Elementi per un paradigma della traduzione istituzionale*



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Elementi per un paradigma della traduzione istituzionale* L intenzione di queste righe non è di azzardare una definizione della traduzione: la scienza che se ne occupa, la traduttologia, ha formulato a questo riguardo varie proposte interessanti e il dibattito è tutt ora aperto, ma non è questa la sede per discuterne. L intento è piuttosto di riflettere sulla valenza, sul significato profondo, dell atto traduttivo in ambito istituzionale. Mi pare infatti che in questo consesso, ma in generale anche in altre occasioni, si è parlato di traduzione soprattutto sotto il profilo tecnico, soffermandosi in particolare sugli strumenti, sulle problematiche, le terminologie e via dicendo: è giusto che sia così, poiché così vuole la complessità dell atto traduttivo e delle competenze scientifiche ed operative che esso mobilita. Poco si è insistito, invece, sulla valenza assoluta della traduzione, sul suo significato linguistico, sociale e direi umano in senso lato, se non forse in qualche dichiarazione di circostanza in apertura di giornate di studio e convegni. Anche il manifesto della REI 1, nella sua giusta e molto pertinente oltre che necessaria rivendicazione del diritto dei cittadini a un italiano istituzionale di qualità, presuppone una certa idea di traduzione, ma non la esplicita, non la tematizza. Fra gli addetti ai lavori, e del resto l esistenza stessa della rete REI lo conferma, si condivide certo, credo, una concezione elevata, «aristocratica» nel senso greco del termine, ossia votata all eccellenza appunto, della traduzione, ma questa opinione implicita e condivisa non è ancora stata formulata a chiare lettere e molte volte quanto non viene detto rischia di essere dimenticato, rischia di finire tra le ovvietà. Ora, nella traduzione, e segnatamente nella traduzione chiara visto che questa è la tematica che ci occupa oggi, nulla è ovvio, per cui mi pare importante soffermarsi su alcune sue caratteristiche peculiari. Riflettere sul senso della traduzione si giustifica inoltre per due altri motivi: per prendere piena coscienza delle implicazioni politiche, culturali, scientifiche ed umane dell atto traduttivo: un fattore essenziale della correttezza e della chiarezza della traduzione è infatti la piena consapevolezza dei risvolti di questa attività; perché diverse caratteristiche della traduzione pongono oggi questa attività in controcorrente rispetto ad alcune tendenze imperanti, ponendola per certi versi in una situazione di vulnerabilità, mettendola in pericolo, e rendendo di conseguenza necessario un atteggiamento di vigilante attenzione per cogliere ogni segnale che potrebbe minacciarne le prerogative. Ho riassunto i miei argomenti in sette tesi che espongo qui di seguito in modo sintetico, ma che andrebbero evidentemente ulteriormente sviluppate e approfondite. LEGES 2012/3 MICROSCOPIO / UNTER DER LUPE / SOUS LA LOUPE / SUT LA MARELLA 429

1) La traduzione non è perdita, bensì aumento di informazione. Siamo abituati a discorrere della traduzione come di un operazione globalmente deficitaria che dà luogo a un residuo irrecuperabile e che non a caso può incagliarsi nell intraducibile e in altri dilemmi insormontabili (ad es. fedeltà / tradimento). L applicazione del secondo principio della termodinamica alla teoria dell informazione ha del resto fatto della traduzione un esempio fin troppo abusato del fatto che ogni scambio d informazione genera grandi quantità di entropia, genera «rumore». Ebbene, contrariamente a questa opinione diffusa, nella mia esperienza istituzionale la traduzione implica il più delle volte un aumento, un arricchimento. Aumento della qualità dei testi, che beneficiano di un analisi capillare, e aumento delle conoscenze sia del traduttore che dell autore. Il fatto di «arare» il testo, di passarlo al microscopio per tradurlo, comporta sempre un incremento di informazione 2, e questo è soprattutto vero per i testi più ardui, quelli normativi, dove ogni parola va soppesata in tutte le sue sfumature e implicazioni. Per un testo, la traduzione è un banco di prova implacabile: ogni pecca o lacuna viene alla luce e, grazie alla traduzione, può essere sanata. 