2017 ANUAC. VOL. 6, N 1, GIUGNO 2017:

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Colmare il buco della povertà Le occupazioni come oggetto di analisi sociale Piero VERENI Università di Tor Vergata, Roma NOTE CRITICHE Freia ANDERS, Alexander SEDLMAIER (eds) Public goods versus Economic Interest. Global Perspectives on the History of Squatting, New York and London, Routledge, 2017, pp. 318. Pierpaolo MUDU, Sutapa CHATTOPADHYAY (eds) Migration, Squatting and Radical Autonomy, New York and London, Routledge, 2017, pp. 294. Le analisi dedicate alle occupazioni sono un tentativo di fare i conti con un tema ostico nel panorama delle scienze sociali, che mette in discussione il confine tra studio e scienza, tra indagine del senso di un fenomeno sociale e comprensione delle sue cause. Cosa facciamo, in effetti, nel nostro lavoro di analisti nel campo delle scienze dello spirito? Storicamente la tradizione umanista ha preteso che il nostro fosse un lavoro eminentemente interpretativo, alla ricerca del quadro di senso che rende comprensibile per gli attori sociali quella specifica pratica o credenza. Viceversa, la tradizione scientista che ha preso piede in particolare dal secondo dopoguerra ha insistito sulla ricerca delle cause (immediate o profonde, ma sempre materiali ) del fenomeno, riducendo la questione del loro senso a una superfetazione spesso addirittura fuorviante (ideologia e falsa coscienza). This work is licensed under the Creative Commons Piero Vereni Colmare il buco della povertà: Le occupazioni come oggetto di analisi sociale. ISSN: 2239-625X DOI: 10.7340/anuac2239-625X-2913

320 PIERO VERENI Se l oggetto indagato è una forma della povertà materiale, la contraddizione tra queste due prospettive non potrebbe farsi più acuta. La scarsità di risorse, la mancanza, il vuoto, il buco, sono oggetti sociali terribilmente fragili epistemologicamente, perché implicano, nella loro condizione ontologica, un pregiudizio valoriale, cioè il nostro valutarli come spazio di una qualche assenza per poterli ritagliare come oggetti dell analisi. Il Reale, direbbe Lacan, non manca di nulla, e studiare una mancanza implica una comparazione morale (almeno implicita) con una abbondanza cui si contrappone già nel momento in cui selezioniamo il nostro oggetto di analisi. Le occupazioni a scopo abitativo sono in questo senso una manifestazione perfetta di questo gioco di reciproci occultamenti del senso e delle cause, in nome della scarsità o dell abbondanza, e i due libri selezionati per questa nota (pur non essendo esattamente sovrapponibili rispetto ai confini che stabiliscono per l atto di squatting) si colorano di sfumature distintive. Public Goods versus Economic Interests lavora sulla storia delle occupazioni, insiste molto sullo scopo abitativo e sembra convincersi nel suo dispiegarsi che il lavoro da fare sia prima di tutto sul senso; Migration, Squatting and Radical Autonomy invece propone un approccio più politico e quindi più scientifico, attento alle cause che provocano un fenomeno dipinto nelle sue accezioni più ampie (fino alla violazione delle frontiere statali) e in sostanza analizzato secondo le linee della sociologia più engagée cui si ascrivono molti dei suoi autori. Trovare un punto d equilibrio in cui le aspirazioni degli attori sociali non siano né l unica cosa che vale la pena di investigare né una maschera ideologica da svelare con qualche variante della teoria del complotto è sempre difficile ma forse, combinando questi due volumi, è possibile arrivare a qualcosa come un ragionevole abbozzo di teoria generale. I temi di Public Goods sono dichiaratamente contenuti: nella prima parte si insiste sulla permeabilità del confine tra Sud e Nord, mentre le due porzioni successive del volume insistono più in dettaglio con casi di studio, sempre letti in chiave storica, tratti proprio dai paesi emergenti (Turchia, Brasile, Spagna franchista, Corea del Sud, Romania, Tailandia) e da paesi a industrializzazione avanzata (Londra, Olanda, Germania unificata). Nella visione corrente, una contrapposizione sistematica tra Nord e Sud del mondo vede al Nord prevalere l occupazione di edifici abbandonati come protesta sociale, e al Sud l acquisizione senza titolo di terre secondo strategie di autocostruzione e autoaiuto tra derelitti. La prima parte del volume curato da Anders e Sedlmaier pone proprio in questione la rigidità di questa con-

