Diritti civili e politici



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Diritti civili e politici La natura del divieto di detenzione arbitraria secondo il Working Group on Arbitrary Detention del Consiglio dei diritti umani Sommario: 1. L identificazione del contenuto della norma consuetudinaria sul divieto di detenzione arbitraria. 2. Il divieto di detenzione arbitraria come norma di jus cogens. 3. La complessa determinazione della inderogabilità del divieto in materia di controllo dell immigrazione e lotta al terrorismo. Nazioni Unite, Consiglio dei diritti umani, Report of the Working Group on Arbitrary Detention, UN Doc. A/HRC/22/44, del 24 dicembre 2012 (www.ohchr.org) 1. Il 24 dicembre 2012, il Working Group sulla detenzione arbitraria ha a- dottato, nella sua sessantacinquesima sessione, un interessante documento che cerca di determinare l ampiezza ed il contenuto della norma sul divieto di detenzione arbitraria nel diritto internazionale consuetudinario. Si tratta della Deliberation No. 9 concerning the definition and scope of arbitrary deprivation of liberty under customary international law allegata al rapporto dello stesso organismo sulla propria attività nel corso del 2012. Come sottolineato nello stesso documento, il Working Group on Arbitrary Detention è il solo organismo nel sistema internazionale di tutela dei diritti umani ad avere lo specifico mandato di ricevere ed esaminare casi di detenzione arbitraria. Quest organo fu creato nel 1991 dalla Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani ed è stato sin da subito considerato un importante strumento, imparziale ed indipendente, per la protezione degli individui da una delle più diffuse e gravi violazioni dei diritti civili (per una breve analisi dell istituzione del Working Group, si veda R. Brody, The United Nations Creates a Working Group on Arbitrary Detention, in American Journal of International Law 1991, vol. 85, pp. 709-715). Il primo scopo che si prefigge di raggiungere il documento in esame è quello di individuare il contenuto della norma internazionale consuetudinaria sulla detenzione arbitraria. A tal fine, il Working Group ha analizzato le convenzioni internazionali sui diritti u- mani, la giurisprudenza e la prassi dei tribunali internazionali e dei meccanismi di tutela istituiti da tali convenzioni. Esso si è inoltre avvalso delle risposte fornite dagli Stati e da alcune organizzazioni non governative ad un questionario che era stato loro inviato a fine 2011. Si chiedeva, da un lato, di indicare se il divieto in questione è contenuto nella legislazione del proprio ordinamento nazionale e, in caso affermativo, di riportarne le specifiche disposizioni, e dall altro, di elencare gli elementi individuati nella giurisprudenza nazionale per determinare la violazione del divieto di detenzione arbitraria e di fornire, se possibile, esempi concreti. Ad avviso del gruppo di esperti, il divieto di detenzione arbitraria è imposto da una regola internazionale avente natura consuetudinaria. Quanto al contenuto di tale regola, sono cinque i casi in cui la detenzione non può che dirsi arbitraria. Si tratta, in particolare, delle seguenti situazioni: a) quando non è possibile invocare alcun fondamento giuridico a sostegno della detenzione; b) quando la privazione della libertà è la conseguenza dell esercizio di alcuni diritti fondamentali (art. 7, 13, 14, 18, 19, 20 e 21 della Dichiara- DIRITTI UMANI e DIRITTO INTERNAZIONALE Società editrice il Mulino vol. 7, 2013, n. 2, pp. 525-531 ISSN: 1971-7105

Osservatorio Diritti civili e politici zione universale dei diritti dell uomo); c) quando vi è stata una grave non osservanza delle norme internazionali relative al diritto ad un equo processo; d) quando una detenzione amministrativa per richiedenti asilo, rifugiati o altri migranti si è prolungata indebitamente senza la possibilità di avvalersi di un rimedio giudiziale; e) quando la privazione della libertà rappresenta una violazione del principio di non discriminazione. Il lavoro compiuto dal Working Group per l identificazione della natura consuetudinaria del divieto di detenzione arbitraria si fonda senza dubbio su un approfondito esame dei trattati sui diritti umani e delle legislazioni nazionali. In particolare, il Working Group ha valorizzato il fatto che il divieto di arbitraria privazione della libertà sia previsto in tutti i più importanti trattati regionali ed internazionali