Le categorie interpretative della crisi economica Sintesi del seminario-chiacchierata del 4 febbraio 2011 Michele Fortezza



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Le categorie interpretative della crisi economica Sintesi del seminario-chiacchierata del 4 febbraio 2011 Michele Fortezza La crisi economica degli ultimi anni ha, come noto, le proprie origini negli Stati Uniti. Ne ripercorriamo la genesi e la successiva diffusione in tutto il mondo, analizzando le reazioni da parte delle istituzioni pubbliche. La parte finale, riguardante l'analisi della crisi in Europa, è rimandata alla prossima chiacchierata. [2] La crisi negli Stati Uniti La crisi americana parte dal mercato immobiliare [3]. Il grafico dell'andamento trimestrale del prezzo delle case (indice Case-Shiller) rende evidente come, a seguito di una crescita sproporzionata dei prezzi, ci sia stato un crollo altrettanto repentino al momento dello "scoppio" della bolla, il cui inizio si può far risalire già alla seconda metà del 2006. Uno dei principali fattori che ha reso possibile la formazione della bolla immobiliare è la trasformazione avvenuta nel sistema finanziario [4]. L'evoluzione del sistema finanziario ha consentito un'enorme espansione dell'accesso al credito, favorita anche dalla volontà politica di compensare la perdita di potere d'acquisto da parte del ceto medio (in un certo senso, al potere d'acquisto perduto si cercava di sostituire il potere di indebitarsi). Tale facilità di accesso al credito ha alimentato un'enorme domanda di case, sia per scopo abitativo sia per scopo puramente speculativo. Quando questo meccanismo si è inceppato, i prezzi sono precipitati. L'andamento del mercato immobiliare è quindi uno specchio di quello che accade nel sistema finanziario. In generale negli ultimi anni c'era stata un'esplosione dell'indebitamento privato, sia delle famiglie che delle imprese. La facilità di accesso al credito infatti ha condotto all'utilizzo diffuso ed eccessivo del meccanismo della leva finanziaria (in inglese leverage ) che sarà spiegato meglio in seguito. Accanto a questo, c'è stata la diffusione di titoli derivati complessi. Un titolo derivato è un titolo che basa il suo valore su un altro titolo (ad esempio, le opzioni sulle azioni). Nei titoli derivati complessi, piccole quote di titoli diversi venivano mescolati in una sorta di "polpettone finanziario" di tale complessità che solo pochissimi esperti erano in grado di decifrare il contenuto del titolo stesso. Questi derivati avevano due caratteristiche essenziali:da una parte l'allontanamento tra creditore e debitore che ha determinato un abbassamento dei requisiti richiesti; dall'altra, sebbene fossero stati pensati per ridurre e distribuire meglio il rischio, in realtà hanno favorito l'assunzione di maggiore rischio da parte delle banche. Infine, l'ultimo fattore da sottolineare è l'aumento dell'interdipendenza tra gli istituti finanziari, che ha determinato lo scatenarsi dell'effetto domino, per cui il crollo di un singolo istituto produceva a catena il crollo di tutti quelli a lui direttamente o indirettamente collegati. Tutte queste caratteristiche hanno determinato una marcata fragilità del sistema finanziario. Questa situazione si è venuta a creare per la concomitanza di diverse cause istituzionali [5]: innanzitutto l'ideologia dominante ispirata all'infallibilità e alla capacità auto-regolatrice del mercato ha portato ad avere un sistema di regole del tutto insufficiente e in alcuni casi addirittura sbagliato; dal canto loro, le istituzioni addette alla vigilanza, presenti negli Stati Uniti come in un ogni paese, non hanno compiuto adeguatamente il proprio compito. Inoltre, si è reso evidente come la retribuzione dei manager costituisse un fortissimo incentivo a massimizzare i profitti di breve periodo senza curarsi delle conseguenze di lungo periodo, talvolta a danno degli azionisti stessi. Infine, le società di rating (al pari delle banche) hanno commesso clamorosi errori di valutazione del rischio, rispetto ai singoli titoli e alle istituzioni nel loro complesso, sia a causa della complessità dei titoli coinvolti sia, in alcuni casi, per la loro posizione di conflitto di interesse. Approfondimento 1: Cenni sull'analisi di bilancio [6-9] Nella slide [6] viene presentato uno schema intuitivo del bilancio di un'azienda (valido anche per le banche). Dal lato dell'attivo troviamo tutto ciò che costituisce un valore per l'azienda, e quindi: i beni patrimoniali: si può trattare di immobili o, nel caso di aziende manifatturiere, di macchinari; in altri termini, sono i beni materiali durevoli di cui l'azienda dispone;

