INTRODUZIONE L oggetto della tesi è il Fenomeno del bullismo nelle carceri della Campania. La crisi che investe il mondo carcerario, testimoniato recentemente anche dall ultimo provvedimento legislativo (l indulto), ha dato modo di approfondire tale fenomeno, che purtroppo, in Italia non è mai stato studiato da nessun ricercatore. Partendo dalla ricerca effettuata in Gran Bretagna, dalla Dott.ssa Jane L. Ireland ho eseguito tale tesi di laurea, ovviamente tenendo conto del diverso sistema carcerario tra quello britannico e quello italiano. Tutte le carceri nel Regno Unito sono categorizzate in termini del livello di sicurezza per contenere i detenuti. Mentre gli istituti penitenziari italiani accolgono, nella medesima struttura, una varietà di soggetti che hanno commesso reati diversi, a causa del sovraffollamento, anche se teoricamente esistono reparti che permettono di differenziare i detenuti in base al reato. In particolare, la regione Campania, presenta una realtà carceraria molto problematica, si considerino a tal proposito due condizioni: uno svantaggio economico rispetto alle altre regioni italiane e la diffusione di una subcultura deviante. In particolare, la camorra assume un ruolo significativo in tale contesto sociale ad alto rischio: essa, infatti, non si configura solo come un associazione il cui scopo e di perseguire in modo organizzato il crimine, ma diviene anche punto di riferimento di valori quali la cultura 6
della sopraffazione, della prevaricazione del forte sul debole. Nella prima parte della tesi viene riportato lo studio teorico del bullismo come segnale aggressivo; la seconda parte è dedicata all analisi dei dati ottenuti dalla somministrazione di un questionario (DIPC-R), nell adattamento italiano della versione originaria della Dott.ssa Jane L. Ireland, ai detenuti di due istituti penitenziari, la casa circondariale maschile di Secondigliano e la casa circondariale femminile di Pozzuoli. Dallo studio di tale contesto sociale spero si possa ottenere una conoscenza maggiore della situazione carceraria e che si possa intervenire nel miglior modo possibile adottando strategie di intervento per rafforzare il recupero nella società dei detenuti. 7
CAPITOLO PRIMO DEFINIZIONE DI BULLISMO Il termine bullismo è la traduzione italiana dell'inglese bullying ed è utilizzato per designare un insieme di comportamenti in cui qualcuno ripetutamente fa o dice cose per avere potere su un'altra persona o dominarla. Il termine originario bullying include sia i comportamenti del "persecutore" che quelli della vittima ponendo al centro dell'attenzione la relazione nel suo insieme. Spesso non gli si dà molta importanza perché lo si confonde con i normali conflitti, mentre il bullismo è caratterizzato da alcuni fattori: Intenzione di fare del male e mancanza di compassione : il persecutore trova piacere nell'insultare, nel picchiare o nel cercare di dominare la vittima e continua anche quando è evidente che la vittima sta molto male ed è angosciata. Intensità e durata: il bullismo continua per un lungo periodo di tempo ed la quantità di prepotenze fa diminuire la stima di sé da parte della vittima. Potere del bullo : il bullo ha maggior potere della vittima a causa dell'età, della forza, della grandezza o del genere (ad es. maschio più forte della femmina). Vulnerabilità della vittima: la vittima è più sensibile alle prese in giro, non sa o non può difendersi adeguatamente ed ha delle caratteristiche fisiche o 8
psicologiche che la rendono più incline alla vittimizzazione. Mancanza di sostegno: la vittima si sente isolata ed esposta, spesso ha molta paura di riferire gli episodi di bullismo perché teme rappresaglie e vendette. Conseguenze: il danno per l'autostima della vittima si mantiene nel tempo e alcune vittime diventano a loro volta aggressori. Il bullismo si manifesta in tre forme principali: colpire con pugni o Bullismo diretto (attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima) => => fisico: verbale: calci, sottrarre o rovinare oggetti di proprietà, ecc. deridere, insultare, prendere ripetutamente in giro, sottolineare aspetti razziali, ecc. Bullismo indiretto (isolamento sociale e intenzionale esclusione dal gruppo) diffondere pettegolezzi fastidiosi o storie => indiretto: offensive, escludere dai gruppi di aggregazione, ecc. 9
Il bullismo non è un problema solo per la vittima, è un problema anche per chi vi assiste, per il clima di tensione e di insicurezza che si instaura. Se i comportamenti prepotenti vengono lasciati continuare possono avere un effetto molto negativo sulla vittima. 10
