Oltre il Quantitative Easing



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Oltre il Quantitative Easing di Federico Merola marzo 2015 Dopo un lungo tragitto politico, il Quantitative Easing ( Qe ) è diventato realtà. Oltre 1.000 miliardi di euro di liquidità sarà immessa gradualmente sui mercati dalla BCE tramite acquisto di titoli di vario genere. Una mossa che serve sostanzialmente a comprare tempo e a creare le migliori condizioni per rilanciare gli investimenti. Sono questi, in definitiva, il vero obiettivo dell intera manovra, quale passaggio indispensabile per interrompere la perversa spirale che in questi anni ha allontanato l UE dalla crescita economica e dai propri obiettivi di finanza pubblica. In tale prospettiva si inserisce il Piano Juncker, ancora da decifrare nei suoi reali contenuti ma con l indubbio merito di indicare la giusta rotta in termini di priorità politiche: quella di attivare in ogni modo possibile e con la maggiore efficacia perseguibile nuovi investimenti nell economia reale dei paesi dell Unione. Con l approvazione da parte dell Ecofin, avvenuta proprio in settimana, del regolamento per il nuovo Fondo Strategico Europeo per gli Investimenti, il programma è ora pronto a decollare. C è però un problema : data l assenza di un allocazione pro-rata garantita delle risorse comuni, i singoli paesi membri dovranno competere tra loro per la creazione delle migliori condizioni di impiego dei capitali. E soprattutto dei capitali privati, poiché è a questi che viene affidato l arduo compito di moltiplicare di ben 15 volte la limitata base pubblica di partenza! Per vincere questa competizione, occorre eliminare i colli di bottiglia che da anni impediscono la trasformazione della liquidità in investimenti reali, affrontando immobilismo, resistenza al cambiamento, veti incrociati e difesa di rendite di posizione. Cominciando dal complicato settore delle infrastrutture, poiché notoriamente proprio gli investimenti in infrastrutture sono quelli che hanno maggiori effetti immediati e a tendere sul PIL.

ASTRID RASSEGNA N. 6/2015 Lo ha ribadito ancora una volta un recente report del FMI pubblicato il 20 gennaio scorso, appena cinque giorni dopo l uscita di una ricerca di Standard & Poor s dal titolo decisamente eloquente: Global Infrastructure Investment: timing is everything and now is the time. Il FMI e Standard & Poor s riprendono peraltro un concetto affermato ripetutamente negli ultimi anni da tutte le principali istituzioni finanziarie internazionali e sovranazionali. E cioè che per alimentare i necessari ed urgenti investimenti in infrastrutture, in un contesto di spending review e debiti pubblici elevati, occorre favorire l intervento di investitori privati. Soprattutto investitori di natura previdenziale o assicurativa, per la particolare inclinazione di questi a ricercare flussi di cassa stabili e prevedibili nel medio-lungo termine. Ma se l utilità per le infrastrutture di un maggiore coinvolgimento di investitori privati è chiara, possiamo anche dire che le infrastrutture sono un opportunità per tali investitori? L esperienza internazionale dimostra che le infrastrutture, a determinate condizioni di contesto, possono essere delle eccezionali opportunità di impiego per investitori di natura previdenziale ed assicurativa. Per cui laddove tali condizioni si verificano, il contributo privato è rilevante. Secondo l OCSE a livello globale solo l'1% del patrimonio dei fondi pensione è investito, con vari strumenti, in infrastrutture, contro un 10-15% circa di Canada e Australia che sono i paesi migliori sotto tale profilo. Del resto nomi come Canada Pension Plan ( CPP ); Omers; Ontario Teachers; Aimco o l australiana IFM tutti fondi pensione o gestori di loro diretta emanazione sono pienamente entrati da anni nelle cronache internazionali degli investimenti in infrastrutture. In Europa, invece, solo il 3% degli investimenti privati in strumenti alternativi ad azioni, obbligazioni e liquidità riguardano infrastrutture, valore che peraltro si riduce all 1,4% se si esclude il Regno Unito. Non c è da stupirsi, quindi, se a Luglio 2013 l OCSE abbia dedicato un ampio studio sull argomento proprio ai casi del Canada e dell Australia (Ocse, Working Paper n.32, Pension Fund Investment in Infrastructure: A Comparison between 2

