RISCHIO GEOMORFOLOGICO LEGATO ALLE FRANE E DISASTRO DEL VAJONT Elia Lipreri 02/12/2014
Frane Si definisce "frana" un movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante. Per quanto riguarda le definizioni relative alle varie componenti che concorrono nella determinazione del rischio frana, si ricorda che nel 1976 l'unesco ha costituito un apposita "commissione frane" nell'ambito dell'iaeg (International Association of Engineering Geology) con il fine di promuovere studi sulla pericolosità per frana. Si riportano qui di seguito le definizioni dei termini relativi alla pericolosità ed il rischio così come si trovano nel rapporto UNESCO di Varnes & IAEG (1984): Pericolosità (hazard H): probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo si verifichi in un dato periodo di tempo ed in una data area. Elementi a Rischio (element at risk E): popolazione, proprietà, attività economiche, inclusi i servizi pubblici ecc., a rischio in una data area. Vulnerabilità (vulnerability V): grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una certa intensità. Rischio Specifico (specific Risk Rs): grado di perdita atteso quale conseguenza di un particolare fenomeno naturale. Rischio totale (total Risk R): atteso numero di perdite umane, feriti, danni alla proprietà, interruzione di attività economiche, in conseguenza di un particolare fenomeno naturale. Rischio = Pericolosità x Vulnerabilità Metodi per l'analisi di pericolosità di una frana 1. Metodi deterministici: si basano sulla utilizzazione di modelli (fisicomatematici) che tentano di prevedere approssimativamente l'evoluzione di un dato fenomeno, nello spazio e nel tempo. 2. Metodi statistici: si basano sulla analisi di serie storiche delle grandezze da predire, ed eventualmente di altre grandezze correlate, per determinarne l'andamento futuro. Sono estremamente versatili e sono largamente utilizzati. 3. Metodi empirici: rientrano in questa categoria tutti i metodi nei quali la determinazione della pericolosità non avviene tramite l applicazione di una formula, ma attraverso considerazioni 1
qualitative. Disastro del Vajont (1958-1963) Fig. 1 Localizzazione geografica. Il torrente Vajont, affluente di sinistra del fiume Piave, ha origine nelle Prealpi Carniche occidentali. Dopo un primo tratto tortuoso si distende nella conca di Erto e da qui la sua valle presenta uno sviluppo orientato est-ovest e un andamento pressoché rettilineo. Il torrente Vajont mostra un grado di attività erosiva elevato, reso evidente da una serie di scarpate a più livelli, come in località La Pineda. L esempio più chiaro di tale intensa attività erosiva, tuttavia, la forra della profondità di circa 300 m, incisa nelle rocce calcaree, prima della confluenza con il fiume Piave. Dal punto di vista morfologico i versanti della valle del torrente Vajont si presentano marcatamente asimmetrici: quello esposto a sud risulta più inclinato, mentre quello esposto a nord ha una pendenza più dolce. Su entrambi i versanti sono facilmente osservabili scarpate, ripiani e rotture di pendio a quote differenti, come ad esempio quelle lungo il crinale a est di Casso, sul versante esposto a sud, e di Cas.re Pian della Pozza, la Latteria e la Pineda, sul versante esposto a nord. I litotipi affioranti sono rappresentati da una potente serie prevalentemente calcarea, a volte grossolanamente stratificata, cui si intercalano livelli a stratificazione più sottile, con intercalazioni argillose. La giacitura degli strati si presenta a reggipoggio, ovvero con inclinazione opposta a quella del versante, nella sua parte bassa, mentre è a franapoggio, ovvero inclinata nella stessa direzione e con pendenza inferiore a quella dello stesso, nella parte alta. Per il versante a sud, quindi, l elemento genetico principale dal punto di vista geomorfologico è quello strutturale: le evidenti scarpate a sviluppo lineare e spessore costante sono l emergenza delle testate di strato delle rocce più resistenti per erosione selettiva. Per quanto riguarda il versante a nord, invece, le aree a morfologia sub-pianeggiante sono associabili ad antichi corpi di frana di grandi dimensioni distaccatisi, presumibilmente nel periodo post-glaciale, rispettivamente dal monte Toc e dal versante di sud-est del monte Piave. Cenni storici Prima di discutere la storia della frana del 1963, è importante sapere che fu instaurato un precedente progetto nel 1925. Questa prima diga era localizzata al ponte di Casso, 1500 metri più lontano da dove sarà costruita la diga (Vedere Fig. 3). Se i lavori fossero stati fatti in quella zona, secondo molti studiosi come 2