le attività finanziarie sono costituite dagli strumenti finanziari posseduti (come azioni e obbligazioni) i crediti sono i prestiti effettuati (ad esempio a clienti o fornitori) la liquidità rappresenta il denaro detenuto in cassa o in banca Dal lato del passivo, invece, ci sono le fonti di finanziamento: il capitale proprio, ovvero le risorse versate dal proprietario o dai soci le riserve, ovvero le risorse accumulate nel tempo (ad esempio, i profitti non distribuiti in passato) i debiti, ovvero le risorse prese in prestito La differenza tra attivo e passivo rappresenta il risultato di esercizio, e costituisce un utile (ovvero un profitto) se è positiva, o una perdita se è negativa. Per valutare la situazione finanziaria di un'azienda solitamente si usano degli indici di bilancio, costruiti rapportando le voci suddette: la leva finanziaria (leverage: http://it.wikipedia.org/wiki/leverage) è il rapporto tra la somma totale delle risorse (proprie e in prestito) e le risorse proprie; rappresenta quindi il grado di esposizione dell'azienda (ovvero quanta parte dei finanziamenti necessari sono coperti da risorse esterne) il ROI (return on investment) rappresenta il tasso di redditività di un investimento, ed è dato dal rapporto tra il guadagno ottenuto e il totale delle risorse investite il ROE (return on equity) rappresenta il tasso di redditività del capitale proprio (che in inglese è detto equity ) ed è dato dal rapporto tra i profitti ottenuti e il totale di mezzi propri. Tralasciando la gestione non caratteristica (ovvero le attività collaterali dell'azienda), si può dire che: ROE ROI Leverage Questo rappresenta l'effetto moltiplicativo della leva. Ad esempio, un'azienda con una leva pari a 10 ha debiti pari a 9 volte le risorse proprie; l'accumulo dei debiti le permette di effettuare investimenti molto elevati con poche risorse proprie, aumentando notevolmente i ricavi ottenibili. D'altro canto, però, l'accumulo dei debiti rende l'azienda più esposta e fragile. Altre valutazioni sulla situazione finanziaria dell'azienda riguardano la disponibilità di denaro (liquidità) e la capacità di ripagare i debiti (solvibilità). Si può essere illiquidi senza essere insolvibili se l'attività economica dell'azienda la pone in condizione di ripagare i propri debiti in futuro anche se al momento non dispone di risorse liquide. Si può anche essere insolvibili senza essere illiquidi, se si dispone di grandi somme di denaro ma si hanno debiti di entità ancora maggiore. Questa distinzione sarà importante nel seguito della discussione. In questo contesto si inserisce il problema di come si quantifichino i valori inseriti nel bilancio: molte voci, infatti, non hanno un valore certo, ma devono essere stimate. I principi contabili italiani (contenuti nel Codice Civile) impongono di usare il criterio generale della prudenza, evitando quindi di sopravvalutare o sottovalutare i valori inseriti. I principi internazionali (IAS e IFRS), cui devono rifarsi tutte le aziende che operano a livello internazionale, impongono invece di valutare tutte le voci contabili secondo il loro valore di mercato. È evidente, quindi, che quando i valori di mercato (ad esempio delle attività finanziarie o degli immobili) risultano gonfiati, il valore stesso dell'azienda ne risulterà sovrastimato, fintantoché lo scoppio della bolla non riporterà precipitosamente i valori in basso. Questi principi, quindi, tendono a dare un quadro poco stabile, specie in contesti di crisi. Un altro degli elementi alla base della crisi è l'aumento, nel corso degli ultimi 10 anni, degli squilibri tra i paesi: da una parte ci sono paesi caratterizzati da alti tassi di risparmio e bassi consumi, che esportano più di quanto importano e accumulano crediti verso l'estero (ad esempio Cina, Germania e Giappone); specularmente ci sono paesi che risparmiano poco e consumano molto, che importano più di quanto esportino e accumulano debiti con l'estero (ad esempio Stati Uniti, Inghilterra, Spagna, Irlanda e Grecia). Approfondimento 2: Cenni sulla contabilità nazionale [11-14] Se non consideriamo il ciclo delle scorte, la domanda aggregata è all'incirca uguale alla produzione (ovvero al PIL). La lezione di Keynes è stata quella di guardare il PIL dal lato della domanda. Da questo punto di vista, la domanda aggregata di beni e servizi si può scomporre come somma di consumi privati (delle famiglie), investimenti privati (delle imprese), consumi e investimenti dello Stato (spesa pubblica), e esportazioni nette