COLMARE IL BUCO DELLA POVERTÀ 321 trapposizione. Quel che emerge è piuttosto come il sistema coloniale abbia prodotto un persistente doppio standard morale, per cui il land grabbing, in tutte le sue forme, diventa legale se effettuato dai bianchi e permane illegale se a praticarlo sono i soggetti indigeni. Gli eterogenei casi di studio dai paesi emergenti dimostrano un pattern storico comune, per cui le forme irregolari dell uso dello spazio erano valutate e negoziate rispetto a genealogie giuridiche locali (nazionali), con strategie diverse, dalla tolleranza alla rigidità, ma che poi hanno iniziato a uniformarsi sotto la pressione di uno sguardo criminalizzante, che si è fatto evidente tanto più quanto i sistemi locali sono stati progressivamente rimpiazzati dalla logica della deregolamentazione neoliberista. Nella terza e conclusiva sezione del libro, quel che sembra emergere è un amnesia sociale condivisa, per cui a partire dagli anni Sessanta il nuovo tono esplicitamente politicizzato delle occupazioni in Europa rimuove il ricordo di un sistema di azione che era iniziato molti decenni prima, sotto la pressione dell espansione della città contemporanea. Per quanto nuove nelle forme elaborate dentro un discorso politico consapevole dagli anni Sessanta, le pratiche di uso alternativo e eterodosso dello spazio sociale hanno dunque una storia sedimentata dentro gli stati nazionali, e proprio l ondata recente delle immigrazioni extraeuropee sembra aver contribuito a rimuovere quelle pratiche dal ricordo collettivo, favorendo una sua riconfigurazione morale: l atto di occupare, prima sedimentato nel sistema condiviso dei bisogni delle classi subalterne, diventa sempre più, nella rappresentazione pubblica, azione politica alternativa (compiuta dagli alternativi, per così dire) o alterizzante (prodotta dagli immigrati, stranieri, da loro ). Lì dove sembra sfumare l indagine della storia dello squatting nella cronaca degli ultimi decenni, prende vita la trama del volume curato da Mudu e Chattopadhyay. Questo secondo testo ha una struttura più complessa, essendo articolato in cinque parti, ma con un arco geografico più limitato, dato che tutti i casi di studio (e la relativa teorizzazione) convergono quasi per intero sull Europa occidentale, con due piccoli inserti (capp. 14 e 21) di casi statunitensi, per altro molto tangenziali nell economia complessiva del volume. Nella prima parte si lavora sul contesto politico e legale degli attraversamenti confinari (Operation Streamline, Frontex, la condizione di undocumented, la giungla di Calais). Segue poi una sezione interamente dedicata allo squatting per scopi abitativi (Francia, Roma, Catania e Berlino). La terza parte affronta con diversi casi di studio (UK, Francia, Bologna, Amburgo) la forte tendenza alla criminalizzazione delle occupazioni e le contro-azioni di resistenza, emancipazione e integrazione. Nella quarta sezione si tocca quello

322 PIERO VERENI che probabilmente è il nodo cruciale in sordina del testo, vale a dire, come recita il titolo dato dai curatori a questa sezione, «le difficoltà di definire e articolare la diversità tra soggetti eterogenei», con un caso di studio americano, un saggio su donne rifugiate a Berlino e un saggio di Miguel Martínez dedicato a sondare proprio il rapporto tra squatters e migranti, su cui torneremo più avanti. La quinta parte, infine, fa esplodere il tema di apertura (confini e cittadinanza) proponendo una serie di casi (Copenaghen, Caserta, Atene, Barcellona, Olanda) in cui i migranti giocano un