Marco De Marinis, Semiotica e semiologia



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Negli ultimi anni la semiotica è diventata una metadisciplina, cioè una materia trasversale a ogni riflessione sul piano teorico, una sorta di spina dorsale della teatralogia, intesa come studio del fatto teatrale. La semiotica investe l intero piano degli studi sul teatro, perché il teatro è, nelle sue funzioni e nelle sue prerogative, una pratica di comunicazione, un fenomeno di significazione. La semiotica è dunque una cornice teorica globale essenziale all'analisi dei fenomeni teatrali. Tuttavia prendere la semiotica come un vademecum teorico comporta un rischio: quello di assolutizzare l importanza del discorso sul significato e i segni, sui requisiti generali di teatralità e teatrabilità, cioè di fare della filosofia più che una corretta analisi teatrale. È stato il circolo di Praga, negli anni '30, ad cominciare ad applicare studi sub specie semiotica al teatro: il segno teatrale è visto, saussurianamente, come sinolo di significante e significato. La sistemazione teorica praghese si riassume sostanzialmente in tre punti: - principio di artificializzazione (semiotizzazione): tutto ciò che è sulla scena è segno; - principio del funzionamento connotativo: i segni mostrati sulla scena tendono ad assumere una dimensione ulteriore dal punto di vista segnico, che li porta a essere dei segni di segni d oggetto, con valore anche metaforico, simbolico, iconico; - pincipio della mobilità: sulla scena i segni possono cambiare di significato a seconda del loro uso semiotico: una canzone o un gesto, una scritta, una battuta possono far parte integrante di una scenografia (intercambiabilità funzionale), uno strumento di scena può significare qualcosa dapprincipio, qualcos altro in un momento successivo (polivalenza espressiva). Forse la critica praghese ha ecceduto nel considerare il teatro come un fatto puramente semiotico, dove tutto è sempre significante, tralasciando l aspetto performativo, reale, fenomenologico della performance, della finzione, che comprende anche le sbavature, le variazioni sul tema, la fuoriuscita del segno dall alveo del significato prescritto e analizzabile. Il merito della scuola di Praga è stato tuttavia quello di aver indirizzato l attenzione del pubblico competente anche sulla messa in scena, sulla performance, non solo sul testo. Con la Scuola di Praga il teatro (e il suo studio) diviene un fatto non solo letterario e acquisisce dignità autonoma. Il merito indiscusso della scuola di Praga ad ogni modo è stato quello di avere impostato il problema della semiosi teatrale, cercando di individuare lo specifico semiotico - le qualità segniche del fenomeno teatrale, considerato nel suo aspetto scenico, performativo, soprattutto. Il modello praghese tuttavia sembra funzionare per il dramma mimetico ma non per eventi teatrali che si muovono in direzione opposta. Lo Strutturalismo praghese eredita da Saussure l intento sistematico di analizzare i meccanismi comunicativi sulla base di una teoria generale dei segni, e la teoria del segno come di un entità a due facce in cui un veicolo significante si salda a un contenuto significato (F. Saussure, Corso di linguistica generale). La prospettiva di lavoro che si pose fu quindi l identificazione del segno teatrale. L applicazione al teatro dei principi saussuriani da parte di Mukarovsky consistette nell identificare nell opera d arte l unità semiotica. Il significante viene identificato nell insieme degli elementi materiali che intervengono nella messa in scena, il significato nell oggetto estetico fruito dal pubblico. Il testo spettacolare è quindi quell unità in cui le varie componenti si fondano in una sorta di macrosegno. Il passo successivo è quello di studiare il funzionamento dei segni teatrali. La funzione più generica della semiosi teatrale è individuata da Bogatyrev nella semiotizzazione teatrale. Gli esponenti della scuola di Praga sottolineano il fatto che la semiotizzazione teatrale permette di rinviare l oggetto teatrale alla classe di cui fa parte, prima che all oggetto come componente del mondo