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Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 20 febbraio 2012, n. 904 Sui presupposti per l adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti e sul soggetto legittimato passivo a resistere all azione annullatoria e a proporre appello in caso di soccombenza in primo grado. Nell ambito del diritto amministrativo la situazione di necessità legittima l uso di particolari poteri da parte della Pubblica Amministrazione, che si estrinsecano nell emanazione di due categorie di atti amministrativi: gli atti necessitati e le ordinanze di necessità e urgenza. In entrambi tali tipi di atti, lo stato di necessità costituisce il presupposto, espressamente previsto dalla legge, per emanare provvedimenti o tenere comportamenti extra ordinem, cioè ammessi dall ordinamento giuridico solo a causa della presenza della situazione dichiarata eccezionale. Per tali motivi, la natura giuridica dello stato di necessità e le ragioni della sua efficacia legittimante sono molto dibattute in dottrina e in giurisprudenza. Le posizioni interpretative possono sostanzialmente ricondursi a tre orientamenti. Secondo una prima impostazione, la necessità costituisce una fonte del diritto, in quanto dotata dell intrinseca forza di modificare l ordinamento giuridico. In particolare, lo stato di necessità costituisce, come la consuetudine, una fonte fatto, cioè un accadimento oggettivo in grado di produrre norme giuridiche. A ciò si obietta che l accostamento fra consuetudine e necessità è causa di confusione fra fonti di produzione e fonti sulla produzione: le prime determinano la nascita della norma giuridica; le seconde, invece, disciplinano il modo in cui le altre fonti (quelle di produzione) creano il diritto. Pertanto, mentre la consuetudine costituisce una fonte di produzione perché la reiterazione sistematica e il convincimento consolidato generano la norma da 10

rispettare, la necessità costituisce, invece, una fonte sulla produzione. Lo stato di necessità, infatti, non individua il comportamento dovuto dai consociati, ma piuttosto legittima l autorità amministrativa ad attivarsi senza il vincolo della norme codificate. La giurisprudenza prevalente considera, dunque, lo stato di necessità una causa di legittimazione del comportamento della Pubblica Amministrazione, in grado di giustificare qualsiasi comportamento per farvi fronte, anche contrario alla legge. Questa tesi costituisce un retaggio della teoria dello stato di polizia, secondo cui il sovrano può esercitare tutti i poteri di cui dispone, per garantire il suo primario obiettivo: il benessere della collettività. A ciò si obietta che l attuale Stato democratico non è uno Stato di polizia, bensì un ordinamento fondato sull opposto principio di legalità, per cui gli organi costituzionali non hanno tutti i poteri che servono per garantire il benessere della collettività, ma solo quelli che la legge prevede come necessari per la tutela degli obiettivi da perseguire. Secondo una terza tesi, infine, la P.A. in ipotesi di emergenza assume poteri nuovi, che determinano la rottura dell ordine legale o di quello costituzionale: la P.A., sul presupposto della necessità, emana provvedimenti che normalmente sarebbero illegittimi (si pensi al caso in cui la P.A. emette provvedimenti che non rientrano nella sua competenza o in assenza dei presupposti richiesti dalla legge). Pur avendo come presupposto comune la situazione di urgenza, gli atti necessitati e le ordinanze di necessità ed urgenza si distinguono per i seguenti aspetti. Gli atti necessitati sono provvedimenti tipici e nominati che, pur trovando occasione nello stato di necessità, non si distinguono dagli ordinari provvedimenti amministrativi. La legge, per essi, predetermina: i presupposti dell emanazione (la situazione di urgenza); l autorità emanante (sindaco o prefetto) e il contenuto che l atto può assumere. Le ordinanze di necessità e urgenza, invece, sono atti contenutisticamente atipici che l autorità amministrativa può assumere in particolari circostanze per soddisfare peculiari esigenze. La legge, quindi, affida alla discrezionalità della 11

