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La responsabilità medica 1 *** 1. Premessa: dalla responsabilità del medico alla responsabilità medica. 2. La condotta dovuta come obbligazione di mezzi. 3. La natura della responsabilità. 4. Il grado della colpa. 4.1. La nozione di colpa lieve. 4.2. L onere della prova. 5. Il nesso causale. 6. Il consenso informato ed il fondamento normativo dell obbligo di informare. 6.1. Natura e requisiti del consenso. 6.2. Effetti della mancanza di informazione. 6.3. Consenso e capacità. 6.4. L onere della prova del consenso. 11. Forme della professione e regole di responsabilità. 11.1. Il libero professionista. 12. Il medico convenzionato. 13. Il medico dipendente di struttura privata. 13.1. La responsabilità della casa di cura privata. 14. Il medico dipendente di struttura pubblica. 14.1. Medici in posizione apicale (primari) e medici subordinati (aiuti). 14.2. La responsabilità della struttura sanitaria pubblica. 14.3. La responsabilità delle disciolte USL. 14.4. L azione di rivalsa della p.a.. 1 Tratto da La responsabilità civile - CD-Rom, IPSOA, Milano, n. 2/2009. Pagina 1 di 68

1. Dalla responsabilità del medico alla responsabilità medica. Probabilmente non esiste altra categoria professionale oltre quella dei medici, che negli ultimi 15 anni abbia visto modificarsi così profondamente sia le regole che presiedono all esercizio della relativa professione; sia le norme che disciplinano la relativa responsabilità. Non è, quindi, in errore chi ha osservato che nella borsa del diritto il titolo responsabilità del medico è segnalato in forte e costante rialzo (Palmieri, Relazione medico-paziente tra consenso «globale» e responsabilità del professionista, in Foro it. 1997, I, 772). In particolare, gli ultimi anni hanno visto una crescita vertiginosa (sulla quale, però, mancano allo stato dati precisi) delle domande di risarcimento per danni causati al paziente da una condotta colposa del medico; sono conseguentemente aumentate le pronunce di condanna nei confronti di medici; è letteralmente esplosa l attenzione della dottrina verso questo fenomeno (tra le opere ed i contributi più recenti si segnalano Alpa, La responsabilità medica, in Resp. civ. prev., 1999, 315; STANZIONE e ZAMBRANO, Attività sanitaria e responsabilità civile, Milano, 1998; Iamiceli, La r.c. del medico, in Cendon (a cura di), La responsabilità civile, VI, Torino 1998, 309; BARNI, Diritti-doveri, responsabilità del medico - Dalla bioetica al biodiritto, Milano, 1998; Alpa-Bessone (a cura di), La responsabilità civile-aggiornamento 1988-1996, Torino 1997, II, 781; CASTRONOVO, Profili della responsabilità medica, in Vita not., 1997, 1222; BASILE, Spunti di riflessione sul tema della responsabilità professionale del medico, in Dir. ed economia assicuraz., 1996, 275; BELLELLI, Codice di deontologia medica e tutela del paziente, in Riv. dir. civ., 1995, II, 577). Le principali concause di questo fenomeno sono state individuate dalla dottrina: (a) in una più consapevole presa di coscienza dei propri diritti da parte degli utenti del servizio "sanità"; Pagina 2 di 68

(b) nell'attività di sensibilizzazione compiuta dalle associazioni di difesa dei diritti del malato; (c) nell'accresciuta scolarizzazione della popolazione; (d) nell'evoluzione dei mezzi di cura e diagnosi, che hanno sia consentito un più approfondito controllo ab extemo sull'attività del medico, sia l esposizione di quest ultimo al rischio derivante dal controllo e dal governo di strumentazioni assai sofisticate; (e) nell'evoluzione significativa del concetto e delle funzioni della responsabilità civile", la quale, da criterio di riparto delle conseguenze sfavorevoli di un evento dannoso, è andata assumendo la natura di strumento di allocazione delle risorse del sistema (Rodotà, Tecnologie e diritto, Bologna, 1995; Idem, Modelli e funzioni della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 595; Corsaro, Responsabilità civile - Diritto civile, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991, 1; Busnelli, La parabola della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1988, 649). La particolarità del fenomeno ora descritto non si limita, però, ad una semplice crescita del numero di controversie giudiziali nelle quali si invoca una colpa professionale del medico. L altro aspetto assolutamente evidente del fenomeno è rappresentato da un mutato atteggiamento della giurisprudenza, la quale sembra quasi avere elaborato regole ermeneutiche ad hoc per la responsabilità del medico (in tema di concorso della responsabilità aquiliana con quella contrattuale; in tema di riparto dell onere della prova; in tema di applicazione della esimente di cui all art. 2236 c.c.; in tema di accertamento del nesso causale tra condotta colposa ed evento di danno). E questo il motivo per cui vari autori hanno insistito sulla esigenza che la responsabilità del medico debba essere tenuta distinta dalla analoga responsabilità degli altri professionisti. Non di responsabilità del medico occorrerebbe, dunque, parlare, ma di responsabilità medica, concepita come un vero e proprio sottosistema della responsabilità civile (Alpa, La responsabilità medica, in Resp. civ. prev., 1999, 316; Liguori, La Pagina 3 di 68

