L AMBIZIONE DELL EUROPA. Verso la Conferenza sul clima di Parigi 2015 e l Unione energetica europea.



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L AMBIZIONE DELL EUROPA. Verso la Conferenza sul clima di Parigi 2015 e l Unione energetica europea. 1 >

INDICE Lead Author: DAVIDE TRIACCA Co-Author: ROBERTA CANCEDDA, JACOPO MANCA Unione Energetica e conferenza di Parigi: qui si gioca l interesse sovrano dell Europa e degli europei 2 Introduzione 4 La convenzione quadro sui cambiamenti climatici UNFCCC 5 Fondazione Centro per un Futuro Sostenibile via Tacito, 84-00193 Roma tel. 0039.06.90288228 - fax 0039.06.97279938 segreteria@futurosostenibile.org www.futurosostenibile.org La storia delle negoziazioni internazionali sul clima L accordo USA - Cina Lo scenario energetico globale 7 9 11 Il posizionamento dell europa: Roadmap 2050 e Framework 2030 ( 27-27-40 ). 15 EUROPEAN DEMOCARTIC PARTY Parti Démocrate Européen European Democratic Party Partito Democratico Europeo Rue de l Industrie, 4 - B - 1000 Bruxelles tel. 0032.2.22130010 - fax 0032.2.22130019 www.pde-edp.eu The sole liability of this publication rests with the author and the European Parliament is not responsible for any use that may be made of the information contained therein. L Unione Energetica: le sfide e le opportunità per l integrazione del mercato energetico I cinque pilastri della strategia europea per l unione energetica Verso Parigi 2015 COP 21 Riferimenti bibliografici 18 21 22 24 With the financial support of the European Parliament 2 > 1 >

UNIONE ENERGETICA E CONFERENZA DI PARIGI: QUI SI GIOCA L INTERESSE SOVRANO DELL EUROPA E DEGLI EUROPEI FRANCESCO RUTELLI Il Partito Democratico Europeo ha indicato nella sua Piattaforma 2014-2019 la creazione di una Comunità Europea dell Energia come obiettivo prioritario. È un progetto decisivo per la ripresa delle ambizioni dell Europa, mai così depresse, e lontane dai cittadini, da decenni a questa parte. Eppure, dobbiamo ricordare la lezione dei Padri Fondatori dell Europa, che avviarono il processo di Unione nel 1951 con la costituzione della CECA (la Comunità Europea del Carbone e dell Acciaio) dopo la catastrofe della II Guerra Mondiale: sul controllo dell estrazione e lavorazione delle materie prime che avevano scatenato il riarmo e i conflitti del XX Secolo si volle costruire il primo terreno della pacifica integrazione politica ed economica tra i popoli europei. Oggi, sono altrettanto decisivi i terreni dell integrazione e dell autosufficienza energetica, della Crescita e del lavoro Verde, della leadership europea nella riduzione delle emissioni e le politiche per l adattamento rispetto ai cambiamenti climatici. Qui si misura una nuova, necessaria ambizione europea, anche perché la verifica dovrà essere fatta a Parigi, nel dicembre 2015, in una Conferenza sul Clima che si annuncia decisiva. Le novità attorno a noi sono cruciali. Si è aperta una nuova battaglia globale geopolitica, economica, finanziaria, industriale sul prezzo del barile di petrolio, diminuito di circa il 40% in soli 5 mesi. Lo storico accordo tra USA e Cina per ridurre le emissioni climalteranti apre certamente un percorso nuovo nel negoziato, anche se la partita non è chiusa, ed è di fatto impossibile che la comunità internazionale possa centrare l obiettivo del contenimento dell aumento della temperatura media globale sotto i 2 C a fine secolo. Le notizie dai fronti della ricerca e dell innovazione in campo energetico, tecnologico e ambientale sono un misto di incoraggiamenti e frustrazioni. L Europa ha grandi interessi in gioco, pur avendo minore peso. Lo si era visto al Vertice di Copenaghen (2009), su cui si erano appuntate aspettative enormi, e totalmente deluse, di una guida europea. L UE conta di meno sul piano delle emissioni globali: fortunatamente, perché siamo meno inefficienti e meno inquinanti. Conta di meno, perché purtroppo produce di meno: questa tendenza di un Europa de-industrializzata va rovesciata assolutamente (non dimentichiamo che il 40% delle emissioni cinesi sono legate alle produzioni per l export). L Europa conta poco sul piano politico-diplomatico: questa tendenza è in parte ineluttabile, visto lo spostamento dei pesi economici e demografici verso Oriente e i Paesi emergenti, ma la nascita di un Unione Energetica Europea può costituire una risposta storica di primaria importanza. Noi proponiamo una strategia politica europea, e siamo lieti che la Commissione Juncker abbia deciso di nominare un Commissario per l Unione Energetica, anche se aspettiamo con impazienza progetti e azioni concrete. Qui c è anche un possibile punto di incontro tra le esigenze del cittadino europeo, e quelle di un Unione politica che vuole recuperare il suo ruolo nel mondo. Perché il cittadino sa perfettamente quanto pesi la bolletta energetica (un disavanzo di 400 miliardi all anno) anche sulla bolletta domestica, e delle imprese. Si rende conto che la mancanza di una garanzia sugli approvvigionamenti dalle aree in conflitto (Russia/Ucraina, Iraq, Libia), di integrazione tra le produzioni e le reti di connessione infra-europee, di solidarietà tra le nostre 28 nazioni in caso di criticità maggiori, minaccia la sicurezza di tutti e di ciascuno. Inizia a capire che più posti di lavoro e maggiore creazione di attività imprenditoriali poggiano sui settori Green, sostenibili ed innovativi, delle nostre economie. Questo studio, realizzato dal Centro per un Futuro Sostenibile, riassume tutti i nodi principali di questi scenari, fondamentali per l avvenire dell Europa. Completare il Mercato interno dell energia; investire massicciamente nell integrazione dei network energetici; accrescere il peso delle rinnovabili nel mix energetico e dell efficienza nelle nostre capacità produttive, nelle trasformazioni urbane, nei trasporti: costruire davvero l Unione Energetica è un interesse sovrano dell Europa e dei cittadini europei. Dobbiamo arrivare all appuntamento di Parigi avendo centrato questo obiettivo. 2 > 3 >

