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Transcript:

TITOLO Intelligenza artificiale (A.I. Artificial Intelligence) REGIA Steven Spielberg INTERPRETI Haley Joel Osment, Jude Law, Frances O Connor, Brendan Gleeson, William Hurt, Ben Kingley, Chris Rock, Meryl Streep, Robin Williams GENERE Drammatico - Fantascienza DURATA 143 min. Colore PRODUZIONE USA 2001 In un periodo nel futuro in cui le risorse naturali sono limitate e i progressi della tecnologia velocissimi, gli esseri umani dispongono di robot programmati per soddisfare qualsiasi loro bisogno. Lavoro, tempo libero, cura della casa, compagnia, c'è un robot per ogni necessità: tranne l'amore. I robot sono considerati elettrodomestici sofisticati, si pensa non possano provare sentimenti. I limiti imposti alla procreazione hanno spinto però l'industria della robotica a cercare di superare l'ultima frontiera. La Cybertronic Manifacturing ha creato David, un robot bambino, il primo programmato per amare che viene adottato in prova da Henry, impiegato della stessa ditta, e da sua moglie Monica. Il figlio naturale della coppia, malato terminale, é ibernato in attesa che la scienza scopra la cura per salvarlo. David vuole diventare loro figlio, fa di tutto per essere amato, ma ogni volta qualche circostanza arriva ad impedirlo. Respinto dagli umani e dalle macchine, David non può fare altro che andare via, e intraprendere un lungo cammino. Aiutato da Teddy, il suo super giocattolo, David incontra Gigolo Joe e con lui comincia un giro per il mondo. Eccoli nel luogo dove si celebra il rito per la distruzione dei robot. Insieme scappano e cercano di raggiungere Rouge City, dove c'é qualcuno in grado di dare indicazioni per trovare la Fata Turchina. Ecco l'informazione: la Fata si trova alla fine del mondo, a Manhattan. Joe dice a David che la sua mamma non può amarlo, e David scappa. Poi insieme vanno dal prof. Hobby, che aveva progettato David, e vedono i bambini fatti in serie. David atterrito si getta dal grattacielo, scende sott'acqua: qui si ritrova nel regno di Pinocchio e vede la Fata Turchina. Da quel momento David comincia a pregare. Passano duemila anni, prima che il piccolo possa riprendere coraggio. Allora torna dalla mamma e le dice "Ti ho ritrovata". E' di nuovo oggi.

Per favore fammi diventare un bambino vero Difficile collocare questo lavoro, che tutti sappiamo essere una sorta di testamento di Stanley Kubrik, in una precisa nicchia. Di certo il Maestro avrebbe realizzato qualcosa di diverso: più duro, più graffiante... più vero, mentre Spielberg ci ha posto davanti una favola dai toni "morbidi", facilmente leggibile sia dal pubblico adulto, che da quello più giovane. Su una Terra ricoperta dagli oceani e ormai priva delle sue calotte ghiacciate, in un futuro non precisato ma nemmeno tanto lontano, lo spazio disponibile per la vita umana è diminuito moltissimo e il problema della sovrappopolazione è diventato pressante. Per questo motivo gli umani non sono liberi di riprodursi a proprio piacimento, ma devono attendere il nulla-osta del proprio governo. In mancanza di manodopera i lavori più umili o faticosi vengono quindi svolti dai Mecha, robot perfetti, terribilmente simili ad esseri umani. Alla ricerca di una sempre maggior perfezione dei processi cognitivi di questi robot, il professor Hobby (William Hurt qui finalmente giunto alla sua "Fine del Mondo") realizza David (Haley Joel Osment - "Il Sesto Senso") un perfetto bambino "mecha" che viene affidato ad una famiglia della Cybertronic, l'azienda produttrice. Monica (Frances O' Condor - "Windtalkers") ed Harry Swinton (Sam Robards - "American Beauty") lo adotteranno come fosse il loro figlio perduto, o quasi. Il rapporto tra uomo e macchina è sempre stato inteso come un rapporto di subordinazione e inferiorità del creato rispetto al suo creatore. Il creato non è essere, ma solo una cosa. Così inizia il film, ma man mano che la trama procede gli eventi mettono in discussione questo rapporto fino a sconvolgerlo. La grande distinzione tra umani e macchine ( orga e mecca ) all inizio è una distinzione di valore a vantaggio dei primi, ma alla fine del film questa distinzione di superiorità e valore verrà totalmente a mancare. Tratto da un brevissimo racconto di Brian Aldiss, Supertoys last all summer long, la pellicola si divide in tre distinte fasi narrative, tre generi anzi quasi tre episodi a sè stanti, ricuciti insieme dalla maestria di Spielberg.