(differenza tra esportazioni e importazioni). Per analizzare la contabilità nazionale, è necessario puntualizzare fin da subito la differenza esistente tra due tipi di grandezza: i flussi (ovvero le quantità misurate in un certo intervallo di tempo, solitamente un anno) e gli stock (ovvero le quantità esistenti in un certo istante di tempo). Immaginiamo una vasca da bagno: la quantità d'acqua che esce dal rubinetto, poniamo in 10 minuti, è un flusso in entrata; la quantità depositata all'interno della vasca in un certo istante è lo stock di acqua; la quantità che fuoriesce dalla vasca aprendo lo scarico della vasca, ad esempio per un minuto, è il flusso in uscita. Questi due tipi di grandezza possono essere utilizzati per analizzare la situazione finanziaria a livello macroeconomico: dal punto di vista degli stock, si può dire che il totale dei crediti e il totale dei debiti esistenti in un certo momento devono necessariamente essere uguali tra loro, perché il debito di un soggetto è contemporaneamente il credito di un altro; dal punto di vista dei flussi, si ha un meccanismo analogo: considerando le tre principali categorie di soggetti (privato, pubblico e estero), il totale dei saldi (variazioni del debito) deve essere zero; questo significa che se, ad esempio, il settore pubblico aumenta il proprio deficit (vedi oltre), questa variazione dovrà essere coperta (finanziata) o da un aumento del risparmio privato o da un afflusso di capitali dall'estero. Lo stesso tipo di distinzione interviene quando si parla di deficit e debito pubblico: il deficit pubblico è la differenza tra spese e entrate dello Stato in un certo anno (quindi è un flusso); il debito pubblico è il totale dei debiti dello Stato verso altri soggetti in un certo momento (quindi è uno stock); esso è dato dall'accumularsi nel tempo dei deficit 1. Ripercorriamo a questo punto le dinamiche della crisi [15]: come abbiamo detto, già a partire dal 2006 inizia la crisi del mercato immobiliare americano. Alla fine dell'anno successivo, gli Stati Uniti iniziano ad essere interessati da una vera e propria recessione. Inizialmente, però, sembra trattarsi di una crisi totalmente interna che non riguarda altri paesi. Tra la fine del 2007 e la prima metà del 2008 esplode la crisi petrolifera, con il prezzo del petrolio che arriva a superare i 130 dollari al barile [16], mentre la crisi finanziaria resta latente. La dinamica dei prezzi del petrolio si inverte a settembre del 2008 quando, con il crollo di Lehman Brothers, la crisi assume proporzioni globali. Il governo americano scelse di non salvare Lehman Brothers per non dover poi salvare tutti gli altri istituti finanziari che venissero a trovarsi nella stessa situazione, sottovalutando il problema dell'interdipendenza cui abbiamo accennato: il crollo di LB innescò infatti una reazione a catena che portò al conseguente crollo di tutti gli istituti ad esso collegati. La crisi petrolifera [16] ha avuto un impatto significativo sull'economia mondiale, andando a pesare soprattutto sui consumatori. Inoltre, secondo molti economisti ha contribuito ad aggravare la crisi finanziaria, in quanto ha ulteriormente incrementato le difficoltà finanziarie delle famiglie americane. Si può sostanzialmente escludere che tale crisi abbia avuto un'origine speculativa, in quanto nel momento in cui si registravano i picchi nel prezzo del petrolio, i paesi produttori non sono riusciti ad approfittare di tale situazione aumentando la loro produzione. È più probabile, quindi, che l'aumento del prezzo sia da ricondursi ad una produzione ormai non più in grado di rispondere alla crescente domanda globale. Nello stesso periodo (2007-2008), una situazione analoga si è creata rispetto alla produzione di cibo [17]: il prezzo delle derrate alimentari ha registrato un andamento analogo a quello del petrolio. Anche in questo caso, l'aumento della domanda mette in discussione la capacità produttiva e la sostenibilità a livello mondiale. L'effetto di tale situazione viene ovviamente percepito soprattutto nei paesi in via di sviluppo, laddove la spesa per consumi alimentari rappresenta una quota ben più elevata di quanto non avvenga nei paesi industrializzati. Il legame con il prezzo del petrolio si può in parte spiegare in virtù del fatto che, all'aumentare del costo del greggio, diventa più conveniente l'impiego di cereali per la produzione di biocombustibili 2. La crisi diventa globale Per capire in che modo la crisi si trasferisca dagli Stati Uniti al resto del mondo è necessario riflettere sul ruolo 1 Tra le spese sostenute ogni anno, e conteggiate ai fini del deficit, ci sono anche gli interessi sul debito pubblico. Tali interessi sono solitamente pagati con ulteriore emissione di titoli di debito. 2 Attualmente circa un terzo della produzione americana di mais è utilizzato per la produzione di biocarburanti.