drammatico. Ciò può avvenire sia per un oggetto che abbia affinità evidenti, ad esempio una semplice sedia in scena, sia per un oggetto che abbia una relazione simbolica o di altro genere con la classe di oggetti cui fa riferimento. La denotazione teatrale agisce quindi con significanti che rinviano attraverso la mediazione della classe di cui fanno parte al loro significato nel mondo drammatico. Così impostata la denotazione dà ragione del funzionamento mimetico dei significanti. La connotazione agisce invece rinviando il segno teatrale all universo di senso cui fa riferimento all interno del sistema culturale. Ad esempio una spada rinvia al vigore guerriero o a valori cavallereschi ecc. Denotazione e

connotazione sono quindi entrambe presenti nella semiosi teatrale e la loro dialettica è fondamentale nell evento teatrale. Il segno teatrale deve poi essere pensato come polisemico, nel senso che un segno può rinviare a svariati aspetti semantici, una scenografia può rinviare ad esempi ad una tipologia architettonica, ma anche a un particolare ambiente socio-familiare o ad una condizione esistenziale. Altra caratteristica fondamentale individuata dagli studiosi della scuola di Praga è la mobilità del segno teatrale ossia alla capacità di esso di rinviare potenzialmente a qualsiasi significato. Per quanto riguarda la classificazione delle tipologie di segni teatrali Kowzan (Le signe au théâtre) stabilisce una dicotomia tra segni naturali e segni artificiali. Nei primi il legame tra significante e significato dà un rapporto di causa-effetto (ad esempio una ingessatura presuppone una gamba rotta), nei secondi il legame di pende dall intervento umano. Kowzan sottolinea il fatto che i segni teatrali sono resi artificiali in più larga misura rispetto a quelli della vita reale in quella che egli chiama artificializzazione del segno. Negli anni cinquanta e sessanta l attenzione dei teorici e dei critici teatrali si sposta sull'analisi del testo drammatico; l orientamento si fa decisamente semantico-letterario, cioè assume il testo come un monema, un corpus di stampo drammaturgico-letterario che, sia pure sfrangiato, discontinuo, screziato, contiene ed emana - istanze culturali e valori artistici autosufficienti, che la rappresentazione scenica si limita a tradurre senza troppe distorsioni, se non superficiali. Tale tendenza interpretativa resta preponderante nella teoria teatrale, opponendosi in una sorta di dualismo critico all interpretazione più squisitamente semiotica proposta dal modello praghese, il cui avvento ha comunque ridimensionato l'importanza del testo drammatico, ridotto e declassato a una delle tanti componenti del fatto teatrale. A cavallo fra gli anni sessanta e gli anni settanta le teorie della semiotica teatrale ricevono nuovi impulsi dal lavoro di Barthes e di Kowzan. Rispetto alla Scuola di Praga, il secondo trova che il teatro non avrà e non potrà mai disporre di una ipotetica, preesistente langue (un linguaggio potenziale, astratto), ma sarà soltanto, di volta in volta, parole (realtà, uso, sperimentazione), cioè una pluralità di testi dai codici e dai linguaggi misti e spesso disomogenei fra loro. Secondo Kowzan sono tredici i sistemi di segni che possono intrecciarsi e cooperare in una messa in scena: parola, tono, mimica, gesto, movimento, trucco, acconciatura, costume, accessorio, scenografia, illuminazione, musica e rumori. In questo periodo la teoria teatrale privilegia lo studio dei rapporti fra testo e messa in scena, focalizzando da vicino la tipologia dei segni e dei codici teatrali, le relazioni, ascendenti o discendenti, fra i codici teatrali, la strutturazione del continuum teatrale, la strategie e i meccanismi di dotazione di senso prediletti dagli autori e scelti dai registi. La semiotica del teatro si divide presto in due correnti di pensiero: quella che dà la priorità all analisi della performance e alla descrizione semiotica degli eventi spettacolari; e quella che elabora teoricamente e metodologicamente attraverso modelli critici il funzionamento della semiosi e del testo teatrale. Emerge sempre più che il teatro è una galassia