ruolo attivo nel superamento delle categorie canoniche della cittadinanza e perfino dell organizzazione politica in destra e sinistra. Nel loro insieme, i due testi propongono una lettura adeguatamente complicata di un tema intricato e a tratti contraddittorio, come si è accennato in apertura. L analisi storica evidenzia la profondità di una pratica spesso banalizzata o ridotta a recente questione di ordine pubblico dalla facile ossessione legalista che accompagna il revanscismo delle classi egemoni (Smith 1996); mentre il quadro fortemente politicizzato proposto da Mudu e Chattopahyay dà conto delle determinanti economiche di quel revanscismo criminalizzante e della reazione organizzata dei vari tipi di occupazione. Sul piano teorico, le sollecitazioni non mancano, ed è anzi difficile sintetizzarle viste le limitazioni di spazio di questa nota. Ci limiteremo dunque ad alcuni aspetti essenziali. Un punto assolutamente centrale è la quota di agency che i diversi autori sono disposti a concedere agli squatters e quindi al senso più generale che le occupazioni possono avere nel contesto politico in cui si manifestano. A un estremo si colloca la visione sintetizzabile nella figura di Mike Davis (2006), che vede negli slum e nell abitare precario l emergere di un proletariato globale di dimensioni mai viste, travolto con minimi margini d azione dall urbanizzazione forzosa degli anni settanta e ottanta. All altro estremo si pone invece la visione di Hernando de Soto (2000) che coglie invece negli inurbamenti irregolari (baraccopoli e occupazioni incluse) il segno di una vitalità imprenditoriale che andrebbe assecondata come un primo passo per l uscita dalla condizione di estrema povertà da cui sembrerebbero essere caratterizzati. Come la si voglia porre, questa immagine divergente dell occupante come vittima del capitale in espansione, cui può reagire solo con una presa di coscienza della propria condizione di oppresso; oppure agile manipolatore della flessibilità estrema dei mercati abitativi, arriva a esacerbare i suoi toni di contrasto quando si sovrappone al tema dell immigrazione. Se lo squatter è ambiguamente attivo, ancor di più lo è lo squatter migrante. Nur e Sethman (2017), che si occupano di Roma, ad esempio, sembrano riconoscere che

COLMARE IL BUCO DELLA POVERTÀ 323 l atto di occupare è molto più efficace quando asseconda, con un tono un po subalterno, l impostazione politica orientata dai comitati territoriali locali, mentre si disperde in alloggiamenti informali e di poco conto se è tutto autogestito dai migranti. Martínez (2017: 189) invece, lavorando a Madrid, sembra convinto che la convergenza tra gli interessi dei migranti in arrivo e quella degli squatters che li accolgono sia del tutto naturale: «molti occupanti e migranti sono consapevoli del loro ruolo politico generale nel mettere in discussione molti assunti dati per scontati nelle società capitalistiche». La capacità di trovare degli indicatori attendibili della consapevolezza politica dei migranti (come migranti e come occupanti) costituisce un punto cruciale di tutto il dibattito sulle occupazioni, dato che consentirebbe di chiarire (se non una volte per tutte, almeno di caso in caso) quanta ragione ha Davis (che evidentemente sottovaluta la coscienza politica degli squatters) e quanto de Soto (che sicuramente la sopravvaluta al punto di trasformarla in puro tornaconto personale). Presa a se stante, questa frattura nell immagine dei migranti occupanti si carica di una doppia tensione, da un lato con le istituzioni, dall altro con gli occupanti indigeni che solidarizzano con loro. Le istituzioni (e ancor più il sistema dei media) vedono nel migrante un intruso, ma fanno del migrante-occupante la perfetta incarnazione del marziano piovuto dal cielo a occupare la casella dell alterità assoluta. Stephania Grohman (2017) ha buon gioco nel dimostrare che questa alterizzazione radicale da un lato consente di minimizzare (perché ascritta all