Le aspirazioni delle élites economiche padovane nella rinascita del Veneto dopo la 1 a guerra mondiale Il periodo postbellico fu per l economia padovana denso di trasformazioni, a partire dal progetto delle élites cittadine, in gran parte di origine mercantile, di dar vita nel 1919, sull esempio delle grandi città europee, ed in particolare di Lipsia, ad una Fiera Campioni, la prima del paese. Idea azzardata, ma di fascino, quella di mettere a frutto la notorietà che la città aveva conosciuto nel periodo in cui vera e propria capitale al fronte aveva ospitato il potere regio, il comando supremo e parte dell apparato governativo: e la Fiera fu per certi versi l abbrivio di un lento, ma deciso cambiamento della struttura economica. Va tuttavia detto che essa fu tutt altro che estemporaneo provincialismo della classe dirigente patavina, anche se non mancò ovviamente l enfatica sottolineatura di come la Fiera Campioni altro non fosse che il naturale esito dell antica Fiera del Santo, nonché logica evoluzione della tradizione intermediatrice della città. L evento costituì però il punto di partenza, lucido pur nel suo contraddittorio esito, di un progetto modernizzatore teso a rendere Padova una città al passo coi tempi, sia dal punto di vista economico sia da quello di un nuovo tessuto urbanistico che rompesse l assetto di stampo medievale del suo centro storico. L obiettivo era di rinvigorire la centralità regionale della città, irrobustendo la sua vocazione intermediatrice e finanziaria con una industrializzazione fino ad allora mancata. Il secondario era infatti, nell area urbana come in provincia, ancora di poca consistenza, e le produzioni fino ad allora sviluppatesi permanevano salvo pochissime eccezioni ad insediamento essenzialmente locale, come già rilevato dal ricordato Censimento Manifesto della prima Fiera di Padova del 1919 (AFPd). 26 27
del 1911: il che strideva con il più consistente peso regionale dei traffici mercantili e delle attività finanziarie. Il grande progetto modernizzatore era perciò mirato anche ad un riequilibrio settoriale, che insisteva appunto su un deciso incremento della trasformazione manifatturiera. In verità, a una moderna esposizione commerciale gli ambienti economici cittadini stavano pensando da tempo, e in particolare vi lavorava da più di un decennio Ettore Da Molin, poliedrico e preparato Segretario della Camera di Commercio. Egli si era puntualmente documentato sulle più importanti esposizioni fieristiche europee. In particolare egli trovava singolari analogie tra la posizione geografica di Lipsia, catalizzatrice di intensi traffici, e quella di Padova: antico centro di scambi, dotato di buoni mezzi di comunicazione, sia stradali che ferroviari, la città gli appariva l interconnessione ideale tra i centri manifatturieri della pedemontana veneta e i mercati dell Europa danubiana e balcanica. Ma nei suoi scenari entrava anche il ruolo, al momento solo in fieri, di ciò che il centro euganeo poteva diventare come terminale orientale delle reti distributive della grande industria dell Italia nordoccidentale, sempre più vocata alla produzione di beni di consumo destinati all utilizzatore finale. Nasceva da tali considerazioni l idea di rendere Padova sito privilegiato della moderna intermediazione di merci. La Fiera doveva essere insomma lo strumento per rivitalizzare l economia postbellica, proponendola come luogo di incontro tra produttori e acquirenti, dove sulla base dei campioni lì esposti fosse possibile sviluppare le contrattazioni tra i diversi soggetti economici; ma non mancava la convinzione che dal confronto tra le merci proposte nascessero stimoli per i produttori locali. In sostanza, la Fiera di Campioni doveva per i suoi promotori diventare una sorta di grande ufficio di vendita dei prodotti nazionali, da rinnovarsi annualmente come già avveniva per le fiere di Lipsia e di Lione. Nella pagina a fianco: il centro storico di Padova dopo i bombardamenti della Prima Guerra Mondiale (MCP). Manifesto della prima Fiera di Padova del 1919, disegnato da Oreste Da Molin (AFPd). 28 29
Sopra: Vittorio Fiorazzo, primo presidente della Fiera di Padova. La giornata inaugurale della Fiera di Padova del 1926 (ProvPd).. 30 31