complessa di tanti sottotesti di varia natura e funzionamento. Questo macrotesto, che riunisce e assembla componenti e linguaggi vari, è chiamato testo spettacolare. Ogni testo spettacolare ha alla sua base un contesto culturale (intertestuale), ovvero l humus, il sostrato culturale (composto da studi e testi di varie discipline, anche non soltanto artistico-letterari) che può fungere da riferimento culturale, intellettuale, critico, interpretativo nei riguardi del testo in esame e di chi l'ha creato, del suo autore; inoltre vi è pure un contesto spettacolare, o immediato, relativo alle situazioni e alle pratiche comunicative, pragmatiche, spettacolari con le quali un testo ha a che fare, ovvero l'esperienza di tutte le fasi, preliminari, contestuali e successive alla performance legata a un testo particolare. Dunque un testo teatrale è allo stesso tempo un testo-nella-storia ed un testo-in-situazione. Naturalmente ogni fatto teatrale, che si manifesti come una lettura o come una fruizione dal vivo, necessita l intervento attivo dello spettatore. Ogni testo spettacolare è intrinsecamente, per sua stessa natura, lacunoso, fallato, non può essere una struttura uniforme, finita, in sé perfetta, ma è sempre necessariamente opera aperta, nel senso suggerito da Umberto Eco nel suo noto saggio. Dunque presuppone, anzi necessita l'attiva partecipazione, il complemento produttivo, interpretativo, del fruitore, il quale deve attingere alla sua enciclopedia personale, alla sua sensibilità e alla sua capacità di decodificazione per poterlo comprendere. La semiosi teatrale, cioè la pratica di interpretazione dei segni evocati nel continuum scenico, non è affare dei soli attori, non avviene solo sul palcoscenico, ma riguarda anche il pubblico, che deve interpretare con i suoi interpretanti ciò che viene detto sulla scena: il fruitore è il co-produttore

dell'opera. Questa è l ultima e decisiva frontiera teorica varcata dalla riflessione semiotica applicata al teatro: la relazione teatrale. Tuttavia, la relazione teatrale non avviene soltanto tra la messa in scena e il pubblico ma, ovviamente, anche fra gli attori stessi, fra gli attori e il regista, fra il regista e l'autore, come un dialogo silenzioso, una tacita dinamica creativa e interpretativa tra le parti coinvolte nel progetto drammaturgico. Tuttavia è forse fra attori e spettatori che avviene l interazione decisiva e più evidente. Dal punto di vista comunicativo il loro rapporto non è paritario: lo spettacolo tende necessariamente a manipolare, ovvero a pilotare, cioè a influenzare cogentemente i processi cognitivi e critici dello spettatore. La messa in scena informa, forma, deforma la mente dello spettatore, che a questo livello è soggetto passivo. Questa scissione dello spettatore è ovviamente solo descrittiva, indicativa, per nulla normativa. A parziale ricomposizione della dicotomia greimasiana soggetto attivo\soggetto passivo è stata avanzata da De Marinis la nozione dello Spettatore Modello, che (lector in fabula) interviene nei processi creativi, critici, ricettivi dell opera teatrale: è egli stesso una sorta di strategia ricettiva e percettiva dello spettacolo, che a tale scopo gli lascia, talora programmaticamente, quasi volontariamente, spazi vuoti da colmare e interpretare, canali interpretativi liberi. Secondo De Marinis una messa in scena ha spesso già inscritto in sé uno Spettatore Modello. L atto ricettivo dello spettatore si può ridurre a un modello teorico della comprensione teatrale. Esso si può comporre di ipotesi sulla funzione comunicativa e sulla struttura del testo spettacolare e sulla variabile competenza critica dello spettatore. Vi saranno dei - presupposti dell atto ricettivo: riguardano soprattutto la competenza dello spettatore, che oltre ai requisiti tecnici, testuali, è influenzata fortemente dalle intime motivazioni culturali, psicologiche, affettive; - processi e sottoprocessi: lo spettatore a teatro ha una determinata percezione dell'opera (reazioni emotive, valutazione, apprezzamento estetico, memorizzazione). Non è chiaro quanto nel decifrare un evento teatrale pesi su di lui, a