Altro) la drammaticità della questione abitativa; dall altro proietta in una dimensione spaziale il timore che la «community of value» (Anderson 2013) possa essere assediata prima o poi da questi esclusi. Ma non va sottovalutata un altra dimensione nell ambiguo rapporto tra occupanti e istituzioni, e cioè il fatto che quanto più è lasco il gioco tra sistema delle regole e spazi delle pratiche; quanto cioè la dialettica formale/informale si fa preminente nel discorso sociale (Aguilera, Smart 2017), tanto più le istituzioni tendono a utilizzare le occupazioni come soluzioni informali per contesti critici, erogazioni dal basso di welfare a buon mercato. Questa funzione sussidiaria delle occupazioni è vista come un aspetto estremamente negativo dalla leadership politica delle occupazioni, i cui rappresentanti sono sinceramente preoccupati dal rischio di finire per fare gli utili idioti dell amministrazione politica (quando sembrano compensare le carenze del welfare pubblico) o addirittura del capitale neoliberista (quando sembrano contribuire alla gentrificazione riqualificando i quartieri dove si collocano; cfr. Holm, Kuhn 2017).

324 PIERO VERENI La tensione tra occupazioni e amministrazioni pubbliche, però, è uno solo dei due snodi di tensione politica, l altro essendo quello già indicato sommariamente, vale a dire la frizione tra migranti e squatters quanto a ideali e motivazioni. Nelle considerazioni conclusive di Migration and Squatting, le «tensioni tra migranti e attivisti indigeni dei movimenti sociali coinvolti nelle occupazioni e nelle iniziative di solidarietà» (Mudu, Chattopadhyay 2017: 286) sono segnalate, ma forse il volume nel suo insieme non le approfondisce abbastanza nelle loro valenze più significative. Fanno bene i curatori a notare che un enfasi eventuale sulle contraddizioni interne del sistema delle occupazioni rischia di depotenziarne l obiettivo politico di sviluppare le basi per organizzazioni sociali in grado di smantellare i meccanismi di oppressione (ibidem) ma resta evidente che il punto essenziale delle occupazioni recenti, soprattutto di quelle che, come in Italia, coinvolgono un numero crescente di stranieri, è la complessa questione del rapporto tra cultura e classe come strategie identificative di base, sia dell identità del Noi occupante, sia della categorizzazione dell Altro. Fino a che punto gli occupanti stranieri partecipano del progetto politico e ideologico che sostiene l organizzazione delle occupazioni in Europa occidentale? Quanto l accordo tra leadership antagoniste e immigrati si fonda sulla condivisione di un progetto o è un matrimonio combinato tra attivisti in cerca di una massa critica e sottoproletari globali che provano a entrare, dalla porta di servizio, nel mondo sfavillante dell abitare occidentale? Su questo aspetto si gioca gran parte della rilevanza teorica dell abbondante squattologia recente, e i due volumi si segnalano per il tentativo esplicito di evitare qualunque contrapposizione rigida tra entusiasmi rivoluzionari e cinica massimizzazione dell utile. Va però ricordato un fatto, che spesso la leadership delle occupazioni non trascura di far notare, e cioè che la prassi delle occupazioni attiva una sua propria performatività rituale. Anders e Sedlmaier nella loro introduzione (Anders, Sedlmaier 2017: 7) citano proprio un passo di Guzman-Concha (2015: 671) in cui si sostiene che l attività dei movimenti radicali costituisce una contro-identità culturale che non è detto fosse presente «in una fase precedente. Alcune volte, questa identità è il risultato delle interazioni conflittuali tra questi gruppi, le autorità e i loro opponenti/contro-movimenti». La forza dei due volumi raccolti in questa nota si potrebbe condensare in questo sguardo, per cui lo sforzo di individuare le sorgenti del presente si radica da un lato nella storia passata e dall altro nella convinzione che la