2) La traduzione è un atto di civiltà 3. Non solo consente di avvicinare le altre culture in modo comprensibile (promuovendo la comprensione reciproca), ma lo fa mediante un atto estremamente rispettoso, di grande valenza etica, perché per tradurre occorre immedesimarsi nell altro, «trasporsi completamente» 4 nell autore del testo da tradurre e quindi dare prova di grande rispetto e apertura mentale (Ricoeur parlava di «ospitalità linguistica»). Tradurre è quella forma di paradosso virtuoso per cui confrontiamo la nostra identità verbale con l alterità e riusciamo ad esprimere questa alterità con le parole della nostra identità 5. È più di un processo di assimilazione, perché confrontandosi con le altre lingue attraverso la traduzione la nostra lingua (e l uso che ne facciamo) si trasforma, si amplia, scopre nuove risorse espressive, promuovendo quello che il linguista Friedmar Apel aveva definito il «movimento del linguaggio». 6 3) La traduzione è prova di vitalità di una lingua. Una vitalità sommamente importante soprattutto per le lingue minoritarie. È vero che le lingue evolvono anche grazie ai prestiti o ai doni delle altre lingue, ma è pure vero che la capacità di appropriarsi, ossia di tradurre nel proprio sistema linguistico, nuove realtà veicolate prevalentemente dalle grandi lingue di comunicazione è pegno di reattività, vitalità, e garantisce alle lingue minoritarie di mantenere il loro statuto di mezzo di comunicazione e strumento di conoscenza anche nei settori altamente specialistici. In questo senso, la traduzione è anche un arma estremamente efficace per lottare contro l imperialismo linguistico che va diffondendosi nelle scienze 7. Non si tratta qui di perorare la causa di un impostazione 430

puristica, ma semplicemente di far valere il diritto di ogni lingua di rappresentare la realtà con le proprie risorse. 4) La traduzione è alla base dell esistenza di realtà plurilingue. Solitamente il plurilinguismo, sia esso istituzionale o individuale, è lodato, se non vantato, come un valore aggiunto, come una ricchezza da tutelare e da promuovere. Spesso si dimentica, tuttavia, che senza la traduzione, cioè senza la messa in comune di questo patrimonio, il plurilinguismo si limiterebbe alla muta contiguità non convivenza di idiomi diversi, senza comunicazione né comprensione reciproca. Nelle realtà politiche plurilingui la traduzione è dunque un fattore di coesione essenziale. Da un lato permette alle diverse comunità linguistiche di comunicare e quindi di conoscersi e, d altro lato, dimostra in modo tangibile l attenzione dello Stato nei riguardi di tutte le componenti linguistiche del Paese. È proprio in questa prospettiva politica che il discorso sulla traduzione corretta e chiara, e quindi qualitativamente ineccepibile, diventa cruciale. Uno Stato che si vuole plurilingue deve darsi anche i mezzi per usare e tutelare le sue lingue ufficiali ad un livello dignitoso, ossia per promuoverne lo sviluppo. Il traduttore, dal canto suo, è investito di conseguenza non solo della responsabilità qualitativa per il testo che redige, ma attraverso la qualità del suo lavoro è chiamato a testimoniare nei fatti anche dell attenzione che lo Stato presta alla lingua minoritaria. 