responsabilità civile medica, in Sub iudice, Atti del convegno tenuto a Rimini l 8-11 ottobre 1997, Pisa, 1998, 63; De Matteis, La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile, Padova, 1995). All analisi degli aspetti che maggiormente differenziano questo sottosistema, rispetto alla ordinaria responsabilità del professionista, saranno dedicate le pagine seguenti. 2. La condotta dovuta come obbligazione di mezzi. Contestata, abbandonata, confutata dalla dottrina (per una eco della discussione si veda DE LORENZI, Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, in Digesto civ., Torino, 1995, XII, 397), la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato continua ad essere accolta ed applicata dalla giurisprudenza: si vedano, ad esempio, nella giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. II, 27-05-1997, n. 4704, in Foro it., 1997, I, 2078, con riferimento al contratto di prestazione d opera professionale dell ingegnere; Cass., sez. II, 18-06-1996, n. 5617, in Foro it. Rep. 1996, voce Procedimento civile, n. 116, con riferimento al contratto di prestazione d opera professionale dell avvocato (la giurisprudenza di legittimità è, sul punto, copiosissima: si vedano anche, in senso conforme, Cass., 07-05-1988, n. 3389, in Dir. e pratica assic., 1989, 497; Cass., 18-05-1988, n. 3463, in Corriere giur., 1988, 989. La distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultati è altresì recepita dalla giurisprudenza di merito assolutamente prevalente: si vedano, al riguardo, Pret. Fermo, 16-04-1997, in Dir. e lav. Marche, 1997, 245, con riferimento al contratto di agenzia; App. Venezia, 24-12-1996, in Foro pad., 1998, I, 50, con riferimento al contratto di prestazione d opera professionale dell ingegnere; Pret. Torino, 12-04-1996, in Orient. giur. lav., 1998, I, 474, con riferimento al contratto di lavoro subordinato; Trib. Milano, 22-06-1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 258, con riferimento alla lettera di patronage; Trib. Roma, 09-12-1991, in Giust. civ., 1992, I, 1355, con riferimento ai contratti bancari di gestione titoli. Pagina 4 di 68

Nell ambito della distinzione in esame, l obbligazione assunta dal medico nei confronti del paziente viene sussunta nelle obbligazioni di mezzi, e non di risultato, al pari di tutte le altre prestazioni professionali (Cass., sez. III, 25-11-1994, n. 10014, in Foro it., 1995, I, 2913; Trib. Forlì, 29-03- 1996, in Riv. it. medicina legale, 1996, 1232; Trib. Napoli, 15-02-1995, in Foro nap., 1996, 76; Trib. Trieste, 14-04-1994, in Resp. civ., 1994, 768). Una eccezione a questa regola è stata ammessa dalla S.C. in tema di chirurgia estetica: in questi casi, ferma restando la configurabilità dell obbligazione del medico quale obbligazione di risultato, è ammissibile che sia il professionista stesso ad assumere l obbligo di garantire un risultato, inteso però non come dato assoluto, ma da valutare con riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilità consentite dal progresso raggiunto dalle tecniche operatorie (Cass., sez. III, 25-11-1994, n. 10014, in Foro it., 1995, I, 2913). Tuttavia sia parte della dottrina, sia parte della giurisprudenza di merito, tendono a superare l impostazione tradizionale, ritenendo che in taluni casi l obbligazione del medico possa ritenersi di risultato anche quando il professionista non abbia assunto alcuna garanzia in tal senso: cioè avverrebbe, secondo queste tesi estreme: (a) quando l esito della cura [non] rimane al di fuori delle possibilità di controllo del medico (così Ferrando, Consenso informato del paziente e responsabilità del medico, principi, problemi e linee di tendenza, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 41); (b) nel caso di interventi di chirurgia estetica, salva diversa pattuizione delle parti (Trib. Roma, 01-06-2001, in Giurisprudenza romana, 2001, 354; Pret. Roma 17.12.1998, ivi, 1999, 239; Trib. Roma 15.1.1998, ivi, 1998, 186; Trib. Roma, 23-12-1996, in Arch. civ., 1997, 178; Trib. Roma, 05-10-1996, in Giurispr. romana, 1997, 9); (c) nel caso di interventi assolutamente rutinari (Trib. Roma 1.3.2006, Giorgi c. Sterpetti, inedita). Pagina 5 di 68

