La crisi economica e le libertà



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Transcript:

La crisi economica e le libertà il singolo non occupa più nella società il posto che l albero occupa nel bosco: egli ricorda invece il passeggero di una veloce imbarcazione che potrebbe chiamarsi Titanic (1) I segnali di declino del sistema Italia sono evidenti ormai da molto tempo. I numeri presentati in Parlamento nella nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza del Ministero dell Economia sintetizzano lo stato di crisi : il PIL, diminuito nel 2011 dello 0,4%, crolla nel 2012 del 2,4%, diminuisce ancora nel primo trimestre del 2013 dello 0,6% e si dovrà rivedere al ribasso la previsione già critica del 1,3% fatta dall attuale governo; le importazioni diminuiscono del 6,9%; i consumi finali del 2,6%; gli investimenti fissi lordi dell 8,3% e dal 2008 sono diminuiti del 26,2%; la pressione fiscale arriva al 44,7% e la spesa primaria al 46% del Pil. Dal 2008 nel settore dell edilizia si sono persi 690 mila posti di lavoro e sono fallite oltre 11 mila imprese (fonte Ance). L acquisto di nuove abitazioni ha subito un crollo di 74 miliardi di euro rispetto a 6 anni fa. Oltre ad un imposizione fiscale altissima per pagare le tasse un imprenditore italiano deve lavorare 269 giorni, un austriaco 170 ed uno svizzero solo 63 - un altro freno alla rinascita industriale viene da una burocrazia inadeguata ai tempi moderni: per avviare un impresa in Italia servono 78 adempimenti e 40 giorni. Secondo la CGIA di Mestre il costo della burocrazia a carico delle imprese è pari a 31 miliardi di euro all anno.

Dal 2008 i prestiti alle imprese sono diminuiti di 100 miliardi, ed in particolare sembra tagliata fuori l impresa artigiana, alla quale arrivano solo 50 miliardi dei 900 erogati al sistema produttivo. I tanti vincoli delle varie Basilea ed i mancati pagamenti delle pubbliche amministrazioni stanno spazzando via l offerta delle piccole e medie imprese italiane dallo scenario competitivo internazionale. A questo quadro, con tinte fortemente scure, si deve aggiungere la progressiva perdita di fiducia dei consumatori e degli imprenditori, con conseguente diminuzione della propensione a consumare e ad investire, che a sua volta innesca un circuito vizioso ancora più declinante, favorito da una incredibile ed improvvida stretta creditizia. I governi tecnici e politici, anche composti da accademici che conoscono molto bene i principi dell economia, hanno incredibilmente applicato in una fase recessiva misure restrittive, della domanda e dell offerta, senza ridurre la spesa pubblica primaria né, ancor più grave, individuare meccanismi di miglioramento qualitativo della pubblica amministrazione. E quindi : più pressione fiscale, compreso lo straordinario aumento dell iva, taglio degli incentivi, guerra scenografica al consumo come dimenticare i finanzieri a Cortina e ancor più emblematico tra gli ombrelloni alle partite iva imprenditore quindi presunto evasore - con la costruzione di strumenti di controllo, il redditometro, da una parte utili a stanare parte dell evasione ma dall altra inibenti la crescita dei consumi. E senza crescita della domanda, il rapporto debito/pil non può che peggiorare. In più senza alcuna direzione sul sistema creditizio, che pur ricevendo liquidità dalla Banca Centrale Europea, si è ben guardato

dall immetterla nel sistema delle famiglie e delle imprese, preferendo comprare titoli di stato. Siamo insomma passati dall essere la V potenza economica mondiale nel 1992 ad essere definiti Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) dalla insopportabile stampa internazionale. Un paese dove, secondo l Istat, il 55% delle famiglie vive in uno stato di deprivazione relativa, ovvero non arriva a fine mese. L Italia, con il 48,3% di forza lavoro (occupati o in cerca di occupazione) sul totale della popolazione compresa tra i 15 ed i 65 anni, è uno dei Paesi con il più basso tasso di partecipazione al lavoro (esso è passato da 48,6% nel 2009 a 48,3% ne 2010 ultimo dato disponibile per un confronto internazionale dati ILO). Il rischio che si creino maggiori disuguaglianza economiche e sociali è elevato. Una grossa fetta della popolazione ha ormai rinunciato alla ricerca di un impiego lavorativo regolare. Questo, insieme all elevato Debito pubblico, che lo posiziona al terzultimo posto tra i 43 Paesi Avanzati, rende l Italia uno dei Paesi meno favorevoli alla stabilità economica delle giovani e future generazioni. Il nostro paese è solo al 49 posto nel mondo secondo il Global Competitiveness Index del Worl Economic Forum, al 73 nel Doing Business Index, all 84 nello Starting Business Index, al 104 nel Getting Credit index e al 131 nel Paying taxes index, tutti indicatori eleborati dalla World Bank. E poi al 25 posto nello Human Development Index, una misura elaborata dalle Nazioni Unite che valuta in modo sintetico il progresso a lungo termine sulla base di 3 fondamentali dimensioni: - salute che viene misurata tramite l aspettativa di vita; - istruzione che viene valutata sul numero di anni di frequenza scolastica previsti per bambini di età scolare;