di tutela dei diritti umani: la Dichiarazione Universale dei diritti dell uomo ed il Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 9); la Carta africana dei diritti umani e dei popoli (art. 7); la Convenzione americana dei diritti dell uomo (art. 7); la Carta araba dei diritti umani (art. 14) e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell uomo e delle libertà fondamentali (art. 5). Inoltre, a parte i quasi trenta Stati che hanno risposto ai quesiti formulati dagli esperti, indicando la propria legislazione in materia, il Gruppo ha rilevato in generale una «near universal State practice» (par. 43). Con riguardo a tale importante affermazione, tuttavia, si sarebbero potuti precisare gli elementi di tale prassi diffusa e generalizzata. Oltre alla legislazione interna degli Stati e ad alcuni casi emersi dalla giurisprudenza nazionale in materia, sarebbe stato utile individuare ulteriori elementi di prassi internazionale quali eventuali prese di posizione in seno ad organizzazioni internazionali o proteste diplomatiche in accertati casi di violazione dell obbligo. Vengono infine menzionate diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza ONU, alcune di condanna nei confronti di pratiche poste in essere da singoli Stati, altre a carattere generale, che confermerebbero una opinio juris uniforme da parte degli Stati (tra gli e- sempi riportati, Consiglio di sicurezza, risoluzioni n. 392 (1976) del 19 giugno 1976, n. 417 (1977) del 31 ottobre 1977 e n. 473 (1980) del 13 giugno 1980, sulla situazione in Sud Africa; nota 7 del documento in esame). A sostegno della natura consuetudinaria della regola in questione, il Working Group fa poi riferimento (v. par. 44 del documento in e- same) alla sentenza resa dalla Corte internazionale di giustizia nel caso del Personale diplomatico e consolare dell ambasciata americana a Teheran. In questa sentenza la Corte non parla espressamente di una regola consuetudinaria, ma si riferisce alla illegittima privazione della libertà personale come di un atto incompatibile con i principi della Carta delle Nazioni Unite e i diritti fondamentali enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti dell uomo (Corte internazionale di giustizia, Diplomatic and Consular Staff in Tehran (United States of America v. Iran), sentenza del 24 maggio 1980, par. 91). L arresto e la detenzione arbitraria possono inoltre essere qualificati come crimini contro l umanità se commessi all interno di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile (par. 45). Anche la prassi di alcuni tra gli Stati che non hanno ratificato i principali trattati sui diritti umani rappresenta, ad avviso degli esperti, «further evidence of the customary nature» della norma (par. 46). Ancora una volta il riferimento in materia di prassi è relativo unicamente alla legislazione interna degli Stati. Risulta dunque chiaro, ad avviso del Working Group e alla luce della propria opera ricostruttiva, che il divieto di detenzione arbitraria costituisca una norma consolidata di diritto internazionale consuetudinario. I cinque casi poi che il gruppo di esperti individua per definire la portata del divieto e i suoi elementi costitutivi relativi in generale al rispetto del principio di legalità, alla tutela di altri diritti fondamentali, al diritto ad un processo equo, al rispetto del principio di non discriminazione e alle ipotesi di illegittima de- 2

DIRITITI UMANI e DIRITTO INTERNAZIONALE vol. 7, 2013, n. 2, pp. 525-531 tenzione amministrativa di migranti o richiedenti asilo sembrano effettivamente essere riconosciuti da tutti i meccanismi internazionali o regionali di tutela dei diritti umani. Permangono peraltro, più in generale, le contraddizioni insite nell affermare la natura consuetudinaria di regole poste a tutela dei diritti umani, nonostante le ripetute violazioni delle stesse da parte degli Stati. In questi casi si può ipotizzare una prevalenza dell elemento soggettivo su quello oggettivo nella formazione della consuetudine oppure supporre una parziale sovrapposizione tra i due classici elementi, per cui alcune indicazioni della opinio juris degli Stati costituirebbero allo stesso tempo prassi rilevante. Un attenta lettura della giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia e la tendenza delle norme sui diritti umani a sorgere spontaneamente «rather than from habit» hanno condotto parte della dottrina a sostenere che queste si presterebbero piuttosto a rientrare nella categoria dei principi generali di diritto; è d altronde innegabile che in questo specifico ambito «principles have always preceded practice» (si veda B. Simma, P. Alston, The Sources of Human Rights Law: Custom, Jus Cogens and General Principles, in Australian Yearbook of International Law 1992, vol. 12, pp. 82-108). 