3. La natura della responsabilità. Stabilire se l inadempimento della prestazione dovuta dal medico dia luogo a responsabilità contrattuale od aquiliana ha dato luogo a numerosi contrasti in giurisprudenza. Nelle decisioni meno recenti vi è addirittura eco delle tesi le quali escludevano che il rapporto tra medico e paziente potesse essere configurato quale locatio operis, motivando con la superiorità del lavoro intellettuale sul lavoro materiale (cfr. App. Milano 22.9.1925, in Foro it. 1926, I, 206; nella medesima decisione, significativamente, la responsabilità del medico viene ritenuta di natura extracontrattuale, e fondata sull art. 1151 c.c. del 1865, corrispondente all attuale art. 2043 c.c.). La Corte di cassazione non ha mai abbracciato tesi così estreme (o arcaiche). Sin dai primi decenni del secolo, i giudici di legittimità non avevano alcuna difficoltà ad ammettere che il rapporto medico-paziente potesse configurarsi come un rapporto contrattuale. Già Cass. 22.12.1925, in Giur. it. 1926, I, 1, 537, ad esempio, affermava espressamente che nei rapporti tra l operatore e l infermo si stabilisce un contratto di locazione d opera, in forza del quale l operatore assume l obbligazione di usare ogni cura per raggiungere la guarigione dell infermo e di adottare le cautele opportune a prevenire qualsiasi sinistro. La giurisprudenza di legittimità, unanime e costante nel ritenere che la responsabilità del medico libero professionista avesse natura contrattuale, si era invece divisa - sino a non molto tempo fa - nell individuare la natura della responsabilità del medico che avesse agito quale dipendente della pubblica amministrazione. Secondo un primo orientamento, tale responsabilità doveva ritenersi aquiliana, in quanto il contratto di cura viene stipulato tra ente ospedaliero e paziente, mentre nessun vincolo contrattuale viene posto in essere tra quest ultimo ed il medico (Cass., 26-03-1990, n. 2428, in Giur. it., 1991, I, 1, 600; Cass., sez. III, 13-03-1998, n. 2750, in Foro it., 1998, I, 3521). Pagina 6 di 68

Vi era però anche un secondo orientamento, secondo il quale la responsabilità dell ente pubblico verso il paziente, nel caso di danno causato dal medico pubblico dipendente, ha natura contrattuale. Di conseguenza, per effetto della disposizione di cui all art. 28 Cost., anche la responsabilità del medico deve essere ritenuta di natura contrattuale, perché anch essa, al pari di quella dell ente, ha radice nell'esecuzione non diligente di una prestazione sanitaria (Cass., sez. III, 27-05-1993, n. 5939, in Foro it. Rep. 1993, voce Professioni intellettuali, n. 114; Cass., 01-02-1991, n. 977, in Giur. it., 1991, I, 1, 1379; Cass., 01-03-1988, n. 2144, in Foro it., 1988, I, 2296). La cosa singolare di questo contrasto giurisprudenziale è che i due filoni contrastanti, pur essendo sorti all interno della medesima sezione della S.C. (la III), si ignoravano completamente. Il contrasto è stato recentemente composto da una decisione, dottamente motivata, nella quale la Corte ha messo in evidenza i limiti dei due orientamenti appena descritti. Alla tesi della natura extracontrattuale è stato obiettato che il medico non può essere equiparato, quanto al regime della responsabilità, ad un qualsiasi terzo che con la propria condotta abbia inciso sulla sfera giuridica del paziente. Infatti tra medico (sebbene pubblico dipendente) e paziente si instaura pur sempre un "rapporto", in virtù del quale il paziente si affida alle cure del medico ed il medico accetta di prestargliele. Alla tesi della natura contrattuale, d altro canto, è stato obiettato che il richiamo all art. 28 cost. è insufficiente a dirimere la questione della natura della responsabilità del medico pubblico dipendente. Tale norma, infatti, statuisce sull an respondeatur, ma non sul quomodo respondeatur, che è stabilito dalle norme ordinarie, le quali giustappunto prevedono sia la responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.), sia quella contrattuale (art. 1218 c.c.). La conclusione cui è pervenuta la S.C. è che il rapporto tra medico pubblico dipendente e paziente, pur non scaturendo formalmente da Pagina 7 di 68

alcun contratto (che, se mai, viene stipulato tra l ente ospedaliero, o la A.S.L., ed il paziente stesso), nei fatti si atteggia però come un vero e proprio rapporto giuridico, nel quale ciascuna delle parti vanta diritti ed obblighi nei confronti dell altra. In particolare, è stato rettamente osservato che il medico pubblico dipendente non è soggetto soltanto all obbligo del neminem laedere, cioè di astenersi dall incidere nell altrui sfera giuridica. Al contrario, al medico pubblico dipendente la coscienza sociale e l ordinamento giuridico richiedono di attivarsi, sino al limite dell apprezzabile sacrificio, per mettere a disposizione del paziente la propria competenza professionale. Ciò vuol dire che la prestazione del medico verso il paziente, vi sia o non vi sia stata tra i due la formale stipulazione di un contratto, resta di identico contenuto, e ha ad oggetto non il mero astenersi da una condotta lesiva, ma l obbligo di compiere un facere infungibile. Dalla identicità di prestazione la Corte fa discendere la necessaria identicità di disciplina, concludendo che anche il medico pubblico dipendente, nel caso di colpa professionale, possa essere chiamato a rispondere del danno a titolo di responsabilità contrattuale (Cass. 22.1.1999 n. 589, in Corr. giur., 1999, 441, con nota di Di Majo, L obbligazione senza prestazione approda in cassazione). 4. Il grado della colpa. Anche il medico, come qualsiasi altro soggetto, non può essere chiamato a rispondere del danno causato, se questo non sia stato commesso con dolo o colpa. Anzi, in teoria, la responsabilità del medico - come quella di qualsiasi altro libero professionista - è attenuata dal disposto dell art. 2236 c.c., in virtù del quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista risponde soltanto se versa in colpa grave. Si è detto in teoria, in quanto l elaborazione giurisprudenziale degli ultimi anni ha, di fatto, fortemente ridotto la portata dell art. 2236 c.c., operando con lo strumento delle presunzioni semplici (art. 2727 c.c.). Pagina 8 di 68

