GLI INDICATORI PER LA TERAPIA LOGOPEDICA NEL SOGGETTO AUTISTICO A cura di Dr. M. Brighenti * A. Cinì** S. Isoli** M. Maffei** * Neuropsichiatra Infantile, Primario del II Servizio NPI e PEE dell Azienda Ulss 20, Verona ** Logopedista, Centro Diagnosi, Cura e Ricerca sull Autismo, dell Azienda Ulss 20, Verona ABSTRACT Gli indicatori presentati in questa comunicazione sono il prodotto di osservazioni e riflessioni cliniche dell équipe riabilitativa del Centro Diagnosi Cura e Ricerca per l Autismo dell Azienda Ulss 20 di Verona. Sono il frutto di considerazioni effettuate in seguito alla presa in carico di 35 soggetti con diagnosi di sindrome autistica, circa la possibilità di definire criteri standard, omogenei, facilmente identificabili, ma verosimilmente significativi, affinché la presa in carico logopedica avvenga razionalmente e nel momento migliore per il soggetto stesso. INTRODUZIONE L esperienza clinica ha da sempre sostenuto che la terapia logopedica sia un intervento poco adatto alle persone con autismo, in quanto i risultati ottenuti non sono soddisfacenti, il soggetto è spesso poco collaborante, l intervento è molto lungo, il disturbo è molto grave e non vi sono indicatori sensibili per intravedere una possibilità di riuscita o di sviluppo di una qualsiasi forma di linguaggio o di comunicazione. Anche alcune impostazioni teoriche che sostenevano le cause dell Autismo nella prospettiva ad un disturbo della area relazionale madre-bambino-ambiente, orientavano verso una ipotesi di un linguaggio non-voluto dal bambino, in quanto espressione di una relazione che implicava un riconoscimento dell altro. L idea prevalente in questo approccio sostiene, tuttora, che il bambino non vuole comunicare, in quanto questa esperienza sembrerebbe provocargli un grave stato di angoscia nell utilizzare una funzione che ha anche lo scopo di riconoscere l altro. Un intervento pertanto mirato al recupero della funzione verbale avrebbe il valore di una forzatura dei processi di difesa del bambino relativamente alla sua angoscia nel proprio riconoscimento ed identificazione con la figura materna. 1
Per contro, in altri contesti teorici, l idea della presenza di un grave ritardo mentale nelle persone con autismo, ha portato a considerarle troppo gravi per poter accedere ad un sistema comunicativo che richiede lo sviluppo di vari processi di simbolizzazione e di astrazione. Questi, infatti, non sono classicamente previsti nelle condizioni di gravità analizzate da osservazioni cliniche e dalle risposte ai test di valutazione cognitive e del linguaggio di questi pazienti. Non si tiene conto però delle forti variabili presenti nella valutazione di un soggetto autistico che inficiano molte delle prove, alterando spesso il giudizio finale. Questo contesto clinico e culturale ha contribuito a creare uno scarso interesse per lo studio del linguaggio delle persone autistiche e quindi per la loro riabilitazione. Sono state indicate delle tipologie di linguaggio nell autismo, ma poche sono le ipotesi sul disturbo neuropsicologico che queste persone presentano, né di conseguenza si sono cercate strategie di intervento adatte a loro. Naturalmente, se non si ha una ipotesi di come funziona un disturbo neuropsicologico in un determinato gruppo di pazienti, è molto difficile poter sviluppare una teoria ed un modello di intervento. Si rischia cioè di fare proposte classiche che non si adattano al soggetto che probabilmente richiede una propria specificità di lavoro, per cui si può facilmente concludere che non ci siano gli indicatori per effettuare un intervento. In realtà manca una teoria su cui fondare la diagnosi e quindi un modello di intervento, poiché ancora non sono conosciute le dinamiche neuropsicologiche che intervengo nel sostenere il disturbo del linguaggio. A complicare le cose, inoltre, vi è la constatazione che il disturbo del linguaggio non sia solo specifico, ma sia inserito in un disturbo più ampio relativo ai processi generali di comunicazione e di interazione, per cui nasce l idea di una complessità clinica che complica la ricerca sul disturbo. E possibile, pertanto, che il fallimento di molti interventi possa dipendere sia dalla mancanza di una teoria riabilitativa su cui costruire un percorso, sia di indicatori specifici e differenziali per la riabilitazione, sia la scarsa sensibilità degli interventi a causa della loro genericità. Si potrebbe quindi rivedere, alla luce di nuove ipotesi e di esperienze cliniche, se è possibile formulare una teoria sul disturbo del linguaggio, trovare degli indicatori specifici che guidino nella proposta di un intervento, elaborarla e verificare i risultati alla luce dei parametri di efficacia. 2
