Capitolo 4. Gli spazi L p 4.1 L 1 (E)

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Capitolo 4 Gli spazi L p 4.1 L 1 () Nel precedente capitolo abbiamo introdotto l integrale secondo Lebesgue per funzione misurabili su un insieme misurabile. In particolare, e per dimostrare il teorema di Lebesgue, ci siamo ristretti alla classe delle funzioni sommabili cioè le funzioni con integrale del modulo finito. Tale insieme può essere reso uno spazio metrico nel modo seguente. Definizione 4.1.1 Sia un insieme misurabile. Se f e g sono misurabili su, definiamo fρg se e solo se f = g q.o.. È facile vedere che ρ è una relazione di equivalenza. Definiamo allora { } f : R misurabili: f(x) dx < + L 1 () = ρ, ovvero lo spazio delle (classi di equivalenza quasi ovunque di) funzioni sommabili su. Si indicherà sempre con f l elemento [f] dil 1 () (ovvero, lavoreremo con le funzioni ma tenendo sempre a mente che si tratta in realtà di classi di equivalenza). Su L 1 () definiamo la seguente distanza: d 1 (f,g) = f(x) g(x) dx. Osserviamo che d 1 è ben definita: non dipende dalla scelta del rappresentante nella classe di equivalenza, dato che se h [f]ek [g], allora h k = f g 81

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 82 quasi ovunque e dunque gli integrali sono uguali; inoltre, d 1 (f,g)è un numero reale per ogni f e g in L 1 (), dato che f(x) g(x) f(x) + g(x) e l integrale è monotono. Si verifica facilmente che d 1 (f,g) 0eched 1 (f,g) =d 1 (g, f); inoltre f(x) g(x) f(x) h(x) + h(x) g(x), e, integrando su, si ha la disuguaglianza triangolare. Rimane da dimostrare che se d 1 (f,g) = 0, allora [f] =[g], ovvero che f = g quasi ovunque. In altre parole, se h è una funzione ovunque non negativa tale che l integrale di h su vale zero, allora deve essere h = 0 quasi ovunque. Per dimostrare questo fatto, sia a>0 e definiamo a (h) ={x : h(x) >a}. Si ha allora 0= h(x) dx h(x) χ a(h)(x) dx a χ a(h)(x) dx = am( a (h)), e quindi m( a (h)) = 0 per ogni a>0, da cui segue (essendo 0 (h) l unione di 1/n (h) al variare di n in N) che 0 (h) ha misura nulla, e quindi h =0 quasi ovunque. In definitiva, (L 1 (),d 1 )è uno spazio metrico. Se =[a, b], essendo ogni funzione continua su [a, b] misurabile e limitata (quindi integrabile, e con integrale finito), si ha che C 0 ([a, b], R) è un sottoinsieme proprio di L 1 ([a, b]). Siamo dunque partiti dallo spazio (non completo) (C 0 ([a, b], R),d 1 ), abbiamo introdotto la misura secondo Lebesgue, le funzioni misurabili, le funzioni integrabili ed infine le funzioni sommabili (che sono un sottoinsieme proprio delle funzioni integrabili); su quest ultimo insieme (opportunamente quozientato) abbiamo mostrato come d 1 sia una distanza. Ci chiediamo ora se il nostro lavoro sia finito ; ovvero se (L 1 ([a, b]),d 1 ) sia completo, e se le funzioni continue siano dense in (L 1 ([a, b]),d 1 ). Se così fosse, avremmo dimostrato che (L 1 ([a, b]),d 1 )è il completamento di (C 0 ([a, b], R),d 1 ). Fortunatamente, così è... Definizione 4.1.2 Sia {f k } una successione di funzioni in L 1 (). Diciamo che la serie n S n (x) = f k (x),

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 83 converge a S(x) = f k (x) in L 1 () se lim d 1(S n,s) = lim S n (x) S(x) dx =0. n + n + Diciamo che la serie S n converge totalmente in L 1 () se ( ) f k (x) dx < +. Teorema 4.1.3 Sia {f k } una successione di funzioni in L 1 () tale che la serie n S n (x) = f k (x), converge totalmente in L 1 (). Allora esiste una funzione S in L 1 () tale che la serie S n converge a S in L 1 (). Dimostrazione. M = Sia n in N e definiamo ( ) f k (x) dx, g n (x) = n f k (x). Allora {g n } è una successione di funzioni non negative in L 1 () (come somma di funzioni in L 1 ()) e tale che 0 g n (x) dx = n ( ) f k (x) dx M. Inoltre, per ogni x in, {g n (x)} è una successione monotona a valori in [0, + ]. È pertanto ben definita la funzione g(x) = lim n + g n(x), esihag : [0, + ]; inoltre, g è non negativa e misurabile. Per il lemma di Fatou (o per il teorema di convergenza monotona), 0 g(x) dx lim inf g n (x) dx M, n +

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 84 e quindi g appartiene a L 1 (). ssendo in L 1 (), g è finita quasi ovunque, ovvero m(g + (g)) = 0. Sia ora x in \G + (g). Per tale x la serie f k (x), converge assolutamente, e quindi semplicemente. Possiamo allora definire, per x in \G + (g), S(x) = f k (x). Se x appartiene a G + (g), definiamo S(x) = 0. Così facendo, abbiamo S(x) g(x) q.o. (anzi, ovunque), e pertanto S appartiene a L 1 (). Dimostriamo ora che la serie S n converge in L 1 () as. Innanzitutto, S n converge quasi ovunque a S (non vi converge al più ing + (g) che ha misura nulla). Inoltre, essendo anche S n (x) g(x) (come si verifica facilmente), S n (x) S(x) 2 g(x), con g in L 1 (). Per il teorema di Lebesgue, l integrale di S n (x) S(x) tende a zero, e quindi d 1 (S n,s) tende a zero. Osservazione 4.1.4 Un modo alternativo per concludere la dimostrazione precedente è il seguente: S n (x) S(x) dx = f k (x) dx k=n+1 f k (x) dx = k=n+1 ( k=n+1 ) f k (x) dx (applicando il teorema di convergenza monotona nell ultimo passaggio), e l ultimo termine è infinitesimo per ipotesi (è la serie resto di una serie convergente). Lemma 4.1.5 Sia (X, d) uno spazio metrico, e sia {x n } una successione di Cauchy in (X, d). Se esiste una sottosuccessione {x nk } convergente a x 0 in (X, d), allora tutta la successione x n converge a x 0 in (X, d).

