SEGONES JORNADES DE CODESENVOLUPAMENT



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SEGONES JORNADES DE CODESENVOLUPAMENT Poders locals i codesenvolupament Nous reptes per la cooperació i la participació ciutadana dels immigrants Centre Cultural la Mercè, Girona, 23 d octubre de 2004 MIGRACIÓ I DESENVOLUPAMENT: UNA GESTIÓ TRANSNACIONAL A TRAVÉS DELS SISTEMES LOCALS. Flavia Piperno, vicedirectora del CeSPI-Centro Studi di Politica Internazionale

Flavia Piperno CeSPI Centro Studi di Politica Internazionale Migrazione e sviluppo: una gestione transnazionale attraverso i sistemi locali. Il caso Italiano. 1) emigrazione e immigrazione in Italia Come è noto l Italia è rimasta a lungo una terra di emigrazione più che di immigrazione. Tra il 1865 e il 1973 più di 25 milioni di italiani sono emigrati all estero; solo a partire dalla fine degli anni 80 un flusso - progressivamente maggiore - di manodopera straniera ha cominciato ad entrare e stabilirsi nel nostro paese e ad oggi, la popolazione straniera si avvicina ai 2.5 milioni di persone, pari a circa il 4% della popolazione italiana. E indicativo di questa recente inversione di tendenza il fatto che solo da pochi anni, e precisamente dal 1997, il flusso di rimesse in uscita dall Italia ha superato quello di rimesse in entrata. Al di là della presenza numerica anche la rilevanza socio-economica dei migranti è divenuta progressivamente più imponente. Si sono diffuse, soprattutto nelle città del nord Italia, associazioni di villaggio dedite allo sviluppo dei paesi di origine e alla mediazione culturale nei paesi di arrivo. Tanto che nel 2001 si calcolava che esse fossero pari a circa 900 sul territorio nazionale. Quanto alla presenza economica è utile ricordare che nel 2003 le imprese straniere sono cresciute ad un ritmo del 16% contro lo 0.5% delle imprese nazionali ed attualmente rappresentano circa il 4% del totale. Anche le rimesse sono progressivamente aumentate, fino a giungere se si sommano i flussi attraverso canali formali e informali - a una cifra stimata attorno ai 4 miliardi di euro nel 2002. 2) la risposta delle istituzioni locali e nazionali A questo stato di cose, le istituzioni italiane hanno risposto con eccessiva lentezza. A livello nazionale non si fa mai riferimento esplicito al termine co-sviluppo. Laddove migrazione e sviluppo vengono posti in relazione lo si fa nell ottica di sostituire la prima con il secondo; In altre parole lo sviluppo non viene visto come un processo da compiere assieme ai migranti stessi valorizzando le potenzialità di cui sono portatori e neanche come la base per una migliore gestione dei flussi transnazionali. Esso viene piuttosto descritto come il mezzo per

aiutare i potenziali migranti a casa loro, scoraggiandone l ingresso in Italia. Solo nell ultimo anno il governo ha cominciato a concepire il nesso tra migrazione e sviluppo in una prospettiva un po più ampia co-finanziando un paio di progetti presentati dall OIM volti a promuovere la valorizzazione delle rimesse e l investimento produttivo nei paesi di origine; e presentando un concept paper per una migliore canalizzazione e valorizzazione delle rimesse al summit del G8 tenutosi a See Island. Nell anno a venire è dunque possibile aspettarsi un approfondimento degli sforzi in questa direzione. A livello locale, la risposta delle istituzioni (regioni, province e comuni) è stata più rapida: anche se spesso in modo non sistematico e addirittura non consapevole migrazione e sviluppo sono stati connessi in una pluralità di progetti già implementati e di proposte progettuali. La frammentarietà delle iniziative anche dovuta alla mancanza di una strategia nazionale lo scarso numero dei beneficiari e la discontinuità dei processi rende ancora precoce parlare di vere e proprie best practices. Tuttavia c è qualcosa che è importante rilevare: si tratta della modalità, del sistema attraverso cui il legame tra cooperazione e gestione dei flussi migratori è stato realizzato e portato avanti da alcuni enti locali. In particolare sono due gli elementi che ci sembrano rilevanti: 1) In primo luogo la costituzione di spazi transnazionali che uniscono in un unico distretto ideale regioni di arrivo e di origine dei migranti; questo viene fatto attraverso la creazione di partenariati regionali oppure attraverso una gestione dei flussi migratori che si svolge contemporaneamente in entrambi i luoghi del percorso migratorio. Il progetto Alnima di cui parleremo in pochi minuti costituisce un esempio interessante di una tale gestione transnazionale dei flussi migratori. 2) il secondo aspetto fondamentale è la gestione dei flussi migratori attraverso una rete composta da molteplici attori locali presenti sul territorio nazionale ed estero. In diverse occasioni gli enti locali italiani si sono mostrati disponibili a collaborare - ai fini di una più corretta gestione dei flussi migratori - non solo con il governo nazionale italiano e con i governi sub-nazionali dei paesi di origine dei migranti ma anche con le organizzazioni internazionali e, sul territorio italiano,

