Tentativo ed atti preparatori

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Quesito n. 5 Tentativo ed atti preparatori Tizio è un malavitoso che ha deciso di uccidere Caio, anch egli noto pregiudicato, per una questione relativa al mancato pagamento di una partita di droga. A tal fine, l uomo incomincia a fare dei sopralluoghi nei pressi dell abitazione di Caio e, dopo essersi recato varie volte nella zona ed aver valutato tutti i gli aspetti logistici della situazione, ruba un automobile da utilizzare per il suo proposito criminoso. Il giorno dopo, Tizio si munisce di un fucile a pompa che tiene a portata di mano e si apposta nelle vicinanze della casa di Caio, aspettando che egli esca per ucciderlo. Tuttavia, le Forze dell Ordine stavano tenendo sotto controllo il telefono del malvivente che, imprudentemente aveva parlato al cellulare con un amico delle sue intenzioni, e così riescono ad arrestarlo prima dell arrivo di Caio, quando egli è ancora in macchina con il fucile tra le mani. Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, premessi brevi cenni sugli istituti rilevanti nel caso di specie, rediga parere motivato sulla vicenda, soffermandosi sulla possibile configurabilità in capo all uomo del reato di tentato omicidio. Svolgimento Partendo dalla ricostruzione del concetto di «consumazione», è opportuno precisare che il reato, dal punto di vista dinamico, si snoda nel tempo e si realizza secondo un iter criminis più o meno complesso che si articola in varie fasi, logicamente susseguenti. La prima fase è l ideazione, consistente nel periodo di tempo durante il quale nel soggetto nasce e si sviluppa l idea di commettere il reato. Tale fase ricorre solo per i reati dolosi, in quanto sono gli unici caratterizzati dalla intenzione di commetterli. L ideazione del reato sfocia nella risoluzione criminosa, cioè nel proposito (giunto a maturazione) di commettere il reato

36 Quesito n. 5 L esecuzione, invece, coincide con l attuazione della risoluzione criminosa, la quale consiste nella realizzazione del tipo di comportamento previsto (e vietato) dalla singola norma penale incriminatrice, cioè della condotta tipica del reato. L ultima fase è quella della consumazione: di regola, ogni reato ha per effetto la lesione o la messa in pericolo di un bene protetto dall ordinamento (il cd. evento giuridico): quando appunto si determina l effettiva lesione o messa in pericolo di tale bene, si ha la consumazione del reato. La consumazione coincide, dunque, con l epilogo della fase dell esecuzione e si ha quando si sono realizzati tutti i requisiti previsti dalla fattispecie legale per il perfezionamento del reato, nonché l offesa del bene protetto: nei reati di pura condotta la consumazione coincide con il realizzarsi della condotta vietata, nei reati di evento col verificarsi di questo (PANNAIN, FIANDACA-MUSCO). In dottrina, poi, è stata elaborata un ulteriore distinzione: quella fra perfezionamento e consumazione del reato: il reato si perfeziona quando sono realizzati tutti gli elementi della fattispecie nel loro contenuto minimo (necessario, cioè, all esistenza del reato stesso), mentre si ha la consumazione quando il reato, già perfetto, raggiunge la sua massima gravità. I due momenti possono coincidere (come, ad esempio, avviene nell omicidio) ma possono anche mantenersi distinti (si pensi alla lesione causata da più colpi: con il primo la lesione si perfeziona, con l ultimo si consuma) (così MAN- TOVANI). Quanto, invece al delitto tentato, la relativa disciplina è ricavabile dalla lettera dell art. 56 ai sensi del quale «chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l azione non si compie o l evento non si verifica». La maggioranza della dottrina ritiene che la ratio della punibilità stia nel pericolo inerente al tentativo, cioè nel fatto che il tentativo minaccia l esistenza del bene protetto dalla norma (BETTIOL, PETROCELLI, FIANDACA-MUSCO, MANTOVANI). Altri Autori (MAGGIORE) ritengono che la punizione del reato tentato si fonda sulla risoluzione criminosa;in particolare, si precisa, il tentativo non è soltanto intenzione, ma intenzione manifestata. ANTOLISEI ritiene che il fondamento della punibilità del tentativo risulta dall esame comparativo dei tipi di reato: tale esame dimostra che mai o quasi mai si richiede che il reo abbia conseguito lo scopo che si riprometteva dalla sua azione. Questa considerazione induce i seguaci di tale teoria a ritenere che una vera e propria differenza (indipendentemente dalla formulazione legislativa) tra il tentativo e la consumazione non esiste.