INTRODUZIONE LA CONVENZIONE QUADRO SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI - UNFCCC La comprensione della propria storia è il primo elemento necessario alla scelta della visione di futuro a cui ispirarsi. Ventidue anni dopo la sottoscrizione della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (United Nation Framework Convention on Climate Change UNFCCC), alla vigilia di quella che in molti indicano come l ultima possibilità di mantenere il cambiamento climatico globale entro limiti tollerabili, è doveroso interrogarsi sui risultati ottenuti e sui limiti ancora da valicare prima della Conferenza sul clima di Parigi 2015 - COP 21. Dopo una breve disamina delle milestones fondamentali che hanno segnato la storia delle negoziazioni sul clima, il report analizza lo scenario energetico internazionale evidenziando come, in realtà, clima ed energia siano due facce della stessa medaglia. Le energie, infatti, sono responsabili di due terzi delle emissioni globali di gas serra e l 80% dell anidride carbonica che l umanità può ancora emettere prima di superare la soglia critica di 2 C di surriscaldamento globale (global carbon budget) dipende dagli investimenti energetici decisi ed avviati oggi. In questo scenario, l Unione Europea, che da sempre ambisce alla leadership delle negoziazioni internazionali sul clima, si dimostra ancora stretta nella morsa della propria questione energetica. La dipendenza delle importazioni di combustibile, la non più sostenibile bolletta energetica (400 miliardi di euro all anno) e la ridotta sicurezza degli approvvigionamenti spingono l Europa a riflettere sulle misure da intraprendere oggi. Se il nuovo Framework 2030 pone obiettivi troppo poco ambiziosi per contribuire realmente alla soluzione di queste criticità, senza inoltre stimolare efficacemente il processo ormai irreversibile di green growth che tuttavia stenta a divenire uno dei pilastri fondanti delle politiche comunitarie, la visione di una Unione Energetica europea offre prospettive certamente migliori, anche in termini di rinnovata leadership delle negoziazioni globali sul clima. Molte cose sono cambiate rispetto a Copenhagen 2009, all Europa spetta il vitale ruolo di stimolare e capitalizzare il rinnovato impulso nelle negoziazioni in vista della sua seconda occasione, nel 2015 a Parigi. Prodotta nel corso del Rio Earth Summit di Rio de Janeiro nel 1992, la United Nation Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), oggi sottoscritta da 196 Paesi, rappresenta la cornice entro cui negoziare ed implementare accordi internazionali volti a contrastare il cambiamento climatico, definiti Protocolli, il più significativo dei quali è certamente il Protocollo di Kyoto. A due decenni dall entrata in vigore (nel 1994) della storica Convenzione, è legittimo interrogarsi se i nobili obiettivi sanciti all Art. 2 della Convenzione di stabilizzare le emissioni di gas serra nell atmosfera ad un livello tale da prevenire un influenza antropogenica pericolosa sul sistema climatico, da raggiungere in un lasso di tempo sufficiente per consentire agli ecosistemi di adattarsi naturalmente ai cambiamenti climatici e per consentire il radicamento di un modello di sviluppo economico sostenibile siano stati onorati. A tal proposito la Convenzione prevedeva la creazione di un processo graduale che avrebbe fornito, tramite la definizione di strumenti normativi di carattere vincolante e di meccanismi economico-finanziari, supporto ai Paesi sottoscrittori nell azione di mitigazione delle emissioni. Gli oneri e le opportunità legate alla lotta al cambiamento climatico sarebbero stati ripartiti in accordo con un principio di equità, secondo il quale i Paesi che storicamente hanno maggiormente contribuito alle emissioni di gas serra (Paesi Annex-I) avrebbero fornito risorse in favore dei Paesi in via di sviluppo che, pur essendo responsabili di quote notevolmente minori di emissioni globali, sono quelli più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. L inevitabile mutazione dello scenario economico globale, ben ben rappresentata dalla crescita esponenziale delle emissioni dei Paesi BRICS 1 (considerati dalla Convenzione come in via di sviluppo ) e dal netto superamento delle emissioni cinesi rispetto a quelle statunitensi, insieme all errata percezione che le politiche climatiche avrebbero rappresentato un insieme di vincoli (e non di opportunità) in grado di minacciare le economie nazionali, 1 Paesi BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa 4 > 5 >

ha contribuito alla sostanziale situazione di stallo nella quale le negoziazioni internazionali sulla lotta al cambiamento climatico sono ricadute in vista della conclusione, nel 2012, del primo Commitment Period del Protocollo di Kyoto. Figura 1 - EDGAR (Emission Database for Global Atmospheric Research), JRC (Joint Research Centre). IL PROTOCOLLO DI KYOTO Venne adottato nel 1997 in occasione della terza Conferenza (COP 3) tenutasi nell omonima città giapponese. Il Protocollo è un accordo legale che ha vincolato i Paesi industrializzati (Annex-I) a ridurre le proprie emissioni di gas serra a livello globale del 5,2% rispetto ai livelli del 1990. Il processo di entrata in vigore del Protocollo (possibile solo dopo la ratifica da parte di almeno 55 Parti della Convenzione che detenevano in totale almeno il 55% del totale di CO2 al 1990, art. 25) richiedette un lungo periodo di gestazione: le regole operative ed i meccanismi di funzionamento furono definiti 4 anni dopo Kyoto (COP 7, Marrakech), mentre la ratifica avvenne grazie alla firma della Russia nel 2005 (settimo anno dalla stipula). A seguito della ratifica, il primo periodo di impegni iniziò nel 2008 (ben 11 anni dopo l adozione). L estrema urgenza di una decisa azione climatica non consentirà un altrettanto esteso periodo di tempo utile alla reale entrata in funzione di un auspicato accordo globale da