COMMISSIONE NAZIONALE LAVORO AUTONOMO - FNSI Indagine conoscitiva sul lavoro giornalistico autonomo in Italia (inverno 2010-2011) Relazione sintetica finale e analisi dei dati
Federazione Nazionale della Stampa Italiana INDAGINE CONOSCITIVA SUL LAVORO GIORNALISTICO AUTONOMO IN ITALIA (inverno 2010-2011) La Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi ha curato nell inverno 2010-2011 un indagine conoscitiva sulla situazione e il trattamento riservato in Italia ai giornalisti lavoratori autonomi (professionisti e pubblicisti, senza distinzioni). L indagine non aveva ambizioni statistiche, ma era finalizzata a realizzare un primo sondaggio-test nazionale tra i lavoratori autonomi, per la successiva elaborazione di uno screening più approfondito e sistematico delle condizioni di lavoro dei giornalisti lavoratori autonomi, da poter utilizzare come base sia nelle trattative sindacali che in sede di proposte legislative. Dall indagine-test realizzata sono emersi dati significativi e altamente preoccupanti. Appare infatti la fotografia di una realtà perfino peggiore di quella evidenziata fino ad allora da altri studi, perché - al di là dei dati acquisiti - alcune dichiarazioni, inserite spontaneamente nel questionario, permettono di comprendere che l evoluzione delle condizioni di diversi giornalisti non dipendenti tende man mano a peggiorare. Per effettuare l indagine si è utilizzato un questionario messo a disposizione per 20 giorni dei colleghi nelle varie regioni, sia tramite i membri della Commissione nazionale che di quelle regionali per il Lavoro Autonomo, sia con l aiuto delle Assostampa regionali. Sono stati raccolti circa 500 questionari da 14 regioni, che hanno fornito informazioni su 873 esperienze lavorative. I dati provengono da auto-dichiarazioni, dietro garanzia di anonimato, da una platea a campione casuale e misto. Le risposte fornite possono essere considerate credibili e corrispondenti alla realtà (in molti casi nota anche per conoscenza documentale ai membri della Commissione). In sintesi, le informazioni raccolte possono essere ritenute rappresentative della realtà vissuta dai giornalisti lavoratori autonomi e delle diverse tipologie di giornalismo. I dati sono stati poi analizzati da Giovanni Ruotolo e Laura Viggiano, membri della Commissione nazionale Lavoro Autonomo, in rappresentanza rispettivamente del Piemonte e della Campania. Dalle loro analisi è stata elaborata la presente relazione finale riassuntiva, che evidenza anche i dati salienti emersi dall indagine. I dettagli dei dati e delle risposte, riaggregati in un file Excel (dal quale sono stati rimossi i casi di colleghi facilmente identificabili), sono a disposizione su richiesta presso la Commissione nazionale Lavoro Autonomo Fnsi. Maurizio Bekar Coordinatore della Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi (Roma, luglio 2012)
INDAGINE CONOSCITIVA SUL LAVORO GIORNALISTICO AUTONOMO IN ITALIA (inverno 2010-2011) Relazione sintetica finale e analisi dei dati (giugno 2011) RISULTATI Il problema più evidente è quello dei compensi, quasi mai congrui e sintomo di uno sfruttamento sfrenato e senza limiti. Un fenomeno che riguarda grandi e piccole testate e che non trova molte eccezioni neanche nel raffronto territoriale. Se fino ad alcuni anni fa i picchi di maltrattamento riguardavano alcune regioni, sostanzialmente del Meridione, oggi l atteggiamento degli editori appare pressoché omogeneo. La molteplicità di contratti/rapporti atipici che in realtà nascondono lo stesso tipo di attività professionale esternalizzata dagli editori favorisce inevitabilmente una serie di storture a cui il colpo finale è dato da tempi a volte biblici nei pagamenti. DATI SINTETICI Sono 873 le posizioni/i rapporti di lavoro registrati; solo poco più del 7%, e cioè 63, indicano compensi che possono ritenersi salvo ulteriori verifiche - nella fascia di congruità e che variano dai 60 a 2000 euro per singola prestazione. Ben 250 casi rientrano in una fascia di compenso indiscutibilmente non congrua. Si tratta di compensi inferiori o in pochi casi equivalenti a 30 euro lordi a pezzo. La cosa più preoccupante è che oltre il 50% di questi 250 casi (complessivamente 133) dichiarano che le loro singole prestazioni sono effettuate, se non in assenza di compenso, al di sotto dei 10 euro. Alcuni esempi: un collega dichiara di percepire dalla Gazzetta di Modena 4 2 1 euro lordi a pezzo (in funzione della lunghezza) ma che per fortuna gli riconoscono un rimborso spese, che però non copre le spese telefoniche. Oppure, un collega che lavora per Il Messaggero Agenzie Varie occasionalmente per Il Giornale, Gazzetta dello Sport, Corriere Adriatico, Resto del Carlino reti televisive nazionali su piattaforma digitale, percepisce: 2-6-9 euro lordi a pezzo, in base al numero di moduli. Per le foto poi non sono si arriva quasi mai oltre i 10 euro e mediamente