2. Dopo aver determinato, attraverso un ampia disamina della prassi e della opinio juris rilevanti, la natura consuetudinaria della norma sul divieto di detenzione arbitraria, il Working Group prosegue nella sua opera ricostruttiva al fine di stabilire la natura del divieto. In questo contesto esso giunge alla conclusione che il divieto in questione è imposto da una norma consuetudinaria avente carattere cogente. È nota l incertezza che domina in dottrina e nella giurisprudenza internazionale in merito all impiego della categoria dello jus cogens. Questa incertezza discende in parte da una certa riluttanza da parte degli organi giurisdizionali nel fare riferimento alle norme imperative. L atteggiamento della Corte internazionale di giustizia, in particolare, è stato per molto tempo piuttosto cauto rispetto alla possibilità di riconoscere l esistenza di norme cogenti di diritto internazionale. Inoltre, le disposizioni della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che hanno sancito per la prima volta l esistenza di un gruppo di norme inderogabili non sono mai state invocate dagli Stati. Una fondamentale questione su cui continuano ad esservi dubbi e numerose esitazioni concerne il metodo di rilevazione ed identificazione delle norme di jus cogens. A parte le teorie che si rifanno al diritto naturale o al concetto di ordre public, sembra interessante soprattutto notare un certo disaccordo di opinioni dottrinali in merito alla convergenza o meno del processo di ricognizione del diritto cogente rispetto a quello consuetudinario (per una panoramica generale dei metodi di rilevazione si veda K. Zemanek, The Metamorphosis of Jus Cogens: From an Institution of Treaty Law to the Bedrock of the International Legal Order?, in The Law of Treaties beyond the Vienna Convention, E. Cannizzaro (ed.), Oxford, 2011, pp. 384-391; tra coloro che sostengono la diversità tra il processo di identificazione delle norme di jus cogens e quello di rilevamento delle consuetudini, si veda A. O- rakhelashvili, Peremptory Norms in International Law, Oxford, 2006, p. 119). Nel lavoro degli esperti sulla detenzione arbitraria non si affronta espressamente la spinosa questione metodologica su come debbano essere individuate le norme inderogabili. Una disamina del documento sembrerebbe mostrare che il processo ricostruttivo di una norma imperativa non possa prescindere da un approfondito studio degli elementi di prassi e opinio juris degli Stati. Non è tuttavia chiaro quale sia la relazione tra la natura consuetudinaria della norma e la sua appartenenza alle norme imperative; se, in altre parole, il grado di attestazione del divieto nel diritto consuetudinario incida sulla natura imperativa dello stesso. Sul punto ci sembra poi si ripropongano in parte le problematiche 3

Osservatorio Diritti civili e politici già accennate in merito alla difficoltà di affermare la natura cogente di norme che si pretendono affermate nel diritto consuetudinario nonostante la presenza di prassi contrastante o comunque non generalizzata. La lettura in precedenza proposta che intende associare le norme a tutela dei diritti umani ai principi generali di diritto, piuttosto che alle norme consuetudinarie attutisce alcune di queste contraddizioni. I principi generali di diritto, infatti, così come le norme di jus cogens, fondano la propria esistenza sul riconoscimento e l accettazione generalizzata da parte degli Stati e non richiedono per la loro affermazione nel diritto internazionale una prassi costante e diffusa o quasi universale (B. Simma, P. Alston, op. cit., pp. 103-107). Per determinare il carattere cogente della norma, nel documento si sostiene in primo luogo che il divieto di detenzione arbitraria è considerato inderogabile sia nel diritto internazionale pattizio che in quello consuetudinario. Ad avviso del gruppo di esperti, infatti, nei trattati sui diritti umani la derogabilità del divieto sarebbe esclusa. Questo è certamente vero per la Carta Araba che elenca espressamente il diritto a non essere arbitrariamente privati della propria