Questo aspetto è molto importante e deve essere esaminato con attenzione. Sino alla fine degli anni 80 la giurisprudenza riproduceva nelle proprie sentenze - forse inconsciamente - una concezione assai diffusa nell idem sentire comune: quella secondo cui, nel rapporto tra medico e paziente, il vero dominus doveva essere considerato il primo: era il primo a scegliere la terapia; era il primo a stabilire cosa rivelare e cosa no al paziente, per il bene (presunto) di quest ultimo; era il medico a decidere se e quando intervenire. La Cassazione era infatti solita ritenere che la responsabilità viene meno, perché manca la colpa, laddove si è nel campo della dottrina e delle opinioni disputabili, ed il medico ha seco la presunzione di capacità nascente dalla laurea ; e che di conseguenza la responsabilità del medico deve affermarsi ( ) per tutti quegli errori che si dimostri che si potevano evitare qualora avesse agito con maggiore diligenza e migliore attenzione e che attestino una ignoranza od imperizia non scusabili nell'esercizio della professione ( ). La colpa sarà stabilita non solo coi comuni criteri con cui la pratica giudica le azioni umane ordinarie dei profani, ma eziandio alla stregua delle cognizioni scientifiche: però in questo caso dovrà consistere nella trascuranza di canoni fondamentali od elementari della medicina (Cass. 22.12.1925, in Giur. it. 1926, I, 1, 537). In altri termini, la concezione a lungo imperante vedeva il medico - ripetesi, al pari di qualsiasi altro professionista - quasi depositario di un arcano sapere, il cui esercizio (od il cui mancato esercizio) era sindacabile soltanto se infirmato da errori grossolani, evidenti, madornali. Questo assetto interpretativo, conservatosi a lungo, negli ultimi tempi ha subìto profondi cambiamenti. In primo luogo, il giudice di legittimità ha ritenuto che la portata mitigatrice dell art. 2236 c.c. non si estende ad ogni ipotesi di colpa professionale, ma solo alle ipotesi di colpa consistita nell imperizia. Quando, invece, la cattiva riuscita della prestazione sia dovuta a imprudenza o negligenza, la limitazione di cui all art. 2236 c.c. non opera, ed il medico risponderà Pagina 9 di 68

anche solo per colpa lieve. In questo senso si veda, tra le tante, Cass. pen. 23-08-1994, in Mass. Cass. pen., 1995, fasc. 2, 118, secondo la quale in materia di colpa professionale del medico, quando l'evento venga addebitato a titolo di imperizia, la valutazione del giudice deve essere particolarmente larga nel ristretto ambito della colpa grave; mentre se l'addebito si concreta in una condotta imprudente o negligente la valutazione del giudice deve essere effettuata nell'ambito della colpa lieve per la omissione della più comune diligenza rapportata al grado medio di cultura e capacità professionale, secondo i criteri normali e di comune applicazione, valevoli per qualsiasi condotta colposa. Anche la cassazione civile è dello stesso avviso: si veda, ad esempio, Cass. 18.11.1997 n. 11440, in Riv. giur. circ. trasp. 1998, 67, secondo cui il medico chirurgo chiamato a risolvere un caso di particolare complessità, il quale cagioni al paziente un danno a causa della propria imperizia, è responsabile solo se versa in dolo od in colpa grave, ai sensi dell art. 2236 c.c.. Tale limitazione di responsabilità invece, anche nel caso di interventi particolarmente difficili, non sussiste con riferimento ai danni causati per negligenza od imprudenza, dei quali il medico risponde in ogni caso (nello stesso senso, Cass., sez. II, 28-03-1994, n. 3023, in Foro it. Rep. 1994, voce Professioni intellettuali, n. 111; Cass., sez. III, 08-07-1994, n. 6464, in Foro it. Rep. 1994, voce Professioni intellettuali, n. 109). La S.C. è pervenuta a questa conclusione osservando che se la colpa è consistita in una mancanza di perizia, l esame non può essere necessariamente rigoroso, in quanto il giudice deve tener conto che la patologia è sempre condizionata, nelle sue manifestazioni concrete, dalla individualità biologica del paziente; che i dati nosologici non sono tassativi e che è sempre possibile un errore di apprezzamento dei riscontri clinici, sicché il giudizio diagnostico può, con frequenza, risultare errato. Di conseguenza, se il medico è stato imperito, egli risponde soltanto se versi in colpa grave (a meno che, come si dirà più avanti, l intervento non fosse Pagina 10 di 68