5) La traduzione è opera creativa. L esperienza dimostra che il pedissequo calco del testo di partenza oppure il semplice ricorso al «prêt-à-traduire», ossia l applicazione irriflessa di modelli di equivalenze standardizzati, non permettono di raggiungere buoni risultati, proprio perché anche quando si traduce occorre infondere al testo una dose di inventività, un inventività che è alla base di ogni atto di scrittura: «Traduire n est traduire que quand traduire est un laboratoire d écrire». 8 Questo significa in primo luogo che per tradurre correttamente occorre sapere, conoscere da un lato le sfumature della lingua e conoscere, d altro lato, anche le sfumature della realtà e che quindi, come i veri creatori, occorre essere estremamente curiosi e pronti ad imparare sempre. Ogni traduzione pone nuove problematiche e in ogni traduzione si impara qualcosa di nuovo. Ma parlare di creatività significa anche che nella traduzione non esistono scorciatoie. È vero, ci sono strumenti, ausili, opere di riferimento, ma tutti questi dispositivi, più che moltiplicatori di efficienza, sono comunque sempre e solo attrezzi nelle mani dell artigiano, la cui esperienza resta il fattore determinante. Creatività della traduzione significa inoltre che il traduttore, e segnatamente il traduttore istituzionale, è per certi versi pure un facitore di lingua, crea termini nuovi e perpetua l uso di strutture e parole (come pure, ahimé, di errori) che fondano la tradizione linguistica dell istituzione. Se si pensa all importanza di un uso corretto delle parole da parte LEGES 2012/3 MICROSCOPIO / UNTER DER LUPE / SOUS LA LOUPE / SUT LA MARELLA 431

dello Stato in una democrazia che sulla parola si fonda 9 si può intuire il ruolo fondamentale che riveste il traduttore istituzionale nel rapporto tra Stato e cittadini. Ma attenzione: affermare che nell atto traduttivo deve necessariamente esserci una forte componente creativa non mira in primo luogo a magnificare la traduzione, bensì piuttosto a sottolineare la grande responsabilità linguistica di cui è investito il traduttore. 6) La traduzione è un fattore di umanità. Essa esige alta sensibilità linguistica e implica la mobilitazione di notevoli risorse per tutte le attività che la rendono possibile (terminologia, consulenza specialistica, revisione, commissioni di redazione, controlli di qualità, formazione continua ecc.). Essa concorre pertanto in misura determinante a promuovere se non proprio una vera «consapevolezza linguistica», per lo meno un minimo di attenzione al fatto linguistico in quanto tale, un attenzione che in determinate realtà ove è prevista l attività traduttiva non è affatto scontata! In questo senso, la traduzione diventa indirettamente quindi anche un fattore di umanità, perché che cosa contraddistingue l umano se non l uso altamente perfezionato della parola 10? Ma si potrebbe andare oltre: se è vero, seguendo le tesi di Jakobson, che il nostro uso della lingua è già un continuo riformulare e ricontestualizzare enunciati noti e che quindi può essere definito come un continuo lavoro di traduzione 11, è anche possibile sostenere che la traduzione nel senso che qui ci interessa può essere considerata come un uso della lingua alla potenza due, un atto linguistico al quadrato. 7) La traduzione è un attività complessa. Ove «complessa» riunisce almeno gli aggettivi difficile, faticosa e onerosa. La traduzione esige il coordinamento di vari saperi e diversi strumenti, necessita di riflessione, precisione, tempo e meticolosità. 12 Quello che G. L. Beccaria scrive a proposito della lettura, vale a più forte ragione per la traduzione: «I libri importanti non tollerano il rotolìo frettoloso. La lunga pazienza che un autore ha posto nello scrivere le sue pagine, va ripetuta dalla parte del lettore». 