IL PORTO DI MESSINA TRA 800 E 900



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Transcript:

IL PORTO DI MESSINA TRA 800 E 900 Ancora nel 1850 e sino all Unità Messina forniva, per la gradualità delle sue dogane e per la grandezza e sicurezza del suo porto, essenziali vantaggi al commercio e alla navigazione. Era stata peraltro rafforzata come porto franco, confermando un decreto del parlamento rivoluzionario. E aveva intrapreso più vasti scambi con l Inghilterra, la Francia, con i paesi del Nord Europa, con quelli del Mar Nero, con gli Stati Uniti d America. La reintroduzione del porto franco, raccordata al momento politico e alla nuova dinamica dell interscambio europeo, oltre che al concreto aumento di talune produzioni isolane specializzate, segnava dunque una netta inversione di tendenza, provocando un forte rilancio del movimento commerciale e portuale messinese. Tutte le fonti concordano infatti su tale forte ripresa delle relazioni commerciali e degli scambi con i paesi dell Europa e con l America. Nel porto messinese erano immessi soprattutto le merci provenienti dall estero e in particolare la produzione tessile inglese, ma vi giungevano in cabotaggio anche i prodotti delle aree limitrofe calabro-sicule. La città con i suoi operatori locali e stranieri di fatto operava una sorta di osmosi nella redistribuzione di quei prodotti provenienti per lo più dall Inghilterra e comunque in genere dall estero. Spesso erano prodotti industriali, ma anche spezie e generi coloniali provenienti dalle Indie Occidentali o da quelle Orientali che, raggiunto il porto messinese, erano scambiati con la produzione locale, in un intreccio di rotte commerciali e di navi con al centro Messina e il suo porto. Sotto l aspetto del movimento marittimo è opportuno far notare come nel 1850 il porto di Messina si collocasse al nono posto tra i porti del Mediterraneo, dopo Costantinopoli, Marsiglia, Trieste, Livorno, Genova, Isole Ionie, Gibilterra, Barcellona e prima di Malta, Alessandria e Smirne. Ma ancora alla fine degli anni Settanta

dell Ottocento è il primo della Sicilia e comunque precede quello di Napoli. Nel 1870 infatti è al sesto posto tra quelli del Mediterraneo, superato soltanto dai porti di Costantinopoli, Marsiglia, Genova, Alessandria d Egitto e Livorno. Quindi tra i porti italiani è sostanzialmente al terzo posto, avendo superato persino quello di Trieste. L Unità d Italia comunque aveva segnato, per così dire, un rilancio più consistente, tale da far ritenere la nuova fase inizio di una ripresa e ristrutturazione definitiva. Messina conosceva allora, percentualmente, una fortissima crescita, molto più marcata di porti importanti come Trieste e Genova. Il porto messinese si riempiva nuovamente di navi di tutte le nazionalità: l incremento dell esportazione di derrate agricole e la navigazione a vapore, che dirigeva la marina mercantile a rifornirsi di viveri e carbone in un punto tanto centrale del Mediterraneo, davano vitalità a tutte le operazioni commerciali. In realtà sino alla fine dell Ottocento vi era una vasta area che dipendeva ancora esclusivamente da Messina e dal suo ruolo commerciale e finanziario gravitante attorno all area falcata. Pertanto Messina verso la fine del secolo finiva per subire una serie di condizionamenti, dovuti all ampliamento dei porti vicini, siciliani e calabresi, mentre il porto franco messinese era abolito definitivamente dal 1 gennaio 1880. Tuttavia il porto messinese non ebbe a subire un immediato contraccolpo e ancora nei primi anni Ottanta città e porto apparivano dinamici e vivi, anche se già erano presenti i segni di una forte inquietudine degli operatori economici. Ma è altrettanto vero che il declino del traffico portuale messinese, a partire dagli anni Novanta, muoveva da specifiche ragioni. Tra il 1886-90 e il 1908, si osserva difatti un declino più qualitativo che quantitativo del commercio messinese, dovuto, per un verso, al poco dinamico progresso economico dell isola a cui si aggiungeva, in particolare, la parziale scomparsa di alcune industrie (tessili) e la crisi soprattutto tra anni Ottanta e Novanta di taluni principali settori commerciali (agrumi e derivati, vino); dall altro si

