LA LUNGA E NON CONCLUSA STORIA DELL INQUINAMENTO IN ITALIA



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Transcript:

LA LUNGA E NON CONCLUSA STORIA DELL INQUINAMENTO IN ITALIA di Stefano Ciafani * e Giorgio Zampetti ** Il lungo ed impressionante elenco dei veleni che inquinano il nostro Paese richiede (richiederebbe ) interventi complessi che da tempo la magistratura contabile aveva sollecitato: era infatti il 2003 quando la Corte dei Conti aveva bocciato lo svolgimento del programma nazionale di bonifica soprattutto per i risultati del tutto modesti che erano stati fino ad allora realizzati. A quattro anni di distanza, il programma sembra ancora procedere lentamente. Ma a preoccupare di più è quanto sta emergendo da diverse indagini giudiziarie circa le rotte di smaltimento illecito dei rifiuti e delle terre contaminate: dove alla lentezza delle istituzioni si contrappone l efficacia, ancorché perversa, della criminalità. The long and awesome list of poisons that pollute our country demand complex actions that financial institutions have long been asking: in 2003 the Italian Corte dei Conti (Court of Auditors) had given the National Drainage Programme the red light, mostly because of its definitely modest outcomes achieved up to that stage. Four years later the programme still seems to be running too slow. The more worrying aspect is represented by the outcomes of the several investigations about the illegal disposal of urban solid waste and of contaminated land, a scenario where the slow and inefficient pace of the institutions is confronted with the perverse effectiveness of criminal organisations. dei poli industriali che producevano l eternit a Casal Monferrato, Bagnoli, Broni o Bari, e quello delle cave L amianto da cui veniva estratto a Balangero ed Emarese. I policlorobifenili a Brescia, gli Ipa nelle acque sotterranee di Falconara Marittima, Bagnoli e Gela, i solventi organoalogenati della bassa valle del Chienti * Responsabile scientifico di Legambiente; ** Ufficio scientifico di Legambiente SILVÆ 33

nelle Marche e poi la diossina a Pitelli e Marghera e le ferriti di zinco a Crotone. E ancora il mercurio scaricato in mare a Priolo e nella laguna di Grado e Marano, il cromo esavalente della Stoppani nelle falde acquifere di Cogoleto, il cadmio nel suolo e nel sottosuolo di Livorno e il Ddt nel lago Maggiore. È lungo e impressionante l elenco dei veleni che inquinano le aree censite nel Programma nazionale di bonifica: 154mila ettari di territorio contaminato, di cui poco meno della metà - 74mila - solo a Casal Monferrato, circa 14mila nel litorale domitio-flegreo e nell agro aversano, 5.800 a Brindisi e 3.500 a Porto Marghera. I rifiuti, non solo industriali, che sono all origine di queste contaminazioni (scorie di fonderia, sali da rifusione di alluminio, fanghi, morchie oleose, oli esausti, melme acide, ceneri leggere da incenerimento, polveri di abbattimento fumi della siderurgia, pesticidi, solo per citarne alcuni) richiedono interventi complessi. Anche per le quantità in gioco: si va dai 7 milioni di metri cubi di sedimenti contaminati da dragare in laguna di Venezia al milione e mezzo di metri cubi di rifiuti da rimuovere nelle 110 discariche non controllate della provincia di Frosinone, dai 300mila metri cubi dell area abruzzese relativa ai fiumi Saline e Alento ai 600mila metri cubi di terreni contaminati da Ddt, arsenico e mercurio di Pieve Vergonte in Piemonte. Oppure le incredibili emissioni in atmosfera dell Ilva di Taranto che da sola emette il 70% delle emissioni nazionali e il 10% di quelle europee di monossido di carbonio da attività industriali, o i rischi sanitari, con i sarcomi dei tessuti molli di Mantova nei pressi dell inceneritore ex Enichem, le malformazioni congenite nel triangolo Augusta-Priolo-Melilli e il mesotelioma pleurico degli abitanti a Biancavilla. Sono questi, in sintesi, alcuni dei dati più significativi che riguardano l inquinamento presente nelle aree da bonificare nel nostro Paese. Sono molte, purtroppo, le questioni ancora irrisolte. A cominciare da quelle di carattere squisitamente tecnologico. Un esempio lampante è quello dell esercizio di tanti impianti di produzione di cloro da cloruro di sodio mediante cella a catodo di mercurio, nonostante l alternativa praticabile della tecnologia a membrana, di gran lunga più efficace anche dal punto di vista ambientale. Ma i ritardi nell adozione di tecnologie migliori riguardano anche altri casi eclatanti come gli stabilimenti Syndial 34 SILVÆ

