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13 Tredicesima lezione: Condizioni necessarie per la semicontinuità Se la misura µ è non atomica 26 allora la condizione che l integrando f sia normale convesso è anche necessaria (oltre che sufficiente) per la semicontinuità del funzionale F (u, v) del teorema 11.3. Vale infatti il seguente teorema di Olech [18]. Teorema 13.1 Supponiamo che la misura µ oltre che finita e completa sia anche non atomica, e sia f : R m R k [0, + ] un integrando. Se il funzionale F (u, v) = f(x, u(x), v(x)) dµ(x) è ben definito su L 1 (; R m ) L 1 (; R k ) e s.c.i. rispetto alla convergenza forte di L 1 (; R m ) nella variabile u e a quella debole di L 1 (; R k ) nella variabile v, allora f è un integrando normale convesso. Osservazione 13.2 L ipotesi che µ sia non atomica non si può eliminare, infatti presi due elementi distinti x 1 e x 2 di e µ = δ x1 + δ x2, allora L 1 µ() è identificabile con R 2 ; infatti la funzione T : L 1 µ() R 2 definita da F [ϕ] = ϕ(x 1 ) + ϕ(x 2 ) è un omeomorfismo lineare. Poiché esistono funzioni s.c.i. su R 2 che non sono convesse, le conclusioni del teorema non valgono in questo caso. Osserviamo anche che dal teorema precedente non segue in generale che se F (u) = f(x, u, u) dx è debolmente s.c.i. in W 1,1 (; R m ) allora l integrando f è convesso nella variabile gradiente, perchè non tutte le funzioni v L 1 (; R nm ) sono gradienti di qualche funzione di L 1 (; R m ), 27 a meno che non sia n = 1. Tuttavia si dimostra che nei casi scalari (cioè non solo per n = 1 in cui la variabile x è scalare ma anche per m = 1 in cui u(x) è scalare) la convessità del funzionale nella variabile gradiente oltre che essere condizione sufficiente per la semicontinuità è anche necessaria. Vale ad esempio il teorema seguente. Teorema 13.3 Sia un aperto limitato di R n ed f : R n R un integrando di Carathéodory. Sia p [1, + [. Supponiamo che esistano una funzione a L 1 () ed una costante b > 0 tali che f(x, ξ) a(x) + b ξ p. 26 Cioè per ogni E F con µ(e) > 0 esiste B E, B F, tale che 0 < µ(b) < µ(e). 27 Ricordiamo che già se v C 1 (; R n ) (caso particolare m = 1) una condizione necessaria affinchè esista ϕ tale che v = Dϕ è che rot v = 0. Ad esempio, nel caso n = 2, m = 1, la funzione v(x 1, x 2) = (1, x 1) non è gradiente di alcuna funzione ϕ : R. Infatti, se per assurdo lo fosse, cioè esistesse ϕ tale che 1 = D 1ϕ e x 1 = D 2ϕ allora, per il teorema del differenziale totale ϕ sarebbe di classe C 2 e si avrebbe D 2(D 1ϕ) = 0 1 = D 1(D 2ϕ) contro il teorema di Schwartz sull inversione dell ordine di derivazione. Osserviamo che in tale caso rot v = D 2v 1 D 1v 2 = D 21 D 1(x 1) = 1 0. 75

Consideriamo il funzionale F : W 1,p () R definito da F (u) = f(x, u) dx. Se F è sequenzialmente debolmente semicontinuo inferiormente allora per q.o. x la funzione ξ f(x, ξ) è convessa. Richiami e complementi sulle funzioni convesse Avendo compreso l importanza della convessità nello studio dei problemi di minimo, è opportuno richiamare alcune proprietà delle funzioni convesse approfondendone ulteriomente lo studio. Sarà anche un occasione per rivedere meglio alcune cose appena accennate. Sia X uno spazio vettoriale. In una lezione precedente è stata data la definizione di funzione convessa f : X [, + ]. Abbiamo già osservato inoltre che f è convessa se e solo se l epigrafico è un insieme convesso. In un altra occasione abbiamo osservato che se f è convessa allora gli insiemi di sottolivello sono convessi (non vale il viceversa come mostra l esempio della funzione f(x) = x 3 ). Una conseguenza dell aver ammesso anche + tra i possibili valori di f è che se C è un sottoinsieme convesso di X e f : C (, + ] è una funzione convessa, cioè vale la disuguaglianza di convessità f(λx + (1 λ)y) λf(x) + (1 λ)f(y). per ogni x, y C ed ogni λ (0, 1), allora l estensione a + di f su X è una funzione convessa. Possiamo quindi limitarci a considerare funzioni convesse definite su tutto X. Inoltre la funzione indicatrice di un sottoinsieme C di X è convessa se e e solo se C è convesso e questo riconduce lo studio degli insiemi convessi a quello delle funzioni convesse. Invece le funzioni convesse che possono assumere il valore sono piuttosto patologiche: se f è convessa, e f(x 0 ) = allora, usando il fatto che l epigrafico è convesso ovvero la disuguaglianza di convessità, segue facilmente che su ogni semiretta uscente da x 0, cioè su ogni insieme del tipo {x 0 + tv : t > 0} con v X \ {0}, f può comportarsi solo in uno dei modi seguenti 1. vale costantemente + 2. vale costantemente ; 3. per un opportuno t 0 > 0 si ha se 0 t < t 0 f(x 0 + tv) = + se t > t 0 c se t = t 0 con c R qualunque. 76