- reddito ovvero lo standard di vita misurato sul reddito nazionale lordo espresso in dollari al tasso costante del 2005, convertiti utilizzando la parità nel potere di acquisto. Dunque si è creato nel nostro paese un clima ostile per chi studia, per chi produce e per chi consuma: ed è proprio questo clima il primo fattore di decadenza e di limitazione della libertà. Le categorie produttive italiane, e quindi le piccole e le medie imprese, sono a rischio per una sfrenata concorrenza internazionale, senza alcuna protezione istituzionale, ma al contrario vessati di tasse che incentivano le dismissioni più che gli investimenti. E in moto un cambiamento radicale del nostro sistema sociale, cambiamento che in modo subdolo e permanente ha depresso lo spirito del fare, generando un sistema di paura diffusa, di passività e di rassegnazione e quindi limitando fortemente la libertà di azione, spezzata alla radice dal senso d impotenza. Un attacco competitivo che forse inizia nei primi anni 90 e che è certamente riuscito a smantellare le partecipazioni statali - l IRI e la Stet sono un lontano ricordo è da diversi anni impegnato ad acquisire gran parte del nostro made in Italy, ora in mani estere, dalla moda all alimentare, e sta infine attaccando la classe artigiana, sommergendola di tasse, di debiti e negandogli i crediti. La ricostruzione del tessuto socio- industriale del paese non può essere delegato né alle istituzioni, ad oggi con sovranità incrociate e limitate, né alle grandi imprese, sempre più guidate da logiche ego- finanziarie, né ai partiti tradizionali, esplosi per carenza di idee; lo sviluppo sociale deve partire da una dinamica di partecipazione diffusa di proposta civica, da

movimenti trasversali che ridefiniscano il peso della sovranità popolare e nazionale. L uomo tende a rimettersi agli apparati e a far loro posto anche quando dovrebbe attingere alle proprie intime risorse. Dà prova in tal modo di mancanza di immaginazione. Eppure dovrebbe conoscere i punti in cui non è lecito mercanteggiare la propria sovrana libertà di decisione.non appena la vita e la proprietà sono in pericolo come d incanto un allarme chiama i vigili del fuoco e la polizia. Ma il grande rischio è che l uomo confidi troppo in questi aiuti e si senta perduto se essi vengono a mancare. Ogni comodità ha il suo prezzo. La condizione dell animale domestico si porta dietro quella della bestia da macello. (1) Il ceto medio sembra oggi totalmente alienato dal fenomeno della globalizzazione e dalla conseguente finanziarizzazione dell economia e della società; vive costretto tra fattori apparentemente contrapposti - da un lato la concentrazione e la delocalizzazione delle attività industriali, per rincorrere economie di scala e competitività di costo; dall altro, il decentramento amministrativo. Il ceto medio quindi non è rappresentato, o è falsamente rappresentato solo in prossimità della bagarre elettorale. Questa borghesia operosa è costretta a seguire il simulacro della stabilità europea a scapito del lavoro e del risparmio, terrorizzata dallo spettro del debito e dalla sciagura dell Europa Incompiuta, nel cui nome crescono tasse che ne limitano potere d investimento e d acquisto.

Il risultato è che il ceto medio, vera e propria locomotiva dello sviluppo industriale italiano, dal quale è certamente nato il fenomeno del made in Italy nel mondo, è sempre più povero e timoroso: le imprese chiudono ed il lavoro semplicemente finisce. Occorre urgentemente riporre al centro della nuova politica l Italia Artigiana delle piccole e medie imprese, del prodotto su misura, delle vigne curate ad arte o dei tessuti raffinati, della meccanica di precisione. Saranno quindi delle elites a dare battaglia per una nuova libertà battaglia che esige grandi sacrifici e pretende un interpretazione che non sia impari alla loro dignità Ribelle è colui che ha un profondo nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nel contrapporsi all automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo (1). Gian Piero Joime (1) Ernst Junger Trattato del Ribelle Adelphi - 1990