Edoardo Semenza (geologo, figlio del capo progettista della diga) si sarebbero potuti evitare numerosi rischi. Comunque, la costruzione di questa diga sarebbe stata difficoltosa a causa della presenza dei calcarei del Cretaceo non sufficientemente solidi. Inoltre la capacità della diga sarebbe stata molto minore, e probabilmente il minor valore monetario della diga fu la ragione primaria per la decisione finale. Nel marzo del 1959, durante la seconda riempita del serbatoio di Pontesei (Fig. 2), cominciò una frana dal lato sinistro della valle. Erano già stati notati numerosi piccoli movimenti qualche giorno prima, ma si credeva fossero solo movimenti di superficie. Si creò rapidamente una enorme onda che fluì qualche metro sopra la diga ma non provocò danni seri alla valle sottostante. Fig. 2 Localizzazione dei serbatoi (reservoir) Pontesei e Vajont. A quel tempo la diga del Vajont era già in avanzato stato di costruzione e quindi fu ritenuto necessario verificare se ci fossero possibilità di frane sui pendii sopra il serbatoio Vajont. È importante ricordare che, al tempo, le ricerche sulla stabilità dei versanti erano spesso non incluse nei progetti di costruzione delle dighe. Questo compito fu affidato a Leopold Müller che propose un programma di studio tecnico per l area del bacino, iniziata nel luglio 1959. Grazie a carotaggi e studi piezometrici (per stabilire il livello di un liquido all interno di una massa rocciosa), giunse alla conclusione che sul monte Toc si trova una paleofrana larga un paio di chilometri, profonda centinaia di metri. Parallelamente lavorò un italiano, Edoardo Semenza, che studiò l origine della valle, postulando la sua evoluzione (in Fig. 4). Anche se gli schizzi originali contenevano qualche errore inaccuratezza, l ipotesi fu confermata. Fu prodotta una mappa geologica, basata sulla mappa topografica in scala 1:5000 preparata per il progetto del serbatoio. (Rossi D., Semenza E. (1965) Carte geologiche del versante settentrionale del M. Toc e zone limitrofe, prima e dopo il fenomeno di scivolamento del 9 ottobre 1963, Scala 1:5000. Istituto Geologie, University of Ferrara, Ferrara). La scoperta geologica e morfologica dell'esistenza di una grande paleofrana da parte di Müller e Semenza ha sollevato forte preoccupazione; la massa si potrebbe spostare nuovamente durante il riempimento del serbatoio Vajont. Intanto, nel dicembre del 1959 crollò in Francia la diga del Malpasset (Frejus), crollo che intensificò le paure dei costruttori italiani. Di conseguenza, fu fatta una intensa investigazione sul campo con carotaggi, prove sismiche e misurazioni di movimenti superficiali. Intanto erano cominciate le prove d invaso, che consistevano nel riempire la valle e i serbatoi di acqua. 3
Fig. 3 Mappa delle perizie e delle frane prima del 9 ottobre 1963. 4
a b c Fig. 4 Abbozzo di E. Semenza (1959) dove postula la situazione prima della paleofrana (a), il suo movimento verso il fondovalle (b) e l'incisione del nuovo percorso fluviale (c). Questo scenario verrà confermato. Nel marzo 1960, quando il livello del lago raggiungeva una elevazione di 590 m s.l.m., vicino al sito dove era prevista la prima diga, parte della parete nord diventò instabile e franò nel serbatoio, probabilmente per toppling e caduta (esempio in figura a lato). Tre mesi dopo, quando il livello del lago aveva raggiunto più di 600 m s.l.m., si osservarono ancora piccoli movimenti di massa. Si sfruttarono tre pozzi (Boreholes, visibili in Fig. 3) nel tentativo di localizzare la superficie di rottura della paleofrana, senza riuscirci; quindi si suppose che la superficie di stacco era più profonda ancora di quello che si pensava. Un nuovo studio geologico mostrò che nei due torrenti che scorrono nel Messalezza all altezza di 920 m s.l.m., si ha una transizione distinta del bedrock (superficie rocciosa su cui appoggia il suolo) dalle miloniti (rocce metamorfiche, in Fig. 6 B) a una roccia molto friabile (in Fig. 6 C). Corrispondenti con questa transizione è presente una rottura di un metro di spessore e lunga 2,5 km rinvenuta nell ottobre del 1960 che si muove con una velocità di più di 30 mm al giorno. Questa ultima scoperta non solo confermava l ipotesi che la paleofrana possa essere riattivata per effetto del riempimento del serbatoio, ma anche definiva i limiti della zona instabile che corrispondeva esattamente alla paleofrana. 5
