cominciare dalla stessa celebre Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste, di cui si è detto nel capitolo XXIII. Ma si può fare ormai una ulteriore considerazione: il repertorio/bestiario del verso del papiro sembra inquadrarsi in un vero e proprio genere di trattatistica de animalibus. Un paio di manoscritti dell Athos contengono gli excerpta costantiniani «de animalibus» e presentano una didascalia piuttosto affine alla nostra: l uno si trova nella Monè Dionysíou (il nr. 180); l altro era nella Monè Pantocratoros finché il disinvolto Minoide Mynas non lo trafugò facendolo approdare alla Bibliothèque Royale dove divenne il Supplément Grec 495. L edizione di questi estratti, rimasti a lungo inediti, fu fatta da Spiridione Lambros solo nel Prima erano noti solo ai frequentatori dell Athos. Sempre dall Athos prende le mosse la conoscenza, da parte di Simonidis, del De proprietate animalium di Manuele Philes (Panteleemon, nr. 502), le cui rispondenze con il bestiario dello pseudo-artemidoro sono state già illustrate («QS» 69, 2009, pp ). L accostamento diviene ancor più stringente se si considera la forte somiglianza di alcuni disegni presenti in un esemplare parigino (gr. 2737) di Philes e i disegni V14 e V6 dello pseudo-artemidoro. Ovviamente anche la frequentazione del prediletto Horapollo ha dato frutti. 450

183 Il «canide» picchiettato con la testa rivolta all indietro (V28) è definito nella didascalia, termine che in tutta la grecità ricorre appunto nel solo Horapollo ( 3, p. 6 Sbordone) e negli «estratti» del XI secolo da Teucro di Babilonia contenuti in un codice Laurenziano, e lì vale come nome greco di Iside- Sothis. 451 È difficile togliere peso a una coincidenza del genere, tanto più che l uso di Horapollo ha dato frutti anche per i disegni del recto. Vi è poi un altra fonte, la cosiddetta Brevis historia animalium, mutila in principio, compresa nel Monacense greco 564, di seguito all opera di Eliano. Ma in questo caso non era nemmeno necessario per Simonidis consultare il Monacense. Nel 1811, a Mosca, col sostegno dei fratelli Zosimadai, Christian Friedrich Matthaei aveva pubblicato questo scritto. Lo aveva presentato con la dovuta enfasi («ex codice manuscripto qui unus ad nostra tempora videtur pervenisse») e aveva posto in rilievo, sin dal frontespizio, il sostegno economico degli Zosimadai. Quest opera ebbe un singolare destino: fu a lungo (fino al 1869) considerata inedita, perché la tiratura moscovita andò quasi del tutto distrutta nell incendio di Mosca (1812). Perciò, quando, nel 1868, Moritz Haupt 452 decise di pubblicarla, sulla base appunto del codice monacense, si accorse in extremis dell esistenza di quella precedente edizione (commentata e tradotta in latino) di Matthaei, e giudicò che comunque, data l estrema rarità di essa, una riedizione (che di fatto era una prima edizione) fosse opportuna. Per Simonidis, invece, quello era il suo mondo. I fratelli Zosimadai, il cui lavoro pedagogico (scuola di Ioannina), editoriale (la «Biblioteca Ellenica» e molto altro), politico (sostegno economico a Ypsilanti al momento dell Epanastasis) era partito da Ioannina, avevano spostato man mano la base delle loro attività appunto verso la Russia: prima a Ni?ni Novgorod poi a Mosca. Il più longevo fu Nicolaos Zosimas, vissuto fino al 1842: e lo troviamo, in quegli ultimi anni, tra Mosca e Ni? ni Novgorod mentre Simonidis è, al servizio di Sturtza, tra Mosca e Odessa. Quando è rimasto solo, Nicolaos ha tuttavia proseguito l attività editoriale. Nel 1840 fa ristampare gli Atti degli Apostoli già pubblicati una prima volta, a Mosca, e rileva che lo fa «a sue spese», ma precisa «essendo gli altri fratelli passati a miglior vita ( )». Ma edizioni e riedizioni di opere recanti il loro nome appaiono ancora nel 1842, compreso, che esce nel giugno di quell anno. Il loro epitafio viene composto e pubblicato da autorevoli esponenti della famiglia Oikonomos, nella cui cerchia Simonidis si è presto introdotto. I libri stampati col sostegno degli Zosimadai sono stati per Simonidis formativi: dalla Silloge dei geografi tramandati in epitome (Vienna ) agli Elementi di Geografia di Antimo Gazis (Vienna 1804), all opera di Niceforo Theotokis, che Simonidis dichiara di aver postillato per anni.

184 La Brevis historia animalium che Haupt dimostrò essere un epitome dell analoga opera (perduta) di Timoteo di Gaza presenta un campionario di animali per ciascuno dei quali è fornito un breve racconto. Si può osservare 453 che questo repertorio presenta un consistente manipolo di animali collimante con quello del verso dello pseudo-artemidoro:. Se è di per sé difficile sostenere che ciò sia casuale, ancor più lo diventa se si osserva che la scena figurante nel papiro (V19) un felino che si avventa contro il che gli ha rapito il cucciolo si ritrova al paragrafo 9 del trattatello bizantino. Tre sono le scene di lotta nella Brevis historia e si ritrovano tutte e tre nel verso del papiro. Se il bestiario che è sul verso dello pseudo-artemidoro, con il suo bravo titolo tripartito, risente dell influsso dei tardivi repertori di cui si è qui discusso, chi potrà più credere che si tratti dell opera di un illustratore alessandrino del tempo (così purtroppo fu detto) di Cleopatra VII detta Filopatore? I frontespizi qui di seguito riprodotti offrono una selezione di opere patrocinate dai fratelli Anastasios, Nicolaos, Zoes e Michael Zosimadai, ricchi mecenati operanti tra Grecia, Italia e Russia nella prima metà dell Ottocento. Ne scaturisce un idea più chiara dell orientamento e delle predilezioni culturali dell ambiente in cui si era formato e operò Costantino Simonidis. (Stefano Micunco)

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191 449 Cfr. S. Settis, Un papiro dal I secolo, cit., p. 28: «Resta da spiegare a quale scopo tanti animali siano stati disegnati tutti insieme». 450 Simonidis pubblicò molti stralci, anche fantasiosi, da Horapollo, nella rivista da lui fondata «Memnon» (1857); pubblicò, inoltre, nel 1860, in greco e in inglese, una Brief Dissertation on Hieroglyphic Letters e nel 1863 Concerning Horus of Nilopolis. 451 Su ciò S. Micunco, «QS» 64, 2006, pp. 17 e Excerpta ex Timothei Gazaei libris de animalibus, «Hermes» 3, 1869, pp e Cfr. S. Micunco, «QS» 64, 2006, pp

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