Interessi pretensivi e misure cautelari atipiche LIMITI E AMMISSIBILITA DEL REMAND di Giovanni Maria di Lieto

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*Pubblicato su Rassegna Tar, 2002, f. 3, 205 Interessi pretensivi e misure cautelari atipiche LIMITI E AMMISSIBILITA DEL REMAND di Giovanni Maria di Lieto Nella disciplina generale sul processo cautelare introdotta dall art. 3 della L. n. 205/00 (legge di riforma del processo amministrativo), il nuovo sistema abbandona il meccanismo, tipico della visione impugnatoria tradizionale, consistente nella sospensione degli effetti dell atto, per delineare una misura di contenuto atipico, modellata sul caso concreto, caratterizzata dalla idoneità ad assicurare interinalmente gli effetti della futura decisione sul ricorso (c.d. tutela d urgenza innominata). Si tratta, in sostanza, della trasposizione nel processo amministrativo dell istituto di carattere generale in tema di misure cautelari previsto dall art. 700 c.p.c. Il contenuto della misura cautelare si modella in rapporto al risultato da raggiungere, la tutela cautelare diventa additiva o positiva e si concreta in un provvedimento più incisivo di quanto non sia la semplice sospensiva. In coerenza, la norma espressamente consente l adozione della misura cautelare, ricorrendone i presupposti, con riferimento sia ad un atto impugnato, sia ad un comportamento inerte della P. A. In questa prospettiva, non ha più senso distinguere, in sede cautelare, tra contenuto positivo o negativo dell atto sottoposto alla verifica di legittimità. La vecchia configurazione legislativa della tutela cautelare risultava inadeguata nel giudizio, a tutela di interessi legittimi, avente ad oggetto l annullamento di dinieghi o comportamenti inerti della Pubblica Amministrazione. Invero, la sospensione di un provvedimento negativo o del silenzio rifiuto non determina alcun beneficio per il ricorrente (tranne i limitati casi in cui la sospensione comporti un effetto ripristinatorio automatico per la soddisfazione dell interesse pretensivo: ad es., ammissione con riserva ai concorsi), il 1

pregiudizio materiale non potendo essere eliminato dalla sospensione degli effetti del provvedimento, ma da un diverso esito del procedimento amministrativo (la sospensione di un diniego di autorizzazione non equivale al rilascio dell autorizzazione richiesta). L art. 3 della L. n. 205/00, da un lato opta per l atipicità dell intervento del Giudice della cautela, dall altro chiarisce i rapporti tra tutela giurisdizionale e attività di amministrazione attiva, in relazione ai provvedimenti negativi, al silenzio della P. A. e all interesse pretensivo fatto valere in giudizio dal privato (per interesse pretensivo si intende quello del privato a che la P. A. emani un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica). Il legislatore non si astiene dalla individuazione di confini determinati entro i quali l esercizio del potere cautelare può essere consentito al Giudice. Invero, la norma richiede (al di là della atipicità della misura) che all evidenza del diritto faccia riscontro la irreparabilità del pregiudizio ( durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul ricorso ); che le misure adottate siano le più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso. Queste condizioni limitano l atipicità e confermano il necessario rapporto di strumentalità del processo cautelare amministrativo rispetto al giudizio di merito, la tutela cautelare non potendo avere funzione anticipatoria e sostituirsi alla decisione di merito, così diventando esaustiva della tutela giurisdizionale (le misure cautelari non devono rappresentare una forma di tutela sommaria). Nella configurazione fornita dall art. 3 della L. n. 205/00, la misura cautelare si mantiene strumento con funzione conservativa, restando precluso al Giudice di emanare personalmente il provvedimento ampliativo richiesto, o di ordinare alla P. A. di farlo. A conferma di questa tesi, sembra rilevante il disposto dell art. 26, co. 4 e co. 5, della L. n. 1034/1971 (come modif. da art. 9, co. 1 e co. 2, L. n. 205/00), in forza del quale il Giudice, ravvisata la manifesta fondatezza del ricorso, già in sede camerale può adottare la decisione semplificata nel merito, così realizzando prontamente l interesse leso (con ciò il legislatore ribadisce che la definizione 2