routinario o di facile esecuzione (così Cass., sez. III, 18-11-1997, n. 11440, cit.). Se, invece, la colpa è consistita in una mancanza di diligenza, l esame deve essere particolarmente rigoroso, perché la tutela della salute, che viene affidata al medico, impone a questi l esercizio della massima attenzione (Cass., 11-07-1980, imp. De Lilla, in Riv. pen., 1981, 283). L art. 2236 c.c. è stato poi ritenuto inapplicabile - oltre che nei casi di colpa per imprudenza o negligenza - anche nelle ipotesi di interventi routinari o di facile esecuzione. A tale conclusione la giurisprudenza è pervenuta sulla base della lettera dell art. 2236 c.c., il quale fa riferimento appunto all esistenza di problemi tecnici di speciale difficoltà, di norma insussistenti nel caso di interventi routinari. L art. 2236 c.c. si applica quindi soltanto se il caso affidato al medico sia di particolare complessità, o perche' non ancora sperimentato e studiato a sufficienza o perche' non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da seguire (Cass., sez. III, 11-04-1995, n. 4152, in Foro it. Rep. 1995, voce Professioni intellettuali, n. 168; Cass. 26.3.1990 n. 2428, in Foro it. Rep., 1990, voce Professioni intellettuali, n. 113). In ogni caso, il paziente che alleghi di aver patito un danno alla salute in conseguenza dell'attività professionale del medico, ovvero di non avere conseguito alcun miglioramento delle proprie condizioni di salute nonostante l'intervento del medico, deve provare unicamente l'esistenza del rapporto col sanitario e l'insuccesso dell'intervento, e ciò anche quando l'intervento sia stato di speciale difficoltà, in quanto l'esonero di responsabilità di cui all'art. 2236 cod. civ. non incide sui criteri di riparto dell'onere della prova. Costituisce, invece, onere del medico, per evitare la condanna in sede risarcitoria, provare che l'insuccesso dell'intervento è dipeso da fattori indipendenti dalla propria volontà e tale prova va fornita dimostrando di aver osservato nell'esecuzione della prestazione sanitaria la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione (Cass. 8.10.2008 n. 24791). Pagina 11 di 68

Le distinzioni operate dalla S.C. possono essere organizzate nella seguente tabella: Grado della colpa necessario per una pronuncia di condanna Intervento complesso Intervento routinario Colpa per imperizia grave lieve Colpa per negligenza lieve lieve Come si nota, il medico è sempre tenuto anche soltanto per colpa lieve, ad eccezione dell ipotesi in cui sia chiamato a compiere un intervento complesso, ed il danno sia stato arrecato non per negligenza od imprudenza, ma per imperizia. 4.1. La nozione di colpa lieve. Nel caso di intervento complesso, nel corso del quale il medico arrechi un danno per imperizia, la responsabilità del sanitario è esclusa qualora egli versi in colpa lieve. Tuttavia non sempre è agevole distinguere la colpa lieve da quella grave. La dottrina, da tempo, ha messo in evidenza il carattere relativistico della nozione di colpa: in essa è implicito un venir meno, una manchevolezza, un deviare rispetto ad una regola prestabilita. Questa regola può essere una norma giuridica od anche una norma di condotta, variabile in funzione delle circostanze di tempo, di luogo e di persona: di talché lo sforzo dell interprete si riduce, di volta in volta, a delineare quale avrebbe potuto essere, nel caso concreto, il modello astratto cui l autore dell illecito avrebbe dovuto uniformarsi (così Forchielli, Colpa I) Diritto civile, in Enc. giur., Roma 1988, VI, 3-4). In tema di colpa medica occorre ricordare che l art. 1176, comma secondo, c.c., esige da chi deve adempiere una obbligazione inerente l esercizio d una prestazione professionale una diligenza proporzionata alla natura dell attività esercitata. L intensità della colpa del medico va pertanto valutata con riferimento non al generico modello del bonus Pagina 12 di 68