livello antropologico e culturale, la pre-interpretazione (es. da popolo a popolo uno stesso testo teatrale può innescare diversi sentieri di significazione e diverse possibili reazioni); quale meccanismo sortisca l interesse e in quali rapporti siano i processi cognitivi e quelli emotivi; se la valutazione e l apprezzamento estetico dello spettacolo influenza o è influenzata dagli altri fattori cognitivi, ovvero se l'apprezzamento estetico di un'opera è determina o è determinato dalla comprensione di essa; come funzionano la memoria e il ricordo nel testo teatrale; - risultati: la comprensione dello spettacolo che lo spettatore costruisce in sé sulla scorta dei dati forniti dallo spettacolo stesso e del suo sistema di precondizioni interpretative. In genere si usa dividere la comprensione in tre momenti comunque legati fra loro: semantica, estetica, emotiva. Infine si può dire che la semiotica, affinché possa fregiarsi del ruolo di metalinguaggio, di interpretante ideale del fenomeno teatrale, dovrà sforzarsi di avere un approccio il più possibile plurilinguistico, integrando in sé metodi, conoscenze, nozioni di ogni materia e ambito scientifico-letterario; soprattutto dovrà essere empirica, ovvero sperimentale, applicata sul campo dello spettacolo e della sua ricezione. Certamente la semiotica non serve ad un teatro istituzionale che (senza mai rimettere in questione se stesso, le proprie categorie, il proprio metodo produttivo) continua a pensare e praticare aproblematicamente (e mercantilmente) lo spettacolo soltanto come illustrazione di un testo drammatico. E neppure serve a un tipo di teatro (e ce ne sono anche nel campo delle avanguardie) che concepisca la ricerca e la sperimentazione sceniche nei termini di una creatività intuitiva e ineffabile, del tutto impermeabile a categorie scientifiche. Marco De Marinis, Semiotica e semiologia Il punto di partenza per un tentativo di definizione della specificità del segno teatrale, è la constatazione di come sia stato il cambiamento della natura del testo teatrale a imporre una ridefinizione della stessa nozione di testo drammatico e di come le trasformazioni interne al teatro portino ad un mutamento dei rapporti tra le componenti semiotiche in gioco.

In questi ultimi anni infatti il testo teatrale ha subito così tante modificazioni, sia per gli aspetti che riguardano la produzione che per quelli che riguardano la fruizione, da metterne in dubbio l esistenza stessa come traccia di un opera riproducibile da parte di registi che possano lavorare nello spazio tra il testo e la messa in scena, colmandone la mutua distanza attraverso la propria opera ermeneutica. La storia dell analisi del segno teatrale può essere connotata come la storia della tensione tra il testo drammatico e la messa in scena. L impostazione strutturalista tradizionale riconduceva lo statuto ontologico della messa in scena a realizzazione del testo drammatico ; il loro rapporto reciproco era pensato come una reificazione alienazione del testo drammatico nella sua realizzazione scenica. Per cui l analisi semiotica teatrale era essenzialmente ricondotta ad una analisi semiologica del testo drammatico. Tale impostazione è presente in quei modelli strutturalisti che approcciano il teatro da un punto di vista narratologico e su tali basi costruiscono il loro modello interpretativo, come l analisi strutturalista della fiaba di Propp (V. J. Propp, Morfologia della fiaba), le cui categorie vengono riplasmate per la messa a punto teatrale del modello. Altro presupposto fondamentale è l estensione alla letteratura della semantica strutturale che teorizza la presenza di una struttura profonda nel linguaggio ritenuta responsabile della struttura superficiale degli avvenimenti linguistici. E chiaro che conseguenza implicita di tale impostazione è l assegnazione del ruolo di struttura profonda al testo drammatico e di struttura superficiale alla messa in scena, i cui avvenimenti sono quindi come confinati nella sfera fenomenica in senso debole e come tali non possono essere oggetto di scienza, ma forse soltanto di cronaca giornalistico-mondana. Queste considerazioni