Fig. 5 La frattura che delimitava la massa instabile si aprì sul terreno 3 anni prima dell evento Il 4 novembre del 1960, quando il livello della diga aveva raggiunto 650 m s.l.m., circa 700'000 m 3 di materiale si staccò dalla parete ovest e scivola nel lago, creando onde sopra i 20 metri contro la diga. L evento evidenziò la possibilità di eventi più importanti e furono effettuate nuove misure sismiche. I risultati furono diversi dalle ultime prove, la roccia era più fratturata. Fu chiesto quindi a Müller di studiare il problema e proporre misure correttive. Nel febbraio del 1961 gli fu chiaro che non sarebbe stato possibile arrestare completamente la frana ma descrisse una serie di misure per la mitigazione della sua velocità: 1. Diminuzione del livello dell acqua nell invaso in modo accuratamente controllato, poiché Müller pensava che il movimento fosse dovuto principalmente alla saturazione di nuove porzioni di roccia, precedentemente non sature. 2. Riduzione dell infiltrazione d acqua meteorica nella massa per drenaggio. 3. Rimozione di molti milioni di metri cubi di massa a rischio di frana. 4. Cementazione della massa scorrente, specialmente lungo le fratture. 5. Costruzione di un muro di sostegno al piede della frana. Tutte queste misure furono considerate impraticabili a parte la prima, che iniziò subito dopo la frana nel novembre del 1960 e continuò fino a che il livello fu ridotto a 600 m s.l.m. Fig. 6 Parte ovest del corso d acqua Messalezza a circa 1000 m s.l.m., si distinguono tre tipologie di bedrock: strati inclinati di 40 del Giurassico superiore (A); minoliti e brecce (B); calcari molto friabili del Cretaceo (C). 6
Nel gennaio 1961 il livello d acqua raggiunse quota 600 m s.l.m., quindi fu costruito il tunnel di by-pass nel lato opposto alla frana, come precauzione in caso un futuro evento franoso avesse diviso il lago in due, così che tutta l acqua non sarebbe stata in grado di raggiungere il tunnel di deviazione originale. Ovviamente, mantenendo il livello d acqua più basso del paese di Erto. Nello stesso periodo (1961), fu costruito un modello in scala 1:200, per studiare gli effetti idraulici di una frana in un serbatoio. Il compito fu assegnato a un team di ingegneri idraulici, che chiaramente non possedevano sufficienti nozioni di geologia. Nonostante il fatto che il modello fisico fosse non applicabile per diverso tipo di movimento e materiali, i risultati dopo 21 prove, furono utili per prevedere il possibile movimento dell intera massa franosa. I possibili danni, secondo lo studio, potevano riguardare sia i paesi di Erto e Casso, per l azione di dilavamento delle sponde, sia ai paesi al di là della diga, ad esempio Longarone; tutto questo se fosse stata superata quota 700 m s.l.m., solo 21 metri sotto la soglia della diga. Nell ottobre del 1961, quando la costruzione del tunnel bypass fu stata completata, il livello del lago fu innalzato ancora; questo per più di un anno fino a raggiungere quota 700 m s.l.m. nel dicembre 1962. A questo punto, i movimenti avevano superato una velocità di 15 mm/giorno inferiore della velocità raggiunta durante il primo riempimento il livello del lago fu gradualmente abbassato di nuovo fino a che raggiunse un livello di 650 m s.l.m. nel marzo 1963 e i movimenti di superficie si fermarono. Secondo un'ipotesi formulata da Müller, i movimenti erano dovuti alla saturazione dei materiali che, per la prima volta, sono stati inondati dall'acqua. La convinzione che questo fenomeno fu la principale causa dell'instabilità osservata ha portato alla decisione di aumentare gradualmente il livello del lago nuovamente. L innalzamento del livello del lago ricominciò nell aprile 1963 e, come previsto dall ipotesi di Müller, i movimenti cominciarono ancora solo raggiunti i 700 m s.l.m., anche se a bassa velocità. Alla fine di agosto, il livello era a quota 710 m s.l.m. e la velocità di movimento della montagna