Tentativo ed atti preparatori La ratio, in base alla quale il reato tentato viene punito, è, dunque, la stessa per la quale si punisce il reato consumato: anche nel tentativo cioè vi è il concretarsi dell intenzione criminosa in un fatto esteriore che non può essere tollerato dallo Stato per il suo carattere antisociale. Il tentativo, infatti, nella maggior parte dei casi reca un duplice pregiudizio: turba il soggetto passivo e produce allarme nell ambiente sociale (in tal senso anche MONTANARA e MORSELLI). Il reato tentato è la risultante della combinazione di due norme, l una principale (la norma incriminatrice di parte speciale, per esempio, l art. 624 furto), l altra secondaria (la norma estensiva: l art. 56). Tale combinazione, di norme, dà origine ad un nuovo titolo di reato che deve essere considerato «autonomo», per quanto conservi il nomen iuris della figura delittuosa alla quale fa riferimento (tentato furto, tentato omicidio etc.). Anche secondo la giurisprudenza il delitto tentato costituisce figura autonoma di reato, qualificato da una propria oggettività giuridica e da una propria struttura, delineate dalla combinazione della norma incriminatrice specifica e dalla disposizione contenuta nell art. 56 c.p., che rende punibili, con una pena autonoma, fatti non altrimenti sanzionabili, perché arrestatisi al di qua della consumazione. Da tale autonomia dell illecito e della sanzione consegue che, in presenza di delitto tentato, la determinazione della pena può effettuarsi con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il calcolo «bifasico», cioè mediante scissione dei due momenti indicati, fermo restando che nessuno dei due sistemi può sottrarsi al rispetto dei vincoli normativi relativi al contenimento della riduzione da uno a due terzi, la cui inosservanza comporta violazione di legge (Sez. 1 sent. 37562 del 17-10-2001). Dalla definizione data dall art. 56, deriva che requisiti del tentativo sono l intenzione di commettere un determinato delitto ed il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione del delitto stesso ed, infine, il mancato compiersi dell azione o il mancato verificarsi dell evento. Il principale problema in materia di tentativo riguarda il momento dell accertamento dell inizio dell attività punibile. I criminalisti hanno da tempo stabilito che gli atti preliminari anteriori all attuazione del piano criminoso non sono punibili, per il loro incerto significato. Tanto premesso, si è cercato un criterio per differenziare gli atti preparatori (esenti da pena) dagli atti esecutivi (che sono, invece, punibili). Il legislatore del 1930, per porre fine a tali dubbi, ha abbandonato la distinzione tra atti preparatori ed atti esecutivi ed ha richiesto, ai fini del tentativo, l idoneità e l univocità degli atti facendo riferimento ad «atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto» (art. 56). 37

38 Quesito n. 5 Alcuni autori (DE MARSICO, PETROCELLI) hanno ritenuto che, nonostante la lettera della legge, la distinzione tra gli atti preparatori ed esecutivi sia tuttora rilevante. Altri (ANTOLISEI) sostengono, invece, che tale distinzione non ha più ragion d essere salvo che per «atti esecutivi» non si intendano, come ritenevano i primi classici, gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto. In particolare, per ANTOLISEI, il codice penale vigente dal punto di vista del grado di sviluppo dell azione criminosa, non esige altro che l univocità. La giurisprudenza prevalente ritiene che il codice penale vigente non faccia riferimento, ai fini della punibilità del tentativo, alla distinzione tra atti preparatori ed atti esecutivi, precisando, tuttavia, che gli atti meramente preparatori possano risultare penalmente rilevanti, a titolo di tentativo, solo se idonei e diretti in modo non equivoco alla consumazione di un delitto e, cioè, se hanno la potenzialità causale di produrre l evento, e rivelino, d altro canto, in modo non equivoco, l intenzione di compiere un delitto (Cass., 21-3-2004, n. 28706). Ai fini della configurabilità del tentativo occorre, anzitutto, l idoneità degli atti. Questa costituisce condizione indefettibile della pericolosità del tentativo poiché nel caso in cui gli atti risultassero non idonei alla commissione del delitto, a priori verrebbe esclusa qualsiasi probabilità di concretizzazione dello stesso. Sono ritenuti idonei gli atti adeguati alla commissione del delitto, cioè quegli atti che si inseriscono nel piano criminoso dell agente come «conditiones sine quibus non», tali da farlo procedere verso la sua realizzazione (MANTOVANI). L idoneità deve essere riferita agli atti e non ai mezzi per attuarli, perché, come è stato dimostrato da PANNAIN, il mezzo, di per sé, non può essere in astratto idoneo o non idoneo. Così, ad esempio, se della semplice acqua zuccherata è inidonea ad avvelenare un soggetto può, tuttavia essere idonea a cagionare la morte di un diabetico; così se un fiammifero è «di per sé» mezzo inidoneo, può essere però idoneo a cagionare un reato se acceso in una polveriera; così un fucile se è normalmente mezzo idoneo per uccidere, si dimostra inidoneo se usato per colpire una persona che si trovi fuori dalla sua portata etc. L idoneità non attiene al mezzo, ma sempre e soltanto all azione, e va sempre valutata in concreto, cioè tenendo conto delle circostanze concrete in cui il soggetto operò. Non ha, dunque, ragione di essere la distinzione, operata dalla dottrina meno recente, fra idoneità astratta e idoneità concreta del mezzo in quanto l atto astrattamente idoneo può essere concretamente inidoneo (ad esempio un colpo di fucile sparato a distanza superiore alla portata dell arma).