possono valere per il modello attanziale di Etienne Souriau, che imposta la sua analisi con categorie direttamente ricavate da Propp; i ruoli attanziali vengono infatti concepiti come una classificazione dei ruoli drammatici resi attraverso una simbologia tratta dall astrologia; posti i ruoli attanziali attraverso una combinatoria si procede quindi all analisi del dramma. Il modello sembra valido soprattutto per gli intrecci i cui personaggi si prestano ad essere ricondotti a rapporti del tipo protagonistaantagonista, protagonista-aiutante etc, tipici della narrativa popolare o della fiaba, appunto. Il modello di Greimas riconduce i ruoli attanziali al loro aspetto (secondo Greimas alla loro origine ) linguistica. Il teorico francese parte infatti dalla considerazione che il linguaggio sia essenzialmente drammatico. Il passaggio può essere chiarito da un esempio: in Souriau il primo ruolo attanziale è quello del Leone ossia l incarnazione nel protagonista della forza tematica che si svolge nel dramma; tale ruolo viene ricondotto da Greimas alla categoria linguistica di soggetto. Modelli di tal genere fanno capo a un impostazione semiologica della semiotica, la tensione di cui si parlava all inizio è tutta sbilanciata verso la considerazione del testo drammatico. E chiaro poi che altro presupposto fondamentale è la presenza di dramatis personae come unità minima della fabula. Su questo presupposto il modello, attraverso dei rapporti sintattici istituiti da una combinatoria può procedere a una analisi semiologica che sembra essere piuttosto una riduzione o tutt al più una classificazione. L origine letteraria di questi modelli è chiara e porta alla totale non considerazione della messa in scena come possibile oggetto di indagine. Questa forma mentis è operante anche in uomini di teatro per cui la letteratura è il germe da cui il teatro nasce. Così si esprime ad esempio Luigi Pirandello: Perché se ci pensiamo bene l attore deve fare e fa per forza il contrario di ciò che ha fatto il poeta. Rende cioè, più reale e tuttavia meno vero il personaggio creato dal poeta, gli toglie tanto, cioè di quella verità ideale, superiore, quanto più gli dà di quella realtà materiale, comune, e lo fa men vero anche perché lo traduce nella materialità fittizia e convenzionale d un palcoscenico. L attore insomma necessariamente dà una consistenza artefatta in un ambiente posticcio, illusorio a persone e ad azioni che hanno già avuto un espressione di vita ideale, qual è quella dell arte e che vivono e respirano una realtà superiore. Una presenza più pregnante di elementi che afferiscono alla sfera scenica è invece da rilevarsi negli studi della scuola di Praga. Nell Estetica dell arte del dramma, pubblicato da Otakar Zich nel 1931, si pone in un luce un aspetto fondamentale della semiosi teatrale, ossia la presenza in essa di sistemi di segni eterogenei ma interdipendenti. Zich non solo non riconosce una particolare prevalenza a uno dei sistemi,

ma rifiuta esplicitamente il predominio del testo scritto come oggetto privilegiato della semiotica del teatro. In quello stesso 1931 viene pubblicato l altro testo fondamentale della scuola di Praga, Tentativo di analisi del fenomeno dell attore di Jon Mukarovskj (J. Mukarovsky, Tentativo di analisi del fenomeno dell attore in Il significato dell estetica, Torino, Einaudi, 1973). Questo testo può essere considerato il primo tentativo di una vera e propria semiotica della performance. L autore sottopone ad analisi la gestualità di Chaplin inaugurando un attenzione verso gli aspetti non verbali di fondamentale importanza. L esito teorico della scuola di Praga è fondamentale perché riconosce il potere semiotico della messa in scena al di là del testo drammatico e in una maniera che mette in gioco tutte le componenti segniche. In merito al dibattito odierno è necessario ricordare il contributo di Marco De Marinis, che con la distinzione tra testo spettacolare e testo drammatico teorizza un modello unitario-irreversibile nel rapporto tra testo drammatico e testo spettacolare. Il modello unitario-irreversibile di De Marinis sembra preservare la