con associazioni di migranti, ONG, banche, camere di commercio e imprese. In quest ambito le esperienze di maggiore rilievo si riscontrano nel campo della valorizzazione delle rimesse individuali, collettive e imprenditoriali. 3) La gestione transnazionale dei flussi migratori: il caso di ALNIMA La letteratura degli ultimi anni ha messo con sempre maggiore insistenza l accento sul carattere transnazionale delle migrazioni. Il processo migratorio non è infatti unidirezionale e non si conclude con l arrivo nel paese di destinazione. Al contrario i migranti continuano a vivere in una dimensione inter-spaziale che li porta ad essere legati sia al paese di arrivo che di origine e dunque ad essere contemporaneamente sia qui che lì. Questo è vero non solo per i lavoratori stranieri legalmente residenti nel paese di destinazione i quali continueranno a sentirsi parte attiva delle comunità di origine; ma anche per quei migranti espulsi che per lungo tempo dopo il ritorno continueranno a riferirsi (sia in relazioni alle loro aspirazioni lavorative che alla loro identificazione culturale) al paese di immigrazione e tenteranno, in molti casi, una seconda emigrazione (ovviamente per vie illegali). Una corretta gestione dei flussi migratori deve dunque tenere conto di questa prospettiva e agire contemporaneamente su entrambi i poli del percorso migratorio. Il progetto ALNIMA (il cui acronimo sta per Albania, Nigeria, Marocco) costituisce una caso interessante proprio per la prospettiva transnazionale nella quale si muove. Si tratta di un progetto avviato nell aprile del 2002 con un co-finanziamento della Commissione Europea (nell'ambito della linea B7-667), in partnership con la regione Piemonte e il comune di Torino. Alnima ha lavorato su un obiettivo ambizioso: accompagnare le persone espulse dall Italia - ex-detenuti di nazionalità marocchina ed albanese, e vittime di tratta nigeriane - garantendo loro un trattamento rispettoso dei diritti e della dignità personale ed agevolandone il reinserimento nel contesto di origine. In un momento in cui L Italia sperimenta un indurimento delle pratiche legate all espulsione ed un aumento della popolazione straniera detenuta nelle carceri nazionali (passata dal 17,3% del 1991 al 36,2% del 2000), ALNIMA vuole denunciare la limitatezza di una prospettiva secondo cui i migranti irregolari rimangono oggetto di interesse dei governi occidentali solo finché restano all interno dei confini nazionali e, superati questi confini, scompaiono dall immaginario collettivo.