della controversia deve avvenire nella sede appropriata, che è quella della decisione di merito). Ciò non vuol dire che non possa legittimamente rientrare nei poteri del Giudice amministrativo l emanazione di ordinanze di sospensione c.d. propulsive, purché restino fermi i confini tra processo e procedimento e definiti i limiti di azione riservati al Giudice, che non potrà sconfinare in ambiti riservati in via esclusiva all Amministrazione. Se nella categoria delle ordinanze c.d. propulsive si ricomprendono quelle che sollecitano una riedizione del potere da parte della P. A., alla quale il Giudice impone di fornire risposta alle pretese del ricorrente (in ordine alle quali si è formato il silenzio rifiuto), di riesaminare il provvedimento alla luce di profili trascurati ed evidenziati con il gravame (vizi di natura procedimentale e difetto di motivazione) o di doglianze ritenute fondate ad un primo esame, eventualmente ripetendo l istruttoria (c.d. tecnica del remand), non vi è dubbio che tali pronunce sono ammissibili e contribuiscono alla effettività della tutela giurisdizionale (che è il fine specifico perseguito dalle norme di riforma della tutela cautelare contenute nell art. 3 della L. n. 205/00). Attraverso tale categoria di pronunce cautelari, il Giudice non opera in sostituzione dell Amministrazione, che resta libera (nel rispetto delle risultanze della nuova attività impostale dal Giudice) di chiarire il provvedimento impugnato, sia in senso favorevole che contrario agli interessi del ricorrente (la pronuncia cautelare, pur lasciando impregiudicato il contenuto del provvedimento, impone all Amministrazione di riprendere in esame l interesse del ricorrente). Diverso è il caso delle ordinanze c.d. propulsivo sostitutive, la cui puntuale esecuzione determina l attribuzione immediata del bene della vita, oggetto della pretesa dedotta in giudizio. Si tratta di pronunce - della cui ammissibilità è lecito dubitare - che definiscono direttamente il giudizio e l assetto di interessi in ambiti riservati dalla legge alla discrezionalità amministrativa, imponendo alla P. A. scelte o comportamenti incompatibili con gli effetti interinali tipici della misura. 3

Laddove le censure rivolte al provvedimento impugnato attengano a profili di illegittimità che (quando ritenuti fondati con la sentenza di merito) non consentirebbero il conseguimento automatico del bene della vita per il cui soddisfacimento il giudizio è stato promosso, sarebbe inammissibile la sostituzione del Giudice all Amministrazione, la cui valutazione discrezionale resta infungibile (tranne, naturalmente, i casi di attività vincolata o scarsamente discrezionale). Eliminati i vizi ritenuti sussistenti dal Giudice, sarà l Amministrazione a definire il rapporto. Diversamente, in contrasto con i principi sulla divisione dei poteri e con la persistente operatività del divieto di interferenza, si sostituirebbe il Giudice all Amministrazione. Questa tesi inoltre evita che (per questo tipo di interessi) il ricorrente possa conseguire, in sede cautelare, maggiori vantaggi rispetto a quelli ottenibili con la sentenza di merito, che in ipotesi potrebbe essere negativa (con il rischio ulteriore che si producano effetti irreversibili prima della decisione sul ricorso). L interpretazione proposta dell art. 3 della L. n. 205/00, restrittiva dei poteri del Giudice, si modella ai principi enucleati dall Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent. n. 1/02) in tema di oggetto del giudizio sul silenzio rifiuto (cfr. art. 21 bis L. n. 1034/71, introdotto da art. 2, co. 1, L. n. 205/00). L Adunanza Plenaria, chiamata a pronunciarsi sulla questione se la cognizione del Giudice amministrativo sia limitata all accertamento della illegittimità dell inerzia dell Amministrazione, ovvero si estenda all esame della fondatezza della pretesa sostanziale del privato, ha stabilito che: - l art. 21 bis identifica l oggetto del ricorso nel silenzio (co. 1), senza fare alcun riferimento alla pretesa sostanziale del ricorrente e, pertanto, se ne deve dedurre che il legislatore ha inteso circoscrivere il giudizio alla inattività dell amministrazione ; - la scelta operata dal legislatore si allinea al principio generale che assegna la cura dell interesse pubblico all amministrazione e al giudice amministrativo, nelle aree in cui l amministrazione è titolare di potestà pubbliche, il solo controllo sulla legittimità dell esercizio della potestà. 4

Posto che il ricorso contro il silenzio rifiuto instaura un giudizio di accertamento, volto a far dichiarare dal Giudice amministrativo l esistenza per la P. A. di un obbligo di provvedere, il Giudice dovrà limitarsi a statuire esclusivamente sulla esistenza e sulla violazione dell obbligo di provvedere, senza potere stabilire il contenuto concreto del provvedimento. In conclusione, il legislatore ha svincolato il Giudice dai limiti che il potere cautelare di mera sospensione gli imponeva, delimitando l ambito entro il quale possono adottarsi le misure più adeguate e precludendo al Giudice di fissare nella fase cautelare una definitiva regolamentazione del rapporto controverso. Alla stregua dell art. 3 della L. n. 205/00, la tutela cautelare può considerarsi, al di fuori del processo, come fattore di impulso per orientare il potere amministrativo verso un corretto esercizio della scelta discrezionale. Senza consentire al Giudice di imporre all Amministrazione l adeguamento ad un giudizio (cautelare), per definizione meramente prognostico. Giovanni Maria di Lieto 5