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 85 Dimostrazione. Sia ε>0, e sia n ε tale che d(x n,x m ) ε/2 per ogni n e m maggiori di n ε. Sia poi k ε tale che n k n ε e d(x nk,x 0 ) ε/2 per ogni k k ε. Allora, per ogni n n ε, da cui la tesi. d(x n,x 0 ) d(x n,x nkε )+d(x nkε,x 0 ) ε, Teorema 4.1.6 Lo spazio metrico (L 1 (),d 1 ) è completo. Dimostrazione. Sia {f n } una successione di Cauchy in (L 1 (),d 1 ); ovvero, per ogni ε>0 esiste n ε in N tale che d 1 (f n,f m )= f n (x) f m (x) dx ε, n, m n ε. Pertanto, per ogni k in N, esiste n k in N tale che d 1 (f n,f m )= f n (x) f m (x) dx 1 2, n, m n k k. Scegliamo gli n k in modo tale che n k+1 >n k, cosicché {f nk } è una sottosuccessione estratta da {f n }. Definiamo in modo tale che si abbia Allora ( h=1 ) g h (x) dx g 1 = f n1, g k = f nk f nk 1, = = f nk (x) = k h=1 g 1 (x) dx + g 1 (x) dx + g h (x). h=2 h=2 ( 1 2 h 1 g 1 (x) dx +1< +. ) f nh (x) f nh 1 (x) dx Pertanto, la serie S k (x) = k h=1 g h (x) converge totalmente in L 1 (). Per il teorema precedente, esiste f in L 1 () tale che S k converge a f. ssendo S k = f nk, abbiamo estratto da f n una sottosuccessione convergente in L 1 () ad f. La tesi segue allora dal Lemma 4.1.5.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 86 Teorema 4.1.7 Sia f una funzione in L 1 ([a, b]). Allora esiste una successione di funzioni f n in C 0 ([a, b], R) tale che f n converge a f in L 1 ([a, b]). Dimostrazione. La dimostrazione è in due passi. Passo 1: Sia f in L 1 ([a, b]), f limitata. Sia ε>0 e sia f uno qualsiasi dei rappresentanti nella classe [f]; essendo f misurabile, applichiamo il Teorema 2.4.12: esiste C ε contenuto in [a, b], chiuso, tale che m([a, b]\c ε ) <εe tale che la restrizione di f a C ε è continua. Non è restrittivo supporre che a e b appartengano a C ε ; infatti, se a o b non sono in C ε,è sempre possibile aggiungerveli definendo f(a) =0(of(b) = 0), senza modificare né la misura, né la chiusura di C ε,néla continuità della restrizione di f a C ε (se a o b non sono in C ε, allora nessuna successione a valori in C ε può convergere ad a (o a b)). Sia ε =[a, b]\c ε ; allora ε è aperto (nella topologia indotta su [a, b] dalla topologia di R). Pertanto, esiste una famiglia numerabile di intervalli aperti, a due a due disgiunti, tali che + ε = (a n,b n ). n=1 Siccome gli intervalli sono a due a due disgiunti, i punti a n e b n non appartengono a ε, e sono quindi in C ε, il che vuol dire che sono definiti sia f(a n )che f(b n ). Definiamo allora la funzione g ε nel seguente modo: { g ε (x) = f(x) se x in C ε, f(b n) f(a n) b n a n (x a n )+f(a n ) se x in (a n,b n ) ε. In altre parole, stiamo definendo g ε su (a n,b n ) in maniera lineare. La funzione g ε così ottenuta è continua su [a, b]. Infatti, g ε è continua su C ε,edè continua (essendo lineare) in (a n,b n ). Rimane da verificare che è continua nei punti a n e b n (per ogni n in N). Se {x k } è una successione contenuta in C ε e convergente ad a n, allora g ε (x k )=f(x k ) converge a f(a n ) (perché f è continua su C ε ); se, invece, {x k } è una successione contenuta in ε e convergente a a n, allora definitivamente x k èin(a n,b n ) e quindi (per definizione di g ε su (a n,b n )), g(x k ) converge a f(a n ). Analogo ragionamento dimostra che g ε è continua in b n. Dato ε>0 abbiamo così definito una funzione g ε continua su [a, b] e tale che m({x [a, b] :g ε (x) f(x)}) <ε. Inoltre, per costruzione, se M è tale

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 87 che f(x) M in [a, b], si ha g ε (x) M in [a, b] (su (a n,b n ) la funzione g ε (x) è compresa tra f(a n )ef(b n )). Sia allora ε = 1 n e sia f n = g 1/n. La successione {f n } è formata da funzioni continue, e si ha, se M è tale che f(x) M in [a, b], [a,b] f n (x) f(x) dx = f n (x) f(x) dx 2M m( 1 ) < 2M n 1n n, da cui la tesi, al limite per n tendente ad infinito. Passo 2: Sia f in L 1 ([a, b]). Sia n in N, e definiamo n se f(x) >n, f n (x) = f(x) se n f(x) n, n se f(x) < n. Come si verifica facilmente, la successione { f n f } converge quasi ovunque in [a, b] a 0 (gli unici punti su cui non converge sono quelli per i quali f(x) = ±, che hanno misura nulla per il Teorema 3.2.25). Inoltre, essendo f n (x) f(x), siha f n (x) f(x) 2 f(x), e f(x) è sommabile. Per il teorema di Lebesgue, lim f n (x) f(x) dx =0. n + [a,b] Fissato ε>0, esiste pertanto n ε in N tale che [a,b] f n (x) f(x) dx < ε 2, n n ε. Per definizione, f nε è limitata (da n ε ); per il Passo 1, esiste g nε continua su [a, b] e tale che g nε (x) f nε (x) dx < ε 2. Si ha allora g nε (x) f(x) dx [a,b] da cui la tesi. [a,b] [a,b] g nε (x) f nε (x) dx+ f nε (x) f(x) dx<ε, [a,b]