aggiungeva, determinante, l attrazione, sempre più crescente degli altri porti siciliani e calabresi. Se in precedenza l influenza del porto messinese si era estesa fin presso Catania e Palermo, dopo l Unità (con i lavori di miglioramento dei porti vicini e con il rafforzarsi dell organizzazione commerciale di quelle città, peraltro con un hinterland più vasto e produttivo) si era andata gradualmente limitando. Successivamente, anche Milazzo, sulla costa settentrionale, e Riposto, su quella orientale, avevano finito con il ridurre ancor più la sua zona d influenza, mentre a partire dal 1905 il miglioramento dei porti di Villa San Giovanni e di Reggio Calabria avevano completato l erosione, anche sul versante calabrese, di importanti quote del commercio messinese. La posizione relativa al traffico del porto messinese si era così progressivamente abbassata in questo spazio di tempo, tant è che era passata dal primo al terzo posto tra i porti siciliani e dal sesto al decimo tra quelli nazionali. All arretramento del porto messinese corrispondeva peraltro l incremento dei porti minori dell isola (da 561 mila tonn. in media nel 1901-1902 a 694 mila nel 1907-1908) e di quelli di Reggio Calabria e Villa San Giovanni (in media da 41 mila tonn. nel 1901-1902 a 71 mila nel 1907-1908). E pur vero tuttavia che intorno ai primi anni Sessanta uno dei settori più importanti dell economia messinese, quello della seta, era entrato in una profonda crisi dovuta alla grave epidemia che aveva colpito il settore della gelsicoltura e della bachicoltura e alla concorrenza della seta asiatica. La seta dunque aveva esaurito il suo lungo ciclo. Naturalmente era ancora presente nelle esportazioni messinesi, ma non più come il principale prodotto. Tale primato era altresì rilevato dagli agrumi e soprattutto dalle essenze che, tra la seconda metà dell Ottocento e il primo decennio del Novecento, vedevano via via intensificarsi sia la produzione che la lavorazione dei derivati (essenze, acido citrico, succo di limone, ecc.). E comunque attorno a tale produzione che nasceva il nuovo rilancio messinese, che non era il solo collegato all attività portuale, ma era sempre dal porto che Messina aveva preso e prendeva ossigeno e impulso.

Del resto Messina e il suo porto erano strettamente connessi al commercio d importazione e quindi alla libera immissione dei prodotti provenienti dall estero e alla loro redistribuzione che permetteva lo scambio di questi con quelli delle aree limitrofe e la commercializzazione verso l estero dei prodotti locali. Ma alla fine dell Ottocento il porto messinese diventa monocommerciale, cioè era sì il porto più importante del Mediterraneo e forse del mondo, secondo la Camera di Commercio messinese, per quanto attiene l esportazione degli agrumi, ma il fatto di essere esclusivamente legato solo ad essi e quindi agli andamenti e alle fluttuazioni di mercato di un unico genere ne determinava nel contempo una grande debolezza. Alla fine del secolo la risposta alla crisi da parte messinese avveniva comunque su due direttrici principali: quella legata all attività portuale ma connessa al commercio degli agrumi e al settore industriale dei derivati agrumari e quella dello sviluppo dell attività matoriali, che rinnovava un antica tradizione marinara della città, con i Peirce e gli altri esponenti della borghesia imprenditoriale messinese, creando un forte nucleo di nuovi armatori che avrebbero consentito collegamenti stabili e continui del porto di Messina con le Americhe e con altre aree del mondo. In realtà, per capire i tratti salienti del profondo cambiamento delle condizioni economiche e sociali della città dopo il terremoto, non si può non insistere sul fatto che Messina, ancora nel 1908, costituisse un centro commerciale vitale e ricco di potenzialità. Nei primi otto anni del Novecento, il commercio marittimo dopo la flessione di fine secolo seguita all abolizione del porto franco risultava in costante ascesa con 6.432 navi approdate nel porto per 5 milioni di tonnellate di stazza e con 556 mila tonnellate di merci manovrate, di cui 190 mila imbarcate. Il porto di Messina dunque, ancora in quegli anni, - in riscontro anche alla relativa articolazione della città restava un nodo marittimo di buon livello. Era non solo centro di importazione dei cereali che alimentavano i pastifici della città e di Milazzo; di oli minerali, lavorati dalla Società italo-americana petroli e poi riesportati; di carbon fossile grazie alla presenza di depositi di rifornimento e buncheraggio che ne

facevano la stazione carbonifera più importante del Mediterraneo (si ricorda la Società Anonima Italiana Hugo Stinnes, di origine tedesca passata successivamente sotto il controllo dell armatore e finanziere messinese Giuseppe Battaglia). Il suo porto era anche l approdo regolare delle linee di navigazione sovvenzionate dallo Stato e di piroscafi per l imbarco degli emigranti, la cui soppressione dopo il terremoto sarà causa della perdita d importanti correnti del traffico internazionale. In questi anni perciò resistevano alcune strutture importanti e in primo luogo il settore matoriali, che appunto tra anni Ottanta e Novanta, era apparso come il comparto che più aveva tentato di modernizzare l apparato commerciale messinese, alimentando il commercio di cabotaggio e, in parte, anche quello internazionale. Si possono ricordare importanti gruppi matoriali come, ad esempio, quello di Guglielmo Peirce, fondatore della Società di Navigazione Sicula-Americana e della Peirce Brothers; e altri, pure notevoli, da Vincenzo Bonanno ed Ernesto Ilardi, armatori di navi da carico per le rotte transoceaniche, alla Società Siciliana di Navigazione, a Giuseppe Battaglia e Antonino Sciarrone. Pertanto, ancora nel 1908, la posizione geografica e le tradizioni marittime di Messina avevano un peso fondamentale facendo del suo porto un centro con funzioni e irradiazioni internazionali. La constatazione della dinamicità della Messina pre-terremoto, di contro al lento e inesorabile declino che la città conobbe tra anni Venti e Trenta, pone al centro dell attenzione la catastrofe del 1908 come un dato periodizzante essenziale. Se la flessione in assoluto non era stata molto forte, quella relativa appariva più consistente. Nel periodo 1908-1911, alla riduzione del 16% del traffico complessivo del porto messinese, si contrapponeva l aumento del 2% di Palermo e del 18% di Catania. D altra parte, nell insieme dei porti italiani, il movimento del porto di Messina copriva ormai soltanto un sessantatreesimo, porzione di due terzi inferiore a quella accertata negli anni intorno al 1890. Tale processo di accentuata crisi può riscontrarsi d altra parte sul terreno più propriamente commerciale, allorché è meglio accertabile,