semiotica teatrale dal suo appiattirsi sull analisi dei testi letterari proprio perché considera la messa in scena un evento parzialmente indipendente nel senso che non è contenuto in nuce nel testo drammatico e proprio per questo si pone come oggetto di studio indipendente dell analisi testuale dello spettacolo. Il prendere in considerazione il momento della scrittura teatrale come inseparabile (almeno in alcuni casi) dalla pratica teatrale stessa, dal momento legato al lavoro laboratoriale attoriale ci porta ad invertire il rapporto genealogico tra testo drammatico e testo spettacolare e quindi ripensare il modello stesso. Questa rielaborazione istituisce un diverso rapporto tra testo drammatico e testo spettacolare, non soltanto, così come nel modello di De Marinis, rifuggendo da quelle impostazioni che riducono il testo spettacolare al testo drammatico ma istituendo una relazione di circolarità tra il testo drammatico e il testo spettacolare. Allora l analisi semiotica di un avvenimento teatrale avrà come oggetto l avvenimento stesso scevro di qualsiasi supporto letterario, proprio perché il testo drammatico può essere preso in considerazione, almeno in alcuni casi, soltanto dopo un indebita astrazione-estrazione dal suo essere detto, agito, messo in scena. Un ultima osservazione riguarda la possibilità che un documento scritto possa funzionare da documento per la messa in scena. In effetti per alcuni spettacoli contemporanei la scrittura non è tanto drammatica quanto piuttosto scenica e le notazioni di regia sopravanzano di gran lunga le parola da dire. Talvolta si parla perfino di scrittura corporea oppure si pensi a quei casi in cui la parola viene veicolata da microfoni, display luminosi, distorta da artifici tecnologici inseparabili dal portato semantico della parola stessa che viene usata in maniera parassitaria per servire da significante per le distorsioni stesse, come nel caso di Motus. Anche qui il testo spettacolare più che essere irreversibile rispetto al testo drammatico vi si unisce in un unità inestricabile. La struttura concettuale e cognitiva che presiede alla fruizione teatrale è data dalla cornice, o appunto frame (il termine è mutuato dalla terminologia sociologica di Bateson. Cfr. G. Bateson, Una teoria del gioco e della fantasia, in Verso un ecologia della mente), in cui i partecipanti e gli osservatori negoziano la comunicazione segnica. Il frame teatrale è contraddistinto tradizionalmente da due caratteristiche essenziali: in primo luogo dalla presupposizione che il pubblico non abbia né il diritto né l obbligo di partecipare all azione che si svolge sul palco, in secondo luogo l accettazione della realtà teatrale come di una realtà fictional parassitaria rispetto alla realtà. A partire da questi presupposti la semiosi teatrale è affidata agli indicatori deittici, ossia a quelle parti del discorso che hanno la funzione di indicare i reciproci rapporti tra gli attori e tra gli attori e il pubblico. A teatro il senso è affidato in primis alla deissi che regola le articolazioni degli atti di discorso. Anche la retorica, come la sintassi, la grammatica ecc. afferiscono, a teatro, alla deissi, che sussume e smista il senso veicolato dalle immagini, dai vari generi di linguaggio (prosa, poesia), dai diversi modi linguistici dei personaggi, dall intonazione, dal ritmo, dai rapporti prossemici, dalla cinesica dei movimenti. Presupposto di tale impostazione è la pre-comprensione da parte dello spettatore del carattere mimetico dell azione scenica secondo un rapporto per cui il Mondo drammatico grazie all essere situato nel frame possa essere compreso sulla base di parziali deviazioni rispetto al Mondo reale. Da questo punto di vista il frame potrebbe intendersi come una serie di norme di traduzione generale che permettono il passaggio da un codice all altro, come una sorta di spazio trasparente. Non si parla di spazio solo metaforicamente, perché è proprio la distanza spaziale tra attore e spettatore in cui tale possibilità di trascrizione a partire da una supposta mimesi si inscrive e da cui forse sembrano generarsi tali connotazioni del frame.