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 88 Se definiamo i : C 0 ([a, b], R) L 1 ([a, b]) come l identità, e consideriamo nei due spazi la distanza d 1, come conseguenza dei due teoremi precedenti si ha che i è un isometria, ed inoltre che la chiusura di i(c 0 ([a, b], R)) è L 1 ([a, b]); per l unicità del completamento, si ha che (L 1 ([a, b]),d 1 )èil completamento di C 0 ([a, b], R),d 1 ); in altre parole (andando a leggere la dimostrazione del teorema di completamento), se {f n } è una successione di funzioni continue che è di Cauchy in d 1, allora f n converge ad una funzione f in L 1 ([a, b]); viceversa, ogni funzione in L 1 ([a, b]) è il limite in d 1 di una successione (di Cauchy in d 1 ) di funzioni continue. Osserviamo che, sempre nella dimostrazione del teorema di completamento, lo spazio Y è definito come lo spazio delle successioni di Cauchy in d 1, modulo la relazione di equivalenza che identifica due successioni di Cauchy {f n } e {g n } nel caso in cui d 1 (f n,g n ) tenda a zero. Sappiamo ora che se {f n } e {g n } sono due successioni di Cauchy in d 1 funzioni continue, allora f n converge a f in d 1 e g n converge a g in d 1 (con f e g in L 1 ([a, b])). È facile vedere che dall ipotesi d 1(f n,g n ) tendente a zero segue f(x) g(x) dx =0, [a,b] da cui f = g quasi ovunque; pertanto, f e g sono nella stessa classe di equivalenza in L 1 ([a, b]). In altre parole, l identificazione di due funzioni uguali quasi ovunque è fatta nello stesso spirito della dimostrazione del teorema di completamento, ed è quindi necessaria per ottenere uno spazio metrico completo. 4.2 L p () e L () Sia 1 < p < + un numero reale. Detta ρ la relazione di equivalenza introdotta nella sezione precedente, definiamo L p () = { f : R misurabili: ρ } f(x) p dx < + Anche L p () può essere reso uno spazio metrico con la distanza ( ) 1 d p (f,g) = f(x) g(x) p p dx..

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 89 Come già perd 1, si vede che d p (f,g) non dipende dai rappresentanti scelti in [f] e[g], che d p (f,g) 0, che d p (f,g) = 0 se e solo se f = g q.o. (e quindi se e solo se [f] =[g]), e che d p (f,g) =d p (g, f). La disuguaglianza triangolare segue dalla disuguaglianza di Hölder che, valida per funzioni continue, si dimostra allo stesso modo per funzioni in L p () (è sufficiente ricordare che una disuguaglianza verificata quasi ovunque si conserva integrando). Come già L 1 (), anche L p () è uno spazio completo: la dimostrazione è identica a quella del Teorema 4.1.6, usando il concetto di convergenza totale in L p () per una serie di funzioni, che in questo caso diventa ( ) 1 f k (x) p p dx < +. Se =[a, b], L p ()è il completamento di (C 0 ([a, b], R),d p ) (anche in questo caso la dimostrazione è identica a quella del Teorema 4.1.7). Leggermente differente è la definizione nel caso in cui p =+. Definizione 4.2.1 Sia f una funzione misurabile definita su un insieme misurabile. Definiamo l estremo superiore essenziale di f come ess sup f(x) = inf {M 0:m({x : f(x) >M}) =0} = inf {M 0: f(x) M q.o. in }. Ricordiamo che, per definizione, inf = +. direttamente il seguente fatto: Dalla definizione discende f(x) ess sup f(x), q.o. in. Se, ad esempio, f è la funzione di Dirichlet, allora ess sup f(x) = 0 (dal momento che f = 1 sui razionali, che hanno misura nulla); se f(x) = 1 x su (0, 1), allora ess sup (0,1) f(x) =+, dal momento che non esiste alcuna costante positiva M tale che f(x) M quasi ovunque. Se f è una funzione continua su [a, b], si verifica facilmente che ess sup [a,b] f(x) = max [a,b] f(x). Definiamo allora { f : R misurabili: ess sup f(x) < + } L () =. ρ

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 90 Anche L () si può rendere uno spazio metrico, introducendo d (f,g) = ess sup f(x) g(x). Che d sia una distanza lo si vede facilmente: è ben definita, non negativa, nulla se e solo se [f] =[g], ed è simmetrica. Per quanto riguarda la disuguaglianza triangolare, si ha, per quasi ogni x in, f(x) g(x) f(x) h(x) + h(x) g(x) d (f,h)+d (h, g), da cui d (f,g) d (f,h)+d (h, g). Chiaramente, se = [a, b], C 0 ([a, b], R) L ([a, b]), e l immersione i è un isometria (rispetto alle due distanze d su C 0 ([a, b], R) e d su L ([a, b])). Però, la chiusura di i(c 0 ([a, b], R)) non è densa in L ([a, b]), per il semplice fatto che (C 0 ([a, b], R),d )è già un sottospazio completo di (L ([a, b]),d ) e quindi è chiuso. In altre parole, (L ([a, b]),d ) non èil completamento di (C 0 ([a, b], R),d ). Comunque, è uno spazio completo. Teorema 4.2.2 Lo spazio (L (),d ) è completo. Dimostrazione. Sia {f n } una successione di Cauchy in (L (),d ); ovvero, per ogni ε>0 esiste n ε in N tale che d(f n,f m ) = ess sup f n (x) f m (x) ε, n, m n ε. Sia, per n e m in N, n,m = {x : f n (x) f m (x) > ess sup f n (x) f m (x) }. Per definizione di estremo superiore essenziale, n,m ha misura nulla. Definiamo + 0 = n,m, n,m=1 cosicché m( 0 )=0. Siax in \ 0. Allora x non appartiene a nessuno degli n,m e quindi, se n e m sono maggiori di n ε, f n (x) f m (x) ess sup f n (x) f m (x) ε. (2.1)

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 91 Pertanto, {f n (x)} è una successione di Cauchy in R, e quindi converge ad un numero reale, che definiamo f(x). In definitiva, se {f n } è di Cauchy in (L (),d ), allora f n converge quasi ovunque in ad una funzione f. Sex èin\ 0, passando al limite per m tendente ad infinito nella disuguaglianza (2.1), si trova f n (x) f(x) ε, n n ε, e quindi, siccome 0 ha misura nulla, d (f n,f) = ess sup f n (x) f(x) ε, n n ε. Pertanto, f èinl (), perché ess sup f(x) ess sup f nε (x) f(x) + ess sup f nε (x), e f n converge ad f in (L (),d ). Se ha misura finita, gli spazi L p () sono inscatolati. Teorema 4.2.3 Sia un insieme misurabile con m() < +. Siano 1 p<q +. Allora L q () L p (). Dimostrazione. di Hölder, si ha Sia f in L q (). Se q<+, ricordando la disuguaglianza f(x) p dx = = ( ( f(x) p 1 dx f(x) q dx f(x) q dx ) p q ) p q ( ) q p 1 q q q p dx [m()] q p q. Se q =+, essendo f(x) p ess sup f(x) p quasi ovunque, si ha f(x) p dx ess sup f(x) p m() = [ess sup f(x) ] p m().