paterfamilias, ovvero dell uomo coscienzioso e diligente, ma con riferimento al modello astratto del professionista diligente. Non è possibile ovviamente stabilire a priori quale sia il modello astratto del bonus medicus o del bonus vulnerarius, ma utili elementi possono essere offerti dalla analisi sistematica della giurisprudenza. Dal punto di vista teorico, la nozione di colpa lieve è stata ben scolpita da Cass., 22-02-1988, n. 1847, in Arch. civ., 1988, 684, la quale ha affermato che versa in colpa lieve il medico che, di fronte ad un caso ordinario, non abbia osservato, per inadeguatezza od incompletezza della preparazione professionale, ovvero per omissione della media diligenza, quelle regole precise che siano acquisite, per comune consenso e consolidata sperimentazione, alla scienza ed alla pratica, e, quindi, costituiscano il necessario corredo del professionista che si dedichi ad un determinato settore della medicina. Non si deve tuttavia pensare che versi in colpa lieve soltanto il medico che non si attenga alle comuni regole della scienza e della pratica. Può versare in colpa anche il medico che non si aggiorni o non si sia aggiornato; quello che abbia sovrastimato le proprie capacità; quello che abbia omesso di informare il paziente anche degli aspetti o dei rischi secondari dell operazione (una affermazione recisa di tale ultimo obbligo è stata compiuta dai giudici d oltralpe, i quali hanno ritenuto che il medico non è dispensato dall obbligo di informazione per il solo fatto che il rischio si verifichi soltanto eccezionalmente: Cour de cass., 7.10.1998, 97-10.267, in Recueil Dalloz, 1999, 144). Da un punto di vista pratico l esame delle singole fattispecie sottoposte all esame della S.C. rivela come la nostra giurisprudenza sia per lo più propensa a ritenere sussistente la colpa grave del medico convenuto. Si direbbe, in altri termini, che delle due l una: o la domanda di risarcimento nei confronti del medico viene rigettata; o se, viene accolta, il giudizio di responsabilità si fonda sulla colpa grave, e quasi mai sulla colpa lieve. Così, ad esempio, è stato ritenuto in colpa grave: Pagina 13 di 68

-) il medico che abbia somministrato un anestetico locale, rivelatosi poi letale per il paziente, senza previamente eseguire alcun previo accertamento sulle condizioni del paziente stesso (Cass., 01-03-1988, n. 2144, in Foro it., 1988, I, 2296); -) il medico specializzato in ortopedia per avere affrontato, con esito negativo, un intervento di alta neurochirurgia (Cass. 26.3.1990 n. 2428, in foro it. Rep., 1990, voce Professioni intellettuali, n. 113); -) il medico che abbia omesso di informare una donna sul possibile esito negativo dell intervento abortivo cui si era sottoposta, in un caso in cui la paziente, dopo l intervento, aveva volontariamente abbandonato l ospedale (Cass., sez. III, 08-07-1994, n. 6464, in Corriere giur., 1995, 91, con nota di Batà); -) il medico che, nell esecuzione di un trattamento chirurgico di riduzione di una lussazione dell anca e di frattura femorale, con rimozione dei frammenti articolari, abbia lasciato libero nella cavità acetabolare un frammento osseo della testa femorale (Cass., sez. III, 11-04-1995, n. 4152, in Enti pubblici, 1996, 908); -) il medico che abbia omesso di rilevare una frattura del femore (Cass., sez. III, 12-08-1995, n. 8845, in Foro it. Rep. 1995, voce Professioni intellettuali, n. 170); -) il medico primario che, pur essendo in ferie, abbia ritardato un intervento indifferibile, causando un danno al paziente (C. conti 20.9.1996, n. 100/A, in Riv. corte conti, 1997, fasc. 2, 103); -) il medico che, chiamato ad intervenire chirurgicamente su una tumefazione al seno, decida di asportare l intera ghiandola mammaria senza previamente eseguire un esame istologico intraoperatorio (Cass. 2.12.1998 n. 12233, inedita). 4.2. L onere della prova. Si è visto dunque che il giudice di legittimità ha operato in materia di responsabilità del medico, una tripartizione: Pagina 14 di 68

a) per l insuccesso di interventi e prestazioni routinari, il medico risponde anche se versa soltanto in colpa lieve; b) per l insuccesso di interventi e prestazioni non routinari, il medico risponde solo se versa in colpa grave; c) per l insuccesso di interventi e prestazioni non routinari, il medico risponde anche se versa soltanto in colpa lieve, qualora la colpa sia consistita in negligenza od imprudenza. Come si ripartisce, nelle varie ipotesi, l onere della prova tra medico e paziente? In passato, la giurisprudenza del giudice di legittimità distingueva due ipotesi: (A) se l intervento è routinario, il fatto stesso che non sia riuscito pone a carico del medico una presunzione de facto di imperizia (si ricordi che la presunzione semplice è il fatto noto dal quale il giudice, con una deduzione logica, risale ad un fatto ignoto (art. 2727 c.c.), secondo il principio res ipsa loquitur. Pertanto in questi casi: (a ) il paziente ha l onere di provare soltanto la routinarietà dell intervento; (a ) sarà il medico, se vuole andare assolto, a dover provare che l insuccesso va ascritto a complicazioni imprevedibilmente insorte. (B) Se l intervento è complesso, il fatto che non sia riuscito non è idoneo a far ritenere imperito il medico. Pertanto: (b ) il medico ha soltanto l onere di provare la complessità dell intervento; (b ) sarà il paziente, se vuole ottenere la condanna del medico, a dover provare che, nonostante la complessità dell intervento, l insuccesso va ascritto ad una banale imprudenza o negligenza del medico. Le sentenze in questo senso sono state numerose e sempre conformi: si vedano, tra le ultime, Cass. 21.7.2003 n. 11316; Cass. 16-11-1988 n. Pagina 15 di 68