COLMARE IL BUCO DELLA POVERTÀ 325 mentalità sia il risultato dell azione sociale, e non la sua causa. Detto altrimenti, la cultura (anche la cultura delle occupazioni) ha un sua storia e forma, ma quella storia non è mai un destino, e la sua ricostruzione serve a intravvedere gli originali sviluppi ancora da compiersi. Per concludere, si può sondare ancora un poco questa capacità della pratica politica di articolare una riconfigurazione culturale, confrontando le pratiche locali di squatting con quelli che Sedlmaier (ibidem: 8) chiama «regimi di provvista», vale a dire gli standard culturali di economia degli spazi (produzione, distribuzione e uso degli spazi urbani e abitativi, in gran parte). È per esempio evidente che Europa e Stati Uniti possono essere distinti per un diverso regime di provvista dell abitazione, con il vecchio continente orientato fino a tempi recenti a considerare la casa come un diritto di base, contrapposto al caso statunitense in cui invece a prevalere è un regime di provvista determinato dal mercato libero e dal diritto inviolabile alla proprietà privata. Le occupazioni si pongono dunque come pratiche sociali che fanno attrito e si confrontano con i regimi correnti di provvista, e possono dunque, come sempre fanno le analisi dei margini, dirci cose interessanti dei nuclei centrali di un quadro sociale complessivo. Le occupazioni, vale a dire, sono fatti sociali totali, altro che questione marginale in senso tecnico. Comprendere il senso e la causa delle occupazioni implica fare i conti con il quadro del sistema dei diritti, con il concetto di proprietà, con la natura del diritto naturale declinata nel contesto di analisi, con la concezione di parole chiave del vivere associato come: interesse, legittimità, proprietà, violenza, conflitto, cittadinanza, diritto ed esclusione. Non è semplicemente possibile praticare un azione significativa (vale a dire efficace e sostenibile) di occupazione a scopo abitativo se non si è disposti a confrontarsi pubblicamente su questi e altri concetti chiave. Le occupazioni non hanno alternative: o privatizzano il pubblico, o sovvertono il confine del privato facendolo sfondare nel pubblico, e in entrambi i casi toccano il punto nevralgico della relazione tra ordine spaziale e ordine giuridico. Che sia legalizzata, tollerata informalmente, contestata giuridicamente, sradicata con la violenza o trattata altrimenti, l esistenza di una occupazione a scopo abitativo mette a repentaglio lo status quo e sollecita sempre il pubblico discorso su temi che la trascendono. In particolare, l opposizione centrale (legale/illegale) è identica per gli occupanti e per gli immigrati e si riverbera nell ambiguo ideale di cittadinanza che Bridget Anderson (2013) delimita come una «community of value», secondo cui la Legge diventa un modo per legittimare il Noi come Cittadini Ideali.

326 PIERO VERENI Questo ricalco morale degli squatters sui migranti (per cui si può paradossalmente dire che essere home-less equivale ad essere sans papiers) viene ricostruito nella sua complessità storica (di fatto legata al colonialismo) in Public Goods versus Economic Interests, e poi ripreso nel dettaglio in Migration, Squatting and Radical Autonomy. La lettura combinata di questi due volume consente un profondo ripensamento culturale dell atto di occupare. Soprattutto, ci impone, come antropologi, di ripensare la centralità della cultura nel nostro orizzonte epistemologico, per dare il giusto peso al senso (al significato, oltre che alle cause) della povertà non come semplice mancanza, ma come quadro alternativo di configurazione del reale. Come nota Giorgio De Finis (2017: 17) commentando le ragioni che nell occupazione romana di Metropoliz lo hanno spinto a creare il MAAM, il Museo dell Altro e dell Altrove di Metropoliz: «L alterità culturale ci appartiene (viaggi, cucine etniche, world music, ecc.), mentre la povertà ci terrorizza, perché essa ci ricorda, come uno specchio nel quale non si vuole guardare, che a molti di noi basta poco per trovarsi dall altra parte».