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 92 Osservazione 4.2.4 In genere, l inclusione è stretta, nel senso che esistono funzioni in L p () che non appartengono a L q (). Ad esempio, se = (0, 1/2), la funzione 1 f(x) = x, 1 p ( ln(x)) 2 èinl p ((0, 1/2)), ma non appartiene a L q ((0, 1/2)) per ogni q>p, mentre la funzione ln(x) è in tutti gli L p ((0, 1)) ma non in L ((0, 1)). Osservazione 4.2.5 Sia un insieme misurabile di misura finita, e sia f una funzione in L (); allora ess sup f(x) = Infatti, per ogni p>1siha e quindi ( lim sup p + ) 1 f(x) p p dx ( ( lim p + ) 1 f(x) p p dx ) 1 f(x) p p dx ess sup f(x), ess sup f(x). D altra parte, sia ε>0 e sia M = ess sup f(x). Allora (per definizione di estremo superiore essenziale), m({x : f(x) M ε}) > 0. Pertanto, per (2.25), f(x) p dx (M ε) p m({x : f(x) M ε}), da cui (ricordando che p a tende a 1 per ogni a>0) M ε lim inf p + ovvero, essendo ε arbitrario, ( ess sup f(x) lim inf p + da cui il risultato. ) 1 f(x) p p dx (, ) 1 f(x) p p dx.,

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 93 4.3 Convergenza in L p () Sia 1 p<+, e sia {f n } una successione in L p () convergente a f in L p (). Cosa possiamo dire della convergenza puntuale di f n a f? Il seguente esempio mostra che f n può convergere a zero in L p (), senza che f n converga puntualmente. sempio 4.3.1 Sia =[0, 1); sia n N, e scriviamo n =2 k + m, con k in N e m tra 0 e 2 k 1 (si noti che tale scrittura è unica); ad esempio, 1=2 0 +0,2=2 1 +0,3=2 1 +1,26=2 4 + 10, eccetera. Definiamo [ m n = 2, m +1 ). k Ad esempio, 1 =[0, 1), 2 =[0, 1), 2 3 =[ 1, 1) e 2 26 =[ 10, 11 ). Definiamo 16 16 poi f n = χ n. ssendo m( n )= 1, con k = [log 2 k 2 (n)] ([ ] è la parte intera), si ha f n (x) p dx = 1 p 1 dx = m( n )= n 2, [log 2 (n)] e quindi f n tende a zero in L p (), qualsiasi sia p 1. D altra parte, f n non converge puntualmente a zero perché, per ogni x in [0, 1), non converge. Ad esempio, se x =0,f n (x) vale 1 quando n =2 k per qualche k 0 intero, mentre vale 0 per tutti gli altri n. siste allora una sottosuccessione (n =2 k ) lungo la quale f n (0) tende a 1, ed una sottosuccessione (n 2 k ) lungo la quale f n (0) tende a zero; pertanto f n (0) non ammette limite. Si noti però chef n converge a zero in misura (dato che m({x [0, 1] : f n (x) λ}) =m( n )se0<λ 1), e la sottosuccessione f 2 k converge a zero quasi ovunque (tende a zero ovunque tranne per x = 0, dove tende a 1). Il precedente esempio giustifica il seguente teorema. Teorema 4.3.2 Sia 1 p<+, e sia {f n } una successione di funzioni tendente a f in L p (). Allora f n converge ad f in misura, ed esiste una sottosuccessione {f nk } {f n } tale che f n converge a f quasi ovunque. 2 k Dimostrazione. Se f n converge a f in L p () si ha, per definizione, lim f n (x) f(x) p dx =0. n +

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 94 Ricordando (2.25), se λ>0 si ha 0 m({x : f n (x) f(x) λ}) 1 λ p f n (x) f(x) p dx, e quindi lim m({x : f n(x) f(x) λ}) =0, n + ovvero, f n converge a f in misura. La tesi segue allora dal Teorema 3.2.32. Dal momento che la successione dell sempio 4.3.1 non tende a zero in L () (ed infatti, l estremo superiore essenziale di f n è 1 per ogni n in N), nel caso p =+, il risultato èpiù forte. Teorema 4.3.3 Sia {f n } una successione di funzioni di L (). Allora f n converge a f in L () se e solo se esiste un insieme 0 di misura nulla tale che f n converge uniformemente a f in \ 0. Dimostrazione. Se f n converge uniformemente ad f su \ 0, con m( 0 )= 0, allora per ogni ε>0 esiste n ε in N tale che sup \ 0 f n (x) f(x) ε, n n ε. Pertanto, f n (x) f(x) ε su \ 0, ovvero f n (x) f(x) ε q.o. in. Pertanto (per definizione di estremo superiore essenziale), ess sup f n (x) f(x) ε, n n ε, e quindi f n converge ad f in L (). Viceversa, supponiamo che per ogni ε>0 esista n ε in N tale che ess sup f n (x) f(x) ε, n n ε. Pertanto, per ogni n n ε esiste un insieme n contenuto in, con m( n )= 0, tale che f n (x) f(x) ε, x \ n. Sia allora 0 l unione degli n per n n ε. Ovviamente m( 0 )=0,esiha f n (x) f(x) ε, x \ 0, n n ε,

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 95 ovvero, e quindi la tesi. sup \ 0 f n (x) f(x) ε, n n ε, Come conseguenza del teorema precedente, se f n converge ad f in L (), allora f n converge ad f quasi ovunque. Infine, se ha misura finita (e quindi gli spazi L p () sono inscatolati ), se f n converge ad f in L p (), allora f n converge ad f in L q () per ogni q<p. Infatti, per la disuguaglianza di Hölder, e se p<+, f n (x) f(x) q dx m() 1 q p ( ) q f n (x) f(x) p p dx. Se p =+, f n (x) f(x) q dx m() (ess sup f n (x) f(x) ) q.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 96

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 97 4.4 Separabilità Uno spazio metrico (X, d) si dice separabile se esiste un insieme contenuto in X numerabile e denso. Un esempio di spazio metrico separabile è(r, ), dato che = Q è denso e numerabile. Un altro esempio di spazio separabile è(c 0 ([a, b], R),d ), dal momento che l insieme dei polinomi a coefficienti razionali è denso (questo è il Teorema non proprio di dimostrazione immediata! di Stone-Weierstrass) e numerabile (dimostrarlo per esercizio). Se 1 p<+, lo spazio L p () è separabile. Teorema 4.4.1 Sia 1 p<+. Lo spazio L p (R) è separabile. Dimostrazione. Sia l insieme delle funzioni a gradino della forma N ϕ(x) = q i χ [ai,b i )(x), (4.1) i=1 con q i, a i e b i razionali, e l unione degli intervalli (disgiunti) [a i,b i ) contenuta in [ n, n] per qualche n in N. Vogliamo dimostrare che è denso in L p (R). Si noti che è numerabile; infatti si può scrivere come l unione disgiunta delle funzioni a gradino della forma (4.1) che hanno supporto contenuto in [ n, n] ma non in [ n +1,n 1], e ognuno di tali insiemi è numerabile (una funzione a gradino della forma (4.1) viene assegnata dando un numero naturale N e 3N numeri razionali). Sia f in L p (R) e sia ε>0. Allora (per definizione) R f(x) p < +. Sia n in N e definiamo f n (x) =f(x) χ [ n,n] (x). Allora f n (x) èinl p (R) (dal momento che f n f ) ef n converge quasi ovunque in R a f(x). ssendo f n (x) f(x) p 2 p f(x) p, per il Teorema di Lebesgue si ha lim f n (x) f(x) p dx =0. n + R Pertanto, esiste n ε in N tale che R f nε (x) f(x) p dx ε 3. (4.2)