6220, in Foro it. Mass., 1988; Cass. 16-11-1993 n. 11287, in Foro it. Mass., 1993; Cass. 18-10-1994 n. 8470, in Foro it. Mass., 1994; Cass. 30.5.1996 n. 5005, in Foro it. Mass. 1996. Questo orientamento è stato tuttavia ormai abbandonato. Ed infatti, in seguito all intervento delle Sezioni Unite, si è stabilito che colui il quale lamenta l'inadempimento di una obbligazione contrattuale deve soltanto dimostrare l'esistenza e l efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare o di avere adempiuto, ovvero che l'inadempimento non è dipeso da propria colpa (cfr., da ultimo, Cass. sez. un. 30.10.2001 n. 13533, in Dir. e giust., 2001, fasc. 42, 26). Tali princìpi trovano applicazione anche nell ipotesi di responsabilità professionale del medico. In questi casi, è dunque onere del medico dimostrare che il danno non sussiste, ovvero non è dipeso da propria colpa (ex permultis, Cass. sez. un. 11.1.2008 n. 577; Cass., sez. III, 23-05-2001, n. 7027, in Danno e resp., 2001, 1165; Cass., sez. III, 06-10- 1997, n. 9705, in Giust. civ., 1998, I, 424; nonché, per la giurisprudenza di merito, ex multis, Trib. Roma 30.11.2003, Plaitano c. Toscana, inedita; Trib. Roma 30.6.2003, Felix c. Marcorelli, inedita; Trib. Roma 1.8.2003, Nardozi c. Diotallevi, inedita). Per effetto del nuovo orientamento, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l'inadempimento del professionista, restando a carico di quest ultimo l'onere di provare l'esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà rileva soltanto per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà (Cass. sez. un. 11.1.2008 n. 577; Cass. 9.11.2006 n. 23918; Cass. 31.7.2006 n. 17306; Cass. 24.5.2006 n. 12362). Pagina 16 di 68

Una considerazione a parte merita l ipotesi in cui il medico ha garantito al paziente il conseguimento di un determinato risultato. Infatti nel contratto avente ad oggetto una prestazione di chirurgia estetica (ma il principio può certamente estendersi anche a settori diversi dalla chirurgia estetica: si pensi agli interventi di eliminazione della miopia con terapia laser), il sanitario può assumere una semplice obbligazione di mezzi, ovvero anche una obbligazione di risultato, da intendersi quest'ultimo non come dato assoluto ma da valutare con riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilità consentite dal progresso raggiunto dalle tecniche operatorie (Cass. 25-11-1994 n. 10014, in Foro it., 1995, I, 2913). In questi casi, il sanitario è responsabile nei confronti del cliente per l omesso conseguimento del risultato promesso, ma l onere di provare che il sanitario aveva garantito il risultato incombe sul paziente (Cass. 10014/94, cit.). 5. Il nesso causale. Anche l accertamento del nesso causale, in tema di responsabilità medica, soggiace a regole particolari di matrice giurisprudenziale. La particolarità dell accertamento del nesso causale, nell ipotesi di colpa medica, consiste nel fatto che, per potere affermare la responsabilità del sanitario, è necessario accertare che, se il medico avesse tenuto il comportamento alternativo corretto, il paziente non avrebbe subito pregiudizi (avrebbe, cioè, evitato la morte o il danno alla salute). Sui criteri di accertamento di tale nesso causale si registra tuttavia un contrasto tra le sezioni penali e quelle civili della S.C.. Le Sezioni Unite penali della Cassazione, componendo il precedente contrasto relativo ai criteri di accertamento del nesso di causalità tra l'omissione del medico e l'esito infausto della malattia, hanno ritenuto non condivisibile quell orientamento che, in tema di responsabilità per omessa diagnosi, si richiamava alla nozione di serie ed apprezzabili possibilità di successo (Cass. sez. un. 11.9.2002 n. 30328, in Dir. e giust. 2002, fasc. Pagina 17 di 68