stipulare nel corso della COP 21 Parigi 2015. LA STORIA DELLE NEGOZIAZIONI INTERNAZIONALI SUL CLIMA Al fine di monitorare i passaggi d implementazione della Convenzione UNFCCC i Paesi Membri s impegnavano, in accordo con l art.7, ad incontrarsi annualmente in Conferenze delle Parti (Conference of Parties - COP) in cui assumere gradualmente tutte le decisioni necessarie all adozione di strumenti e politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici. Al fine di offrire un panorama conoscitivo dello sviluppo storico delle politiche climatiche globali funzionale all impegno decisivo di Parigi 2015 COP21, è necessario evidenziare alcune milestones raggiunte nel corso delle COP: COP 3 (Kyoto, 1997): definizione del Protocollo di Kyoto, che renderà operativa la Convenzione, vincolando i paesi industrializzati a stabilizzare le emissioni di gas serra ad un valore inferiore del 5% rispetto ai livelli pre-industriali nel quadriennio 2008-2012 (con differenti targets da paese a paese). COP 6-bis e COP 7 (Bonn e Marrakech, 2001): definizione di regole e procedure operative funzionali all implementazione dei meccanismi previsti nel Protocollo (emission trading, clean development mechanism, joint implementation act). COP 11 (Montreal, 2005): con la ratifica della Russia, il Protocollo di Kyoto entra in vigore. COP 13 (Bali, 2007): definizione della Road Map delle future azioni di lotta al cambiamento climatico (pianificazione del Bali Action Plan). COP 15 (Copenaghen, 2009): condivisione tra le Parti dell obbiettivo di mantenimento dell aumento della temperatura globale entro i 2 C rispetto ai livelli pre-industriali ed impegno al contributo finanziario crescente (30 MLD di dollari annui tra 2010 e 2012 e 100 MLD dal 2020) a supporto dei paesi in via di sviluppo. A causa della mancata intesa nell assemblea UN- FCCC, l accordo non è reso vincolante e le Parti condividono solo intenti. COP 18 (Doha, 2012): definizione delle tappe funzionali ad un futuro accordo universale sul clima e ad incrementare gli sforzi, dopo il 2020, di riduzione delle emissioni e di adozione di politiche di mitigazione e adattamento. Le Parti concordano un secondo Commitment Period del Protocollo di Kyoto della durata di otto anni (sino al 2020) al quale, tuttavia, visto 6 > 7 >

il ritiro tra gli altri di Russia, Canada e Giappone, aderiscono solo alcuni Paesi (tra cui l EU) rappresentanti solo il 15% delle emissioni globali. L ACCORDO USA - CINA Figura 2 - Linea del tempo delle COP dalla nascita della Convenzione ad oggi con le tappe principali e le decisioni adottate. LE COP DALLA PROSPETTIVA EUROPEA Sin dal Meeting di Rio del 1992, l Unione Europea ha cercato di qualificarsi come leader dell agenda globale della lotta al cambiamento climatico, promuovendo l adozione di importanti politiche climatiche ed energetiche. Non a caso, gli obiettivi di cui, negli ultimi 20 anni, si è fatta promotrice sono sempre stati contraddistinti dall ambizione e dalla ferma volontà di contribuire fattivamente alla salvaguardia della salute del pianeta e dell uomo. In sede di discussione del Protocollo di Kyoto l UE propose una riduzione del 15% delle emissioni globali (dato poi fissato al 5,2% globale ed all 8% per l Unione stessa) e nelle negoziazioni precedenti all entrata in vigore del Protocollo (dalla COP-6 bis del 2001 alla COP-11 del 2005) pose l accento sulla necessità di adottare regole chiare e trasparenti per il funzionamento dei meccanismi economici adottati (CDM, JI ed ET). In quella sede, anche a costo di accesi confronti con chi, come gli USA, richiedevano maggiore flessibilità d azione, il peso politico ed economico dell Europa fu determinante nel definire le regole di enforcement del Protocollo, prevedendo penalità nei casi di mancato rispetto dei limiti di emissione assegnati a ciascun paese. Il profilarsi della crisi economica da cui l UE ancora stenta a risollevarsi (che ha indebolito i già fragili equilibri tra gli Stati Membri per il timore di influenzare la competitività dei sistemi produttivi nazionali), unito alla crescita delle nuove potenze emissive mondiali hanno contribuito, in tempi più recenti, all evidente perdita di peso dell Europa nelle negoziazioni internazionali sul clima. Tale processo, facilitato dalla graduale riduzione di peso relativo delle emissioni europee di gas serra, passate dal 19% del totale mondiale nel 1990, all 11% nel 2013, sino al 4-5% previsto nel 2030, corre oggi il rischio di marginalizzare definitivamente il ruolo dell Unione. Un recente vivido esempio dell indebolimento della leadership europea è rappresentato dal sostanziale fallimento delle negoziazioni di Copenaghen nel 2009 (COP 15), durante le quali l offerta della UE di riduzione del 30% entro il 2020 delle proprie emissioni a fronte di un accordo internazionale legally binding, non fu sufficiente a promuovere l accordo. L accordo sottoscritto tra Cina ed USA l 11 Novembre 2014 rappresenta l intesa bilaterale di ridurre, su base volontaria, le emissioni di gas serra e rilanciare il negoziato internazionale in vista della COP 21 di Parigi e, sin da subito, ha sortito l effetto (certamente almeno mediatico) di dare nuovo stimolo ad un processo che, dalla COP di Copenaghen del 2009, aveva pericolosamente rallentato il suo funzionamento concentrandosi sulla discussione di obiettivi generici e regole in parte aleatorie. L intesa, con orizzonte temporale al 2025, impegna gli USA a ridurre le sue emissioni di gas serra di una percentuale del 26-28% rispetto ai livelli del 2005 (incrementando così il tasso delle riduzioni globali di CO2 dall 1,2% annuo nel 2005-2020 al 2,3-2,8% nel 2020-2025). La Cina, invece, ambisce a raggiungere il proprio livello massimo di emissioni di gas serra intorno al 2030 per poi avviare, da quell anno, un percorso di riduzione a cui affiancare l obiettivo del 20% di produzione da fonti alternative (800-1000 GW in più con impianti a fonti rinnovabili). L accordo, oltre