Tentativo ed atti preparatori Il problema dell idoneità postula, in particolare, alcune considerazioni in materia di rapporto di causalità: il principio di causalità materiale, infatti, induce a ritenere che se un determinato evento non si è verificato, vuol dire che sono venute meno le condizioni necessarie per il suo verificarsi: quindi, se un azione non ha prodotto un dato risultato, essa, per il principio di causalità materiale, era inidonea a produrlo. Ciò comporta che l idoneità non possa essere valutata a posteriori, in quanto altrimenti il tentativo sarebbe sempre inidoneo, non essendosi realizzato il delitto voluto. Essa deve essere, dunque, accertata ex ante, riportandosi al momento in cui l azione stava per essere compiuta (attraverso il cd. criterio della prognosi postuma) tenendo conto delle circostanze concrete e di tutti gli elementi che potevano essere a conoscenza dell agente: così se il soggetto sapeva che la vittima predestinata era un diabetico, anche l aver tentato di propinargli della semplice acqua zuccherata costituisce tentato omicidio. L idoneità deve essere valutata, inoltre con riferimento ad ogni singolo atto, come attitudine dello stesso a raggiungere il fine proposto. Ciò significa che siccome l attitudine è pericolo ed il pericolo è probabilità, un atto appare idoneo quando ex ante presentava probabilità di riuscita. Per quanto riguarda il requisito dell idoneità degli atti, anche la giurisprudenza di legittimità ha confermato la ricostruzione sin qui proposta, stabilendo che essa, deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l agente e delle modalità dell azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 1 sent. 1365 del 5-2-98). Ai fini della punibilità del tentativo, occorre, inoltre, l univocità degli atti posti in essere dal soggetto agente (art. 56: «atti diretti in modo non equivoco»). Nell interpretazione del senso del requisito dell univocità, la dottrina è divisa. Secondo la concezione soggettiva, l univocità starebbe ad indicare l esigenza che, in sede processuale, sia data la prova che l atto tendeva al fine criminoso. Detta prova potrebbe essere desunta, per es., dalla confessione del reo. Si è giustamente obiettato che questa sarebbe una interpretatio abrogans, in quanto la prova del dolo è necessaria per ogni delitto, e non solo per quello tentato. Per la concezione oggettiva (ANTOLISEI) l univocità esprime un carattere oggettivo dell azione, nel senso che essa in sé, per quello che è e per il modo in cui è compiuta deve rivelare l intenzione dell agente. Naturalmente l azione deve essere valutata nel complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui si è svolta: occorre, in particolare che l agente realizzi un azione che, secondo l id quod plerumque accidit non è compiuta se non al fine di compiere quel dato 39