13 Tutto questo ha il suo prezzo: non ci si improvvisa traduttore né si traduce a margine di altre attività più importanti. Tradurre è una professione altamente qualificata e come tale va riconosciuta a tutti gli effetti. Ora, questi elementi possono per certi versi sembrare patetici tasselli di un quadro eccessivamente idilliaco dell attività traduttiva. Credo tuttavia che per svolgere la sua attività in modo serio e responsabile, e quindi per produrre traduzioni corrette e chiare, il traduttore deve muovere da una concezione implicita, da quella che in ambito ermeneutico si definirebbe una precomprensione (Vorverständnis), dell atto traduttivo che inglobi almeno come riferimento assiologico tali caratteristiche. Ma non solo: il traduttore deve anche poter operare in un contesto lavorativo che consideri debitamente queste caratteristiche, ossia un 432

contesto nel quale le condizioni di lavoro, compresi i processi lavorativi e le strutture gerarchiche, permettano effettivamente di svolgere una siffatta attività in tutte le sue implicazioni. Ampliando ulteriormente la riflessione, credo che gli elementi e i requisiti deontologici enunciati in queste sette tesi possano delineare un ipotetico paradigma della traduzione chiara, da intendere come insieme degli impegni teorici condivisi da tutti coloro che si occupano di questa attività, indipendentemente dal tipo di traduzione o dalla poetica traduttiva in questione. Come rilevato in apertura, riflettere su questi aspetti e quindi fare proprio tale paradigma è importante per una maggiore consapevolezza da parte di tutti, non fosse altro che per sapere fino a che punto, fino a che livello di correttezza o precisione deve spingersi l atto traduttivo e quale sia il ruolo che il traduttore svolge nella società. Né va dimenticato, in una prospettiva più ambiziosa, che proprio per il tipo di approccio su cui si fonda la traduzione può fungere a sua volta da paradigma per capire la «grammatica» della società reticolare contemporanea, ma questo è un altro discorso. 15 Ma questa riflessione importa anche perché attualmente il paradigma che ho tentato di tratteggiare rischia di incrinarsi sotto la pressione di alcuni fenomeni di carattere generale e quindi rischia di cambiare. Cosa intendo dire? In una relazione del 1992 al Congresso annuale della Associazione italiana di semiotica, Tullio De Mauro constatava che data l importanza della informazione e della comunicazione nella nostra società, data l interdipendenza produttiva, finanziaria, socioculturale su cui poggia il nostro mondo, dati i flussi migratori e l interscambio turistico «oggi [1992!] il mondo è pervaso di traduttività» e profetizzava anzi che «la società contemporanea è una società della traduzione» 15. Chiedo: si è avverata questa profezia? Viviamo veramente in una società della traduzione? È vero che la dimensione globale assunta da ogni fenomeno e attività commerciale odierni presuppone interazioni linguistiche e traduzioni, ma possiamo noi dire che grazie a questo incremento di traduzioni si sia assistito a una rivalutazione del lavoro e della figura del traduttore? Ne dubito. Ho piuttosto l impressione che tale maggiore bisogno di traduzioni ha più che altro banalizzato, se non addirittura snaturato, la nozione stessa di traduzione; come spiegare altrimenti la definizione di «traduzione» per prodotti che nulla hanno a che vedere con la vera traduzione, come giustificare la riduzione della professione di traduttore a un pulsante da cliccare per ottenere da un applicazione informatica una pseudo trasposizione linguistica molto approssimativa e il più delle volte inutilizzabile? Bisogna poi sempre anche considerare che la banalizzazione della traduzione è non solo svilente per l arte e per chi la pratica, ma denota pure una totale misconoscenza della profondità e della ricchezza delle lingue. LEGES 2012/3 MICROSCOPIO / UNTER DER LUPE / SOUS LA LOUPE / SUT LA MARELLA 433