del sistema finanziario [18]. Il sistema finanziario nasce fondamentalmente come strumento a supporto dell'attività produttiva (o reale): il suo ruolo è quello di raccogliere credito dai soggetti che hanno disponibilità liquide ed erogare finanziamenti sia alle imprese che alle famiglie; in definitiva, il suo compito è quello di garantire la giusta distribuzione di liquidità, ponendosi come intermediario tra soggetti che hanno liquidità in eccesso e soggetti che invece ne hanno bisogno. Il mercato monetario[19], molto sviluppato negli Stati Uniti e punto focale della crisi, è un buon esempio di questo meccanismo. Raccoglie risorse dagli investitori e le eroga alle imprese; le imprese usano le risorse ricevute per finanziare l'attività produttiva e, con il ricavato, restituiscono il prestito ricevuto con l'aggiunta di un interesse. Durante la crisi questo mercato si era totalmente paralizzato e la Federal Reserve è dovuta intervenire direttamente per garantire la possibilità delle imprese di ottenere finanziamenti. Per questo motivo, se si blocca il mercato monetario si determina anche un blocco dell'attività produttiva, comportando il passaggio della crisi dall'economia finanziaria all'economia reale. Proprio per questa sua essenziale funzione di supporto all'attività produttiva, il sistema finanziario non può essere lasciato a se stesso. Questo significa da una parte che non ci si può permettere di lasciarlo crollare (motivo per cui diversi paesi hanno fatto intervento a supporto degli istituti finanziari, di cui parleremo nel seguito), pena il blocco dell'economia reale; dall'altra che esso deve essere sottoposto a regole e controlli che ne riconducano l'attività alle sue primarie funzioni, e non ne permettano le derive speculative. La trasmissione della crisi a livello globale [20] avviene attraverso meccanismi diretti e indiretti: di sicuro, incide pesantemente il fatto che buona parte dei titoli tossici americani fossero detenuti all'estero, e in particolare dalle banche di alcuni paesi europei (come Irlanda e Germania); d'altro canto, l'esplosione della crisi ha fatto precipitare in poco tempo la situazione di paesi che avevano condizioni di partenza precarie e analoghe a quella americana (ad esempio l'islanda); il tentativo convulso di recuperare le risorse investite ha determinato una diffusa crisi di liquidità e un crollo generalizzato del valore dei titoli. La condizione di paura e insicurezza ha determinato il blocco quasi totale degli investimenti privati (con le prevedibili conseguenze sull'economia reale), mentre la crisi del commercio internazionale metteva in difficoltà i paesi esportatori. Il precipitare della situazione portava allo scoppio concomitante delle bolle speculative (reali e finanziarie) presenti in vari paesi (ad esempio il settore immobiliare in Spagna e Irlanda). Una piccola digressione sull'effetto prodotto dalla crisi sui tassi di cambio [21]: nel momento in cui la crisi si è estesa a livello globale, la crisi di liquidità e la percezione di maggiore sicurezza degli investimenti interni da parte degli investitori americani, che ha determinando il rapido rientro dei capitali detenuti all'estero, hanno comportato un'inversione di tendenza nell'andamento del tasso di cambio tra euro e dollaro (il grafico rappresenta il valore di un euro espresso in dollari). Il dollaro, che si era svalutato fintantoché la crisi aveva interessato soltanto gli Stati Uniti, ha iniziato a recuperare valore quanto la crisi si è estesa agli altri paesi. La risposta pubblica alla crisi Di fronte alla gravità della situazione, dopo trent'anni di predominio dell'ideologia sfrenatamente liberista di autoregolamentazione del mercato, torna ad imporsi la necessità di un intervento pubblico [22]. L'intervento pubblico è avvenuto principalmente in tre forme: manovre anti-cicliche: sono le manovre di politica fiscale attuate dai Governi, che hanno lo