COLMARE IL BUCO DELLA POVERTÀ 327 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Aguilera, Thomas, Alan Smart, 2017, Squatting, North, South and Turnabout: A DialogueComparing Illegal Housing Research, in Public Goods versus Economic Interests, Freia Anders, Alexander Sedlmaier, eds, New York and London, Routledge, 2017: 29-55. Anderson, Bridget, 2013, Us and Them? The Dangerous Politics of Immigration Control, Oxford, Oxford University Press. Davis, Mike, 2006 [2006], Il pianeta degli slum, Milano, Feltrinelli (ed. or. The Planet of Slums, London and New York, Verso, 2006). De Finis, Giorgio, 2017, Breve storia del museo sulla luna, in MAAM. Museo dell Altro e dell Altrove di Metropoliz_Città Meticcia, G. De Finis, a cura di, Roma, Bordeaux. de Soto, Hernando, 2000, The Mystery of Capital: Why Capitalism Triumphs in the West and Fails Everywhere Else, New York, Basic Books. Grohman, Stephania, 2017, Space invaders: the migrant squatter as the ultimate intruder, in Migration, Squatting and Radical Autonomy, Pierpaolo Mudu, Sutapa Chattopadhyay, eds, New York and London, Routledge, 2017: 121-129. Guzman-Concha, Cesar, 2015, Radical Social Movements in Western Europe: A Configurational Analysis, Social Movement Studies, 14:6, 668-691, DOI: 10.1080/14742837.2014.998644 Holm, Andrey, Armin Kuhn, 2017, Squatting and Gentrification in East Germany since 1989, in Migration, Squatting and Radical Autonomy, Pierpaolo Mudu, Sutapa Chattopadhyay, eds, New York and London, Routledge, 2017: 278-304. Martínez, Miguel, 2017, Beyond solidarity: migrants and squatters in Madrid,in Migration, Squatting and Radical Autonomy, Pierpaolo Mudu, Sutapa Chattopadhyay, eds, New York and London, Routledge, 2017: 189-206. Nur, Nadia, Alejandro Sethman, 2017, Migration and mobilization for the right to housing in Rome: new urban frontiers?, in Migration, Squatting and Radical Autonomy, Pierpaolo Mudu, Sutapa Chattopadhyay, eds, New York and London, Routledge, 2017: 78-92. Smith, Neil, 1996, The New Urban Frontier: Gentrification and the Revanchist City, New York, Routledge.

2017 ANUAC. VOL.6, N 1, GIUGNO 2017: 319-328 Piero VERENI is currently ricercatore at Roma Tor Vergata and contract professor at Trinity College, Rome Campus. He gained a PhD in cultural anthropology in 1998 doing fieldwork among Greek Macedonians. His other fieldwork abroad (1998-1999) was on the land boundary between Northern Ireland and the Republic of Ireland when he was employed as research assistant in the School of Anthropology at the Queen s University of Belfast. Among his most recent publications: Foreign Pupils, Bad Citizens. The Public Construction of Difference in a Roman School (2014); Addomesticare il welfare dal basso. Prospettive e paradossi delle occupazioni abitative romane (2015). Piero VERENI Università di Tor Vergata, Roma piero.vereni@gmail.com This work is licensed under the Creative Commons Piero Vereni Colmare il buco della povertà: Le occupazioni come oggetto di analisi sociale. ISSN: 2239-625X DOI: 10.7340/anuac2239-625X-2913