Un altro fattore di rischio è la velocità. Secondo la legge di Gordon Moore, ogni 18 mesi le prestazioni dei microprocessori raddoppiano. È stato rilevato che esiste una relazione diretta tra l incremento delle capacità di memoria e la velocità dei microprocessori, da un lato, e la tendenza all accelerazione di scambi, processi lavorativi e attività di ogni genere, dall altro 16. La tendenza a velocizzare la comunicazione ha favorito peraltro anche il successo dell immagine, che offre in modo simultaneo l informazione che lo scritto articola lentamente; anche perché, come è stato detto, la «fatica di leggere» non può competere con la «facilità di guardare». 17 La velocità, l ho già rilevato, è nemica della traduzione, eppure l accelerazione generale di ogni cosa esercita una grande pressione anche in questo ambito, affinché l attività del traduttore sia più produttiva, più rapida e, insomma, al passo coi tempi. La refrattarietà della traduzione a questa logica produttiva induce talvolta a rinunciare del tutto alla traduzione ad esclusivo vantaggio della lingua maggioritaria, in nome dell efficienza, della rapidità e dell economia. Ebbene, considerare la traduzione un ostacolo, un onere da cui occorre preferibilmente liberarsi per raggiungere i propri scopi è forse il pericolo più insidioso che la minaccia, un pericolo che mette a repentaglio tutti i valori insiti in questa attività. Snaturamento della traduzione, culto della velocità, rinuncia alla traduzione e svilimento della lingua: per certi versi, quando si considerano simili tendenze ci si rende conto che il tradurre, e segnatamente il tradurre in modo chiaro e corretto, è diventato quasi un atto di resistenza e si capisce altresì quanto vigile debba essere la nostra attenzione a salvaguardia delle prerogative minime di questa attività preziosa. Jean-Luc Egger, lic. in lettere, Cancelleria federale, Servizi linguistici centrali, Divisione italiana, Sezione Legislazione e lingua; Email: Jean-Luc.Egger@bk.admin.ch Note * Si riproduce qui, in forma leggermente rimaneggiata, il testo di un intervento presentato dall autore alla XII giornata della Rete per l eccellenza dell italiano istituzionale (REI), Lussemburgo 22 ottobre 2012, dedicata alla tematica «Chiarezza e traduzione». 1 Consultabile sul sito: http://ec.europa.eu/dgs/translation/rei/documenti/rete/manifesto.pdf. Ma cfr. anche Egger 2010. 2 Se non addirittura, in assoluto, un ampliamento dell universo, secondo l analisi di Ortega y Gasset 1956: 34. 3 «Oltre a essere opera di civiltà e di pace, tradurre può dare gratificazioni uniche: il traduttore è il solo che legga veramente un testo, lo legga in profondità, in tutte le sue pieghe, pesando e apprezzando ogni parola e ogni immagine, o magari scoprendone i vuoti e i falsi», Levi 1985: 113. 4 «So sucht auch der Übersetzer sich ganz in seinem Autor zu versetzen» Gadamer 1986: 390. 5 Indipendentemente dalle modalità di relazione linguistica che la traduzione instaura con l altrui cultura (appropriazione, riconoscimento o standardizzazione), cfr. Osimo 2002: 3. 6 Cfr. Apel 1982. 434

7 Cfr. ad es. Hagège 2012, segnatamente pp. 188-189. 8 «Traduire n est traduire que quand traduire est un laboratoire d écrire. [...] Écrire ne se fait pas dans la langue, comme si elle était maternelle, donnée, mais vers la langue. Écrire n est peut-être qu accéder, en s inventant, à la langue maternelle. Écrire est, à son tour, maternel, pour la langue. Et traduire n est cela aussi que si traduire accepte le même risque», Meschonnic 2012: 576 [corsivo nostro]. 9 «L abbondanza, la ricchezza delle parole è dunque una condizione del dominio sul reale: e diventa, inevitabilmente, strumento del potere politico. Per questo argomenta Zagrebelsky è necessario che la conoscenza, il possesso delle parole siano esenti da discriminazioni, e garantiti da una scuola eguale per tutti. Ma il numero delle parole conosciute non ne esaurisce lo straordinario potere sugli uomini e sulle cose. Un ulteriore segnale del grado di sviluppo di una democrazia e, in generale, della qualità della vita pubblica si può desumere dalla qualità delle parole: dal loro stato di salute, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare», Carofiglio 2010: 21. 