La prima parte con la vita familiare di David ricorda "D.A.R.Y.L.", film degli anni ottanta dalla tematica simile, ed approfondisce la difficoltà, soprattutto da parte degli umani, fossero anche gli stessi genitori di David, di accettare un robot, o meglio un "diverso", all'interno della loro società. Nella seconda ci troviamo di fronte ad un vero e proprio road-movie con David, alla ricerca di una chimera, che attraversa ciò che rimane del mondo confrontandosi sempre con il problema sociale dell'accettazione, non per niente il suo accompagnatore-mentore è un robot gigolò (Judie Law - "Gattaca"). Anche la fotografia sottolinea chiaramente questo cambio di ritmo: passiamo da toni molto caldi spesso di giorno con rappresentazioni attraverso vetri e specchi - come a sottolineare il disagio nell'affrontare direttamente la macchina - ad ambientazioni prettamente notturne con colori sgargianti, quasi sparati, ed affollate da mille personaggi. L'ultima parte, infine, è un vero e proprio omaggio a Kubrick ed a "2001 Odissea nello Spazio", casualmente anno di rilascio del film: bianco dominante, atmosfere oniriche ed eteree, un senso quasi di intangibilità e analisi dell'inconscio. La trama sviluppata, da Spielberg sulla scorta della traccia delineata da Kubrick prima della sua morte, mette parecchia carne al fuoco, forse troppa. Dall'analisi dei rapporti all'interno della società umana e della famiglia, alla stigmatizzazione di figure che fanno leva sul demagogismo fino alla critica di una società troppo consumista e lontana da valori più "sani". Il file rouge del tutto resta comunque il mito di Pinocchio sviluppato su due livelli sovrapposti: la novella che spinge David a cercare di diventare umano per compiacere i suoi genitori più che se stesso, ed il secondo costituito dalle situazioni da lui attraversate nel suo viaggio iniziatico: la ricerca del suo Geppetto attraverso il circo di Mangiafuoco, lo spettacolo di distruzione, e la balena, la New York "affogata" dove si trova Hobby. La morale finale non può che essere positiva, in realtà ciò che ci rende unici è quello che abbiamo dentro e non il nostro aspetto.

Tecnicamente "A.I." è ineccepibile, scenografie accattivanti per un futuro che non sembra neanche così lontano. Uno studio impressionante sulla moltitudine di robot diversi che ci vengono presentati; alcuni talmente perfetti che soltanto la natura leggermente lucida della loro pelle riesce a farci capire la loro vera identità ed in primis Osment un bambino che sembra ormai un attore navigato. È la sua costante credibilità, dai movimenti impacciati dell'androide appena attivato alla fluidità acquisita poi attraverso l'esperienza, la vera forza del film. Un paio di appunti: forse l'idea del mito del "sogno" come umanizzazione è un pò vecchiotta (Philp K. Dick ci aveva già pensato nel racconto da cui è stato tratto "Blade Runner" - "Do Androids Dreams of Electric Sheep?") e poi forse non c'era così bisogno di creare un nuovo termine per l'uomo artificiale visto che esistevano già i vari androidi, sintezoidi, replicanti, robot. Kubrick pensò a Spielberg come realizzatore del film non solo per la stima nutrita nei suoi confronti, ma anche in considerazione del suo maniacale perfezionismo. Per girare la pellicola gli sarebbe infatti occorso, vista la sua proverbiale lentezza, circa un anno, periodo in cui il protagonista, un bambino appunto, avrebbe subito radicali cambiamenti fisici. Spielberg, al contrario avrebbe potuto realizzare il film in un paio di mesi al massimo (infatti lo ha completato in 63 giorni). Critica: "Ma come osa Spielberg, gran regista, ma pur sempre uomo di commercio, competere con il sommo Stanley Kubrick che per primo tentò di filmare il racconto di Brian Aldiss? Da parte nostra, grazie per aver osato. In non pochi momenti del film, Steven ha fatto il salto qualitativo. La parte centrale, in un'arena da basso impero, non ha niente da invidiare ai fatidici 'notturni' di 'Arancia Meccanica'". Giorgio Carbone, 'Libero', 6 settembre 2001 "Favola un po' sadica per bambini, immaginazione di fantafuturo, variazione di Pinocchio. Tratto da un racconto di Brian Aldiss, con una prima parte molto bella, commovente e divertente (per il resto non tanto), con un bravissimo protagonista bambino". Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 5 ottobre 2001

"Favola filosofica, film dell'orrore, cyber-rivisitazione di Pinocchio, profezia amara e grandiosa circa il divenire-macchine del genere umano e molto altro ancora. Il tanto atteso 'A.I. - Intelligenza Artificiale', è una 'summa' in cui Spielberg ripercorre tutto il suo cinema e apre cento nuove porte, ma senza trovare la forza di guardare cosa c'è dietro". Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 5 ottobre 2001 "Diviso in tre atti 'A.I. - Intelligenza Artificiale' è un film bello e struggente, eccessivamente lungo, disomogeneo, reso più imperfetto dal lungo finale ma ricco di folgorazioni, di sequenze straordinarie e di personaggi commoventi. Che si stampano nella memoria per come, in essi, convivono patetismo e fragilità, generosità e coraggio: David per primo, naturalmente, interpretato da quel precocissimo mostro di bravura che si chiama Haley Joel Osment, ma anche il robot-amante Jude Law, capace quanto il suo piccolo compagno di disavventure, di farci dubitare che i 'meccanica' siano molto più umani degli 'orga' ". Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 6 ottobre 2001 "Emozionante come 'E.T.' (ma a un livello più sofisticato), sospeso e terminale come '2001', spettacolare e intimo come 'Incontri ravvicinati', scheggiato come 'Blade Runner' e 'Arancia Meccanica', nel cuore di un tema cruciale percepito dall'odierna sensibilità (fanta)scientifica. Picaresco al massimo livello, visivamente appagante, nel finale diventa un film afflitto da eccesso di senso (l'incontro tra Pinocchio e la mamma). Pareri discordi, ma se parlerà ancora tra cento anni". Silvio Danese, 'Il giorno', 5 ottobre 2001