di Priolo (Sr), al centro dello scandalo del mercurio in mare che portò all arresto dei vertici del petrolchimico siciliano nel gennaio 2003, la Caffaro di Torviscosa (Ud) e la Tessenderlo di Pieve Vergonte (Vc). O le acciaierie di Taranto e di Piombino ancora in incomprensibile ritardo sulla riduzione delle ingenti emissioni in atmosfera. Al problema di come migliorare lo svolgimento delle attività industriali più a rischio di contaminazione, garantendo l occupazione, si somma quello dello stentato avvio del risanamento delle aree già inquinate. Lo slancio al settore delle bonifiche auspicato dopo l avvio del Programma nazionale, a oltre nove anni dal suo varo, purtroppo non si è ancora concretizzato. Lo aveva denunciato la Corte dei conti all inizio del 2003, non si può che confermarlo ancora oggi. Era il gennaio 2003, lo ricordiamo, quando arrivò la bocciatura istituzionale da parte della Corte dei Conti sullo svolgimento del programma e sui «risultati del tutto modesti» ottenuti fino ad allora. La magistratura contabile evidenziava infatti che «lo svolgimento del programma si trova ancora nella fase delle attività preliminari agli interventi di bonifica e non è dato prevedere i tempi della conclusione delle opere». A testimoniare il ritardo del Programma venivano elencate le 29 perimetrazioni approvate fino allora, i pochi piani di caratterizzazione e progetti di messa in sicurezza d emergenza approvati, i soli 3 progetti definitivi approvati con tanto di decreto interministeriale (tutti riguardanti l area industriale di Porto Marghera), di cui uno solo effettivamente concretizzato. Sono trascorsi quattro anni da quella relazione e lo scenario, purtroppo, non cambia di molto. Il programma nazionale, insomma, procede lentamente. Analizzando attentamente la questione risulta poi evidente come anche quello del trattamento dei rifiuti derivanti dai siti industriali e dalle attività di bonifica è un capitolo sostanzialmente irrisolto. Vale la pena ricordare come il DM 471/99, oggi abrogato dal D.L.vo 152/2006, privilegi il trattamento in situ oppure on site proprio per ridurre i rischi derivanti dal trasporto e dal conferimento in discarica dei rifiuti e delle terre contaminate (anche alla luce delle sempre minori volumetrie disponibili nelle discariche per rifiuti pericolosi e non o della difficoltà di reperire nuove aree per localizzare impianti ex novo). SILVÆ 35

Quando non si trattano nel sito, i rifiuti in questione prendono sempre più spesso la via dell estero, soprattutto con destinazione la Germania: è il caso delle oltre 70mila tonnellate di sali sodici essiccati dell Acna di Cengio. Ma questo continuo riproporsi della soluzione d esportazione deve cominciare a far riflettere un po tutti. Ancora più inquietante, invece, è quanto sta emergendo da diverse indagini giudiziarie circa le rotte di smaltimento illecito dei rifiuti e delle terre contaminate che provengono da interventi di bonifica, soprattutto quelli di piccole e medie dimensioni. Legambiente ha già denunciato questa nuova filiera dei traffici illeciti nelle ultime edizioni del Rapporto Ecomafia. E i risultati delle indagini compiute dal 2002 ad oggi dalle forze dell ordine, in particolare il Comando Tutela Ambiente dell Arma dei Carabinieri (operazioni Murgia Violata, Houdini e Pinocchio), non lasciano dubbi: nel nostro Paese si è già cominciato a trafficare e a smaltire illecitamente le terre e i rifiuti derivanti dalle operazioni di bonifica. L effetto diretto dei trattamenti in situ consisterebbe proprio nell evitare quella movimentazione che sta scatenando il business dei traffici illeciti di rifiuti derivanti da attività di bonifica. Un circolo vizioso che si autoalimenta, per cui si fa la bonifica portando via tutti i rifiuti e dichiarando che verranno destinati a interramento controllato. Poi però nel tragitto che dal sito inquinato li dovrebbe portare alla discarica autorizzata, i rifiuti si perdono nel nulla, andando ad inquinare un altro sito che a sua volta rischia di essere bonificato allo stesso modo. Alla lentezza delle istituzioni, insomma, fa da contraltare, come sempre, la rapidità e in un certo senso l efficacia, anche se perversa, degli interessi criminali. Lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi: il caso del litorale domizio flegreo e Agro aversano Il sito di interesse nazionale rientra nelle province di Napoli e Caserta e comprende il territorio di 61 Comuni, in cui sono stati smaltiti illegalmente negli ultimi 25 anni alcuni milioni di tonnellate di rifiuti speciali, spesso pericolosi. L inserimento di quest area all interno del Programma nazionale di bonifica è anche frutto della puntuale e rigo- 36 SILVÆ