cominciò ad aumentare, fino ad arrivare a 20 mm/giorno a settembre. Nonostante si cominciò ad abbassare il livello del lago, la velocità non diminuì ma anzi aumentò fino al catastrofico evento del 9 ottobre 1963. Dal sito www.vajont.net: "La corsa alla realizzazione pratica di un sicuro guadagno aveva fatto dimenticare, ai tecnici della SADE e allo stessa Commissione di Collaudo, le precauzioni necessarie. Limitare di qualche metro la capacità del bacino voleva dire ammortizzare in un tempo più lungo il costo del lavoro svolto, che per giunta era anche lievitato dalle varianti in corso d'opera necessarie per il rinforzo delle spalle della diga e soprattutto della galleria di sorpasso, scavata su roccia compatta: tutte opere non preventivate e con alti costi sostenuti. L'orgoglio di poter vantare la più alta diga del mondo, realizzata da specializzati tecnici italiani, unito ad una malaugurata corsa al profitto, offuscò le menti al punto da essere considerato più importante della vita di duemila persone." La frana aveva un fronte di 2 chilometri, un'altezza media di oltre 150 metri ed una velocità stimata tra i 20 e i 25 m/s (70-90 km/h), e riuscì a risalire sul versante opposto fino a più di 160 metri (fig. 8); l'acqua carica di detriti superò la diga con un fronte alto circa 150 metri ed impiegò circa 4 minuti per raggiungere Longarone. La principale causa dell energia posseduta dall onda d acqua e detriti fu dovuta all elevata velocità della frana, causata a sua volta, secondo le ultime ipotesi, dal riscaldamento dovuto all attrito durante il movimento. Il calore prodotto era in quantità tale da aumentare la pressione dell acqua negli interstizi dei 7
materiali lungo il piano di rottura, con conseguente diminuzione delle pressioni efficaci (cioè quelle presenti lungo i punti di contatto delle particelle solide, di qualsiasi dimensione esse siano) che contribuiscono in larga parte alla resistenza a taglio. Pare, inoltre, che un alta velocità di deformazione comporti per i materiali un elevata diminuzione di resistenza a taglio; quindi il superamento di un certo valore di velocità della massa avrebbe innescato un processo a catena di riduzione resistenza a taglio - aumento velocità, che in combinazione con il calore prodotto dalla frizione avrebbe provocato un movimento così veloce. Fig. 7 Sezione della valle del Vajont poco a monte della diga, prima e dopo l evento del 09 ottobre 1963 (il punto di vista è opposto rispetto ai profili in fig. 4). [D.Rossi, E. Semenza - immagine modificata]. I fattori naturali e antropici che hanno causato la frana sono i seguenti: 1. Assetto strutturale Il principale fattore predisponente della frana è rappresentato dall assetto strutturale del versante settentrionale del Monte Toc, che presenta un andamento a franapoggio, cioè con gli strati rocciosi che hanno lo stesso verso di inclinazione del versante (Fig. 8). 2. Presenza di un estesa paleofrana L esistenza di una paleofrana implicava che la preesistente superficie di rottura aveva dei valori di resistenza a taglio molto bassi. 8
La superficie di contatto tra la massa sottostante che non si è mossa e il corpo di frana sovrastante possedeva una certa resistenza, detta resistenza residua, ma essa aveva valori ovviamente molto minori rispetto a quelli che aveva prima della paleofrana. 3. Presenza di una falda in pressione sotto la superficie di rottura Fig. 8 Sezione idrogeologica schematica antecedente il 9 ottobre 1963. I livelli argillosi lungo la superficie di rottura, oltre a possedere una bassa resistenza residua a taglio, costituivano un livello impermeabile che divideva due falde sovrapposte; quella superiore era libera di oscillare il proprio livello, mentre quella inferiore era "imprigionata", ed alimentata dall infiltrazione di acque meteoriche sul Monte Toc, da una certa quota in su (Fig. 8). Tale assetto comportava che in seguito a periodi di intense precipitazioni l acqua della falda inferiore potesse causare un notevole incremento di pressione verso l alto sulla superficie di rottura (quando si perfora una falda imprigionata l acqua risale anche fino in superficie, perché il suo livello è rappresentato all incirca dalla quota più bassa del settore libero della falda). Fig. 9 Periodo 1960-1963: andamento delle variazioni di quota del livello di invaso, della velocità del movimento franoso e della quota del livello dell acqua nei piezometri. Spiegazioni nel testo. [Hendron e Patton, 1985, in base ai dati di Muller, 1964- immagine modificata]. 9