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 98 La funzione f nε èinl p (R) edè nulla fuori da [ n ε,n ε ]. Siccome, per il Teorema 4.1.7, C 0 ([ n ε,n ε ], R) è denso in L p ([ n ε,n ε ]), esiste g ε, continua su [ n ε,n ε ] tale che [ n ε,n ε] g ε (x) f nε (x) p dx ε 3. (4.3) La funzione g ε, essendo continua sul compatto [ n ε,n ε ], è uniformemente continua. Pertanto, fissato ρ>0, esiste δ ρ > 0 tale che x y δ ρ implica g ε (x) g ε (y) ρ. Sia ρ>0tale che 2 n ε ρ p < ε, sia k intero tale che 3 2n ε <δ k ρ e decomponiamo [ n ε,n ε ]ink intervalli di ampiezza 2nε. In questo k modo, gli estremi x h degli intervalli sono tutti numeri razionali. Definiamo poi M h = max g ε(x), m h = min g ε(x). [x h,x h+1 ] [x h,x h+1 ] Dal momento che x h+1 x h = 2nε <δ k ρ,sihachem h m h ρ. Sia poi q h un numero razionale tale che 0 M h q h ρ, e sia ϕ ε (x) = k 1 h=0 q h χ [xh,x h+1 )(x). videntemente, ϕ ε appartiene ad. Si ha poi, essendo ϕ ε (x) g ε (x) ρ su [x h,x h+1 ), [ n ε,n ε] e pertanto ϕ ε (x) g ε (x) p dx = [ n ε,n ε] k 1 h=0 [x h,x h+1 ) q h g ε (x) p dx 2 n ε ρ p, ϕ ε (x) g ε (x) p dx ε 3. (4.4) Mettendo insieme (4.2), (4.3) e (4.4), e ricordando che ϕ ε è nulla fuori da [ n ε,n ε ]siha ϕ ε (x) f(x) p dx ε, e quindi è denso in L p (R). R Teorema 4.4.2 Sia 1 p<+ e sia un insieme misurabile. Allora L p () è separabile.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 99 Dimostrazione. Se f èinl p (), la funzione f definita su R come f in e zero su c appartiene a L p (R). Per il teorema precedente, esiste una funzione a gradino in tale che d p ( f,ϕ) ε. Ma allora ϕ χ (che appartiene all insieme numerabile ottenuto prendendo le restrizioni a delle funzioni a gradino di ) è tale che d p (f,ϕχ ) ε, e quindi si ha la tesi. Lo spazio L (), invece, non è separabile. Supponiamo per assurdo che lo sia, ovvero supponiamo che esista un insieme numerabile = {f n }, denso in L (). Sia { n } una partizione numerabile di in insiemi misurabili, e definiamo ϕ nel modo seguente. Sia x in ; allora x appartiene ad uno, ed uno solo, degli n ; sia n(x) tale insieme. Se f n(x) (x) > 0, definiamo ϕ(x) = 1; se f n(x) (x) 0, definiamo ϕ(x) = 1. In altre parole, ϕ(x) = n=1 [ χ{y n:f n(y) 0}(x) χ {y n:f n(y)>0}(x) ]. La funzione ϕ è misurabile (perché lo sono gli insiemi {y n : f n (y) 0} e {y n : f n (y) > 0}) edè limitata (in modulo vale sempre 1 essendo gli n disgiunti). Pertanto, ϕ appartiene a L (). Si ha però d (f n,ϕ) = ess sup f n (x) ϕ(x) ess sup n f n (x) ϕ(x) 1, e quindi non può essere denso in L (). 4.5 L 2 () Lo spazio L 2 () è differente da tutti gli altri spazi L p perché è possibile definire su di esso un prodotto scalare. Se f e g sono in L 2 (), definiamo (f g) = f(x) g(x) dx. Si verifica facilmente che (f g) è lineare in entrambi gli argomenti, che è simmetrico, che (f f) è non negativo e nullo se e solo se f = 0 (inteso come classe in L 2 (), ovvero f = 0 q.o.) e che, per ogni f e g in L 2 () siha (f g) (f f) (g g);

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 100 questa disuguaglianza segue infatti dalla disuguaglianza di Hölder con p = q = 2. Pertanto, L 2 () è uno spazio vettoriale dotato di prodotto scalare. Dal momento che ogni prodotto scalare su uno spazio vettoriale induce una distanza secondo la formula d(x, y) = (x y x y), la distanza indotta su L 2 () dal prodotto scalare appena definito è proprio d 2 : ( d 2 (f,g) = ) 1 f(x) g(x) 2 2 dx = (f g f g). ssendo (L 2 (),d 2 ) uno spazio metrico completo (come tutti gli L p ()), lo spazio vettoriale L 2 (), dotato del prodotto scalare ( ) (che induce una distanza rispetto alla quale lo spazio metrico è completo) si dice spazio di Hilbert. 4.5.1 Gli spazi di Hilbert Come detto sopra, uno spazio di Hilbert è uno spazio vettoriale dotato di prodotto scalare che risulti completo come spazio metrico (con la distanza indotta dal prodotto scalare). Come ogni spazio vettoriale, anche uno spazio di Hilbert ha una base. Nel caso particolare in cui lo spazio di Hilbert sia separabile (come spazio metrico), la base è numerabile, e si può scegliere in maniera semplice. Teorema 4.5.1 Sia (H, ( )) uno spazio di Hilbert separabile. Allora esiste una successione {e n } di vettori di H tale che: i) (e n e m )=δ n,m (dove δ n,m è il simbolo di Kronecker); ii) per ogni vettore x di H, detto S n (x) = n si ha che S n (x) converge a x in (H, d). (x e k ) e k, In altre parole, il teorema precedente afferma che in uno spazio di Hilbert separabile esiste una base numerabile fatta di vettori ortonormali. Tale base si dice sistema ortonormale completo in H. Ci soffermiamo ora su due conseguenze del teorema precedente.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 101 Teorema 4.5.2 (Bessel, Parseval) Sia {e n } una successione di vettori di uno spazio di Hilbert (H, ( )) tale che (e n e m )=δ n,m. Allora, per ogni x in H, si ha la disuguaglianza di Bessel: [(x e k )] 2 (x x). (5.1) Se, in più, la successione {e n } soddisfa la ii) del teorema precedente, allora, si ha l identità di Parseval: Dimostrazione. Sia [(x e k )] 2 =(x x). (5.2) S n (x) = n (x e k ) e k, e calcoliamo (S n (x) x S n (x) x). ssendo il prodotto scalare bilineare e simmetrico, si ha (S n (x) x S n (x) x) =(S n (x) S n (x)) 2(S n (x) x)+(x x). Si ha poi ( n ) (S n (x) x) = (x e k ) e k x = Inoltre, (S n (x) S n (x)) = = n n (x e k )(x e k )= [(x e k )] 2. ( n n ) (x e k ) e k (x e h ) e h h=1 n n (x e k )(x e h )(e k e h )= [(x e k )] 2. h, Pertanto, n (S n (x) x S n (x) x) =(x x) [(x e k )] 2. (5.3) ssendo (S n (x) x S n (x) x) 0, se ne deduce n [(x e k )] 2 (x x), n N,

