Il costo dello smaltimento dei rifiuti e l estensione dell immobile Il D.Lgs. del 15 novembre 1993, n. 507 ha istituito la tassa sui rifiuti solidi urbani (T.A.R.S.U.), il cui presupposto è l occupazione di spazi adibiti a qualsiasi uso e giacenti sul territorio del Comune, ove si svolge il servizio dei rifiuti. L imposizione tributaria si fonda sull estensione della superficie imponibile e sul coefficiente di produttività quantitativa, stimato per l uso del locale. Si tratta, tecnicamente, non di una tassa, ma di un imposta. È, quindi, un prelievo coattivo di denaro, completamente svincolato da una specifica prestazione da parte dell Ente pubblico. Quindi, non è corrispettivo di un utilità che il singolo riceve dietro richiesta, ma un imposizione, espressione del potere d imperio dell Ente pubblico, alla quale l utente è tenuto, per la fruizione di determinati servizi pubblici. Il Decreto Ronchi (art. 49) e il rispettivo regolamento attuativo (d.p.r. 158/99) avevano già previsto e regolato l introduzione della Tariffa di igiene ambientale (T.I.A). La Tariffa è - oggi - nel Testo Unico Ambientale prevista all art. 238 del D.Lgs 256/06, quale corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento. L obiettivo ideale è il calcolo preciso della quantità dei rifiuti, prodotti dalla singola utenza domestica. Le leggi finanziarie 2007 e 2008, tuttavia, hanno decretato che i Comuni avrebbero dovuto mantenere, fino tutto il 2009, lo stesso sistema di tassazione del 2006. Il D.L. del 30 dicembre 2008, n. 208, convertito nella Legge 27-02-2009, n. 13, ha dato facoltà ai Comuni di adottare la T. I.A, a decorrere dal 30 giugno 2009, in caso di inerzia del Ministero. La differenza tra T.A.R.S.U e T.I.A riguarda, quindi, il metodo di calcolo. La Tariffa consta di una parte fissa, relativa alla copertura dei costi generali e quelli relativi alla pulizia delle strade nelle aree pubbliche, imputata all utente in base alla superficie dei locali. La parte variabile, invece, copre i costi di gestione dei rifiuti ed è imputata in base alla quantità di rifiuti. La T.I. A. non è, però, in molti Comuni ancora in vigore. L art. 58 e segg. del D.Lgs. n. 507/1993 è ancora vigente e il calcolo della spesa, che i singoli devono sopportare per lo smaltimento rifiuti, continua, attualmente, ad essere effettuato sulla base della capacità di reddito, a sua volta determinata in base alla superficie dell immobile. E comunque, anche laddove è stata introdotta la T.I.A., il calcolo dell importo continua ad
essere commisurato ad una quantità di rifiuti stimata per l uso del locale e non alla effettiva produzione. La situazione è tuttaltro che pacifica, in quanto molte imprese italiane lamentano che i costi ad esse imposti non sono giustificati in ragione della quantità dei rifiuti prodotta. La giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, 28.02.2006, n. 858) si è orientata a riconoscere la legittimità della delibera comunale, che determina l imposta a carico degli alberghi non in base alla qualità e quantità dei rifiuti effettivamente prodotti, bensì, come consente l art. 65 D.Lgs. n. 507 del 1993, in base alla quantità e qualità medie ordinarie per unità di superficie imponibile dei rifiuti solidi urbani producibili nei locali ed aree interessati. Il tributo è calcolato in base alla capacità di reddito, a sua volta determinata in ragione dell estensione dell immobile e del tipo di attività. Di recente, una serie di società alberghiere campane (comune di Caloria) hanno impugnato dinnanzi al Giudice amministrativo il calcolo del tributo sui rifiuti, in quanto fuori misura rispetto ad appartamenti privati di uguali dimensioni e non corrispondente alla quantità di rifiuti prodotta. In seguito a domanda pregiudiziale del T.A.R. Campania, la questione del calcolo dell imposta sui rifiuti (degli albergatori) è giunta dinanzi al Giudice Ue, al quale è sottoposta la questione pregiudiziale della compatibilità della normativa nazionale, dettata dall art. 58 e segg. D.Lgs 507/1993, con l art. 15 della Direttiva 2006/12/Ce e con il principio chi inquina paga. La Corte di Giustizia 1 ha stabilito che l art. 15, lett. a) della Direttiva del Parlamento e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/Ce deve essere interpretato nel senso che non osta alla normativa nazionale che disponga la riscossione, per il finanziamento di un servizio di gestione e smaltimento dei rifiuti urbani, di una tassa calcolata sulla stima del volume di rifiuti generato dagli utenti di tale servizio e non sul quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito. Il finanziamento dei costi di gestione e smaltimento dei rifiuti urbani è un servizio fornito collettivamente ad una pluralità di detentori, che dovrebbero, conformemente al principio chi inquina paga, sopportare il costo. Del resto, l obbligo di pagamento in capo al singolo si giustificherebbe solo in ragione del contributo 1 Corte di Giustizia Ce, Sez. II, 16-07-2009, Sent. C-254/08.