Da questo punto di vista tutte le performance in cui lo spettatore è più o meno coinvolto nell azione teatrale non rientrerebbero nella definizione di teatro che una tale concezione del frame sottende. Una tale connotazione del frame teatrale è dunque inadeguata. Non ha alcuna funzionalità interpretativa, forse gli si può tutt al più assegnare una valenza normativa, non solo per quegli spettacoli in cui la distanza e la differenza di ruoli tra attori e spettatori viene programmaticamente infranta ma che in realtà non dia ragione del carattere metasegnico della organizzazione spaziale che ci sembra essere un aspetto fondamentale del teatro contemporaneo. Sulla base di una tale impostazione lo spazio inteso come relazione prossemica dei segni viene a perdere ogni valenza significante per essere ridotto ad una semplice distanza in cui far circolare la comunicazione senza influenzarla, se non in quanto contenitore. Sembra che il lavoro sullo spazio nel teatro contemporaneo abbia una valenza di organizzazione dei segni e che sia tutt altro che un medium diafano in cui i segni stessi non facciano altro che passare. La valenza dello spazio teatrale è piuttosto quella di dare le coordinate di un mondo sì fictional rispetto al mondo reale, ma che tale finzione non vada interpretata su basi mimetiche o allusive quanto nella sua valenza costruttiva o decostruttiva. Il tema ci sembra correlato all impossibilità di utilizzare la categoria di dramatis persona per molti dei personaggi messi in scena nel teatro di ricerca contemporaneo. E come se ci fosse un triplice sistema di distanze vuote e gerarchicamente ordinate che condizionano l approccio semiologico e che si implicano vicendevolmente: 1) la distanza tra testo drammatico e testo spettacolare come semplice possibilità di passare dal primo al secondo con l unico inconveniente della purezza del primo rispetto alla opacità del secondo; 2) la distanza attore spettatore riempita dall ineffabile potere mimetico dell attore e dalla capacità interpretativa dello spettatore; 3) la distanza attore personaggio che è riempita dalla rincorsa infinita del primo verso il secondo e che è direttamente simmetrica alla prima distanza. La dramatis persona sembra essere il corrispettivo psicologico del contenuto del testo drammatico. L interpretazione dell attore dovrebbe sostanziare di gesti suoni, voci, colmando la distanza tra sé stesso e il personaggio da interpretare. Così come avviene per il testo drammatico e per il frame anche per la dramatis persona si può notare un fenomeno di decomposizione che ne inficia l efficacia all interno dell analisi semiotica. Con Carmelo Bene, per esempio, la recitazione non può più essere considerata un attività mimetica. La dicotomia attorepersonaggio si appiattisce in un ibrido che non è né l uno né l altro, l assenza stessa di fabula, il suo essere sopravanzata dall intreccio, il farsi fabula dell intreccio, il prevalere dell idioletto sul codice-lingua, sono tutti fenomeni che si muovono lungo la direttrice di una disintegrazione di una psicologia a cui il personaggio possa essere ricondotto, per far esplodere piuttosto energie pre-psichiche, parzialità idiosincratiche che lo spettatore è portato a percepire come eventi in sé non a ricondurli ad una storia di un personaggio.