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 102 e quindi la (5.1) per n tendente ad infinito. Se, poi, {e n } è un sistema ortonormale completo in H, allora (S n (x) x S n (x) x) tende a zero per n tendente ad infinito, e dalla (5.3) segue la (5.2). sempio 4.5.3 Sia H = L 2 ((0, 1)) e sia, per k in N, e k =2 k 2 χ [ 1 2 k, 1 ]. 2 k 1 ssendo e k (x) e h (x) = 0 per ogni k h, siha(e k e h ) = 0; inoltre, e 2 k(x) dx =2 k (0,1) [ 1 2 k, 1 2 k 1 ] dx =1, e quindi {e k } è un sistema ortonormale in H. Il sistema non è, però, completo. Sia infatti f(x) = x. Allora c k (f) = (0,1) f(x) e k (x) dx =2 k 2 [ 1 2 k, 1 2 k 1 ] xdx= 3 2 esiha c 2 k(f) = 9 1 4 8 = 9 k 28 < 1 =(f f). 2 Dal momento che non vale l identità di Parseval, il sistema ortonormale non può essere completo. Alternativamente, detta g(x) = c k (f) e k (x) = 3 2 1 2 k χ [ 1 2 k, 1 2 k 1 ] (x), si vede facilmente che g f (ad esempio, su [1/2, 1], g vale identicamente 3/4). Definizione 4.5.4 Sia (H, ( )) uno spazio di Hilbert separabile, e sia {e n } un sistema ortonormale completo in H. Sia x in H e sia c k (x) =(x e k )per ogni k in N. La successione {c k (x)} si dice successione dei coefficienti di Fourier di x. Dal momento che si ha c 2 k(x) =(x x) < +, 1 2 3k 2,

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 103 ne segue che se x èinh, allora la successione dei suoi coefficienti di Fourier è in l 2. In questa maniera, possiamo definire un applicazione F : H l 2,che ad ogni x di H associa la successione {c k (x)} dei suoi coefficienti di Fourier. Teorema 4.5.5 Sia (H, ( )) uno spazio di Hilbert separabile, e sia {e n } un sistema ortonormale completo in H. Sia F : H l 2 l applicazione che ad ogni x di H associa la successione {c k (x)} dei coefficienti di Fourier di x. Allora F è un isometria biunivoca tra (H, d) e (l 2,d 2 ). Dimostrazione. Dobbiamo mostrare che F è iniettiva, suriettiva, e che, per ogni x e y in H d 2 (F(x), F(y)) = d(x, y) = (x y x y). (5.4) Iniziamo con l osservare che F è lineare (dal momento che lo è il prodotto scalare); pertanto l iniettività è equivalente a dimostrare che F(x) ={0} se e solo se x = 0. Ovviamente, F(0) = {0}. Viceversa, supponiamo che F(x) ={0}, e quindi che (x e k ) = 0 per ogni k in N. Dall identità di Parseval segue allora (x x) = c 2 k(x) =0, e quindi x = 0. Sia ora {c k } in l 2. Definiamo n x n = c k e k, ed osserviamo che x n è una successione di Cauchy in (H, d). Infatti, d(x n,x m )= (x n x m x n x m )= 1 2 m c 2 k k=n+1, e l ultima quantità può essere resa arbitrariamente piccola scegliendo n e m grandi, dal momento che {c k } èinl 2. ssendo (H, d) completo, x n converge a x in H e si ha (per definizione di convergenza di una serie), x = c k e k.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 104 Inoltre, essendo ( e k ) una funzione continua (come si verifica facilmente), ed essendo (x e k )=(x n e k ) per ogni n k, c k (x) =(x e k ) = lim (x n e k ) = lim c k = c k. n + n + Pertanto, F(x) ={c k } e quindi F è suriettiva. Rimane da dimostrare la (5.4). Osservando che c k (x) c k (y) =c k (x y), la (5.4) segue direttamente dall identità di Parseval e dalla definizione di d 2 in l 2. In definitiva, abbiamo dimostrato che ogni spazio di Hilbert separabile è isometrico (tramite F) al 2, ovvero che per studiare uno spazio di Hilbert separabile è sufficiente studiare l 2 (e conoscere un sistema ortonormale completo in H). 4.5.2 L 2 ([ π, π]) e serie di Fourier Consideriamo l insieme (numerabile) di funzioni in L 2 ([ π, π]) { } 1 1 1 T =, cos(kx), sin(kx),k N. 2π π π Si vede facilmente che se e h e e k sono due funzioni di T, allora si ha (e h e k )= δ h,k. Pertanto, T è un insieme ortonormale di funzioni. ssendo L 2 ([ π, π]) separabile, per il Teorema 4.5.1, esiste un sistema ortonormale completo in L 2 ([ π, π]). Vogliamo dimostrare che T è un sistema ortonormale completo, ovvero che, se f èinl 2 ([ π, π]), detti per k 1, e a k (f) = 1 π si ha che f(x) cos(kx) dx, b k (f) = 1 π a 0 (f) = 1 2π f(x) = a 0(f) 2π + 1 π f(x) dx, f(x) sen(kx) dx, [a k (f) cos(kx)+b k (f) sen(kx)], nel senso che la serie converge in L 2 ([ π, π]). Si noti che i coefficienti di Fourier di una f di L 2 ([ π, π]) non dipendono dalla scelta di f nella sua classe di equivalenza quasi ovunque.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 105 Sia allora f in L 2 ([ π, π]), e sia {a 0 (f),a k (f),b k (f)} la successione dei suoi coefficienti di Fourier. Dal momento che T è un sistema ortonormale di vettori, per il punto i) del Teorema 4.5.1 (ovvero per la disuguaglianza di Bessel), si ha a 2 0(f)+ [a 2 k(f)+b 2 k(f)] f 2 (x) dx. Pertanto, le due successioni {a k (f)} e {b k (f)} sono in l 2, e quindi sia a k (f) che b k (f) tendono a zero quando k tende ad infinito. Questo risultato è noto come Lemma di Riemann-Lebesgue. Teorema 4.5.6 (Riemann-Lebesgue) Sia f una funzione in L 2 ([ π, π]). Allora lim f(x) cos(kx) dx = lim f(x) sen(kx) dx =0. k + k + Sia f in L 2 ([ π, π]), sia n in N, e definiamo S n (f) = a 0(f) 2π + 1 π n [a k (f) cos(kx)+b k (f) sen(kx)]. La completezza di T è equivalente a dimostrare che S n (f) converge ad f in L 2 ([ π, π]). Teorema 4.5.7 Siano π <a<b<π, e sia f(x) =χ (a,b) (x). Allora S n (f) converge quasi ovunque a f. Dimostrazione. Sia n in N e definiamo T n (x) = 1 2 + n cos(kx). È facile verificare per induzione che, per ogni x 0, T n (x) = sen (( ) ) n + 1 2 x 2sen ( ). x 2