35, 21, con nota di Pezzella, Colpa medica e nesso di causalità nel reato omissivo improprio). Secondo la tesi accolta dalle sezioni unite penali (che spiega i propri effetti anche in tema di responsabilità aquiliana, posto che le regole di cui agli artt. 40 e 41 c.p. disciplinano il principio di causalità tanto in materia penale quanto in materia civile), in tema di accertamento del nesso causale tra colpa medica per omissione e danno risarcibile si dovrà fare ricorso a criteri logici che possono essere così riassunti: (a) per quanto attiene all accertamento del nesso causale tra omissione e danno, resta valido il ricorso al giudizio controfattuale, ossia a quella particolare astrazione consistente nell ipotizzare quali sarebbero state le conseguenze della condotta alternativa corretta omessa dal medico; (b) per quanto attiene al grado di probabilità, in base al quale stabilire astrattamente se l effettuazione della condotta omessa avrebbe sortito effetti positivi per la salute o la vita del paziente, occorre avere riguardo non già alla mera probabilità statistica desunta dai precedenti clinici, ma al differente concetto di probabilità logica, la quale deve essere prossima alla certezza; (c) la probabilità logica, a sua volta, va accertata collazionando le probabilità statistiche di successo dell intervento omesso con tutte le circostanze del caso concreto, quali risultanti dal materiale probatorio raccolto (cfr. Cass. 30328//02, cit., pp. 26-27). In definitva, per le sezioni penali della Cassazione, al vecchio criterio delle serie ed apprezzabili possibilità di successo è venuto a sostituirsi quello della alta o elevata credibilità razionale del giudizio controfattuale. Le sezioni civili della Cassazione non si sono tuttavia uniformate a tale orientamento, ritenendo il giudizio controfattuale soddisfatto, in tema di colpa omissiva, quando si possa ritenere che, in presenza della condotta omessa, il danno avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di non accadere. Questo scostamento delle sezioni civili da quelle penali in Pagina 18 di 68

tema di accertamento della causalità omissiva, dopo qualche contrasto, è stato ribadito dalla importante decisione resa da Cass. sez. un. 11.1.2008 n. 581, nella quale si è definitivamente stabilito che ai fini del risarcimento del danno il nesso causale tra una condotta omissiva e l evento dannoso deve ritenersi sussistente ogni qual volta possa affermarsi, in base alle circostanze del caso concreto, che la condotta alternativa corretta avrebbe impedito l avverarsi dell evento con una probabilità superiore al 50%, secondo la regola del più sì che no. Successivamente all intervento delle SS.UU., tale principio è stato ribadito da Cass. 17.1.2008 n. 867. Quindi, mentre per la Cassazione penale il nesso causale tra omissione ed evento esige l accertamento che senza l omissione il danno non si sarebbe verificato con alta o elevata credibilità raizonale, per la Cassazione civile il nesso causale tra omissione ed evento non esige la certezza assoluta che senza la condotta il danno sarebbe accaduto, ma semplicemente una probabilità superiore al 50% che ciò sarebbe accaduto. (Sul tema si veda anche la scheda Nesso causale ). 5.1. La prova del nesso causale. In tema di responsabilità medica, il giudice di legittimità ha poi ammesso la possibilità di pronunciare un giudizio di condanna nei confronti del medico in base ad un nesso di causalità presunto. E stato infatti affermato che quando non è possibile stabilire se la morte di un paziente sia stata causata dall incuria del medico curante o da altre cause, e l incertezza derivi dalla incompletezza della cartella clinica o dall omesso compimento di altri adempimenti ricadenti sul medico, quest ultimo deve ritenersi responsabile del decesso, allorché la sua condotta sia stata astrattamente idonea a causarlo (Cass. 13.9.2000 n. 12103, in Dir. e giust., 2000, fasc. 34, 33; Cass. 21.7.2003 n. 11316). Pertanto, quando applica il principio della causalità adeguata alla materia della Pagina 19 di 68

responsabilità del medico, la corte sembra aggiungervi un ulteriore corollario in materia di riparto dell onere della prova, che può essere così riassunto: (a) se è accertato che il medico ha posto in essere un antecedente causale astrattamente idoneo a produrre il danno; (b) se non è accertato se, nella specie, il danno sia stato effettivamente causato dalla condotta del medico; (c) in simili evenienze, incombe sul medico l onere di provare concretamente, se vuole andare esente da responsabilità, che il danno è dipeso da un fattore eccezionale ed imprevedibile. 6. Il consenso informato ed il fondamento normativo dell obbligo di informare. L emersione del requisito del consenso libero e consapevole del paziente, quale presupposto di legittimità dell operato del medico, costituisce l aspetto più importante dell evoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinaria degli ultimi anni, in tema di responsabilità del medico. Si ricordi che, secondo la giurisprudenza meno recente, il medico ha seco la presunzione di capacità nascente dalla laurea (Cass. 22.12.1925, in Giur. it. 1926, I, 1, 537). Questa concezione - assai risalente nel tempo - comportava una serie di corollari: in particolare, quello secondo cui nel rapporto medico-paziente quest ultimo non dovesse impicciarsi delle scelte del medico, unico e solo dominus della strategia terapeutica. L assetto della materia è mutato con l introduzione del codice civile del 1942, e quindi con la promulgazione della Carta costituzionale del 1947. In considerazione del preminente rilievo che la nuova Carta costituzionale riconosceva alla salute come diritto dell individuo, la giurisprudenza cominciò a configurare la necessità del consenso del paziente quale causa di giustificazione di un atto - quello medico - che, essendo Pagina 20 di 68