scopo di invertire la tendenza alla recessione, cercando di stimolare la ripresa dell'attività economica; ruolo delle banche centrali: detengono la politica monetaria; gli interventi proposti su questo fronte hanno avuto un'entità di gran lunga superiore a quelli fiscali; salvataggio delle banche: le conseguenze del crollo di grossi istituti finanziari (come Lehman Brothers) su tutto il sistema hanno reso necessario che si evitasse il ripetersi di queste situazioni; ovviamente, le modalità con cui avviene il salvataggio di una banca possono essere molto diverse, e la soluzione migliore varia a seconda delle diverse circostanze. Le manovre anti-cicliche [23] sono caratterizzate da un aumento del deficit pubblico (attraverso un aumento delle spese o una riduzione delle entrate) volto a compensare il calo della domanda privata:

gli stabilizzatori automatici sono quelle forme di sussidio che intervengono automaticamente a fronte degli effetti della crisi economica: ad esempio, i sussidi di disoccupazione scattano nel momento in cui la crisi provoca la perdita del posto di lavoro; lo Stato può inoltre intervenire con interventi diretti a sostegno delle imprese in difficoltà, come avvenuto nel caso di Chrysler e General Motors negli Stati Uniti; accanto ai sussidi automatici, si possono prevedere degli ammortizzatori sociali straordinari, come avvenuto anche in Italia con l'estensione della cassa integrazione; la domanda (e quindi la spesa) pubblica può essere aumentata anche con l'investimento diretto in opere pubbliche; perché questo possa avere un effetto positivo e tempestivo sulla crisi, però, è necessario che si tratti di interventi già programmati e che possano essere subito avviati, altrimenti i tempi di risposta sarebbero troppo lunghi; si può infine intervenire indirettamente, riducendo le tasse (e quindi le entrate) e aumentando di conseguenza il reddito disponibile per cittadini e imprese. Tutti i paesi coinvolti dalla crisi hanno attuato una o più di queste manovre, con combinazioni variabili. L intervento delle banche centrali è stato essenziale per impedire che la crisi si aggravasse [24]. Diminuzione del tasso di interesse : è la classica manovra effettuata in caso di crisi; poiché il tasso d'interesse rappresenta il costo sostenuto da chi prende in prestito denaro, la sua riduzione serve a favorire la possibilità di effettuare investimenti; il limite materiale di questo tipo di manovra è costituito dal fatto che il tasso d'interesse non può scendere sotto lo zero. Prestiti alle banche per garantirne la liquidità: le banche centrali hanno aumentato i prestiti erogati alle banche per compensare la crisi di fiducia che impediva alle banche di trovare credito sui mercati. Aumento della base monetaria : poiché il contesto di crisi esclude il problema di pressioni inflazionistiche, le banche centrali hanno potuto aumentare temporaneamente la quantità di moneta in circolazione; la quantità di moneta aggiuntiva serve a finanziare i prestiti e gli interventi diretti sui mercati. Intervento diretto sui mercati finanziari : le banche centrali possono anche acquistare direttamente i titoli sui mercati in modo da risollevare i prezzi e riattivare i mercati bloccati; questa manovra è stata realizzata principalmente dalla Federal Reserve e in misura molto minore dalla Banca Centrale Europea. Come abbiamo detto, il salvataggio delle banche da parte degli stati era inevitabile. Tuttavia, questo è avvenuto con modalità diverse e non sempre adeguate. Garanzie su depositi e obbligazioni : in questo caso gli Stati dichiarano di accollarsi tutto il rischio nel caso in cui le banche non siano in grado di restituire le somme depositate o investite; in casi come quello italiano, nel quale il problema era rappresentato soltanto da una carenza di liquidità e da una crisi di fiducia degli investitori, questa modalità è risolutiva e non comporta l'effettivo esborso di