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 106 Se x =0,è sufficiente definire T n (0) = n + 1 per ottenere che T 2 n(x) è una funzione continua su [ π, π]. Si ha poi, ricordando la definizione di a 0 (f), a k (f) eb k (f), S n (f)(x) = a 0(f) + 1 n [a k (f) cos(kx)+b k (f) sen(kx)] 2π π = 1 f(y) 1 π 2 dy + 1 n f(y) [cos(ky) cos(kx) + sen(ky) sen(kx)] dy π = 1 [ 1 n ] f(y) π 2 + cos(k(y x)) dy = 1 f(y) T n (y x) dy π = 1 f(x + y) T n (y) dy. π [ π x,π x] A questo punto, consideriamo f la prolungata per periodicità dif (definita solo su [ π, π]). Pertanto, f è periodica di periodo 2π, così come lo è(per definizione) T n, cosicché (essendo ovviamente S n (f)(x) =S n ( f)(x) per ogni x in [ π, π]), S n ( f)(x) = 1 f(x + y) T n (y) dy = 1 f(x + y) T n (y) dy. π [ π x,π x] π D altra parte, essendo (come si verifica facilmente) 1 T n (y) dy =1, π possiamo scrivere, per x in [ π, π], S n (f)(x) f(x) = S n ( f)(x) f(x) = 1 [ π f(x + y) f(x)] T n (y) dy = 1 f(x + y) f(x) (( π 2sen ( ) sen n + 1 ) ) y dy y 2 2 = 1 [ f(x + y) f(x)] cos ( ) y 2 π 2sen ( ) sen(ny) dy y 2 + 1 [ π f(x + y) f(x)] cos(ny) dy.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 107 Sia ora x in (a, b). Allora f(x + y) f(x) = f(x + y) 1 = 0 per ogni y in (a x, b x). Pertanto, g(y) = [ f(x + y) f(x)] cos ( ) y 0 se y (a x, b x), 2 2sen ( ) = y cos( y 2) altrove in [ π, π]. 2 2sen( y 2) Dal momento che sen ( ) y 2 si annulla (in [ π, π]) solo nell origine, e che 0 appartiene a (a x, b x) (essendo x in (a, b)), si ha che g è una funzione limitata su [ π, π]. ssendo anche misurabile, èinl ([ π, π]) e quindi (dato che m([ π, π]) = 2π <+ ) anche in L 2 ([ π, π]). Si ha allora, per il lemma di Riemann-Lebesgue, lim n + g(y) sen(ny) dy =0. Con ragionamento analogo (osservando che, per ogni x, y f(x + y) f(x) èinl ([ π, π])), si ha [ f(x + y) f(x)] cos(ny) dy =0. lim n + Pertanto, se x èin(a, b), si ha lim S n(f)(x) =f(x). n + In maniera identica si prova che se x non appartiene a [a, b], allora S n (f)(x) tende a f(x) (ovvero a zero). Pertanto, S n (f)(x) tende a f(x) per ogni x diverso da a, b, e quindi quasi ovunque. Osservazione 4.5.8 Si ha lim S n(f)(a) = lim S n(f)(b) = 1 n + n + 2. Teorema 4.5.9 Siano π <a<b<π, e sia f(x) =χ (a,b) (x). Allora S n (f) converge in L 2 ([ π, π]) ad f. Dimostrazione. Dal momento che S n (f) tende a f quasi ovunque, Sn(f) 2 tende a f 2 quasi ovunque. Per il lemma di Fatou, si ha allora f 2 (x) dx lim inf S 2 n + n(f)(x) dx.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 108 ssendo Sn(f)(x) 2 dx = 1 ( ) n a 2 π 0(f)+ [a 2 k(f)+b 2 k(f)], dalla disuguaglianza di Bessel segue Sn(f)(x) 2 dx 1 ( + ) a 2 π 0(f)+ [a 2 k(f)+b 2 k(f)] f 2 (x) dx, per ogni n in N, e quindi lim sup Sn(f)(x) 2 dx f 2 (x) dx. n + Pertanto, lim S 2 n + n(f)(x) dx = f 2 (x) dx, e quindi, dal momento che, per la (5.3), S n (f)(x) f(x) 2 dx = f 2 (x) dx Sn(f)(x) 2 dx, si ha ovvero la tesi. lim S n (f)(x) f(x) 2 dx =0, n + Teorema 4.5.10 Siano f e g in L 2 ([ π, π]); allora, per ogni n in N, S n (f)(x) S n (g)(x) 2 dx f(x) g(x) 2 dx. Dimostrazione. ssendo S n (f) S n (g) =S n (f g), è sufficiente dimostrare che, per ogni n in N, e per ogni h in L 2 ([ π, π]), S n (h)(x) 2 dx h(x) 2 dx. Ma questa è esattamente la disuguaglianza di Bessel. Teorema 4.5.11 T è un sistema ortonormale completo in L 2 ([ π, π]).