vengono retribuite in un range che va da 2,50 a 6 euro in dipendenza dei moduli. Se si guarda alle dichiarazioni reddituali risultanti dai dati Inpgi si capisce che le molte delle dichiarazioni che risultano essere al di sotto della soglia di povertà sono non solo sintomatiche di un basso compenso, ma anche di un superlavoro. Si sono registrate 243 partite Iva, che rappresentano circa il 30% del campione, ed emerge chiaramente che spesso si tratta di partite Iva che nascondono giornalisti parasubordinati. Rilevante anche il numero di colleghi, 72, che dichiara di avere un rapporto di lavoro con testate giornalistiche regolato dalle norme sul diritto d autore. Le forme di rapporto di lavoro sono assolutamente eterogenee, e la diversità non è giustificata da differenti tipologie di prestazioni professionali. Un tasto dolente è quello dei rimborsi spese che in gran parte dei casi non sono riconosciuti ai collaboratori. Si tratta di circa 570 casi su 873, nonostante i compensi non congrui. Cosa che comporta un ulteriore aggravamento della situazione, nonché un lavoro realizzato in perdita dai collaboratori, su cui le aziende scaricano i costi di produzione e contributivi. I tempi di pagamento in media vanno dai 60 ai 90 giorni con punte di 8-12 mesi. Quasi tutti i giornalisti lavoratori autonomi dichiarano di aver visto nell ultimo anno ridotti sia i compensi che il numero di pezzi assegnati. Un taglio stimato da alcuni pari al 30-40%.
NOTE DI APPROFONDIMENTO Nota metodologica Le domande del questionario, autosomministrato, erano sei e riguardavano: Il nome e il tipo di media con cui era in corso la collaborazione Il tipo di accordo, ossia la forma giuridica della collaborazione La quantità dei compensi La presenza di eventuali rimborsi spese I tempi di pagamento L'andamento della collaborazione, ossia se si era riscontrato una diminuzione del lavoro, sia in termini quantitativi del lavoro commissionato, sia in termini di compensi Analisi dei dati Ai questionari hanno risposto centinaia di colleghi di tutta Italia rappresentativi delle varie declinazioni del lavoro giornalistico, dalla carta stampata, all'emittenza, al web, agli uffici stampa, alle agenzie. Il quadro dei dati raccolti risente di alcuni limiti d impostazione metodologica-statistica, ma da un esame del loro complesso si può affermare che l indagine condotta dalla Commissione conferma in generale lo stato di grave disagio dei colleghi. Allo stesso tempo, però, la platea è talmente variegata che, in questa prima fase d indagine, ogni conclusione che non sia di tipo generale rischia di essere fuorviante. Da questa prima ricerca-test (che è stata volutamente incentrata solo sui dati essenziali di compensi, tipi di contratto e tempi di pagamento) non è possibile capire, per esempio, quanti sono i pubblicisti classici, ossia quelli che vivono di un altro lavoro prevalente e possono quindi anche permettersi di accettare compensi insultanti e tempi di pagamento biblici, a differenza dei pubblicisti che svolgano invece un attività giornalistica esclusiva, o prevalente rispetto ad altre fonti di reddito. Detto che i colleghi che hanno risposto in maniera più o meno adeguata e precisa al questionario somministrato hanno in buona parte dei casi più rapporti di collaborazione con altrettante testate e aziende di diverso genere, una delle prime cose che si notano è la grande varietà di rapporti di collaborazione. Ma spesso impropri, come la collaborazione occasionale, che per definizione non prevede due elementi tipici della collaborazione giornalistica, ossia la continuità e la coordinazione, quando invece questi spesso sussistono, ma senza l applicazione della corrispondente tipologia contrattuale. Altra forma di accordo usata impropriamente è la collaborazione a progetto, che la legge 30/2003 specificamente esclude -all'articolo 61, comma terzo- la possibilità di usare per i giornalisti: "Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente Decreto Legislativo". Le altre forme di accordo vanno dalla cessione del diritto d'autore, alla collaborazione coordinata e continuativa, alle Partite Iva più o meno spontanee, ma su questo aspetto non vi sono elementi per valutare quante di queste siano state aperte su pressione delle aziende. In una ricerca, oltre alle risposte, è anche interessante fare attenzione ai missing values, i dati mancanti. Diversi colleghi non hanno saputo o voluto indicare il tipo di accordo contrattuale. In alcuni casi si può ritenere che non ci sia stata una lettera formale di inizio collaborazione, mentre in altri casi si può pensare ad un lavoro irregolare, nero o grigio, e in altri ancora si può pensare che il collega non si sia nemmeno preoccupato di chiarire un aspetto così basilare. Molto spesso le risposte mancanti si concentrano nella stessa scheda di risposta. E difficile, però, attribuire un chiaro significato alla mancata risposta a una o più domande: anche se, icti oculi, le risposte mancanti sembrano essere presenti nei questionari di colleghi in condizioni di grave o gravissimo disagio economico, e quindi disposti ad accettare qualsiasi