F. MEROLA - OLTRE IL QUANTITATIVE EASING Australia and Canada Luglio 2013). Individuando le ragioni del loro successo che, in termini estremamente sintetici, possono essere ricondotte alla presenza di sistemi previdenziali contributivi; di un mercato del Partenariato Pubblico-Privato ( PPP ) ben funzionante; di regole flessibili che consentono ai fondi pensione di operare come promotori, investendo anche direttamente negli asset e nella loro gestione; di efficaci soluzioni di governance e vigilanza sull attività degli investitori ( best practices ). Se si vuole cambiare la situazione esistente, è dunque da qui che dobbiamo partire. Il benchmark si deve infatti sempre riferire ai casi di maggior successo se si vuole realmente voltare pagina. La discontinuità storica prodotta dagli eventi di questi anni ci obbliga davvero alla ricerca di soluzioni innovative e coraggiose. In una parola, soluzioni non convenzionali. Se nel campo delle infrastrutture l intervento di investitori privati si realizza tramite operazioni di project financing ( PF ), un primo punto che merita attenzione è quello del cosiddetto investitore-promotore. Ogni manuale di finanza infatti evidenzia come tale strumento funzioni solo in presenza di promotori puri, ovvero investitori in equity che non hanno anche altri ruoli nella catena del valore, come banche, costruttori, utilities, che presentano fisiologicamente conflitti di interesse. E stato sempre questo l anello mancante per un decollo effettivo del PF e del PPP in molti paesi europei, tra i quali l Italia. Ebbene, in paesi come il Canada e l Australia proprio i fondi pensione - o società di scopo da questi istituite - operano in veste di promotori. L assenza nel vecchio continente di tale categoria di investitore, distinto dai tradizionali fondi comuni di investimento che hanno natura più finanziaria e cartolare, aiuta a spiegare un apparente paradosso: la scarsità dei progetti. Tutti gli organismi finanziari internazionali e sovranazionali denunciano da tempo la difficoltà di impiegare risorse, anche private, stanziate per investimenti in infrastrutture. I fondi dedicati a progetti c.d. greenfield in Europa investono percentuali irrisorie delle loro disponibilità. Ma la scarsità di progetti non si 3

ASTRID RASSEGNA N. 6/2015 concilia con l ampiezza dei bisogni e quindi trova necessariamente spiegazione nella presenza di colli di bottiglia che impediscono alla liquidità anche quando resa disponibile di confluire verso gli investimenti obiettivo. Bisogna dunque lavorare su tradizionali tabù di tipo culturale ai quali ci siamo ormai assuefatti. Primo tra tutti la tradizionale separazione tra proprietà delle risorse che appartengono agli investitori e gestione del risparmio che in un sistema bancocentrico è in larga misura affidato alle banche o società di loro emanazione. Una separazione che non funziona nel campo degli investimenti in equity per le infrastrutture, dove peraltro i conflitti di interesse degli istituti di credito possono essere particolarmente accentuati. L istituzione di investitori-promotori da parte di fondi pensione, casse di previdenza e assicurazioni appare, alla luce dell esempio canadese e australiano, una soluzione efficace e perfettamente legittima che non impedisce l applicazione di tutti quei sani principi di regolamentazione e vigilanza previsti oggi in materia di risparmio gestito. Peraltro a beneficio indiretto anche del sistema bancario e dei gestori del risparmio i quali potrebbero sviluppare maggiormente la loro naturale e tipica attività anche nel comparto delle infrastrutture. Da queste considerazioni nasce il progetto Arpinge, che nel tentativo di colmare un vuoto del mercato ha inteso ispirarsi proprio agli esempi di successo presenti in Paesi come Canada e Australia. Senza aspettare incentivi e facilitazioni dall alto, le tre casse di previdenza delle professioni tecniche - CIPAG, EPPI e Inarcassa, che rappresentano Architetti, Ingegneri, Geometri e Periti Industriali hanno costituito una società di investimento in infrastrutture di diritto italiano, privata ma istituzionale, che opera come promotore con vocazione alla finanza di progetto e al cantiere, aderendo spontaneamente al robusto bagaglio di best practices adottate da quei fondi pensione internazionali che agiscono tramite veicoli propri caratterizzati da requisiti di professionalità, onorabilità e trasparenza del management. 4