libertà tra quelli non derogabili (art. 14, par. 2). Appare meno incisivo invece il generico rimando compiuto nel documento (par. 47) al divieto di deroghe alle garanzie giudiziali essenziali per la protezione dei diritti fondamentali contenuto nella Convenzione americana (art. 27, par. 2): il divieto di detenzione arbitraria rientra certamente tra le garanzie basilari del giusto processo e del rispetto del principio di legalità, ma sarebbe forse stato opportuno un riferimento più specifico al divieto per poterne trarre un ulteriore elemento di prassi sulla non-derogabilità della norma. Il Working Group afferma poi che anche la Dichiarazione universale, il Patto sui diritti civili e politici, la Carta africana e la Convenzione europea escludono ogni deroga al divieto di detenzione arbitraria. Nel sostenere tale tesi, gli esperti si riferiscono al primo comma delle disposizioni che nei diversi trattati prevedono i casi eccezionali di deroga alla tutela dei diritti fondamentali (ad esempio, l art 15.1 della Convenzione europea dei diritti dell uomo e l art. 4, par. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici). In realtà, il divieto di detenzione arbitraria non rientra espressamente nell elenco dei diritti inderogabili contenuto al secondo comma delle suddette norme sui casi di deroga. È vero tuttavia che, con riguardo al Patto sui diritti civili e politici, il Comitato per i diritti umani ha considerato l enumerazione dei diritti inderogabili contenuta nell art. 4, par. 2, del Patto come non e- saustiva. In particolare, il Comitato ha manifestamente riconosciuto la natura inderogabile del divieto di detenzione arbitraria; tale inderogabilità discenderebbe dall essere inclusa tra le condotte costituenti un crimine contro l umanità nello Statuto della Corte penale internazionale e dall intima connessione del divieto in parola con il rispetto della dignità umana (Comitato dei diritti umani, General Comment No. 29 Article 4: Derogations During a State of Emergency, UN Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.11, del 31 agosto 2001, par. 11-16). I riferimenti compiuti dal Working Group ai diversi trattati sui diritti umani che riconoscono la non derogabilità del divieto sono certamente rilevanti ed attestano l importanza che gli Stati attribuiscono a tale norma. Tuttavia, inderogabilità e carattere cogente di una norma sono concetti che devono essere mantenuti distinti e che, seppur intimamente connessi, non possono essere sovrapposti. L individuazione delle norme imperative e l identificazione dei diritti non-derogabili sono due questioni, secondo la stessa prassi del Comitato per i diritti umani, «related, but not identical». Proprio in riferimento alla enumerazione dei diritti inderogabili contenuta nell art. 4, par. 2, del Patto, si sostiene infatti che questa lista «is to be seen partly as recognition of the peremptory nature of some fundamental rights ensured in treaty form in the Covenant» (Comitato dei diritti umani, General Comment No. 29, cit., par. 11). D altro canto, una norma posta a tutela di un diritto umano 4

DIRITITI UMANI e DIRITTO INTERNAZIONALE vol. 7, 2013, n. 2, pp. 525-531 fondamentale potrebbe essere inderogabile ma non avere natura cogente. Come visto, poi, nonostante l assenza del divieto tra i diritti fondamentali enumerati nell art. 4, par. 2, il Comitato giunge comunque ad affermare in modo risoluto la natura inderogabile del divieto di detenzione arbitraria, senza tuttavia proclamarne il carattere cogente. La posizione assunta dal Working Group in merito alla natura di norma di jus cogens del divieto di detenzione arbitraria risulta dunque innovativa. Nessun organo giudiziario (ed in particolare la Corte europea dei diritti dell uomo che più volte si è trovata ad affrontare questioni relative al divieto in esame) ha infatti mai affermato la natura cogente del divieto di detenzione arbitraria. La tesi del gruppo di esperti, pur suffragata da numerosi elementi di prassi in merito alla non-derogabilità del divieto, non appare però sufficientemente motivata e non contribuisce in definitiva a chiarire come si proceda all accertamento delle norme imperative. 