40 Quesito n. 5 delitto, e che l azione sia arrivata ad un punto tale da far ritenere improbabile una desistenza dell agente. In conclusione, dunque, perché un azione possa considerarsi oggettivamente univoca, occorre, secondo ANTOLISEI, che essa sia tale da mettere in chiara evidenza il fine cui è diretta ed, inoltre, che essa sia giunta ad un punto tale da non lasciar sussistere serie possibilità che il reo non la conduca a termine. MANTOVANI, nell ambito della concezione oggettiva, contrasta in parte le tesi di ANTOLISEI, rilevando che, la quasi totalità degli atti, obiettivamente considerati, siano in genere pluridonei e pluridirezionali, potendo essere sintomatici di una generica intenzione delittuosa e non di un determinato delitto; dovrebbero, in realtà, esser considerati univoci quegli atti che, per il grado di sviluppo raggiunto dalla condotta criminosa, lasciano prevedere come verosimile la realizzazione del delitto voluto. In giurisprudenza, viene accolta generalmente la concezione oggettiva, secondo la quale, ai fini della configurabilità di un tentativo punibile, l univocità degli atti deve essere considerata come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono in sé stessi possedere, riguardati nel contesto in cui sono inseriti, l attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito, anche qualora sia stata conseguita aliunde la prova del fine verso cui tende l agente. Solo in presenza di entrambi i requisiti dell idoneità ed univocità degli atti, il tentativo può considerarsi realmente pericoloso, cioè tale da lasciar prevedere come verosimile il delitto voluto, in rapporto al piano dell agente ed alla situazione concreta. Quanto detto sino a questo momento rende molto più agevole la soluzione del quesito proposto. Ed infatti, è dai principi di cui sopra che bisogna partire ed, in particolare, da quello che individua il fondamento della punibilità del tentativo, in coerenza con i principi generali del diritto penale del fatto delineato dalla Carta costituzionale, nella esposizione a pericolo (o nella mancata neutralizzazione di un pericolo) per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice che si assume essere stata violata. Altro punto di riferimento fondamentale, poi, è, ovviamente ed inevitabilmente, rappresentato dai due elementi strutturali del tentativo, che, come già detto, sono la direzione non equivoca degli atti e la loro idoneità, e su cui è il caso di tornare brevemente. Il primo dei due requisiti serve ad individuare il passaggio della condotta dalla fase preparatoria a quella esecutiva. Secondo la giurisprudenza più accreditata, non equivoci sono infatti solo gli atti esecutivi di un delitto, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in

Tentativo ed atti preparatori minima parte come inizio di esecuzione alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa. Di converso si deve ritenere che restino penalmente irrilevanti i cd. atti preparatori, cioè quelle manifestazioni esterne del proposito delittuoso che abbiamo carattere strumentale rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di una figura delittuosa. La non punibilità degli atti preparatori (salvo il caso in cui gli stessi integrino ex se un autonoma figura dei reato), va rinvenuta nella loro «lontananza» dal risultato lesivo e, dunque, per la loro bassa pericolosità rispetto al bene giuridico. Una conclusione del genere è supportata, anche dalla disposizione dell art. 115 c.p., che riconosce la rilevanza giuridica di quegli atti non ancora esecutivi di una fattispecie di reato, seppur al solo fine dell applicazione di una misura di sicurezza (proprio per la loro inidoneità ad integrare un reato, anche solo tentato). La nozione di univocità degli atti, in conclusione, non indica un parametro probatorio, bensì un criterio di essenza e deve essere intesa coma una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per sé rivelare l intenzione dell agente (Cass., sent. 40058 del 30-10-2008). Per ciò che concerne la nozione di idoneità degli atti, inoltre, sempre secondo la Suprema Corte, essa dovrà essere intesa come capacità potenziale, ossia come rilevante attitudine degli atti, alla luce di una valutazione prognostica effettuata non dal punto di vista del soggetto agente, bensì nella prospettiva del bene protetto, a contribuire in modo rilevante alla commissione di un delitto (Cass., sent. 40058 del 30-10-2008). Ed allora, ritornando alla condotta di Tizio, va ricordato come la stessa si sia concretata nella elaborazione di un piano ben preciso, con l effettuazione di sopralluoghi e la predisposizione di un autovettura rubata ed un arma. L uomo, infine, si era recato sul posto in cui doveva essere commesso l omicidio ed era stato arrestato nelle vicinanze dell abitazione della vittima designata con l arma carica tra le mani. Orbene, alla luce di questi elementi (a prescindere dagli evidenti profili di responsabilità penale per il furto dell autovettura e la detenzione dell arma in luogo pubblico), non si potrà di certo riconoscere la configurabilità in capo a Tizio del tentato omicidio di Caio. Ed infatti, se è pur vero che da questa condotta traspare chiaramente l intento omicidiario dell uomo, è altrettanto vero che ciò potrebbe, al più, bastare ad integrare il requisito dell idoneità dell atto, ma, di certo, non quello della univocità. In altri termini, non potendosi attribuire alla nozione di univocità degli atti una valenza unicamente probatoria, si dovrà verificare se la condotta di Tizio fosse oggettivamente corrispondente alla descrizione legale della fattispecie dell omicidio (passando dalla fase preparatoria a quella esecutiva). 41

42 Quesito n. 5 E, nel caso di specie, per forza di cose, non essendo stato compiuto alcun atto propriamente esecutivo del reato, si dovrà ravvisare nella condotta di Tizio una mera attività preparatoria e, quindi, l uomo non potrà rispondere del delitto di tentato omicidio. Riferimenti normativi e giurisprudenziali (v. amplius SIMONE, Codice Penale Commentato - C3, ed. 2009) art. 56 c.p.: Autonomia e natura giuridica del tentativo; Atti preparatori ed atti esecutivi; L idoneità degli atti; Univocità degli atti; Rapporti con il reato impossibile.