tra la fase di considerevole crescita e quella post-bellica, quando il porto di Messina perderà definitivamente il primato commerciale dell isola. L andamento delle merci sbarcate e imbarcate nel suo porto, nei trentasette anni tra il 1898 e il 1934, indica che le quantità delle merci in entrata erano costantemente inferiori a quelle in uscita e che, a parte il caso del 1909 (92 mila tonn.), il periodo tra guerra e dopoguerra sino al 1922 vedeva le quantità imbarcate mantenersi costantemente poco al di sotto delle 100 mila tonnellate; dal 1923 al 1934, aggirarsi mediamente intorno alle 119 mila tonnellate, mentre in precedenza, cioè negli undici anni dal 1898 al terremoto, si erano mantenute in media intorno a 167 mila tonnellate. Di contro le quantità delle merci sbarcate, pur risentendo dei cicli sfavorevoli, si mantenevano tuttavia abbondantemente al di sopra delle 240/250 mila tonnellate, con un picco di 436 mila tonnellate nel 1927. Tale andamento del resto, tranne per gli anni della guerra, tende a crescere dopo il terremoto, principalmente per effetto della ricostruzione della città, mantenendosi in media soprattutto tra il 1920 e il 1934 al di sopra delle 300 mila tonnellate, quantità cioè lievemente superiori a quelle medie degli undici anni che precedono il terremoto (nel periodo 1898-1908 in media 297 mila tonnellate) che non è tuttavia il segno di un ritrovato slancio economico della piazza messinese. Sostanzialmente immutate però restavano le categorie di merci importate dall estero, e a cui corrispondevano le più cospicue e tradizionali correnti del traffico commerciale, tanto prima che dopo la catastrofe. In realtà anche su questo versante i segnali non erano rassicuranti. Nel raffronto tra il 1907 e il 1911, la flessione riguardava le materie prime o i semilavorati destinati all industria di trasformazione, segno questo di una completa stagnazione del settore; aumentavano invece le importazioni di generi di consumo e principalmente del caffé e dei grassi, che possono essere intesi come l indice di un primo, sia pur limitato, ripristino della funzione di centro di smistamento esercitata dalla città nel passato per le zone circostanti. Diminuita a Messina più che nella sua provincia - l importazione di

merci destinate alle trasformazioni industriali, aumentate quelle delle derrate di consumo e delle materie sussidiarie all agricoltura, nell insieme appare scemata l importanza industriale, ma non del tutto quella commerciale della città. Sul versante delle esportazioni verso l estero, il valore del traffico dal porto di Messina nel 1911 era inferiore di circa un terzo di quello del 1907 (28 milioni circa contro 41 e mezzo). Gran parte della differenza era dovuta alla diminuita esportazione di agrumi e derivati, che anche dal lato delle quantità faceva segnare una consistente flessione delle esportazioni messinesi. In definitiva si può affermare che per tutto l Ottocento Messina era stata in grado di esprimere forti impulsi, sia economici che culturali e che sino al 28 dicembre del 1908 godeva ancora di quelle condizioni. Certo si avviava verso una lenta decadenza, poiché tutte quelle condizioni che l avevano favorita e di cui aveva goduto nel passato si stavano progressivamente modificando. Gli ultimi fattori favorevoli di cui il porto di Messina aveva goduto erano dovuti al fatto di trovarsi sulle rotte tra Oriente e Occidente, tra i grani russi e i grandi centri dell Europa continentale nel momento in cui le navi, tra gli anni 80 e il primo decennio del nuovo secolo, avevano abbandonato definitivamente la vela per il vapore, utilizzando il carbone. Messina allora diventa uno dei porti principali di rifornimento lungo quelle rotte. Traffici numerosissimi, nutriti, continui, intensi, ma anche quest ultimo aspetto del ruolo del porto di Messina come porto di rifornimento, dopo la fine del primo conflitto mondiale viene ad esaurirsi. Le innovazioni tecnologiche producevano il passaggio dal carbone al combustibile liquido, consentendo una maggiore autonomia di navigazione. Il porto messinese così, tra anni Venti e Trenta, palesava i suoi limiti; il suo lungo ciclo favorevole volgeva ormai al termine, mentre la città e il suo porto avevano iniziato la definitiva fase del declino.