3. Al fine di avvalorare la posizione assunta dal Comitato per i diritti umani sulla natura non-derogabile del diritto a non essere privati arbitrariamente della libertà, il Working Group cerca di far leva su un argomentazione logico-giuridica incentrata sugli elementi costitutivi della norma. Gli esperti tendono infatti a valorizzare il contenuto stesso della norma ed il fatto che questa comprenda al suo interno i propri limiti. Si sostiene che la detenzione arbitraria non possa mai essere una misura necessaria o proporzionata «given that the considerations that a State may invoke to derogation are already factored into the arbitrariness standard itself» (par. 48). In pratica, sembra si voglia dire che i limiti alla detenzione sono dati dall arbitrarietà della stessa e cioè appunto che le possibili deroghe sono già contenute nel divieto. In altri termini, l applicazione di una misura detentiva necessaria non può mai essere arbitraria, poiché la necessità della misura implicherebbe la non arbitrarietà della stessa e quindi la sua conformità alla legge. Nonostante l importanza attribuita dal Working Group al contenuto del divieto ai fini di dimostrare il suo carattere non-derogabile, occorre tuttavia domandarsi se il divieto in questione, proprio per il suo contenuto, non finisca in realtà per risultare ben più derogabile di quanto lo siano altri diritti fondamentali. Facendo leva sulla nozione di detenzione arbitraria per affermare il carattere inderogabile del divieto, il Working Group si limita in sostanza a spostare la questione della derogabilità o meno all interno del contenuto stesso della disposizione. Il carattere più o meno derogabile finisce così per dipendere da che cosa si deve intendere per arbitrarietà, nozione, questa, che a sua volta deve essere commisurata ad altre esigenze, quali la necessità, la proporzionalità e la ragionevolezza della misura detentiva. Solo attraverso questa complessa operazione, si potrebbe giungere a stabilire l effettiva ampiezza e la portata inderogabile del divieto. I problemi definitori legati alla portata della norma sul divieto di detenzione arbitraria e al suo carattere inderogabile si riflettono in alcuni settori del diritto internazionale, in particolare nelle regole in materia di gestione dei flussi migratori e nella lotta al terrorismo. È noto, ed è lo stesso documento del Working Group a sottolineare che, in questi specifici ambiti, l aumento costante dell impiego di forme di detenzione amministrativa «is particularly worrying» (par. 68). Nonostante il documento riaffermi che la detenzione di un individuo attraverso l adozione di leggi d emergenza è arbitraria e contraria al diritto ad un rimedio giurisdizionale e ad un giusto processo, la prassi degli Stati, soprattutto in materia di immigrazione, sembra andare verso un utilizzo sempre più frequente e disinvolto di centri di detenzione per migranti. Nella parte conclusiva del proprio lavoro, infatti, è lo stesso gruppo di esperti ad evidenziare che per quanto la detenzione amministrativa non sia di per 5

Osservatorio Diritti civili e politici sé arbitraria, la sua applicazione pratica «is overly broad and its compliance with the minimum guarantees of due process is in the majority of cases inadeguate» (par. 74). D altronde, la stessa Corte di Strasburgo, che, come detto, si è spesso trovata ad occuparsi di casi di detenzione arbitraria, ha lasciato agli Stati un ampia discrezionalità in queste materie. Riconoscendo il diritto sovrano degli Stati a decidere del diritto all ingresso e alla residenza nel proprio territorio, la Corte ha ritenuto legittima, alla luce dell art. 5, par. 1(f), la detenzione di tutti gli stranieri che entrino senza autorizzazione nel territorio dello Stato, con il solo onere per quest ultimo di una giustificazione ragionevole. In un caso in particolare, la Corte ha ritenuto che la detenzione del ricorrente, per un breve lasso di tempo (sette giorni) ed in condizioni dignitose, fosse ammissibile a causa dell ingente afflusso di richiedenti asilo nello Stato convenuto. Questa interpretazione dell art. 5, par. 1(f), appare lasciare un notevole potere discrezionale alle autorità statali nel determinare l esigenza detentiva. Si noti come tale interpretazione sembra porsi in contrasto con un altro principio fondamentale per la legittimità di una misura privativa della libertà secondo il quale ogni provvedimento detentivo o coercitivo deve essere adottato considerando le circostanze del caso individuale e concreto in esame (Corte interamericana dei diritti umani, Velez Loor c. Panama, sentenza del 23 novembre 2010, Serie C n. 218, par. 166; Comitato dei diritti umani, A c. Australia, Comunicazione