In tal modo si riapre una prospettiva che limiterebbe l idea di una impossibilità ad intervenire su i disturbi del linguaggio nelle persone autistiche non-verbali. Sottolineo questa ultima parola, in quanto nei casi in cui si ha una produzione verbale sufficiente, si riesce ad ottenere dalle strutture pubbliche o meno, un intervento riabilitativo, tuttavia, i pazienti a cui noi ci riferiremo in questo lavoro, per la maggior parte non hanno sviluppato una seppur minima competenza linguistica funzionale. Naturalmente queste sono riflessioni che intendono aprire un dialogo sulla ricerca dei meccanismi del linguaggio sottesi al disturbo autistico e non per dichiarare la presenza di una teoria individuata; tuttavia le esperienze cliniche maturate nei vari tentativi riabilitativi nel nostro centro, in Italia e in altri Paesi, hanno riattivato un certo interesse per la terapia logopedica nell autismo. L individuazione di indicatori per il trattamento logopedico nasce, infatti, da una ricerca che da alcuni anni il gruppo di lavoro del Centro Diagnosi, Cura e Ricerca per l Autismo della Ausl 20 di Verona sta effettuando, con varie metodiche, su di un certo numero di soggetti. Una ipotesi teorica di tipo funzionale sta per essere individuata, ma non è oggetto diretto di questo lavoro che non entrerà nel merito dei principi di trattamento o di valutazione. I dati forniti in questo lavoro provengono dalla esperienza clinico-riabilitativa e riguardano la individuazione di indicatori al trattamento logopedico, attraverso lo studio retrospettivo dei risultati ottenuti su di una serie di interventi con pazienti autistici, che a distanza di un anno hanno portato alle conclusioni descritte. Gli indicatori al trattamento sono determinati da una serie di condizioni cliniche del soggetto e da fattori presenti nell ambiente che ne costituiscono la base fondamentale su cui individuare le potenzialità espressive di un paziente. Gli indicatori nascono, pertanto, da una valutazione complessiva delle funzioni linguistiche del soggetto, delle sue componenti comportamentali e dal tipo di ambiente che può sostenerlo. Non sono, invece, utilizzati come dei fattori prognostici per la possibilità di un futuro intervento riabilitativo, in quanto le condizioni cliniche di un soggetto possono variare nel tempo e quindi non devono trasformarsi da indicatori attuali a giudizi incontestabili ed eterni. I disturbi del linguaggio e della comunicazione nell ambito dell autismo, infatti, possono risentire della influenza di numerose variabili sia strutturali, sia comportamentali 3
che ambientali e pertanto non è escluso che situazioni cliniche che oggi impediscono un intervento riabilitativo, non possano ridursi nel tempo da riaprire nuovi spazi di intervento. Ciò significa non fare diagnosi predittive, sulla base degli indicatori, ma monitorare l andamento clinico di un paziente nel tempo, tanto da poter individuare il momento migliore per cogliere la presenza di eventuali nuove risorse. Nella situazione odierna non ci risultano presenti in ambito scientifico dei parametri standardizzati che aiutino il medico nella decisione circa l invio del soggetto autistico al logopedista. Nelle ricerche classiche di indicatori per una terapia logopedica si tende ad utilizzare prevalentemente il criterio della comparsa di un linguaggio abbastanza strutturato, come indicatore clinico favorevole di riferimento, ma, nella nostra esperienza, abbiamo notato che questo non è l unico elemento per indicare una terapia. L attesa della comparsa spontanea del linguaggio, infatti, potrebbe far perdere tempo prezioso per gli altri soggetti che sulla base di questo singolo parametro non riceverebbero alcun intervento specifico per il linguaggio. Un altro elemento indicatore o meno della terapia logopedica è la presenza delle componenti simboliche quali pre-requisiti indispensabili allo sviluppo di un linguaggio. In tal senso si concorda, naturalmente, con questa visione dello sviluppo linguistico, tuttavia, le valutazioni che analizzano la funzione simbolica richiedono la produzione di abilità standardizzate su prove in bambini normali e non sempre presenti nel bambino autistico, senza implicare