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 109 Dimostrazione. segue che, se Dal Teorema 4.5.9, e dalla linearità dell applicazione S n ϕ(x) = N q i χ (ai,b i )(x), (5.5) allora S n (ϕ) converge a ϕ in L 2 ([ π, π]). L insieme delle funzioni semplici ϕ della forma appena scritta è però denso in L 2 ([ π, π]) (lo è se si prendono q i, a i e b i razionali per il Teorema 4.4.1, e lo è dunque a maggior ragione se q i, a i e b i sono numeri reali). Se f èinl 2 ([ π, π]), per ogni ε>0 esiste ϕ ε funzione semplice come in (5.5) tale che d 2 (f,ϕ ε )= ( f(x) ϕ ε (x) 2 dx ) 1 2 ε 3. D altra parte, per il Teorema 4.5.10, per ogni n in N si ha d 2 (S n (f),s n (ϕ ε )) = ( S n (f)(x) S n (ϕ ε )(x) 2 dx ) 1 2 ε 3. Infine, esiste n ε in N tale che d 2 (ϕ ε,s n (ϕ ε )) = ( ϕ ε (x) S n (ϕ ε )(x) 2 dx ) 1 2 ε 3, n n ε. Pertanto, per ogni n n ε si ha, per la disguguaglianza triangolare, e quindi la tesi. d 2 (f,s n (f)) ε, Osservazione 4.5.12 Il Teorema precedente dà una seconda dimostrazione del fatto che le funzioni continue sono dense in L 2 ([ π, π]); infatti, S n (f) è una funzione continua per ogni n in N. È naturale a questo punto chiedersi se, data una f in L 2 ([ π, π]), la successione S n (f) (che converge a f in L 2 ([ π, π])) non abbia delle proprietà di convergenza migliori, come ad e- sempio la convergenza puntuale, fermo restando il fatto che (come tutte le successioni convergenti in L 2 ([ π, π])) da S n (f) sipuò estrarre una sottosuccessione convergente quasi ovunque ad f. Il Teorema 4.5.7 ci dice che

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 110 non è possibile che la convergenza sia puntuale ovunque (per le funzioni caratteristiche saltano due punti), ed allora si potrebbe sperare di avere convergenza tranne al più un numero finito di punti. In questa maniera, di tutte le funzioni nella classe di equivalenza di f, la serie di Fourier ne sceglierebbe una migliore di tutte le altre. Purtroppo, la convergenza di S n (f) adf è solo quasi ovunque. Teorema 4.5.13 (Carleson, 1966) Sia f in L 2 ([ π, π]). Allora S n (f) converge a f quasi ovunque. Per avere convergenza puntuale della serie di Fourier è allora necessario fare delle ipotesi più restrittive su f (si rimanda a testi di Analisi II per le ipotesi sufficienti per la convergenza quasi ovunque). Osserviamo qui che una condizione sufficiente per la convergenza puntuale di S n (f) af è l appartenenza a l 1 delle successioni {a k (f)} e {b k (f)}. Infatti, in questo caso si ha + max a k(f) cos(kx)+b k (f) sen(kx) a k (f) + b k (f), cosicché la serie S n (f) è totalmente (dunque uniformemente) convergente in C 0 ([ π, π], R); in questo caso, però, f è obbligatoriamente una funzione continua. Osservazione 4.5.14 Se si considera L 2 ([ T,T]) invece di L 2 ([ π, π]), il sistema ortonormale completo diventa { ( ) ( ) } 1 1 kπx 1 kπx T =, cos, sin,k N. 2T T T T T Osservazione 4.5.15 Affinché i coefficienti di Fourier siano definiti, è sufficiente che f appartenga allo spazio (più grande) L 1 ([π, π]). Infatti, essendo cos(kx) e sen(kx) inl ([ π, π]), le funzioni f(x) cos(kx) ef(x) sen(kx) sono in L 1 ([π, π]). Vale, inoltre, il Lemma di Riemann-Lebesgue. Teorema 4.5.16 Per ogni f in L 1 ([π, π]) si ha f(x) cos(kx) dx = lim k + lim k + f(x) sen(kx) dx =0.

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 111 Dimostrazione. Sia f(x) =χ (a,b). Allora b sen(kb) sen(ka) f(x) cos(kx) dx =R cos(kx) dx =, a k che tende a zero quando k tende ad infinito. Pertanto, per ogni funzione semplice ϕ, lim ϕ(x) cos(kx) dx =0. k + Approssimando (in L 1 ([ π, π])) una funzione f con una successione ϕ n di funzioni semplici si ha allora la tesi. Ovviamente, non abbiamo più a disposizione la disuguaglianza di Bessel (perché f 2 può non essere sommabile, e se lo èlaf è per definizione in L 2 ([ π, π])), né tantomeno un prodotto scalare: il fatto che cos(kx) sen(hx) dx =0, non va interpretato come una relazione di ortogonalità tra le due funzioni, ma solo come un risultato numerico : l integrale del prodotto è nullo. Comunque sia, è lecito chiedersi se la serie di Fourier di una funzione in L 1 ([ π, π]) converga, e nel caso lo faccia se converga ad f. sempio 4.5.17 (Kolmogorov, 1926) siste K in L 1 ([ π, π]) tale che la serie di Fourier S n (K)(x) diverge in ogni x di [ π, π]. Grazie a questo esempio, possiamo affermare che, in generale, la serie di Fourier di una funzione f di L 1 ([ π, π]) non converge ad f in L 1 ([ π, π]), né converge a qualsiasi altra funzione di L 1 ([ π, π]); se così fosse per la funzione dell esempio appena citato, allora S n (K)(x) dovrebbe convergere quasi ovunque, a meno di sottosuccessioni, al suo limite in L 1 ([ π, π]), che però è una funzione finita quasi ovunque; e questo contrasta con il fatto che S n (K) (e quindi ogni sua sottosuccessione) diverge ovunque. A questo punto resta aperta la domanda e continua a rimanerlo ancor oggi su quale sia il miglior spazio per definire la serie di Fourier in modo che questa converga: si tratta di uno spazio di funzioni compreso tra L 2 ([ π, π]) e L 1 ([ π, π]), ma non è ancora stato dimostrato quale sia. Ad esempio, si sa che la serie di Fourier di una funzione f di L p ([ π, π]), con 1 <p<2, converge a f in L p ([ π, π]).

CAPITOLO 4. GLI SPAZI L P 112 Osservazione 4.5.18 Ben più facile da dimostrare dei risultati citati precedentemente è il fatto che la serie di Fourier di una funzione f di L ([ π, π]) non converga, in generale, ad f in L ([ π, π]). Infatti, se S n (f) converge ad f in L ([ π, π]), allora S n (f) converge uniformemente ad f e quindi (essendo S n (f) una funzione continua), f è continua. Quindi, la serie di Fourier di una funzione f essenzialmente limitata che non sia quasi ovunque uguale ad una funzione continua (ad esempio, sgn (x)) non può convergere ad f in L ([ π, π]).