che per la propria cristallina valenza politica rappresenta un opportunità difficilmente ripetibile nel percorso verso Parigi 2015: i due paesi, infatti, coprono da soli oltre il 40% delle emissioni globali di gas serra. A questo dato devono, in ottica di medio termine, aggiungersi importanti considerazioni inerenti allo stimolo impetuoso che le due potenze possono determinare negli investimenti low carbon globali, anche per il raggiungimento degli obiettivi di grid parity delle energie rinnovabili (parità di costo di generazione rispetto alle fonti tradizionali) e nella creazione di modelli di sviluppo maggiormente sostenibili. L accordo punta, altresì, a rafforzare le partnership già esistenti tra i due paesi, collaborando per progetti di efficienza energetica, CCS (Carbon Capture and Storage), commercio di green goods e smart grids. Pur rappresentando, come detto, un risultato certamente storico, l accordo presenta tuttavia alcuni limiti, rappresentati in primis dall essere un intesa di massima che, prima di divenire vincolante, dovrà essere approvata dal Senato USA, a maggioranza repubblicana. In secondo luogo, pur rimarcandone la giusta direzione, è necessario rilevare come l accordo sia quantitativamente poco ambizioso, perfino facilmente raggiungibile e, certamente, non sufficiente da solo a mantenere l incremento della temperatura globale al di sotto dei 2 C ritenuti critici in accordo con le stime dell ultimo Assessment Report dell IPCC (Impacts, Adaptation 8 > 9 >

and Vulnerability). L Unione Europea, in una nota congiunta del presidente Van Rompuy e del neo Presidente della Commissione Juncker, ha salutato l annuncio dell accordo come la risposta positiva all appello dei leader europei ad adottare impegni di abbattimento della CO2, vedendo i due Paesi come nuovi alleati con i quali concretizzare finalmente le proprie ambiziose strategie e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Altrettanto rilevante è stato l annuncio, avvenuto quasi in contemporanea, nel quale il Presidente Obama ha dichiarato un contributo di 3 MLD di dollari per il Green Climate Fund (GCF), fondo internazionale delle Nazioni Unite a sostegno di quei paesi più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici. Il Fondo (previsto per un ammontare di 10 MLD di dollari annui) ne contiene attualmente 3 mobilitati da Germania, Sud Corea e Francia, mentre 1,5 sono stati annunciati dal Giappone. Gli Usa, che dal 2010 hanno già contribuito con circa 2,5 MLD di dollari alla lotta al cambiamento climatico, hanno palesato la propria volontà di contribuire a mobilitare entro il 2020 quasi 100 MLD di dollari tra aiuti pubblici ed investimenti privati. COP 20 LIMA (1-12 DICEMBRE 14) La COP20 ha rappresentato una tappa obbligata del percorso verso Parigi 2015 COP21, sede in cui è auspicata, e per certi versi prevista, la definizione di un nuovo accordo internazionale in grado di affrontare fattivamente il cambiamento climatico globale. In accordo con le previsioni della vigilia, le principali criticità affrontate durante i negoziati hanno riguardato le Intended Nationally Determined Contributions (INDCs), che rappresentano l impegno che gli stati intenderanno profondere in termini di obiettivi quantificabili di intensità energetica o di riduzione delle emissioni climalteranti. A tal proposito nessuna decisione specifica è stata assunta, se non l impegno dei singoli stati a presentare i propri piani nazionali entro Marzo (o fine settembre, in ultima istanza). In modo ancora più accentuato, il tema dell adattamento al cambiamento climatico, ha rimarcato le differenze tuttora sostanziali tra le posizioni dei paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo. Questi ultimi, in particolare, hanno chiesto che il meccanismo loss and damage (che prevede compensazioni economiche per paesi nei quali gli impatti del cambiamento climatico sono così forti da superare le capacità di adattamento) sia incluso nel futuro accordo globale, ottenendo tuttavia solamente un piano di lavoro biennale finalizzato allo studio del meccanismo. Nell ottica del percorso verso Parigi 2015 le Parti hanno raggiunto un intesa di massima sul testo (Lima Call for Climate Action), contenente gli elementi principali (e molte variabili) del futuro accordo globale di Parigi. Tuttavia, la stessa natura legale del futuro accordo di Parigi, definito nel testo come protocollo, altro strumento legale o accordo vincolante, risulta ancora da definire e la ratifica del Doha Amendment (misura transitoria di estensione sino al 2020 di molti elementi costitutivi del Protocollo di Kyoto) procede troppo lentamente. Sul fronte della Carbon Finance, infine, nonostante il recente aumento a 10 MLD di dollari delle dotazioni finanziarie del Green Climate Fund (il fondo globale finalizzato a fornire supporto finanziario ai paesi più vulnerabili al cambiamento climatico), Lima non ha rappresentato sostanziali passi in avanti demandando, al contrario, al futuro accordo di Parigi (tutt altro che scontato, è bene ricordarlo) sia la scelta delle modalità di approvvigionamento finanziario del fondo sia le modalità di utilizzo delle risorse disponibili. LO SCENARIO ENERGETICO GLOBALE I segnali che, da mesi, provengono dai principali player internazionali contribuiscono a raffigurare un futuro scenario energetico globale tutt altro che rassicurante. All ormai consolidata stabilità nella domanda di energia da parte dei paesi OECD, si contrappone il vigore con il quale crescono le esigenze energetiche dei paesi emergenti, tra i quali l India rappresenterà il principale acceleratore. La domanda di energia della Cina, in costante e forte aumento negli ultimi 25 anni, inizierà a stabilizzarsi intorno al 2030 e sarà soddisfatta in parte crescente dagli oltre 130 GW generati dalle centrali nucleari che il paese realizzerà entro il 2040. I prezzi del petrolio ai minimi, compresi tra i 60 e gli 80 dollari al barile (favoriti dalla recente