Quesito n. 5 Tentativo ed atti preparatori Tizio è un malavitoso che ha deciso di uccidere Caio, anch egli noto pregiudicato, per una questione relativa al mancato pagamento di una partita di droga. A tal fine, l uomo incomincia a fare dei sopralluoghi nei pressi dell abitazione di Caio e, dopo essersi recato varie volte nella zona ed aver valutato tutti i gli aspetti logistici della situazione, ruba un automobile da utilizzare per il suo proposito criminoso. Il giorno dopo, Tizio si munisce di un fucile a pompa che tiene a portata di mano e si apposta nelle vicinanze della casa di Caio, aspettando che egli esca per ucciderlo. Tuttavia, le Forze dell Ordine stavano tenendo sotto controllo il telefono del malvivente che, imprudentemente aveva parlato al cellulare con un amico delle sue intenzioni, e così riescono ad arrestarlo prima dell arrivo di Caio, quando egli è ancora in macchina con il fucile tra le mani. Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, premessi brevi cenni sugli istituti rilevanti nel caso di specie, rediga parere motivato sulla vicenda, soffermandosi sulla possibile configurabilità in capo all uomo del reato di tentato omicidio. Svolgimento Partendo dalla ricostruzione del concetto di «consumazione», è opportuno precisare che il reato, dal punto di vista dinamico, si snoda nel tempo e si realizza secondo un iter criminis più o meno complesso che si articola in varie fasi, logicamente susseguenti. La prima fase è l ideazione, consistente nel periodo di tempo durante il quale nel soggetto nasce e si sviluppa l idea di commettere il reato. Tale fase ricorre solo per i reati dolosi, in quanto sono gli unici caratterizzati dalla intenzione di commetterli. L ideazione del reato sfocia nella risoluzione criminosa, cioè nel proposito (giunto a maturazione) di commettere il reato

36 Quesito n. 5 L esecuzione, invece, coincide con l attuazione della risoluzione criminosa, la quale consiste nella realizzazione del tipo di comportamento previsto (e vietato) dalla singola norma penale incriminatrice, cioè della condotta tipica del reato. L ultima fase è quella della consumazione: di regola, ogni reato ha per effetto la lesione o la messa in pericolo di un bene protetto dall ordinamento (il cd. evento giuridico): quando appunto si determina l effettiva lesione o messa in pericolo di tale bene, si ha la consumazione del reato. La consumazione coincide, dunque, con l epilogo della fase dell esecuzione e si ha quando si sono realizzati tutti i requisiti previsti dalla fattispecie legale per il perfezionamento del reato, nonché l offesa del bene protetto: nei reati di pura condotta la consumazione coincide con il realizzarsi della condotta vietata, nei reati di evento col verificarsi di questo (PANNAIN, FIANDACA-MUSCO). In dottrina, poi, è stata elaborata un ulteriore distinzione: quella fra perfezionamento e consumazione del reato: il reato si perfeziona quando sono realizzati tutti gli elementi della fattispecie nel loro contenuto minimo (necessario, cioè, all esistenza del reato stesso), mentre si ha la consumazione quando il reato, già perfetto, raggiunge la sua massima gravità. I due momenti possono coincidere (come, ad esempio, avviene nell omicidio) ma possono anche mantenersi distinti (si pensi alla lesione causata da più colpi: con il primo la lesione si perfeziona, con l ultimo si consuma) (così MAN- TOVANI). Quanto, invece al delitto tentato, la relativa disciplina è ricavabile dalla lettera dell art. 56 ai sensi del quale «chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l azione non si compie o l evento non si verifica». La maggioranza della dottrina ritiene che la ratio della punibilità stia nel pericolo inerente al tentativo, cioè nel fatto che il tentativo minaccia l esistenza del bene protetto dalla norma (BETTIOL, PETROCELLI, FIANDACA-MUSCO, MANTOVANI). Altri Autori (MAGGIORE) ritengono che la punizione del reato tentato si fonda sulla risoluzione criminosa;in particolare, si precisa, il tentativo non è soltanto intenzione, ma intenzione manifestata. ANTOLISEI ritiene che il fondamento della punibilità del tentativo risulta dall esame comparativo dei tipi di reato: tale esame dimostra che mai o quasi mai si richiede che il reo abbia conseguito lo scopo che si riprometteva dalla sua azione. Questa considerazione induce i seguaci di tale teoria a ritenere che una vera e propria differenza (indipendentemente dalla formulazione legislativa) tra il tentativo e la consumazione non esiste.