condizione lavorativa, o che sono sostanzialmente disinteressati agli aspetti retributivicontributivi di un'attività che potrebbero svolgere da pubblicisti classici, cioè avendo un altro lavoro prevalente. Il terzo elemento preso in considerazione dal monitoraggio riguarda i compensi. Il panorama è, per usare un prudente eufemismo, molto variegato. Si va dai pagamenti a rigo, ai pagamento a pezzo con dei range anche notevoli e non sempre legati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Interessante la presenza di alcune forme di accordo che prevedono un pagamento a pezzo e, allo stesso tempo un numero massimo di pezzi pagati al mese. Il che vuol dire che al collaboratore, una volta raggiunto il tetto fissato dall'azienda, o non vengono più commissionati pezzi, o non vengono più accettate le proposte di pezzi, oppure che i pezzi che superano il tetto non sono pagati; il che configurerebbe dal punto di vista contributivo e retributivo una situazione di lavoro irregolare. Particolarmente impressionanti le risposte di quanti alla voce compensi hanno parlato di lavoro gratuito o volontario, come se le aziende editoriali fossero enti di volontariato o caritativi. In questo senso pare opportuno introdurre una netta distinzione concettuale tra quanti svolgono un attività come hobby non retribuito e quei lavoratori che, nello spirito dell'articolo 36 della Costituzione, chiedono invece una retribuzione legata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, e comunque adeguata a garantire al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Molto più omogenea, invece la situazione legata alla questione dei rimborsi spese. Questo è uno degli elementi che rende particolarmente gravoso e difficilmente sostenibile il lavoro di autonomi e freelance, in modo particolare quelli che privi di Partita Iva e che quindi non possono scaricare le spese di produzione. La stragrande maggioranza delle aziende non riconosce alcun rimborso spese, cosa che consente loro di scaricare sulle spalle dei collaboratori, sempre più deboli e sempre meno pagati, una parte consistente dei costi di produzione. In alcuni casi i rimborsi spese sono riconosciuti solamente in parte, anche se vi sono (poche) aziende, che riconoscono e corrispondono i rimborsi spese ai loro collaboratori. Un altro diffuso malcostume, ma questo è un vizio tutto italiano, riguarda i tempi di pagamento: in una percentuale corposa le aziende trattano i collaboratori come se fossero dei fornitori, con punte di pagamento a 12 mesi, ma nella mediana siamo fra i 60 e i 120 giorni. E anche le aziende che pagano fra i 30 e i 60 giorni hanno in realtà in molti casi - un sistema a scorrimento per cui il primo pagamento arriva al terzo o al quarto mese di lavoro e corrisponde al lavoro del primo mese, e così via. La tipologia delle risposte ottenute non permette però di valutare adeguatamente quanto questo malvezzo sia diffuso. Anche qui si vede però in maniera plateale quanto pesa la debolezza dei giornalisti lavoratori autonomi nel rapporto one to one con l'azienda, e di come la frammentazione stessa del lavoro autonomo determini una posizione di debolezza in termini di contrattazione. Fra l'altro il tema dei tempi di pagamento, non solo degli enti pubblici ma anche delle aziende, è stato affrontato in sede di Parlamento Europeo dove è stata approvata una direttiva che dev essere recepita dagli Stati membri entro l ottobre 2012. Ovviamente nulla vieta di farlo prima. Questo è un grave problema per molti colleghi, che da una parte devono affrontare le normali scadenze della vita quotidiana, dall'altra devono invece combattere con le aziende per essere pagati in tempi civili. Infine l'ultima domanda del questionario, l'andamento della collaborazione, probabilmente la più complessa da valutare. Un conto infatti è affermare che il lavoro è diminuito, ma bisogna anche capire a quale forma di accordo, e a quali condizioni di lavoro, tempi di pagamento e accordi corrisponda. In linea generale si è riscontrato un calo delle collaborazioni e dei compensi, ma anche laddove non c'è stato un calo del lavoro commissionato o accettato dalle aziende c'è da fare attenzione: è evidente che il lavoro platealmente sottopagato o addirittura gratuito (che a rigore di logica non può nemmeno dirsi lavoro, anche se accettato dal collega) non subirà certamente un calo, soprattutto in tempi di crisi. Conclusioni Pur con i limiti di rilevamento evidenziati, il monitoraggio svolto ha confermato la situazione di grave disagio dei giornalisti lavoratori atipici precari e freelance, e tendenzialmente un suo peggioramento.
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