Si ribadisce, piuttosto, la necessità di seguire i migranti lungo tutto l arco del percorso del ritorno lavorando affinché le condizioni che i cittadini espulsi trovano una volta giunti nella madrepatria non rendano insostenibile la loro permanenza. Questo vuol dire agevolarne il loro ingresso nel mercato del lavoro locale ed assisterne l inserimento sociale. Per fare questo si è lavorato appunto sulle due sponde del processo migratorio. Nei paesi di origine è stata portata avanti un indagine sul mercato del lavoro e, nelle carceri piemontesi, sono stati avviati corsi professionali sulla base dei risultati ottenuti. Si è scelto, in particolare di aprire un corso in falegnameria ed uno in arti bianche essendo, questi, settori che trovano una domanda di lavoro sostenuta sia in Marocco che in Albania. I beneficiari hanno avuto, così, la possibilità di trasformare il periodo di pena in un occasione di formazione, e di tornare nel paese di origine con un bagaglio professionale tanto più vendibile quanto maggiore è la considerazione attribuita nella madrepatria alla formazione acquisita all estero. Per quanto riguarda le donne nigeriane non è stato invece possibile avviare iniziative di preparazione al ritorno in Italia in quanto il periodo di permanenza nei CPT (Centri di Permanenza Temporanea) è stato ritenuto troppo breve per lo svolgimento di qualsiasi iniziativa di questo tipo. In loco, i beneficiari hanno ottenuto un aiuto tecnico ed un sostegno finanziario (sussidi, salario integrativo o microcredito) per l inserimento professionale o lo sviluppo di attività autonome. Al momento tra Marocco e Albania sono stati erogati 54 microcrediti e 7 persone sono state inserite in stages di formazione lavoro con la disponibilità di un salario integrativo. Nei prossimi mesi dovranno essere concesse altre 40 borse di studio per formazione lavoro e 80 microcrediti. Il progetto ha inoltre promosso una revisione del concetto di sostenibilità che anche in questo caso tiene conto di una prospettiva maggiormente transnazionale. Generalmente prevale, infatti, un ottica centrata sugli interessi dei paesi occidentali: viene considerato sostenibile il ritorno di chi resta nel paese di origine senza tentare una nuova emigrazione, ovvero di chi rimane assente dal paese che lo espelle per un periodo di tempo prolungato. Il progetto ALNIMA ha invece esteso il concetto di sostenibilità, intendendo con esso anche l impatto che il ritorno ha sui singoli migranti coinvolti e sulle loro comunità di origine. E possibile infatti che i migranti di ritorno vengano rifiutati o stigmatizzati dalle comunità di origine per via del fallimento del proprio percorso

migratorio o del tipo di esperienza intrapresa. In questo caso un a loro integrazione risulterà impossibile e in mancanza di politiche idonee il loro ritorno equivarrà ad una permanente, nuova condanna. Allo stesso tempo è possibile che l esclusione sociale diventi auto-esclusione qualora il migrante non sia motivato a reinserirsi nella società di origine a causa di un sentimento di inadeguatezza o depressione o di un progetto migratorio non ancora conclusosi. In tutti questi casi è necessario adottare misure appropriate. Ad esempio dando loro un sussidio per i primi mesi in modo da rendere loro possibile elaborare lo spaesamento conseguente al ritorno; offrendo orientamento lavorativo e sostegno psicologico sia nel paese di immigrazione che in quello di origine in una dimensione di continuità; creando nuove opportunità di lavoro che coinvolgano anche altri membri della comunità nel caso ci si trovi di fronte a casi di particolare stigmatizzazione. In mancanza di una tale attenzione l inserimento dei migranti di ritorno risulterà difficoltoso e produrrà un impatto difficilmente gestibile dalle comunità di origine. 4)La messa in rete del territorio: progetti di valorizzazione delle rimesse Le esperienze realizzate sino ad oggi mostrano che le rimesse possono essere valorizzate in modo significativo solo se inserite in un sistema di collaborazione tra diversi attori presenti sui territori di origine e arrivo dei migranti. Le linee di intervento sul piano delle rimesse possono essere riassunte in tre direttrici principali. 1) La prima prospettiva praticabile consiste nel facilitare la canalizzazione e la valorizzazione del risparmio individuale dei migranti. In quest ambito una delle prime forme di collaborazione deve avvenire tra banche delle due sponde del percorso migratorio: solo così è possibile esercitare un reale controllo sui costi di transazione ed aprire il ventaglio dei prodotti finanziari che vengono offerti. Nel nostro paese l accordo tra Banca Intesa, italiana, e la tunisina, Banque de l Habitat (specializzata nell erogazione di mutui casa nel paese di provenienza) ha ad esempio reso possibile ai migranti tunisini, trasferire il proprio denaro in modo sicuro e a basso costo ed accedere in loco a prestiti per costruire o affittare un abitazione. La possibilità per i migranti di trasferire il risparmio verso prodotti mirati (ad esempio mutui casa, bonus scolastici o polizze assicurative) è