Tentativo ed atti preparatori La ratio, in base alla quale il reato tentato viene punito, è, dunque, la stessa per la quale si punisce il reato consumato: anche nel tentativo cioè vi è il concretarsi dell intenzione criminosa in un fatto esteriore che non può essere tollerato dallo Stato per il suo carattere antisociale. Il tentativo, infatti, nella maggior parte dei casi reca un duplice pregiudizio: turba il soggetto passivo e produce allarme nell ambiente sociale (in tal senso anche MONTANARA e MORSELLI). Il reato tentato è la risultante della combinazione di due norme, l una principale (la norma incriminatrice di parte speciale, per esempio, l art. 624 furto), l altra secondaria (la norma estensiva: l art. 56). Tale combinazione, di norme, dà origine ad un nuovo titolo di reato che deve essere considerato «autonomo», per quanto conservi il nomen iuris della figura delittuosa alla quale fa riferimento (tentato furto, tentato omicidio etc.). Anche secondo la giurisprudenza il delitto tentato costituisce figura autonoma di reato, qualificato da una propria oggettività giuridica e da una propria struttura, delineate dalla combinazione della norma incriminatrice specifica e dalla disposizione contenuta nell art. 56 c.p., che rende punibili, con una pena autonoma, fatti non altrimenti sanzionabili, perché arrestatisi al di qua della consumazione. Da tale autonomia dell illecito e della sanzione consegue che, in presenza di delitto tentato, la determinazione della pena può effettuarsi con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il calcolo «bifasico», cioè mediante scissione dei due momenti indicati, fermo restando che nessuno dei due sistemi può sottrarsi al rispetto dei vincoli normativi relativi al contenimento della riduzione da uno a due terzi, la cui inosservanza comporta violazione di legge (Sez. 1 sent. 37562 del 17-10-2001). Dalla definizione data dall art. 56, deriva che requisiti del tentativo sono l intenzione di commettere un determinato delitto ed il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione del delitto stesso ed, infine, il mancato compiersi dell azione o il mancato verificarsi dell evento. Il principale problema in materia di tentativo riguarda il momento dell accertamento dell inizio dell attività punibile. I criminalisti hanno da tempo stabilito che gli atti preliminari anteriori all attuazione del piano criminoso non sono punibili, per il loro incerto significato. Tanto premesso, si è cercato un criterio per differenziare gli atti preparatori (esenti da pena) dagli atti esecutivi (che sono, invece, punibili). Il legislatore del 1930, per porre fine a tali dubbi, ha abbandonato la distinzione tra atti preparatori ed atti esecutivi ed ha richiesto, ai fini del tentativo, l idoneità e l univocità degli atti facendo riferimento ad «atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto» (art. 56). 37

38 Quesito n. 5 Alcuni autori (DE MARSICO, PETROCELLI) hanno ritenuto che, nonostante la lettera della legge, la distinzione tra gli atti preparatori ed esecutivi sia tuttora rilevante. Altri (ANTOLISEI) sostengono, invece, che tale distinzione non ha più ragion d essere salvo che per «atti esecutivi» non si intendano, come ritenevano i primi classici, gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto. In particolare, per ANTOLISEI, il codice penale vigente dal punto di vista del grado di sviluppo dell azione criminosa, non esige altro che l univocità. La giurisprudenza prevalente ritiene che il codice penale vigente non faccia riferimento, ai fini della punibilità del tentativo, alla distinzione tra atti preparatori ed atti esecutivi, precisando, tuttavia, che gli atti meramente preparatori possano risultare penalmente rilevanti, a titolo di tentativo, solo se idonei e diretti in modo non equivoco alla consumazione di un delitto e, cioè, se hanno la potenzialità causale di produrre l evento, e rivelino, d altro canto, in modo non equivoco, l intenzione di compiere un delitto (Cass., 21-3-2004, n. 28706). Ai fini della configurabilità del tentativo occorre, anzitutto, l idoneità degli atti. Questa costituisce condizione indefettibile della pericolosità del tentativo poiché nel caso in cui gli atti risultassero non idonei alla commissione del delitto, a priori verrebbe esclusa qualsiasi probabilità di concretizzazione dello stesso. Sono ritenuti idonei gli atti adeguati alla commissione del delitto, cioè quegli atti che si inseriscono nel piano criminoso dell agente come «conditiones sine quibus non», tali da farlo procedere verso la sua realizzazione (MANTOVANI). L idoneità deve essere riferita agli atti e non ai mezzi per attuarli, perché, come è stato dimostrato da PANNAIN, il mezzo, di per sé, non può essere in astratto idoneo o non idoneo. Così, ad esempio, se della semplice acqua zuccherata è inidonea ad avvelenare un soggetto può, tuttavia essere idonea a cagionare la morte di un diabetico; così se un fiammifero è «di per sé» mezzo inidoneo, può essere però idoneo a cagionare un reato se acceso in una polveriera; così un fucile se è normalmente mezzo idoneo per uccidere, si dimostra inidoneo se usato per colpire una persona che si trovi fuori dalla sua portata etc. L idoneità non attiene al mezzo, ma sempre e soltanto all azione, e va sempre valutata in concreto, cioè tenendo conto delle circostanze concrete in cui il soggetto operò. Non ha, dunque, ragione di essere la distinzione, operata dalla dottrina meno recente, fra idoneità astratta e idoneità concreta del mezzo in quanto l atto astrattamente idoneo può essere concretamente inidoneo (ad esempio un colpo di fucile sparato a distanza superiore alla portata dell arma).