rosa denuncia dei traffici e degli smaltimenti illeciti da parte delle organizzazioni camorristiche della zona, iniziata da Legambiente nel 1994, quando si pubblicò il primo Rapporto Ecomafia (in quell occasione insieme all Eurispes e al Comando generale dell Arma dei Carabinieri). Lo smaltimento è avvenuto in discariche autorizzate ma per rifiuti non pericolosi, in cave dismesse non impermeabilizzate (come i cosiddetti laghetti della camorra del litorale domizio), in terreni destinati all agricoltura, in aree demaniali come le sponde dei fiumi, ecc. Negli ultimi anni si sta praticando una soluzione alternativa al tombamento illegale per smaltire illegalmente i rifiuti pericolosi: l incenerimento abusivo all aperto. Soprattutto nell area che comprende l Agro aversano, in provincia di Caserta, e diversi comuni a nord di Napoli, in particolare nel triangolo Qualiano-Giugliano-Villaricca, ribattezzata da Legambiente come la terra dei fuochi. Questa pratica selvaggia di incenerire i rifiuti produce rilevantissime quantità di diossine e furani. La contaminazione da diossina in questo modo interessa i suoli, la falda acquifera, il foraggio per l alimentazione del bestiame e la frutta e la verdura per l alimentazione umana. È anche per questo che sono ancora sotto sequestro alcune migliaia di capi di bestiame, che producono latte contaminato da diossina. Il danno economico dell emergenza diossina in Campania ammonta ad almeno 1,79 milioni di euro, tra il costo per l incenerimento dei capi abbattuti (circa un milione e 624mila euro) ed il valore economico del latte distrutto (45mila euro). Altra tecnica molto di moda negli ultimi tempi è quella di scaricare il contenuto di reflui industriali delle autocisterne direttamente nei tombini. In diverse occasioni il contenuto acido scaricato nelle fognature dà luogo al fenomeno, molto ricorrente da quelle parti, del cosiddetto tombino fumante. Insomma un vero e proprio disastro ambientale realizzato scientificamente dalla camorra dei rifiuti. Le indagini giudiziarie sullo smaltimento illegale dei rifiuti in questa zona sono innumerevoli. Soprattutto negli ultimi dieci anni l attenzione delle forze dell ordine specializzate si è concentrata sulle attività di smaltimento illegale dei rifiuti, senza trascurare però gli impianti autorizzati. Per un approfondimento si rimanda al paragrafo sul ciclo dei rifiuti della Campania di tutti i Rapporti sull Ecomafia e la criminalità SILVÆ 37

ambientale che Legambiente ha pubblicato dal 1994 ad oggi. Per quanto riguarda invece le indagini epidemiologiche è stata pubblicata sul numero di novembre-dicembre 2004 di Epidemiologia e prevenzione una interessante quanto preoccupante ricerca su la terra dei fuochi condotta da diversi enti istituzionali a cui ha contribuito anche Legambiente Campania. Secondo la ricerca diverse sono le sedi tumorali per le quali la mortalità è significativamente accresciuta e anche le malattie circolatorie sono significativamente in eccesso ed il diabete mostra alcuni aumenti. Lo studio non indica ancora il nesso causale tra la presenza di discariche e l aumento della mortalità, ma dal primo step di ricerca è risultato chiaro che l area è a rischio e che necessita di studi più approfonditi. Porto Marghera, la più grande area industriale italiana La zona industriale di Porto Marghera fa parte del territorio comunale di Venezia con 457,47 km 2 di estensione e 309mila abitanti. La prima grande industria nell area sorse nel 1883. A questa negli anni a seguire se ne aggiunsero tante altre fino ad arrivare all inizio degli anni Settanta ad un agglomerato di circa 200 aziende, con circa 30mila addetti e con oltre 7 milioni di tonnellate/anno di merci in transito per il porto industriale. Tra gli anni Settanta e Ottanta ci fu un inversione di tendenza, con una stagnazione dell industria e un aumento del traffico marittimo. Nel 2000 gli addetti ammontavano a poco meno di 13mila unità impiegate in circa 300 aziende. A Marghera, in oltre cento anni di attività si sono svolte una grandissima quantità di attività produttive: uno dei più grandi poli chimici d Europa, alluminio, cantieristica navale, petrolifero - raffinazione, siderurgia, energia elettrica e commercio di prodotti petroliferi. Negli anni le attività industriali hanno rilasciato nell area interessata e nelle zone circostanti grandissime quantità di inquinanti la cui presenza è stata riscontrata nei suoli, nelle acque e nei sedimenti lagunari. Oltre alle migliaia di tonnellate di sostanze tossiche e nocive che ogni anno venivano rilasciate nell aria dai camini degli impianti. Molte sono le testimonianze e i documenti che certificano le malattie e le morti che hanno coinvolto gli operai di Porto Marghera. Sarebbe troppo lungo elencarli tutti con i relativi risultati, per cui si ri- 38 SILVÆ