un iniziativa da non sottovalutare. Molto spesso infatti i migranti - le donne in particolare - lamentano la perdita di controllo sul denaro da essi inviato e si mostrano delusi dall utilizzo che i familiari rimasti a casa fanno del loro risparmio. Un ulteriore forma di collaborazione deve instaurarsi con gli enti locali. Questi ultimi possono inserirsi nella relazione tra banche e migranti svolgendo un ruolo di garanti e facilitando così la concessione del credito e, alternativamente, la riduzione dei tassi di interesse richiesti dalle banche. A Roma l istituzione di un fondo di garanzia da parte del comune ha reso, ad esempio, possibile alla Banca di Credito Cooperativo (BCC) di Roma, concedere prestiti all impresa e oltre 1.700 mutui a lavoratori immigrati. Un tale strumento potrebbe naturalmente essere esteso anche al fine di promuovere gli investimenti dei migranti nei loro paesi di origine. Infine è importante estendere la rete di collaborazione alle ONG che molto speso gestiscono programmi di microcredito nei paesi di provenienza dei migranti. La totalità dei progetti che in Italia sono stati promossi dalle ONG e finanziati dagli enti locali assegnano centralità agli istituti di microfinanza come anello finale della catena di trasferimento delle rimesse individuali. Le rimesse possono essere trasferite da una banca italiana ad una banca del paese di origine e di qui diramate alla rete di organizzazioni di microcredito che spesso le stesse ONG coinvolte nel progetto hanno contribuito a creare. Al momento sono in fase di definizione 4 progetti di questo tipo mentre un quinto è giunto quest anno alla sua fase conclusiva. In tutti questi casi la collaborazione con le associazioni di migranti si rivela fondamentale non solo per calibrare i prodotti offerti sulle reali necessità dei diretti interessati ma anche per diffondere le informazioni sui servizi offerti. 2) La seconda forma di impegno deve invece accompagnare e sostenere le iniziative di sviluppo comunitario. La predisposizione di numerosi collettivi di migranti provenienti dalla stessa area per la raccolta di fondi a favore di azioni sociali, sanitarie o infrastrutturali nei contesti di origine (costruzione di scuole o ospedali, sistemi di estrazione e raccolta dell acqua, risanamento dei quartieri), deve trovare pronte le istituzioni pubbliche attraverso meccanismi di co-finanziamento del risparmio collettivo. Un utile confronto in questo campo è il famoso programma 3x1

realizzato dalla diaspora messicana negli Stati Uniti. In base a tale programma per ogni dollaro proveniente dalle rimesse, la Federazione nazionale messicana, lo Stato e il municipio di provenienza dei migranti mettono in un fondo di sviluppo un altro dollaro ciascuno. Nel caso italiano tale collaborazione può estendersi anche a soggetti operanti nel paese di arrivo dei migranti: agenti della cooperazione nazionale, enti locali e ONG oltre che organizzazioni internazionali. In Italia, alcuni progetti nati per lo più su proposta delle comunità migranti, hanno portato alla creazione di fondi di sviluppo partecipati oltre che dai migranti anche dalle ONG e dagli enti locali. Si è trattato per lo più di iniziative a carattere sociale indirizzate ad esempio alla ricostruzione di un ospedale o di una discarica. A questo riguardo è particolarmente interessante un progetto appena lanciato nell ambito del programma MIDA (Migration for Development in Africa) promosso dall OIM. Il progetto si propone di creare un fondo di sviluppo per sostenere la produzione di una cooperativa agricola che in Ghana, ad Acra, produce ananas. Il fondo sarà partecipato da attori differenti ed in particolare dall OIM (50.000 ), dal Comune di Modena (20.000 ), dalla Confcooperative Emilia-Romagna (10.000 ) che tra l altro si impegnerà ad importare gli ananas in Italia, e dalla locale comunità ghanese, composta da circa 50 persone (10.000 ). Oltre al denaro la comunità ghanese si è impegnata ad inviare alla cooperativa di Acra dei macchinari dismessi dalle imprese emiliane. Il Fondo avrà carattere rotativo: i profitti ottenuti nella produzione ed esportazione di ananas saranno parzialmente reinvestiti nel fondo a vantaggio della comunità ghanese in Italia e i singoli soci, a turno, potranno disporre del totale degli attivi per avviare delle attività. Il progetto è di estremo interesse per l articolazione dei soggetti coinvolti e perché coinvolge i migranti in azioni di sviluppo che avvantaggiano loro stessi a prescindere dal loro ritorno nella madrepatria. 3) La terza questione è quella di maggiore impatto economico sui PVS. Si tratta di facilitare le capacità di investimento produttivo delle rimesse, sostenendo l utilizzo del denaro per progetti imprenditoriali generatori di reddito e occupazione. Il ruolo dei governi sub-nazionali, in questo campo, potrebbe consistere nell orientare i processi di trasformazione innescati dalle migrazioni, principalmente attraverso azioni di formazione e informazione e l elargizione di fondi di garanzia per agevolare il credito.