Tentativo ed atti preparatori Il problema dell idoneità postula, in particolare, alcune considerazioni in materia di rapporto di causalità: il principio di causalità materiale, infatti, induce a ritenere che se un determinato evento non si è verificato, vuol dire che sono venute meno le condizioni necessarie per il suo verificarsi: quindi, se un azione non ha prodotto un dato risultato, essa, per il principio di causalità materiale, era inidonea a produrlo. Ciò comporta che l idoneità non possa essere valutata a posteriori, in quanto altrimenti il tentativo sarebbe sempre inidoneo, non essendosi realizzato il delitto voluto. Essa deve essere, dunque, accertata ex ante, riportandosi al momento in cui l azione stava per essere compiuta (attraverso il cd. criterio della prognosi postuma) tenendo conto delle circostanze concrete e di tutti gli elementi che potevano essere a conoscenza dell agente: così se il soggetto sapeva che la vittima predestinata era un diabetico, anche l aver tentato di propinargli della semplice acqua zuccherata costituisce tentato omicidio. L idoneità deve essere valutata, inoltre con riferimento ad ogni singolo atto, come attitudine dello stesso a raggiungere il fine proposto. Ciò significa che siccome l attitudine è pericolo ed il pericolo è probabilità, un atto appare idoneo quando ex ante presentava probabilità di riuscita. Per quanto riguarda il requisito dell idoneità degli atti, anche la giurisprudenza di legittimità ha confermato la ricostruzione sin qui proposta, stabilendo che essa, deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l agente e delle modalità dell azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 1 sent. 1365 del 5-2-98). Ai fini della punibilità del tentativo, occorre, inoltre, l univocità degli atti posti in essere dal soggetto agente (art. 56: «atti diretti in modo non equivoco»). Nell interpretazione del senso del requisito dell univocità, la dottrina è divisa. Secondo la concezione soggettiva, l univocità starebbe ad indicare l esigenza che, in sede processuale, sia data la prova che l atto tendeva al fine criminoso. Detta prova potrebbe essere desunta, per es., dalla confessione del reo. Si è giustamente obiettato che questa sarebbe una interpretatio abrogans, in quanto la prova del dolo è necessaria per ogni delitto, e non solo per quello tentato. Per la concezione oggettiva (ANTOLISEI) l univocità esprime un carattere oggettivo dell azione, nel senso che essa in sé, per quello che è e per il modo in cui è compiuta deve rivelare l intenzione dell agente. Naturalmente l azione deve essere valutata nel complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui si è svolta: occorre, in particolare che l agente realizzi un azione che, secondo l id quod plerumque accidit non è compiuta se non al fine di compiere quel dato 39