n. 560/1993, decisione del 30 aprile 1997, par. 9.3). In generale, nella medesima sentenza, la Corte europea dei diritti dell uomo riconosce che, pur avendo individuato alcuni principi cardine, non ha mai proceduto ad una globale definizione delle condotte che possano considerarsi arbitrarie. Aggiungendo anzi un ulteriore elemento di incertezza avvalorando in qualche modo quanto sostenuto in precedenza sulla difficoltà di inquadrare la portata e la non derogabilità di un divieto che presenta parametri la cui definizione risulta fortemente aleatoria la Corte evidenzia che la nozione di arbitrarietà «varies to a certain extent depending on the type of detention involved» (Corte europea dei diritti umani, Saadi c. Regno Unito, ricorso n. 13229/03, sentenza del 29 gennaio 2008, par. 64-80). Per esempio, in materia di terrorismo, pur condannando il Regno Unito per la violazione dell art. 5, par. 3, a causa di una detenzione prolungatasi per quattro giorni e sei ore, la Corte ha riconosciuto che «the context of terrorism in Northern Ireland has the effect of prolonging the period during which authorities may keep a person suspected of serious terrorist offense in custody» (Corte europea dei diritti umani, Brogan e altri c. Regno Unito, ricorso n. 11209/84, sentenza del 19 novembre 1988, par. 61). Questa rapida analisi di alcune complesse questioni emerse in materia di immigrazione e di lotta al terrorismo evidenzia la difficoltà di definire l arbitrarietà di una misura detentiva. Anche i motivi che possono essere invocati a fondamento delle misure privative della libertà, in particolare l esigenza di pubblica sicurezza e gli elementi della necessità e della proporzionalità, presentano un grado di discrezionalità la cui ampiezza non è facile individuare. L intricata lettera (b) dell art. 5, par. 1, della Convenzione europea, per e- sempio, prevede tra le eccezioni alla privazione della libertà che la detenzione avvenga «in order to secure the fulfilment of any obligation prescribed by law» nei confronti dell individuo che subisce la limitazione della propria libertà personale. Ad avviso della Corte, in questi casi «a balance must be drawn between the importance in a democratic society of securing the immediate fulfilment of the obligation in question and the importance of the right to liberty» (tra molti altri, Corte europea dei diritti umani, Vasileva c. Danimarca, ricorso n. 52792/99, sentenza del 25 settembre 2003, par. 37 e Nowicka c. Polonia, ricorso n. 30218/96, sentenza del 3 dicembre 2002, par. 61). La Corte impone quindi un necessario bilanciamento tra l esigenza dello Stato affinché l individuo rispetti 6

DIRITITI UMANI e DIRITTO INTERNAZIONALE vol. 7, 2013, n. 2, pp. 525-531 una disposizione legislativa posta a tutela del proprio ordine pubblico o della sicurezza nazionale, ed il diritto fondamentale alla libertà. Questa linea interpretativa mostra ancora una volta l idea di fondo per cui un certo margine di apprezzamento deve essere lasciato alle autorità nazionali nel valutare l esigenza e la portata di una misura detentiva alla luce di altri e diversi valori ed interessi nazionali. Per quanto sia quindi apprezzabile l intento di includere il diritto fondamentale a non essere sottoposto arbitrariamente a misure detentive tra i diritti umani inderogabili, questo non presenta, alla luce dello stato attuale della giurisprudenza e della prassi statale in materia, sufficienti criteri di certezza ed assolutezza, tali da farne discendere l effettiva e concreta prevalenza in relazione ad altre esigenze e valori contrapposti, come accade invece per il divieto di tortura (tra i diversi casi, si veda le perentorie affermazioni compiute in Corte europea dei diritti umani [GC], Saadi c. Italia, ricorso n. 37201/06, sentenza del 22 febbraio 2008, par. 137-149). ABSTRACT. The Nature of the Prohibition of Arbitrary Detention According to the United Nations Working Group on Arbitrary Detention The paper first focuses on the notion of the prohibition of arbitrary detention and its status of customary norm. Commenting on a recent report of the Working Group on Arbitrary Detention, it then addresses the question of the peremptory character of the prohibition and emphasizes certain inconsistencies about its nature as non-derogable right. Keywords: arbitrary detention; human rights treaties; customary rules; jus cogens; non-derogable rights; concept of arbitrariness. 7