Per evitare queste patologie si introducono le seguenti definizioni. Definizione 13.4 Una funzione f : X R si dice propria se non assume mai il valore e esiste x 0 X tale che f(x 0 ) < +. Se f è propria, si chiama dominio (effettivo) di f l insieme dom(f) = {x X : f(x) < + }. Spesso converrà inoltre considerare funzioni convesse a valori in (, + ] o anche solo in R. Esercizio 13.5 Si provi che l estremo superiore di una famiglia arbitraria di funzioni convesse è convessa. Consideriamo per il momento una funzione convessa di una sola variabile reale f : R R. Partendo dalla disuguaglianza di convessità con 0 < λ < 1 e x < y, posto f(λx + (1 λ)y) λf(x) + (1 λ)f(y), (13.1) z = λx + (1 λ)y si ha che x < z < y. A questo punto, ricavando λ dalla (13.1) si ha che λ = (y z)/(y x) mentre 1 λ = (z x)/(y x). La disuguaglianza di convessità assume allora la forma seguente (13.2) f(z) y z y x f(x) + z x y x f(y), che si può anche scrivere così (13.3) f(z) f(x) + o così (13.4) f(z) f(y) + f(y) f(x) (z x) y x f(x) f(y) (z y). x y La disuguaglianza di convessità, nella forma (13.3), dice che nell intervallo [x, y] il grafico di f sta al di sotto del segmento congiungente (x, f(x)) con (y, f(y)). D altra parte, la (13.3) riscritta nella forma f(z) f(x) z x f(y) f(x) y x e valendo per qualunque coppia di z e y con x < z < y, dice che la funzione rapporto incrementale f(t) f(x) t, t x 77

è crescente (non decrescente) in (x, + ) qualunque sia x punto fissato in R. Cosa possiamo dire in (, x)? Si può osservare che se fissiamo y anziché x, e partiamo dalla (13.4), allora otteniamo che la funzione rapporto incrementale t f(t) f(x), t x è crescente (non decrescente) in R \ {x} qualunque sia x punto fissato in R. Esercizio 13.6 Dimostrare che f è convessa in X se e solo se per ogni x, v X il rapporto incrementale è una funzione crescente. t f(x + tv) f(x), t R \ {0} t Abbiamo già enunciato il teorema di Hahn-Banach che qui ricordiamo. Teorema 13.7 (Hahn-Banach) Sia X uno spazio vettoriale normato e M un sottospazio di X (cioè un sottoinsieme di X chiuso rispetto alla somma e al prodotto per uno scalare). Sia f : M R una funzione lineare e continua. Allora esiste una funzione lineare e continua f : X R che estende f e ne conserva la norma. Il teorema di Hahn-Banach ammette i seguenti corollari (per la dimostrazione vedere ad esempio Brezis [3]). Corollario 13.8 (Forma geometrica di Hahn-Banach) Sia X normato. Siano A, B X convessi, non vuoti, disgiunti, con A aperto. Allora A e B si possono separare con un iperpiano chiuso, cioè esistono T X ed α R tali che A {x X : T (x) α} e B {x X : T (x) α}. Corollario 13.9 (Forma geometrica stretta) Sia X normato. Siano A, B X convessi, non vuoti, disgiunti, con A chiuso e B compatto. Allora A e B si possono separare strettamente con un iperpiano chiuso, cioè esistono T X, α R ed ε > 0 tali che A {x X : T (x) α ε} e B {x X : T (x) α + ε}. È particolarmente interessante per i nostri scopi la seguente conseguenza del primo corollario. Corollario 13.10 Sia X normato e E X convesso con interno non vuoto. Allora per ogni punto di frontiera di E esiste un iperpiano chiuso, detto iperpiano di appoggio, che separa il punto e l insieme E 78

Dimostrazione Sia x 0 il punto di frontiera. Basta applicare il primo corollario alla coppia di sottoinsiemi convessi e non vuoti A = E e B = {x 0 }. Continuità delle funzioni convesse Teorema 13.11 Sia f convessa propria su X. Le seguenti proposizioni sono equivalenti. 1. f è superiormente limitata in un intorno di un punto x; 2. f è continua in un punto x; 3. (epi(f)) ; 4. (dom(f)) e f è continua in (dom(f)). Dimostrazione Ioffe e Tihomirov [15], 3.2.3 Theorem 1. Teorema 13.12 (Disuguaglianza di Jensen) Sia R n, < +, ξ : R m integrabile e f : R m R convessa. Allora vale la disuguaglianza ( ) f ξ(x) dx f ( ξ(x) ) dx. Dimostrazione Poiché f è reale e convessa allora epi(f) è convesso e ha parte interna non vuota, preso un punto del grafico (η, f(η)) e applicando il corollario 13.10 si ha che esiste un iperpiano di appoggio che separa punto ed epigrafico. Poichè il fascio di iperpiani passante per il punto ha equazione y = f(η) + a (ξ η), a R m allora quanto affermato si può tradurre come segue η R m a R m tale che f(ξ) f(η) + a (ξ η) ξ R m. Scegliendo ξ = ξ(x) e η = ξ = ξ(x) dx si ha f(ξ(x)) f( ξ ) + a (ξ(x) ξ ) x, e la tesi segue integrando su. Riferimenti bibliografici [1] R.A. Adams, Sobolev spaces, Academic Press, New York, 1975. [2] J. Barros-Neto, An introduction to the theory of distributions, Dekker, New York, 1973. [3] H. Brezis, Analyse fonctionnelle. Théorie et applications. Masson, Paris, 1983. 79

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