risorse pubbliche perché la mancata restituzione non si verifica (anzi, è scongiurata proprio dalle rassicurazioni dello Stato); nei casi in cui invece, come avvenuto in Irlanda, le banche sono caratterizzate da veri e propri problemi di solvibilità, questo tipo di manovra ha comportato un enorme spesa da parte dello Stato che ha dovuto effettivamente accollarsi tutto il debito delle banche salvate. Prestiti: lo Stato presta soldi alle banche, le quali dovranno poi restituire le risorse ricevute una volta superata la situazione di crisi, finanziandosi con l'emissione di nuovo debito pubblico; Ricapitalizzazione: lo Stato conferisce risorse alle banche, acquisendone in cambio la proprietà; il vantaggio di questo tipo di operazione è dato dal fatto che lo Stato può gestire direttamente la transizione in uscita dalla crisi; in questo caso è possibile anche una cosiddetta ristrutturazione del debito, con la quale si possono dilazionare le scadenze o ridurre la quota da restituire (facendo ricadere parte dei costi della crisi sui creditori) Intervento diretto sui mercati per risollevare il valore dei titoli: lo Stato acquista titoli sul mercato, analogamente a quanto detto per la banca centrale. A differenza della prima, in cui l'esborso di denaro è solo potenziale, le altre modalità prevedono sicuramente l'impiego di risorse pubbliche, che tuttavia non sono mai a fondo perduto e vengono almeno in parte recuperate, a volte addirittura con un guadagno per lo Stato. Oltre al costo dei salvataggio del sistema finanziario, la crisi economica ha di per se un enorme impatto sui conti pubblici [26].

Innanzitutto la crisi provoca una diminuzione del PIL e quindi della base imponibile, che in crisi gravi come quella attuale generalmente non viene mai recuperata interamente. Nella fase acuta della crisi questa riduzione è particolarmente marcata, specie sui redditi da capitale e autonomi. Sul fronte della spesa invece c'è un evidente inerzia nell'andamento degli impegni di spesa, che in assenza di interventi specifici tendono a crescere come avveniva prima della crisi stessa. A questo si aggiungono le spese straordinarie per far fronte alla crisi. La perdita di base imponibile e l'inerzia della spesa sono di gran lunga la componente più rilevante sul lungo periodo e pertanto richiedono interventi correttivi, che tuttavia è importante fare solo una volta che l'economia è uscita dalla crisi, per evitare di aggravare ulteriormente la crisi stessa. Gli interventi di salvataggio delle banche invece sul lungo periodo hanno generalmente costi contenuti o sono addirittura in attivo (salvo interventi scellerati come quello irlandese). La crisi del debito pubblico europeo Riportiamo solo la spiegazione del grafico della slide [27], che è l'ultima che siamo riusciti ad affrontare. Nella parte sinistra vengono riportati i valori del deficit pubblico (in rapporto al PIL) per diversi paesi europei e per gli Stati Uniti nel 2009. La linea più scura rappresenta il valore effettivo del deficit; la linea più chiara rappresenta il valore presunto al netto della crisi (si tratta di un calcolo effettuato in base alle stime sulla crescita potenziale). Da questo punto di vista, l'italia è uno dei paesi più virtuosi (anche se questo è la diretta conseguenza del suo immobilismo e della scarsa reazione di fronte alla crisi). La parte destra, invece, riporta i valori del debito (sempre in rapporto al PIL) per gli stessi paesi. La linea scura in questo caso rappresenta il debito lordo, ovvero il totale del debito; la linea chiara, invece, rappresenta il debito netto, che si ottiene sottraendo al debito lordo il valore degli assets (ovvero delle attività possedute). In questo caso la posizione dell'italia è la peggiore rispetto ai paesi riportati nel grafico (in generale, per quanto riguarda il rapporto debito/pil, l'italia è seconda solo al Giappone). Il resto, alla prossima chiacchierata...