P.A. la valutazione delle misure più opportune per fronteggiare la situazione concreta. Il legislatore, in tal caso, si limita a predeterminare: i presupposti dell emanazione (la situazione di emergenza) e l autorità emanante. L articolo 54, 4 comma del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 dispone: Il Sindaco, quale Ufficiale di Governo, adotta con atto motivato, provvedimenti anche contingibili e urgenti, nel rispetto dei principi generali dell ordinamento giuridico, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l incolumità pubblica o la sicurezza urbana. Detta norma è stata oggetto di particolare attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa sotto il profilo dell effettivo ambito di applicazione della stessa e dell ampiezza dei poteri spettanti al Sindaco, nonché dell individuazione del soggetto legittimato passivamente a resistere nelle controversie di annullamento. Sotto il primo profilo, la norma attribuisce al sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti al ricorrere di tre condizioni: occorre che l ordinanza stessa sia necesaria per fronteggiare una situazione eccezionale e imprevista che crea un pericolo attuale per l incolumità pubblica e che non è possibile fronteggiare con i normali mezzi apprestati dall ordinamento giuridico. Proprio al fine di circoscrivere entro precisi e chiari limiti il potere normativo sindacale, la Corte Costituzionale è intervenuta, nella sentenza 4 luglio 2011, n. 115 a dichiarare la norma sopra calendata costituzionalmente illegittima nella parte in cui comprende la locuzione "anche" prima delle parole "contingibili e urgenti". L uso dell avverbio anche, ha precisato la Corte, attribuiva ai sindaci il potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentavano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico. Detto potere discrezionale illimitato violava, da un lato, la riserva di legge relativa di cui all'art. 23 Cost., in quanto non prevedeva una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello dell'imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati; dall'altro, violava l'ulteriore riserva di legge relativa di cui all'art. 97 Cost., 12

poiché la pubblica amministrazione può soltanto dare attuazione, anche con determinazioni normative ulteriori, a quanto in via generale è previsto dalla legge; e violava, infine, anche l'art. 3, primo comma, Cost., giacché, in assenza di una valida base legislativa, gli stessi comportamenti avrebbero potuto ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci. In ordine alla seconda questione, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che le ordinanze sindacali sono imputabili al soggetto che le adotta quale Ufficiale di Governo, sicchè il ricorso proposto contro un ordinanza sindacale va notificato al Sindaco presso la sede comunale e non presso l Avvocatura dello Stato. Infatti, l art. 1 del r.d. 1611/1933 attribuisce all Avvocatura dello Stato la rappresentanza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato e si riferisce alle amministrazioni statali in senso proprio, ovvero agli Uffici e agli organi facenti parte della struttura organica delle Amministrazioni statali; quando il Sindaco agisce quale Ufficiale di Governo, gli effetti degli atti da lui emanati costituiscono espressione della volontà statale, ma il Sindaco non diventa un organo dell Amministrazione dello Stato; la notifica del ricorso presso la sede comunale si configura, altresì, come logica conseguenza delle caratteristiche del procedimento che conduce all emanazione dell ordinanza: questa è istruita, redatta e emessa dagli uffici comunali e ad essi compete anche valutare il comportamento da tenere nell ipotesi di impugnazione dell atto in sede giurisdizionale. Nella pronuncia in esame il Consiglio di Stato ribadisce che: le ordinanze contingibili e urgenti possono essere adottate dal Sindaco nella veste di ufficiale di governo solamente quando si tratti di affrontare situazioni di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall ordinamento giuridico: tali requisiti non ricorrono, di conseguenza, quando le pubbliche amministrazioni possono adottare i rimedi di carattere ordinario. Infatti, le ordinanze in questione presuppongono una situazione di pericolo effettivo in cui si possono configurare anche situazioni non tipizzate dalla legge e ciò giustifica la deviazione dal principio di tipicità 13

degli atti amministrativi, la possibilità di deroga rispetto alla disciplina vigente e la necessità di motivazione congrua e peculiare, la configurazione anche residuale, quasi di chiusura, delle ordinanze contingibili e urgenti. Anche rispetto al secondo aspetto, il Consiglio di Stato, confermando l orientamento consolidato, ha statuito che: quando il giudizio concerna la legittimità del provvedimento debba essere il Sindaco a resistere all azione annullatoria e conseguentemente a proporre appello in caso di soccombenza in primo grado.