decisione dell OPEC di lasciare invariati i ritmi di produzione), se da un lato stimolano in certa misura le economie e potenzialmente favoriscono una lieve ripresa dei consumi (specie in Europa), dall altro rischiano di porre a serio rischio la certezza dei futuri approvvigionamenti. Il ridotto prezzo della materia prima incide infatti, sui flussi di cassa attesi dai nuovi investimenti nel settore che, quindi, rischiano di essere procrastinati a tempo indeterminato non potendo garantire il soddisfacimento della crescente domanda globale di petrolio (stimata in 15 milioni di barili aggiuntivi al giorno entro il 2040). Le incertezze legate all approvvigionamento di gas dalla Russia, infine, insieme alla forte instabilità dell area irachena (da cui ci si attende una quota molto consistente delle future forniture di petrolio) contribuiscono a rendere urgente la necessità di un posizionamento strategico da parte, in particolare, dell Europa che, complice anche il decommissioning entro il 2040 di centrali nucleari in grado di produrre circa 20 GW del proprio fabbisogno energetico, rischia di aggravare la cronica questione energetica da cui è afflitta. 10 > 11 >

Figura 3 - Andamento nella produzione di petrolio da parte dei principali players. La figura evidenzia come gran parte della domanda addizionale di greggio entro il 2040 (+ 14 milioni di barili al giorno) debba essere soddisfatta da Iraq e altri paesi del medio oriente. In tal senso, il contributo positivo in termini di sicurezza degli approvvigionamenti fornito dalla rivoluzione dello shale gas statunitense è attenuato dall elevata incidenza dei costi di trasporto trans-oceanici del LNG (Liquified Natural Gas). Le stime di medio-lungo termine prevedono infatti che, nonostante entro il 2040 una quota più che doppia di gas sarà scambiata in forma liquida, questo avrà solo un marginale effetto positivo sui costi. La delicatezza del quadro d insieme è parzialmente mitigata dalle evidenze del rallentamento della domanda globale di carbone a fini energetici. Infatti, dopo il picco di consumo da parte dell Europa (raggiunto a metà degli anni 80) e degli Stati Uniti nel 2005 e in controtendenza rispetto alla forte crescita della domanda indiana, la Cina, prevalentemente spinta da ragioni ambientali e legate alla salute dei propri cittadini, ha fortemente ridotto la propria domanda di carbone che, entro il 2020 smetterà di crescere. La relazione tra futuro scenario energetico e andamento del riscaldamento globale resa evidente dal seguente grafico che mostra il rapporto tra global CO2 budget (il cui superamento produrrebbe un riscaldamento globale certamente superiore ai 2 C rispetto al livello pre-industriale, soglia definita critica dall IPCC) e low carbon investment mondiali. Oltre l 80% dei gas serra emessi tra oggi ed il 2040, infatti, è diretta conseguenza degli investimenti energetici avviati oggi. Figura 4 - Il grafico relaziona il global carbon budget con i low carbon investment. Lo scenario definito central scenario prevede che, in assenza di radicali incrementi degli investimenti, il global carbon budget sarà esaurito entro l anno 2040, rendendo vane le speranze di un innalzamento della temperatura globale inferiore ai 2 C. Affiché tale soglia di riscaldamento globale sia rispettata, sarà necessario quadruplicare gli attuali (scenario 2013 ) low carbon investment globali sino a quota 1,6 trilioni di dollari annui (scenario For 2 C target ). Fonte: IEA World Energy Outlook 2014. Sino ad ora l umanità ha già speso oltre il 50% del global carbon budget ed il mantenimento dell attuale ritmo insufficiente di investimento in tecnologie a basso consumo di carbonio (oggi quantificate in meno di 0,4 trilioni di dollari annuali) lo esaurirà entro il 2040 (Central Scenario, nella parte destra del grafico) costringendo le economie mondiali a confrontarsi con un innalzamento medio della temperatura globale ben superiore ai 2 C. Solo la decisione, da assumere oggi, di quadruplicare gli investimenti globali low carbon, che dovrebbero raggiungere gli 1,6 trilioni di dollari annui, consentirà di limitare il global warming entro la soglia critica dei 2 C. In ultima analisi, queste considerazioni non possono che sottolineare l urgenza di un accordo globale che, a Parigi, non solo faciliti una decisa transizione da politiche di mitigazione a politiche di adattamento (inevitabili visti gli scenari di innalzamento delle temperature), ma anche che sappia creare il necessario stimolo agli investimenti low carbon globali che, come discusso, rappresentano la chiave di volta della sfida climatica ed energetica planetaria. 12 > 13 >

DA POLITICHE DI MITIGAZIONE A POLITICHE DI ADATTAMENTO Sin dalla Convenzione UNFCCC l obiettivo principale delle politiche climatiche internazionali è stato quello di contrastare il riscaldamento globale. Tale obiettivo, definito di mitigazione del cambiamento climatico, è sino ad oggi stato perseguito, con risultati più o meno positivi, tramite la promozione di azioni di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, di riforestazione (carbon sinks) e di sviluppo di fonti energetiche rinnovabili e altre soluzioni tecnologiche in grado, come nel caso degli impianti CCS, di catturare e stoccare anidride carbonica così da confinarla dall atmosfera. Le sempre più frequenti manifestazioni del cambiamento climatico, unite alle crescenti probabilità di superamento della soglia d innalzamento della temperatura globale di oltre 2 C rispetto ai livelli pre-industriali, tuttavia, hanno accresciuto la necessità di affiancare a quelle di mitigazione delle efficaci politiche di adattamento. Esse prevedono azioni e strategie volte a ridurre la vulnerabilità dei sistemi naturali e socio-economici e aumentare la loro resilienza di fronte agli inevitabili impatti del cambiamento climatico, soprattutto al fine di proteggere le popolazioni e gli ecosistemi più vulnerabili. Tra queste strategie, in