causale apportato all inquinamento. Tuttavia, gli Stati membri, pur essendo vincolati quanto al risultato da conseguire in termini di assunzione dell onere finanziario del costo dello smaltimento dei rifiuti, godono di autonomia circa forma e mezzi per il raggiungimento di tale scopo. Non esiste, infatti, nel diritto comunitario normativa che imponga agli Stati membri un metodo preciso riguardo al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani. Senza contare, poi, che risulterebbe oltremodo oneroso stabilire il volume esatto di rifiuti prodotto da ogni detentore. Come anticipato dall Avvocato Generale 2, lo smaltimento dei rifiuti urbani è diventato un affare di massa, in relazione al quale si potrebbe anche scegliere la via agevole ed economica della liquidazione forfetaria del costo, a fronte di costose e complesse operazioni di calcolo. Né sarebbe opportuna l indagine sulla composizione dei rifiuti, che, tra l altro, comprometterebbe anche la riservatezza dei produttori. Oltretutto, innumerevoli complicazioni sorgerebbero in relazione alle abitazioni condominiali, ove, di regola, i rifiuti sono raccolti in un unico contenitore e sarebbe assurdo pretendere una separazione per nucleo famigliare. L alternativa potrebbe derivare da un calcolo forfetario del costo dello smaltimento, ammesso in ragione della flessibilità del principio chi inquina paga. Ne deriva la liceità del criterio di calcolo che tenga conto della capacità produttiva, correlata all estensione dell immobile occupato e della sua destinazione nonché della natura dei rifiuti prodotti. Di qui, la comprensibile e logica la conclusione della Suprema Corte: la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento della gestione e dello smaltimento dei rifiuti urbani, una tassa calcolata in base da una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo dei rifiuti effettivamente prodotto e conferito, non può essere considerata, allo stato attuale del diritto comunitario, in contrasto con l art. 15, lett a) della direttiva 2006/12. Ma, con estrema prudenza, si aggiunge che spetta tuttavia al giudice a quo accertare, sulla scorta degli elementi di fatto e di diritto sottopostigli, se la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni su cui verte la causa principale non comporti che taluni detentori, nel caso di specie le aziende alberghiere, non si facciano carico di costi manifestamente non commisurati ai 2 Conclusioni dell Avvocato Generale Juliane Kokott presentate il 23.04.2009.
volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili. Quindi, nell ambito di ciascun ordinamento occorrerà valutare vantaggi e svantaggi, derivanti dalla rigorosa attuazione del principio chi inquina paga, meditando se sia proficuo (in termini di ponderazione costo-beneficio) un dispendioso calcolo dei costi individuali dello smaltimento. Qualora non lo fosse e, alla stregua della flessibilità del principio chi inquina paga, la normativa interna dovesse stabilire una liquidazione forfetaria del costo dello smaltimento dei rifiuti, ciò sarebbe proporzionato e ragionevole. Per assurdo, l affannosa ricerca del raggiungimento del calcolo perfetto sarebbe contraria al diritto comunitario. A fronte di una gamma di misure, si impone l attuazione di quella meno restrittiva, alla stregua del bilanciamento degli inconvenienti allo scopo perseguito. Ma, si badi, l operazione diverrebbe pericolosamente irragionevole e sproporzionata qualora si dovessero imporre agli utenti costi esagerati rispetto al volume dei rifiuti prodotti o alla loro natura. La valutazione della proporzionalità e ragionevolezza del costo forfetario ha luogo nell ambito nazionale e in relazione ovviamente alla singola fattispecie. Pertanto, la Tariffa potrà anche essere commisurata all estensione dell immobile occupato e non per questo risulterà illegittima e, quindi, impugnabile. La commisurazione all estensione della superficie dei locali può essere un criterio correttamente perseguibile, alla imprescindibile condizione del rispetto di criteri di proporzionalità in relazione alla quantità dei rifiuti prodotti. La condanna, pertanto, colpisce solamente le normative nazionali che impongono ai singoli costi manifestamente inadeguati per lo smaltimento dei rifiuti per il fatto che essi non dimostrano un legame sufficientemente ragionevole con la produzione dei rifiuti. Di riflesso, la Corte Costituzionale 3 ha stabilito che dal principio comunitario chi inquina paga non può desumersi il divieto per gli Stati membri di istituire un tributo per la gestione dei rifiuti urbani o la preclusione di predisporre criteri di determinazione della 3 Corte Cost. 24-07-2009, n. 247.
Tariffa che tengano conto anche dei parametri relativi all estensione dei locali detenuti o agli indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali. Il costo dello smaltimento potrà essere, quindi, commisurato alla quantità effettiva di rifiuti prodotta o, in alternativa, ad un ipotesi tipica e plausibile di quantitativo prodotto. Sembra che nel nostro sistema nazionale si scelga l alternativa che - ci auguriamo tutti per il futuro - sia sempre plausibile. A cura della Dott.ssa Giovanna Galassi