10 Come ricorda Roland Barthes 1984: 23 «L homme ne préexiste pas au langage, ni phylogénétiquement ni ontogénétiquement. Nous n atteignons jamais un état où l homme serait séparé du langage, qu il élaborerait alors pour exprimer ce qui se passe en lui: c est le langage qui enseigne la définition de l homme, non le contraire». 11 Cfr. De Mauro 2002: 85. 12 Piace ricordare in proposito queste righe di Cesarotti: «osar talora esser di scorta all originale fingendo di seguitarlo; di due lingue affatto diverse farne saggiamente una sola, ammorbidire le frasi straniere, per naturalizzarle, arricchir la sua lingua senza imbastardirla, rispettare il Genio rendendolo attivo e fecondo, camminar francamente, per dir così, sopra una linea geometrica posta in mezzo a due precipizi; questi, oltre moltissimi altri, sono problemi alquanto difficili a sciogliersi, e checchè si gracchi il volgo, chi è iniziato ne misteri dell arte [di tradurre] confermerà che anche in questo genere l andar a Corinto non è da tutti», Cesarotti 1807: 151. 13 Beccaria 2003: 30. 14 Un discorso proposto in particolare da Ost 2009. 15 De Mauro 1992: 90. 16 Cfr. ad es. Codeluppi 2012: 11. 17 Simone: 2012: 60. Bibliografia Apel, Friedmar, 1982: Sprachbewegung. Eine historische-poetologische Untersuchung zum Problem des Übersetzens, Carl Winter Universitätsverlag, Heidelberg [ital.: Il movimento del linguaggio. Una ricerca sul problema del tradurre, a cura di Emilio Mattioli e Riccarda Novello, Marcos y Marcos 1997]. Barthes, Roland, 1984: Le bruissement de la langue. Essais critiques IV, Seuil, Paris [già relazione al Colloquio John Hopkins, pubblicato in inglese in The Languages of Criticism and the Sciences of Man: the Structuralist Controversy, The John Hopkins Press, London and Baltimore 1970, pp. 134-145]. Beccaria, Gian Luigi, 2002: Elogio della lentezza. Lezioni Sapegno 2002, Aragno Editore, Torino. Carofiglio, Gianrico, 2010: La manomissione delle parole, Rizzoli, Milano. Cesarotti, Melchiorre, 1807: Osservazioni alla seconda Filippica, in Idem, Le opere di Demostene tradotte e illustrate, t. VI, Firenze, Molini Landi e Comp. 1807, pp. 151, citato in Catalano, Gabriella/Scotto, Fabio, La nascita del concetto moderno di traduzione, Armando Editore, Milano 2001. Codeluppi, Vanni, 2012: Ipermondo. Dieci chiavi per capire il presente, Laterza, Roma-Bari. De Mauro, Tullio, 2002 2 : Capire le parole, Laterza, Roma- Bari. De Mauro, Tullio, 1992: «Sette forme di adeguatezza della traduzione», relazione al Congresso internazionale dell Associazione Italiana di Semiotica, Venezia, settembre 1992, ora in Idem 2002, pp. 81-95. Egger, Jean-Luc, 2010: «Un manifesto per l italiano istituzionale», in LeGes - Legislazione & Valutazione, Bollettino della Società svizzera di legislazione (SSL) e della Società svizzera di valutazione (SEVAL), anno XXI, 2, Berna 2010, pp. 275-280. Gadamer, Hans-Georg, 1986: Wahrheit und Methode. Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen. Hagège, Claude, 2012: Contre la pensée unique, Odile Jacob, Paris. Levi, Primo, 1985: «Tradurre ed essere tradotti», in Idem, L altrui mestiere, Einaudi, Torino, pp. 113-116. Meschonnic, Henri, 2012: Poétique du traduire, Ed. Verdier, Lagrasse. Ortega y Gasset, José, 1956: Miseria y esplendor de la traducción, Edition Langewiesche-Brandt, München. Osimo, Bruno, 2002: Storia della traduzione, Hoepli, Milano. Ost, François 2009: Traduire. Défense et illustration du multilinguisme, Fayard, Paris. Simone, Raffaele, 2012: Presi nella rete. La mente al tempo del web, Garzanti, Milano. 435