particolare, spiccano quelle di uso efficiente delle risorse naturali, e di pianificazione e creazione di infrastrutture e modelli di comportamento in grado di resistere al crescente impatto del cambiamento climatico. IL POSIZIONAMENTO DELL EUROPA: ROADMAP 2050 E FRAMEWORK 2030 ( 27-27-40 ). L incertezza del quadro energetico internazionale (caratterizzato dall ancora forte dipendenza dalle fonti fossili), unita agli effetti della crisi economica, ha avuto ripercussioni negative per gli stati membri dell Unione Europea, con un incremento del prezzo del combustibile che ha fatto lievitare la bolletta energetica europea a 400 MLD di euro nel 2014 2. In tale scenario, la competitività delle imprese europee è minata da un costo dell energia che pur essendo circa doppio rispetto a quello degli Stati Uniti, non è previsto in calo nemmeno nel medio-lungo termine. Figura 5 - Andamento nel medio-lungo periodo dei costi dell energia (in toe: tonnellate equivalenti di petrolio) per i consumatori delle principali aree geografiche mondiali. Fonte: IEA, World Energy Outlook 2014. 2 Com.2014/015 final 14 > 15 >

Tale consapevolezza ha posto la chiara necessità di legare le politiche climatiche al perseguimento di un sistema energetico competitivo ed a prezzi ragionevoli, in grado di creare nuove opportunità di crescita ed occupazione e garantire gli Stati Membri in termini di sicurezza degli approvvigionamenti e stabilità del prezzo dei combustibili. Così, nel marzo 2011 3, la Commissione ha deciso di ampliare il proprio orizzonte di riferimento al 2050 e di proporre una strategia climatica ed energetica di ampio respiro (battezzata in quell occasione Roadmap 2050 ). Questo documento, a seguito di un analisi del contesto attuale degli scenari futuri nella produzione di energia elettrica in assenza di interventi (sfide e problematiche), propone due macro-obiettivi che l Unione deve ambire a raggiungere entro il 2050 al fine di avere un sistema energetico sostenibile: Decarbonizzazione della produzione di energia elettrica con un ulteriore riduzione delle emissioni di gas serra variabile tra l 80 ed il 95% rispetto ai livelli del 90. Dato l orizzonte temporale e l ambizione dell intervento è necessario che questo obiettivo sia raggiunto in step graduali; in particolare, la Roadmap, propone una riduzione del 40% entro il 2030 e del 60% entro il 2040; Superamento delle barriere nazionali e creazione di un Mercato Unico per l energia elettrica ed il gas (discusso nel successivo capitolo) Proprio al fine di garantire la necessaria gradualità di allineamento all obiettivo ambizioso di abbattere quasi totalmente le proprie emissioni di gas serra, dopo un periodo di consultazione a metà del percorso del Pacchetto 20-20-20, la Commissione Europea ha redatto il Framework 2030. Nel Framework, visti gli incoraggianti risultati dei Paesi Membri in termini di allineamento con gli obiettivi del 20-20-20 4, sono previsti entro l anno 2030 risparmi energetici pari al 27%, l incremento al 27% della quota di produzione di energia da fonti rinnovabili e la riduzione delle emissioni di gas serra del 40% rispetto al 1990. A tali target quantitativi, inoltre, sono state affiancate politiche strutturali che prevedono l aumento degli investimenti energetici, la centralità dell energia elettrica nel soddisfacimento del fabbisogno energetico e la definizione di nuove politiche in settori complementari come i trasporti. Funzionale al perseguimento di questi obiettivi sarà anche una revisione dello schema degli EU-ETS, (il sistema Europeo di scambio di quote di emissione di anidride carbonica) con l obiettivo di correggere le criticità che ne hanno limitato l efficacia e stabilizzare il mercato delle emissioni. A tal proposito dal 2020 è prevista una modifica del tasso di riduzione del tetto annuale al 2,2%, per smaltire l eccesso di permessi e prevenire nuovi shock di mercato. L analisi dei target inclusi nel Framework 2030, tuttavia, svela come questi siano poco ambiziosi e, addirittura, facilmente raggiungibili nello scenario Business as Usual (BAU), vale a dire senza la necessità di politiche addizionali. In particolare, solo l obiettivo del 40% di riduzione delle emissioni risulta essere vincolante a livello nazionale, mentre quello relativo alla quota di energia da fonti rinnovabili è obbligatorio solo come valore aggregato (senza più obblighi per singolo paese, come previsto dal precedente Pacchetto 20-20-20) e, addirittura, il target sull efficienza energetica lascia piena libertà ai Paesi Membri sulle misure funzionali a raggiungerlo. Sul fronte della governance politica, in maniera più promettente, gli sforzi si stanno concentrando sul superamento delle criticità derivanti dalla disarmonia tra politiche europee e nazionali su energia (e clima), oggi dominate dalle circostanze nazionali e dalla difficoltà degli Stati Membri di cedere sovranità su un tema tanto vitale per la competitività, la sicurezza. È da inquadrare in quest ottica la proposta di un sistema energetico comune ed integrato (tramite un equa ripartizione degli sforzi, degli obiettivi e degli investimenti tra Stati Membri) in grado di assicurare competitività economica, sicurezza energetica e decarbonizzazione e di garantire ai singoli Paesi flessibilità nell adozione delle politiche interne e nella definizione del mix energetico nazionale (diritto sancito dall Art. 194 del Treaty on the Functioning of the European Union). 3 Comunicazione COM 2011/112 4 Il Pacchetto 20-20-20 prevede, entro il 2020, la riduzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica, l aumento dell efficienza energetica del 20% e una quota del 20% di energia prodotta da fonti rinnovabili. 16 > 17 >