40 Quesito n. 5 delitto, e che l azione sia arrivata ad un punto tale da far ritenere improbabile una desistenza dell agente. In conclusione, dunque, perché un azione possa considerarsi oggettivamente univoca, occorre, secondo ANTOLISEI, che essa sia tale da mettere in chiara evidenza il fine cui è diretta ed, inoltre, che essa sia giunta ad un punto tale da non lasciar sussistere serie possibilità che il reo non la conduca a termine. MANTOVANI, nell ambito della concezione oggettiva, contrasta in parte le tesi di ANTOLISEI, rilevando che, la quasi totalità degli atti, obiettivamente considerati, siano in genere pluridonei e pluridirezionali, potendo essere sintomatici di una generica intenzione delittuosa e non di un determinato delitto; dovrebbero, in realtà, esser considerati univoci quegli atti che, per il grado di sviluppo raggiunto dalla condotta criminosa, lasciano prevedere come verosimile la realizzazione del delitto voluto. In giurisprudenza, viene accolta generalmente la concezione oggettiva, secondo la quale, ai fini della configurabilità di un tentativo punibile, l univocità degli atti deve essere considerata come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono in sé stessi possedere, riguardati nel contesto in cui sono inseriti, l attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito, anche qualora sia stata conseguita aliunde la prova del fine verso cui tende l agente. Solo in presenza di entrambi i requisiti dell idoneità ed univocità degli atti, il tentativo può considerarsi realmente pericoloso, cioè tale da lasciar prevedere come verosimile il delitto voluto, in rapporto al piano dell agente ed alla situazione concreta. Quanto detto sino a questo momento rende molto più agevole la soluzione del quesito proposto. Ed infatti, è dai principi di cui sopra che bisogna partire ed, in particolare, da quello che individua il fondamento della punibilità del tentativo, in coerenza con i principi generali del diritto penale del fatto delineato dalla Carta costituzionale, nella esposizione a pericolo (o nella mancata neutralizzazione di un pericolo) per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice che si assume essere stata violata. Altro punto di riferimento fondamentale, poi, è, ovviamente ed inevitabilmente, rappresentato dai due elementi strutturali del tentativo, che, come già detto, sono la direzione non equivoca degli atti e la loro idoneità, e su cui è il caso di tornare brevemente. Il primo dei due requisiti serve ad individuare il passaggio della condotta dalla fase preparatoria a quella esecutiva. Secondo la giurisprudenza più accreditata, non equivoci sono infatti solo gli atti esecutivi di un delitto, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in

Tentativo ed atti preparatori minima parte come inizio di esecuzione alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa. Di converso si deve ritenere che restino penalmente irrilevanti i cd. atti preparatori, cioè quelle manifestazioni esterne del proposito delittuoso che abbiamo carattere strumentale rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di una figura delittuosa. La non punibilità degli atti preparatori (salvo il caso in cui gli stessi integrino ex se un autonoma figura dei reato), va rinvenuta nella loro «lontananza» dal risultato lesivo e, dunque, per la loro bassa pericolosità rispetto al bene giuridico. Una conclusione del genere è supportata, anche dalla disposizione dell art. 115 c.p., che riconosce la rilevanza giuridica di quegli atti non ancora esecutivi di una fattispecie di reato, seppur al solo fine dell applicazione di una misura di sicurezza (proprio per la loro inidoneità ad integrare un reato, anche solo tentato). La nozione di univocità degli atti, in conclusione, non indica un parametro probatorio, bensì un criterio di essenza e deve essere intesa coma una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per sé rivelare l intenzione dell agente (Cass., sent. 40058 del 30-10-2008). Per ciò che concerne la nozione di idoneità degli atti, inoltre, sempre secondo la Suprema Corte, essa dovrà essere intesa come capacità potenziale, ossia come rilevante attitudine degli atti, alla luce di una valutazione prognostica effettuata non dal punto di vista del soggetto agente, bensì nella prospettiva del bene protetto, a contribuire in modo rilevante alla commissione di un delitto (Cass., sent. 40058 del 30-10-2008). Ed allora, ritornando alla condotta di Tizio, va ricordato come la stessa si sia concretata nella elaborazione di un piano ben preciso, con l effettuazione di sopralluoghi e la predisposizione di un autovettura rubata ed un arma. L uomo, infine, si era recato sul posto in cui doveva essere commesso l omicidio ed era stato arrestato nelle vicinanze dell abitazione della vittima designata con l arma carica tra le mani. Orbene, alla luce di questi elementi (a prescindere dagli evidenti profili di responsabilità penale per il furto dell autovettura e la detenzione dell arma in luogo pubblico), non si potrà di certo riconoscere la configurabilità in capo a Tizio del tentato omicidio di Caio. Ed infatti, se è pur vero che da questa condotta traspare chiaramente l intento omicidiario dell uomo, è altrettanto vero che ciò potrebbe, al più, bastare ad integrare il requisito dell idoneità dell atto, ma, di certo, non quello della univocità. In altri termini, non potendosi attribuire alla nozione di univocità degli atti una valenza unicamente probatoria, si dovrà verificare se la condotta di Tizio fosse oggettivamente corrispondente alla descrizione legale della fattispecie dell omicidio (passando dalla fase preparatoria a quella esecutiva). 41