manda al dossier di Legambente pubblicato nel maggio 2005 La chimera delle bonifiche. Basti ricordare che i primi dati allarmanti arrivarono con il dossier, pubblicato nel 1994, scritto da Gabriele Bortolozzo, un ex operaio del Petrolchimico che, accortosi della morte per cancro di quattro dei suoi cinque compagni di lavoro addetti alla ripulitura delle autoclavi nella produzione del Cvm, dedicò tutto se stesso alla ricostruzione dei disastri ambientali e dell annientamento delle vite di tanti operai. A questo sono seguiti una serie di studi tra cui, recentemente, anche un lavoro dell Istituto Superiore di Sanità sulla mortalità degli esposti a cloruro di vinile monomero nello stabilimento Montedison-Enichem. Il sito viene inserito nel programma nazionale di bonifica con la legge 426/1998. L area perimetrata comprende un totale di quasi 4000 ettari. Il 21 ottobre 1998 viene sottoscritto l Accordo di programma per la chimica di Porto Marghera, con l obiettivo di risanare e tutelare l ambiente attraverso azioni di messa in sicurezza e bonifica dei siti inquinati, indurre adeguati investimenti industriali, operare per il mantenimento, il rilancio e la qualificazione dell occupazione. Priolo, dallo sviluppo industriale alla criticità sanitaria-ambientale Priolo Gargallo, oggi rinomato per i suoi veleni, o come sostiene qualcuno per i progressi dell industrializzazione, insieme ad Augusta e Melilli, ha vissuto una notevole fase di espansione urbanistica per poter dare dimora alle migliaia di lavoratori delle fabbriche della zona. Questi hanno sempre visto di buon occhio lo sviluppo di una realtà industriale, a loro sconosciuta, fino agli inizi degli anni Settanta, quando l esaurimento dello sviluppo del polo industriale, soprattutto in termini di nuovi posti di lavoro, e il crescere di una questione sanitaria-ambientale sempre più preoccupante manifestata da mare nero, morie di pesci, ma soprattutto insorgenza di patologie tumorali e nascite di bambini malformati, hanno causato una inversione di tendenza. La prima raffineria risale ai primi anni Cinquanta, quando il consorzio per l Area di sviluppo industriale decide di lottizzare trenta chilometri di costa tra Augusta e Siracusa per dare inizio a quello che sarebbe stato il più grande disastro ecologico siciliano. Le industrie sorte nel- SILVÆ 39