F. MEROLA - OLTRE IL QUANTITATIVE EASING Chiediamoci: in assenza di investitori nazionali di questo tipo, si potrebbe pensare di risolvere la questione semplicemente favorendo l ingresso nel nostro Paese di operatori esteri? L esperienza insegna che nel campo delle infrastrutture questa soluzione non funziona. In tale ambito il rapporto con i territori è troppo stretto e condiziona la reale capacità di incidere nella gestione. Esempi di fallimento di investitori esteri anche molto autorevoli non mancano. Nel campo delle infrastrutture vige infatti, più che in ogni altro settore, il principio del watch dog, ovvero del co-investitore locale che assicura la conoscenza del Paese di destinazione degli investimenti ed i rapporti locali in un ambito così strategico e intimo come il territorio. Insomma, per attrarre capitali esteri, il Destinazione Italia va scritto essenzialmente e prima di tutto per gli investitori nazionali! In tale prospettiva, quali possono essere gli altri strumenti utili allo scopo? In termini sintetici le regole di investimento previste per fondi pensione, casse di previdenza e assicurazioni; la leva fiscale; le garanzie; il credito agevolato, soprattutto per le infrastrutture sociali e culturali, e il rilancio di banche con cultura di credito a medio lungo termine, come un tempo erano IMI e Mediocredito Centrale ( MCC ). Sul primo punto, va segnalato che la normativa europea in materia di investimenti ha sviluppato negli ultimi anni una vera e propria ossessione per gli impieghi di risparmio in economia reale che ha di fatto ridotto questa componente nel portafoglio degli investitori ampliando a dismisura lo spazio per la crescente montagna di finanza cartolare. Il recente regolamento sugli investimenti delle casse di previdenza prosegue su questa strada. Comprensibile in un Paese nel quale ancora nel 2014 le banche hanno fatto i bilanci con la gestione del risparmio. Meno se si guarda allo stato generale dell economia, ai bisogni di costruire i futuri trattamenti previdenziali e ai rischi non meno elevati di tenere il risparmio previdenziale su impieghi cartolari di breve termine. 5

ASTRID RASSEGNA N. 6/2015 Altro tema rilevante è quello del fisco. Creare un sistema fiscale capace di premiare l investimento in infrastrutture non priva lo Stato di risorse ma contribuisce a crearne. Il MEF sta lavorando ad uno specifico provvedimento indirizzato agli investitori istituzionali. Bisogna evitare che la scelta dei settori sia limitata a quelli delle grandi opere e dei grandi operatori pubblici e privati. Maggiore attenzione a settori più granulari, come ad esempio i parcheggi o le infrastrutture sociali e culturali, quali scuole, RSA e Campus universitari, potrebbe essere decisamente utile ed efficace. Senza lasciare fuori società di investimento diverse dagli archetipi delle SGR e dei fondi comuni di investimento di tradizionale matrice bancaria. In materia di garanzie è forse arrivato il momento di ricondurre ad unità un ambito che si è nel tempo frammentato e variegato perdendo di chiarezza ed efficacia. Associando a tale strumento al recupero del credito agevolato in sostituzione delle risorse a fondo perduto, che sono in via di estinzione. Credito agevolato soprattutto in forma rotativa e specificamente dedicato alle infrastrutture di piccola e media dimensione diffuse sul territorio con destinazione sociale e culturale. Siamo in attesa di conoscere i criteri della BEI in materia di misurazione dell impatto sociale degli investimenti. Potrebbero essere un primo riferimento per compiere scelte più efficaci ed armoniose rispetto al passato. Infine, dopo la riscoperta della politica industriale come capacità di indirizzo e non di gestione da parte del pubblico, è arrivato anche il momento di riscoprire una vera politica del credito, rivitalizzando istituti specializzati nel medio-lungo termine. In ossequio, peraltro, alla distinzione tra breve e lungo termine che di fatto Basilea III ha reintrodotto. In tale prospettiva andrebbe fatta una lettura attenta in merito al riassetto del sistema bancario di fatto in corso, tenendo in debito conto la valorizzazione opportuna di ciò che resta e potrebbe costituire la base per una banca di sviluppo: il Mediocredito Centrale. 6