necessariamente che la loro mancata espressione, indichi un disturbo della funzione simbolica. L esperienza clinica individua nel disturbo autistico una complessità di sintomi che possono interferire con le attività testistiche e quindi non offrire la giusta dimensione delle competenze presenti e spesso non espresse nel contesto di richiesta. Altre prove che utilizzano strategie non convenzionali, come la Comunicazione Facilitata Integrata, pur con le dovute cautele sulla sua validità, sembrano dimostrare che la funzione simbolica, così come l apprendimento di un codice linguistico, possano essere presenti in un certo gruppo di soggetti autistici non-verbalizzati, anche se non manifestati con le modalità convenzionali. La assenza o la forte riduzione del linguaggio nelle persone con autismo, non è assimilabile come caratteristiche cliniche a quella delle persone disfasiche / afasiche, per le quali si attuano degli interventi abbastanza specifici. 4
Le componenti cliniche che rileviamo nell autismo presentano differenze significative come la capacità di ripetere verbalmente una videocassetta, cantare una canzone, leggere a voce alta, senza riuscire poi a ripetere le stesse frasi senza il supporto visivo e tante altre considerazioni che differenziano chiaramente le due condizioni cliniche. La terapia del linguaggio nell autismo, pertanto, non è assimilabile agli interventi per soggetti disfasici ed è stata fino ad ora riservata a quei soggetti che utilizzano un linguaggio molto vicino a quello normale, tanto che la maggior parte delle pubblicazioni sull argomento riguardano soggetti con sindrome di Asperger, in cui il linguaggio compare addirittura precocemente. ( Attenwood Melborne 2002) Un idea ancor oggi molto diffusa nell ambito riabilitativo, consiste nel sostenere principalmente dei programmi di intervento orientati allo sviluppo di fasi evolutive, a cui far poi far seguire altri tipi di intervento per raggiungere le fasi successive. Ad esempio il lavoro psicomotorio spesso è inteso come una condizione che favorisce lo sviluppo di processi simbolici, ritenuti requisiti fondamentali per lo sviluppo del linguaggio. In tali casi si attende che il bambino raggiunga questi risultati per poter iniziare un trattamento logopedico. Oppure la mancata comparsa del linguaggio spontaneo diventa un limite insormontabile per il trattamento, quasi che si aspetti che il bambino maturi una funzione linguistica per poterla poi sviluppare. In realtà riteniamo che lo sviluppo possa procedere parallelamente a tutte le funzioni superori e che nell ambito specifico dell Autismo si debba costruire attivamente con il bambino un percorso comunicativo e linguistico. E, infatti, negli ultimi dieci anni che alcuni ricercatori italiani e stranieri, tra questi Sally Rogers, hanno affrontato l intervento riabilitativo anche in pazienti che non hanno sviluppato la capacità comunicativa verbale, cercando di intervenire precocemente, proprio per favorire quelle competenze linguistiche che sono inizialmente presenti, ma che tendono ad esaurirsi nel tempo, in funzione della evoluzione e strutturazione delle componenti autistiche. È noto, infatti, come nei primi anni di vita ci sia nel bambino autistico un interesse per il linguaggio, con la comparsa di alcune parole e come poi queste sembrano perdersi nel corso del tempo fino alla assenza di verbalizzazione. CAMPIONE Sono stati presi in considerazione 35 soggetti con diagnosi di Disturbo Autistico, afferenti al Centro Diagnosi Cura e Ricerca per l Autismo dell Azienda Ulss 20 di Verona, nonché 5
all Ambulatorio dell Associazione Luna di Novagli di Montichiari (BS). Il range d età va dai 4,5 ai 18 anni. Il campione si compone di 25 maschi e 10 femmine. E stato suddiviso in due gruppi, distinguendo i soggetti con i quali si è svolta terapia logopedica per 1 anno (25 soggetti, di cui 16 maschi e 9 femmine), da quelli con i quali l intervento è stato interrotto dopo alcune sedute, causa l impossibilità a svolgere le attività specificatamente programmate (10 soggetti, di cui 9 maschi e 1 femmina). La terapia logopedica ha avuto frequenza bisettimanale nella maggior parte dei casi. Su questa casistica è stata eseguita un analisi secondo tali parametri: SOGGETTIVI (riferiti alle caratteristiche intrinseche al soggetto) cognitivo-comportamentali linguistici AMBIENTALI (riferiti alle caratteristiche dei contesti normalmente frequentati dal soggetto) GRAFICI 6