L UNIONE ENERGETICA: LE SFIDE E LE OPPORTUNITÀ PER L INTEGRAZIONE DEL MERCATO ENERGETICO L Europa spende annualmente oltre 400 miliardi di Euro per la propria bolletta energetica, necessari a coprire la palesemente insostenibile dipendenza da fonti fossili extra-europee. Annualmente l Unione di 28 Paesi importa dall esterno il 66% del proprio fabbisogno di gas naturale, il 90% del petrolio e oltre il 40% del combustibile nucleare necessario al funzionamento delle proprie centrali. Tuttavia, anche nel medio periodo la dipendenza dalle importazioni di combustibili non è prevista in calo e, entro il 2035, circa l 80% del gas consumato in Europa proverrà da importazioni. A tal proposito, la gravissima instabilità politica medio orientale (regione da cui, anche oltre il 2035, continuerà a provenire larga parte degli approvvigionamenti di petrolio) e le difficoltà di interlocuzione con la Russia, aggravano la già fragile sicurezza degli approvvigionamenti energetici europei. Le ripercussioni dell importazione massiva di combustibile, inoltre, sono evidenti all industria europea che, da molti anni, vede la propria competitività ridursi a conseguenza del crescente costo dell elettricità (circa doppio rispetto a quello statunitense) e del gas (circa triplo rispetto agli Usa). A questo panorama, che da troppo tempo caratterizza la cossiddetta questione energetica europea, deve sommarsi la precisa collocazione che i principali player internazionali, valutando le proprie esigenze e le proprie risorse, hanno assunto in relazione alle sfide del futuro scenario energetico internazionale. L esigenza di un altrettanto netto posizionamento da parte dell Unione appare quindi evidente e improrogabile e, certamente, deve basarsi su una profonda modifica del sistema energetico europeo. Il progetto di Unione Energetica, più volte menzionato nelle Roadmaps delle Istituzioni comunitarie, rappresenta l obiettivo da raggiungere e da declinare in un percorso che include sia la modifica delle infrastrutture energetiche sia l armonizzazione dei mercati energetici nazionali. Oggi solo l 8% della capacità di generazione elettrica europea beneficia di interconnessioni trans-nazionali, la cui mancanza genera colli di bottiglia che aumentano i costi energetici europei e le emissioni di gas serra. Nonostante nell ultimo decennio quattro quinti degli investimenti complessivi europei in genera- zione elettrica abbiano riguardato le energie rinnovabili (di cui oltre il 60% in eolico e fotovoltaico), infatti, l insufficiente integrazione di queste fonti nella rete elettrica europea costringerà a realizzare nei prossimi 10 anni oltre 100 GW di capacità elettrica addizionale proveniente da combustibili fossili. La nota questione dell intermittenza delle fonti energetiche rinnovabili, infatti, richiede capacità elettrica di backup ottenibile principalmente da centrali a gas che, invece, potrebbero essere in gran parte evitate attraverso la maggiore integrazione delle reti elettriche nazionali prevista dall Unione Energetica. Tale integrazione produrrebbe risparmi complessivi stimati tra i 42 e i 70 miliardi di Euro all anno, che facilmente bilancerebbero i circa 200 miliardi di Euro che la Commissione ritiene necessari entro il 2020 per interconnettere le reti elettriche degli Stati Membri. Oltre a ridurre la bolletta energetica, con evidenti benefici per la competitività del comparto industriale europeo, nel medio periodo l Unione Energetica garantirebbe inoltre maggiore indipendenza dalle importazioni di combustibili. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni del Presidente Junker, che ha inserito l Unione Energetica tra le priorità della nuova Commissione, solo 6 miliardi di euro sono stati stanziati per raggiungere il modesto obiettivo del 10% di interconnessione elettrica entro il 2020. L armonizzazione dei mercati nazionali dei 28 Paesi Membri, inoltre, produrrebbe effetti benefici in termini di allineamento dei prezzi dell energia (oggi fortemente differenziati) e allevierebbe le ripercussioni negative di tensioni internazionali come quelle recenti con la Russia. Se da un punto di vista tecnologico l Unione Energetica rappresenta un obiettivo certamente raggiungibile (con ulteriori benefici sul rafforzamento del know-how specifico da parte delle aziende europee), la volontà politica necessaria è ostacolata dalla strenua difesa adottata dai singoli Paesi nei confronti della propria sovranità nazionale. L Articolo 194 del Treaty on the Functioning of the European Union sancisce il diritto dei singoli Stati Membri di scegliere il proprio mix energetico, ma certamente non auspica la difesa di interessi nazionali e la mancanza di armonizzazione a cui da troppo tempo assistiamo con evidenti impatti negativi sulla spesa energetica, la competitività industriale e la sicurezza degli approvvigionamenti. Oltre a rappresentare un opportunità per l Europa, l Unione Energetica rappresenta anche un dovere. Globalmente le energie sono, infatti, responsabili di due terzi delle emissioni totali di gas serra e l umanità ha già 18 > 19 >

esaurito oltre il 50% del Global carbon Budget (la quota massima di anidride carbonica che può emettere prima di superare la soglia critica di 2 C di global warming). In assenza di politiche energetiche in forte discontinuità con il passato, entro il 2040 tale soglia sarà raggiunta e superata, costringendo le economie mondiali a confrontarsi con un pianeta diverso rispetto al passato. Se si considera che l 80% dei gas serra emessi entro il 2040 dipende da investimenti energetici decisi ed avviati oggi, appare evidente la responsabilità dell Europa di guidare il sostanziale cambiamento dello scenario energetico internazionale (da cui, peraltro, potrebbe trarre solo beneficio). L Unione Energetica, in questo senso, rappresenterebbe uno strumento formibadile non solo in grado di migliorare l economia del continente, ma anche capace di fornire un esempio replicabile di come accoppiare in modo efficace e su larga scala low carbon investment, crescita economica e salvaguardia dell ambiente e del clima mondiale. I CINQUE PILASTRI DELLA STRATEGIA EUROPEA PER L UNIONE ENERGETICA Il 17 Novembre, nel corso di un opening speech