Tra luglio e ottobre 1961 furono installati tre piezometri che misurarono la profondità della falda fino al 9 ottobre 1963 (fig. 8). I piezometri P1 e P3 erano posizionati nella falda libera, il cui andamento rifletteva quindi le oscillazioni del livello dell invaso, mentre il piezometro P2 era posizionato nella formazione calcarea che ospitava la falda imprigionata, sotto la superficie di scorrimento della frana: esso registrava quindi un livello superiore rispetto a P1 e P3, ma fino a metà del 1962 quando l entità delle deformazioni fu tale da tranciare il tubo, e P2 iniziò a misurare come gli altri il livello della falda superiore (all epoca le implicazioni della presenza di questa falda imprigionata non furono opportunamente comprese). 4. Realizzazione dell invaso e variazioni del suo livello Il continuo susseguirsi di svasi ed invasi in un primo momento si ritenevano importanti per regolare il comportamento della frana, in quanto portavano ad una diminuzione del movimento franoso, ma in realtà non fecero che aggravare la situazione sottoponendo il versante a ripetuti regimi di flusso transitori che ne minarono ulteriormente la stabilità. Inoltre la condizione di svaso rapido è la peggiore situazione che si possa verificare per l equilibrio di un versante. Semplificando, un versante sommerso è in equilibrio perché la spinta dell acqua dell invaso preme contro di esso bilanciando le forze di taglio agenti, ma quando viene abbassato rapidamente il livello dell invaso, l acqua all interno del versante non diminuisce di pari passo, ma a seconda della permeabilità dei litotipi impiega un tempo più o meno lungo per abbassarsi (flusso transitorio, cioè variabile nel tempo) e raggiungere l equilibrio con l invaso (flusso stazionario, cioè costante nel tempo). Ciò comporta che la presenza di acqua nel versante ad un livello non più in equilibrio con l esterno fa aumentare notevolmente l entità delle forze di taglio agenti; se le forze agenti sono maggiori della resistenza disponibile nel versante si innesca un movimento franoso. 5. Precipitazioni L entità delle precipitazioni incideva direttamente sulla quantità d acqua che si infiltrava nel versante, andando ad aumentare il livello nella falda superiore e la pressione nella falda imprigionata. E interessante porre l attenzione sulla correlazione eseguita tra gli eventi deformativi e di rottura con le precipitazioni (oscillazioni falda profonda) e la quota d invaso (oscillazioni falda superficiale) (Hendron e Patton, 1985). 10
6. Sismicità dell area RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI GHIROTTI M (1993) Nuovi dati sulla frana del Vaiont e modellazione numerica. Geol. Rom. 30, pag. 207-215. GHIROTTI M, SEMENZA E (2000) History of the 1963 Vaiont slide: the importance of geological factors. Bull. Eng. Geol. Env. 59, pag. 87-97. HENDRON AJ, PATTON FD (1985) The Vaiont slide, a geotechnical analysis based on new geological observations of the failure surface. Tech Rep GL-85-5, 2 vols. Department of the Army, US Corps of Engineers, Washington, DC. MULLER L (1961) Talsperre Vaiont. 15 Baugeologischer Bericht: Die Felsgleitung im Bereich Toc. Tech Rep. SADE Co., Venezia. MULLER L (1964) The rock slide in the Vaiont valley. Rock Mech Eng Geol 2(3/4), pag. 148-212. MULLER L (1968) New considerations on the Vaiont slide. Rock Mech Eng Geol 6(1/2), pag. 1-91. MULLER L (1987) The Vaiont catastrophe - a personal review. Eng Geol 24(1/4), pag. 513-523. SEMENZA E (1965) Sintesi degli studi geologici sulla frana del Vaiont dal 1959 al 1964. Mem. Mus. Tridentino Sci. Nat. 16, pag. 1-52. SEMENZA E (2005) La storia del Vajont raccontata dal geologo che ha scoperto la frana. Ed. K-Flash. 11
LINKS La storia del Vajont http://www.vajont.net Comune di Longarone http://www.longarone.net Comitato Sopravvissuti del Vajont http://www.sopravvissutivajont.org Fondazione Vajont 9 ottobre 1963 onlus http://www.fondazionevajont.org Conosco Imparo Prevengo http://www.conoscoimparoprevengo.org/vajont-.html CONSIGLIATO Marco Paolini: Il racconto del Vajont. Monologo teatrale, 1993. 12