l area si sono sviluppate senza un piano razionale, senza impianti di depurazione e con decine di collettori di scarico a mare e/o nei piccoli corsi d acqua. Il polo industriale di Priolo, 43 milioni di metri quadrati, è oggi una realtà molto complessa che interessa anche i comuni di Augusta, Melilli, Siracusa, Floridia e Solarino. All interno del polo industriale svolgono le loro attività numerose aziende. L intensa attività ha causato il rilascio nei suoli e nelle acque di diverse sostanze tossiche quali ammoniaca, acido fluoridrico, cloro, idrogeno solforato, mercurio, l elevata presenza di discariche, di cui molte abusive, all interno e all esterno dell area industriale, il depauperamento della falda idrica che ha causato un forte abbassamento del livello piezometrico, il degrado della qualità dell aria connessa alle elevate emissioni dei camini delle industrie del polo petrolchimico. Un segno profondo nella storia recente di Priolo lo ha lasciato l Operazione Mar Rosso : il 16 gennaio 2003 vengono arrestati 17 tra dirigenti e dipendenti dello stabilimento ex Enichem (ora Syndial), per aver costituito una vera e propria «associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di ingenti quantità di rifiuti pericolosi contenenti mercurio». I danni sono evidenti anche e soprattutto dalle indagini epidemiologiche condotte nell area. Una delle denunce più inquietanti arriva da Giacinto Franco, ex primario di pediatria dell ospedale augusteo, secondo cui nell ultimo ventennio l incidenza di malformazioni prenatali sulla popolazione esposta all inquinamento chimico è stata del 5,6% contro il 2% della soglia massima indicata dall Oms. Con la legge 426/98 l area di Priolo è diventato uno dei primi 15 siti di interesse nazionale da bonificare, perimetrato con DM il 10 gennaio 2000 per una superficie totale di circa 3.350 ettari. I siti dell amianto L Italia fino al 1992, anno in cui l uso di amianto è stato bandito, ha prodotto quasi 4 milioni di tonnellate di amianto, più quello che veniva importato. I siti inseriti nel programma nazionale di bonifica in cui si lavorava o si estraeva amianto in Italia sono: Casale Monferrato, Broni, Emarese, Balangero, Bari Fibronit e Biancavilla; in tutti si è tuttora nella fase di caratterizzazione o di alcuni interventi di messa in sicurezza, no- 40 SILVÆ

nostante alcuni siano entrati nel programma di bonifica già dal 1998. L amianto è dannoso alla salute essendo la causa del mesotelioma pleurico. In Italia è stata studiata la mortalità per mesotelioma pleurico nel periodo 1988-1997 e regioni come Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia e Piemonte risultano con i valori più elevati a livello nazionale: 1.310 morti per tumore maligno alla pleura in Piemonte, 1.082 in Liguria, 1.787 in Lombardia, quasi tutte associate alla diretta esposizione all amianto, e secondo recenti stime il numero negli anni futuri è destinato a crescere. Per molti anni l amianto è stato lavorato e trattato con molta noncuranza del rischio per la salute. A Biancavilla, un paese di 23 mila abitanti della provincia di Catania, la popolazione ormai da decenni subisce un esposizione alla fluoro-edenite, un minerale fibroso simile all amianto scoperto recentemente in una cava nei pressi dell abitato, dato che molti edifici e la pavimentazione delle strade sono stati fatti con materiale proveniente dalla cava. È ora in atto a Biancavilla un ampio intervento di risanamento, sono in corso studi epidemiologici, clinici e sperimentali, e si stanno mettendo a punto strategie di comunicazione del rischio e di coinvolgimento della popolazione nella gestione del problema. I siti industriali di interesse locale Le acciaierie di Cornigliano all interno della città di Genova, l area Ex Ip di La Spezia prima raffineria Ip e Shell poi, i petrolchimici di Ravenna e di Ferrara, la FIM di Porto S. Elpidio per la produzione di concimi e prodotti chimici, la Sgl Carbon di Ascoli Piceno, a ridosso del centro storico cittadino, la discarica di Campolungo (AP), sulla sponda del fiume Tronto, il sito industriale di Narni nei pressi delle gole del Nera, un sito di alto valore naturalistico classificato come SIC (sito di interesse comunitario), e il sito industriale di Guidonia - ex Chimeco, dove sono stoccati grandi quantità di rifiuti pericolosi in una zona densamente abitata alle porte di Roma: queste solo alcune delle situazioni locali che rappresentano vertenze storiche di Legambiente. Nonostante le dimensioni più piccole e sicuramente una produzione molto minore rispetto ai siti di interesse nazionale, anche in questi impianti si sono verificate situazioni di dispersione di inquinanti e quindi si SILVÆ 41

è prodotta una certa quantità di materiale contaminato da sottoporre a bonifica in tutto l ambiente circostante. Ad esempio, nel 1996 la rottura di un silos alla ex Chimeco di Guidonia ha causato la dispersione di 8mila litri di liquidi altamente tossici nell ambiente circostante; i rifiuti stoccati nella discarica di Campolungo producono ogni giorno circa 35 metri cubi di percolato, con sversamento nelle acque superficiali e nelle acque di falda; i danni alla salute e le morti tra gli operai dei petrolchimici di Ferrara e Ravenna per l esposizione a cloruro di vinile; per finire, il rilevante inquinamento causato dal polo siderurgico di Cornigliano, un area che occupa 1,3 milioni di metri quadrati all interno della città di Genova, tra l aeroporto e i quartieri di Cornigliano e Sestri Ponente. 42 SILVÆ