Articolata in diciotto sezioni merceologiche, la prima Fiera che si svolse dal 10 al 30 giugno del 1919 fu costretta a dividersi in tre siti distinti. Al Foro Boario di Prato della Valle, dotato di fabbricati adatti alla funzione espositiva, vennero ospitate le tipologie più ingombranti (Edilizia e costruzioni; Siderurgia e metallurgia; Forniture industriali; Meccanica; Chimica: Industrie del cuoio, pellami, caucciù e amianto; Agricoltura; Comunicazioni e trasporti). Nella centralissima Sala della Ragione, a ridosso del Municipio, trovarono spazio le manifatture leggere (Mobili, decorazione per la casa e l Ufficio; Ortopedia, chirurgia, igiene e farmaceutica; Profumeria ed essenze; Ceramica e vetrerie: Alimentazione; Industrie artistiche, grafiche e della carta; Sport, turismo e viaggio; Industrie dei metalli preziosi e dei gioielli; Industrie varie e piccole industrie). Presso la Scuola Artistica Industriale Selvatico, infine, furono ricavati gli spazi espositivi per le Industrie tessili e dell abbigliamento. Il successo, comunque, arrise alla manifestazione. Furono oltre seicento le aziende presenti alla rassegna, di cui 21 straniere: risultato, quest ultimo, vissuto dagli organizzatori come il segnale che la scelta era quella giusta, e che davvero Padova poteva svolgere il ruolo di ponte tra l Italia e l Europa centro-danubiana. La categoria merceologica più rappresentata fu quella della meccanica, con circa il 19% delle ditte, seguita dalle imprese tessili e da quelle alimentari. Se dal punto di vista geografico, buona parte delle ditte espositrici proveniva dall area milanese, il giro d affari che la rassegna originò (poco meno di 140 milioni di lire gli ordinativi sottoscritti) coinvolse operatori di buona parte del Nord Italia, ma anche della vicina Austria e, appunto, dell area danubiano-balcanica. Sulla base di questi risultati ci si preparò all edizione successiva, avviando la costruzione di un apposito quartiere fieristico in via N. Tommaseo, là dove ancor oggi esso insiste. Il successo padovano, mostrando la validità del metodo espositivo, aveva però rafforzato l interesse degli ambienti economici milanesi che, anch essi, da tempo pensavano ad una analoga manifestazione. Bruciando le tappe, essi concretizzarono il loro progetto e, nell aprile del 1920, si inaugurò la Fiera di Milano, che forte di ben altre disponibilità economiche ridimensionò drasticamente le ambizioni patavine. Fu Milano, che del resto era la capitale manifatturiera del paese, a divenire il polo fieristico per eccellenza, riducendo l esposizione padovana a manifestazione interregionale: certo importante, ma tuttavia secondaria rispetto al baricentro economico del capoluogo lombardo. E tuttavia l esperienza padovana non fu inutile. Essa aveva dimostrato che la città poteva, proprio grazie alla sua particolare posizione geografica, divenire centro di irradiazione triveneta dei manufatti e dei semilavorati industriali prodotti a Nordovest. Ciò non solo determinò l approdo nel capoluogo euganeo delle filiali delle grandi imprese lombardo-piemontesi, ma soprattutto innescò una mutazione genetica nella tradizione intermediatrice dell economia cittadina, con la nascita di operatori in grado di porsi come interfaccia tra i produttori del Nordovest non dotati in loco di proprie filiali di commer- Manifesti pubblicitari della Distilleria Bareggi, della Ditta Pezziol, della Premiata Fabbrica G. Sommavilla e la copertina dell Inno all Aperol della F.lli Barbieri, anni Venti (MCT). 32 33
cializzazione, e i commercianti finali da un lato, e le imprese che necessitavano di materie seconde dall altro. Padova divenne, perciò, anticipando il ruolo logistico ora integrato nella sua Zona Industriale, la sede di una fitta rete distributiva, presto supportata dall emergere di locali imprese di trasporto su gomma, alcune poi divenute di rilievo nazionale (si pensi alla Maritan e alla Borgato, più tardi fuse nella Maritan-Borgato, alla Canova o alla Domenichelli), e dall approdo in città di quelle milanesi. Non furono tuttavia i soli operatori dell intermediazione a trarne effetti positivi, e vivificatori dei loro business, ma si generò un più generale vantaggio per tutto il settore manifatturiero provinciale, che poteva così trovare agevolmente in loco i semilavorati o le materie seconde necessarie ai propri processi produttivi, creando anche le opportunità per nuovi soggetti economici che da tali disponibilità trassero idea per sviluppare attività di trasformazione. A lato: una veduta verso la Fiera, anni Venti (AFPd). Sopra: Fiera del 1920, i padiglioni nell isola del Prato della Valle e la fiera degli animali (AFPd). Il negozio dell argenteria Callegaro in via del Santo, 1922. 34 35