della Commissione Europea nell ambito della Conference on EU Energy Policy and Competitiveness, il Vice-Presidente per l Unione Energetica Maroš Šefcovic, ha illustrato i cinque pilastri su cui si basa la realizzazione dell Unione Energetica efficiente, qui schematicamente indicati: Sicurezza, solidarietà e fiducia: maggior cooperazione tra Paesi Membri confinanti e concertazione con gli organi sovranazionali prima dell adozione di riforme del sistema energetico nazionale. Diversificazione dei percorsi e delle forniture di gas, e realizzazione di nuovi hub. Completamento di un mercato interno competitivo: rafforzamento delle interconnessioni transnazionali delle reti elettriche e realizzazione di infrastrutture energetiche comuni. Riorientamento di fondi strutturali e programmi pubblico-privati al fine di favorire la realizzazione di investimenti in energie rinnovabili ed efficienza energetica. Riduzione della domanda di energia attraverso gli obiettivi di efficienza energetica inseriti nel Framework 2030. Decarbonizzazione dell energy mix: promozione di livelli più ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas serra anche attraverso la negoziazione di un nuovo accordo internazionale sul clima. Facilitazione dello sviluppo di tecnologie low carbon volte a compensare l impatto delle importazioni di combustibili fossili e della ridotta sicurezza degli approvvigionamenti. Tecnologie: incremento degli investimenti in ricerca ed innovazione per la competitività e la green growth. 20 > 21 >

VERSO PARIGI 2015 COP 21 Lo scenario energetico e climatico globale, odierno e di medio-lungo periodo, è preoccupante. Esso è dominato da alcuni elementi: La necessità di ricorrere, anche oltre il 2040, al petrolio proveniente dalla instabile regione del medio-oriente (dall Iraq in particolare) per soddisfare la crescente domanda mondiale di energia; Gli incentivi ai combustibili fossili (stimati in oltre 550 mliliardi di dollari annuali) che ancora superano quelli rivolti alle energie rinnovabili; Il contributo solo marginale che lo shale gas americano produrrà nel calmierare i prezzi del gas in europa; I low carbon investment nel settore energetico fortemente insufficienti a contribuire significativamente alla lotta al cambiamento climatico; Le previsioni sull esaurimento del global carbon budget entro il 2040 (in assenza della moltiplicazione per quattro dei low carbon investment). La previsione di un rallentamento, dal 2020, della domanda di carbone rappresenta, forse, l elemento più positivo di un quadro altrimenti poco roseo. Se osservato dalla prospettiva dell Unione Europea, il panorama rischia di essere ulteriormente peggiore. Sulla base delle proprie esigenze e potenzialità, infatti, tutti i principali player internazionali hanno assunto una collocazione precisa per fronteggiare le sfide energetiche future. L Europa, al contrario, è ancora stretta nella morsa della ormai cronica questione energetica, dominata da elevatissimi costi energetici (che riducono la competitività delle industrie europee) e dall insostenibile dipendenda dalle importazioni di combustibili che, se sommata alla ridotta sicurezza degli approvvigionamenti, rappresenta un motivo di forte preoccupazione. In questo senso, il Framework 2030 (che ha stabilito target troppo poco am- biziosi che probabilmente saranno raggiunti nello scenario business-asusual, cioè senza necessità di politiche addizionali) non contribuirà significativamente né a ridurre la dipendenza energetica europea né a stimolare il processo ormai irreversibile di green growth che, tuttavia, stenta a divenire uno dei pilastri fondanti delle politiche comunitarie. Al contrario, attraverso il rafforzamento delle proprie infrastrutture energetiche (in particolare quelle trans-nazionali) e l armonizzazione dei mercati dei 28 Paesi Membri, l Unione Energetica, rappresenta lo strumento efficace attraverso il quale l Europa potrebbe migliorare la propria condizione. L Unione Energetica, infatti, favorirebbe l integrazione in rete delle energie rinnovabili, ridurrebbe significativamente il costo della bolletta energetica europea, diminuirebbe la dipendenza dalle importazioni di combustibile e ridurrebbe le emissioni di gas serra. L importanza dell Unione Energetica, inoltre, deve essere inquadrata nell urgenza di un azione climatica globale, che vede nella COP 21 di Parigi 2015 un opportunità difficilmente ripetibile. L Europa infatti, sin dalla Convenzione UNFCCC di Rio del 1992, ha incessantemente ambito al ruolo di leader delle negoziazioni internazionali sul cambiamento climatico e ha sempre contraddistinto la propria azione con il costante accoppiamento delle politiche energetiche con quelle climatiche. Complice la costante riduzione delle emissioni europee di gas serra (passate dal 19% del totale mondiale nel 1990, all 11% nel 2013, sino al 4-5% previsto nel 2030) l Europa non può più basare la sua leadership sul proprio peso quantitativo. Tale ruolo di guida deve, piuttosto, essere basato sulla capacità di creare e rendere universalmente replicabile un modello qualitativo di sviluppo sostenibile in grado di mobilitare ingenti low carbon investment e generare crescita e benessere mentre salvaguarda l ambiente e il clima. L Energy Union rappresenta certamente un elemento cardine di questo modello, in particolare se si considera che 80% dei gas serra emessi entro il 2040 dipende da investimenti energetici decisi ed avviati oggi. L importante momentum creato dall accordo (seppur non pienamente soddisfacente) tra Usa e Cina deve trovare sbocco in un piano operativo globale sul clima da sottoscrivere a Parigi nel 2015. L Europa, imparando dagli errori commessi a Copenhagen 2009 (COP 15), dovrà presentarsi a Parigi non solo con una robusta posizione univoca, ma anche forte di un efficace modello di sviluppo sostenibile che in quell occasione potrà rendere replicabile. 22 > 23 >

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