ORIGINI DEL BULLISMO Il termine bullismo è un italianizzazione del termine inglese bullying creato a sua volta su modello del termine mobbing (to mob=assalire, aggredire tumultuosamente in massa). Il termine, usato in primo luogo da K. Lorenz (1989), sta ad indicare il comportamento di aggressione del branco nei confronti di un animale isolato, una sorta di coalizione di alcuni animali della stessa specie verso un membro del gruppo, attaccandolo, isolandolo, escludendolo dalla comunità e portandolo talvolta alla morte. Il bullismo è un fenomeno poiché ha una natura sociale, si sviluppa cioè in un gruppo, scolastico, lavorativo o ricreativo che sia. Infatti, secondo gli psicologi sociali, i ruoli sociali sono modelli di comportamento attesi dai membri del gruppo, insieme di aspettative definite socialmente, a cui gli individui tendono a conformarsi. Il bullismo, infatti, nasce e prospera sull interazione dinamica tra bulli, vittime e spettatori (ragazzi e adulti): è come se i partecipanti entrassero in un circolo vizioso di ruoli e comportamenti che impedisce loro di scorgere la via per risolvere pacificamente le conflittualità che fanno parte della vita. Il problema delle prepotenze è sicuramente di origine antica, ma solo recentemente ha ricevuto una particolare attenzione diventando oggetto di studio. L autore, in ambito internazionale, che più a lungo ha studiato il bullismo è stato Dan Olweus (1986). 11
Fin dalle sue prime ricerche, condotte negli anni settanta in Norvegia, lo studioso ha iniziato a delineare il fenomeno. I primi studi del fenomeno, che risalgono agli inizi degli anni 80, evidenziarono proprio questo aspetto osservando concretamente come il mobbing sul lavoro corrispondesse ad altre manifestazioni del gruppo quali per esempio il bullismo fra gli studenti e il nonnismo nella vita militare. Verso la fine degli anni Ottanta il fenomeno è stato preso in considerazione dall opinione pubblica e dagli studiosi di diverse nazioni tra cui Giappone, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Australia, Canada, Stati Uniti e Italia. 12
IL BULLO: QUANDO L'AFFERMAZIONE DI Sé NUOCE ALL'ALTRO Nonostante non si trovi nei dizionari storici, bullo e' una parola antica che risale al Rinascimento. Tommaso Garzoni, erudito nato a Bagnacavallo, la usò in una sua opera, La piazza universale di tutte le professioni del mondo pubblicata a Venezia nel 1585. In quest opera, il termine bullo era affiancato a «bravazzi, spadaccini e sgherri di piazza». Il primo a registrare questo termine in un dizionario e' Alfredo Panzini: lo definisce voce romanesca che sta per smargiasso, bravaccio, teppista. Il significato della parola dunque si associa all'inizio ad un'idea di violenza organizzata e ad un concetto di isolamento ed estraneità, di prevaricazione e di prepotenza. Poi nel Novecento il significato si attenua: indica per lo più soltanto un giovane arrogante. Non solo. Nel secolo scorso si trova in letteratura, con Pasolini, persino un vezzeggiativo: bulletto di provincia. La definizione di bullo in Italia ha un'accezione che stempera la gravità della violenza e sopraffazione che vuole denunciare. Il bullo, nel senso comune, e' il gradasso, quello che si da' delle arie, ma che non necessariamente prevarica gli altri, anzi spesso il termine bullo, bulletto ha un'accezione positiva, di affettuosa presa in giro. E' però necessario mettere da parte questo significato per 13
comprendere il problema: il bullo e' un ragazzo o una ragazza che compie degli atti di prepotenza verso un proprio pari sfruttando il fatto di essergli in qualche modo superiore, queste prepotenze non sono occasionali, ma si ripetono nel tempo, configurandosi come una vera e propria persecuzione. Caratteristiche del bullismo: Fare il bullo significa dominare i più deboli con atteggiamenti aggressivi e prepotenti, sottoporre a continue angherie e soprusi i soggetti fisicamente e caratterialmente più indifesi. Citiamo la definizione di Dan Olweus : un soggetto e' oggetto di azioni di bullismo, ovvero e' prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più persone. (Olweus, 1986). Il bullo: Ci sono diverse tipologie di bullo: bullo dominante, le cui caratteristiche sono: aggressività generalizzata verso tutti, impulsività e scarsa empatia verso gli altri, questi vantano la loro 14
superiorità, vera o presunta, si arrabbiano facilmente e presentano una bassa tolleranza alla frustrazione, hanno un atteggiamento positivo verso la violenza, poiché e' ritenuta uno strumento positivo per raggiungere i propri obiettivi. La loro prepotenza non e' dovuta ad insicurezza e scarsa autostima, al contrario si tratta di soggetti sicuri di sé, con elevate abilità sociali, capaci di istigare gli altri. Hanno buone doti psicologiche utilizzate però al fine di manipolare la situazione a proprio vantaggio, con forte bisogno di dominare gli altri. Manifestano grosse difficoltà nel rispettare le regole e nel tollerare contrarietà e frustrazioni. Tentano, a volte, di trarre vantaggio anche utilizzando l'inganno. Il bullo, sempre alla ricerca di emozioni forti, estreme, deumanizza la vittima al fine di giustificare le sue forme di aggressività e di violenza e stabilisce con gli altri rapporti interpersonali improntati quasi sempre sulla prevaricazione. Attraverso una ricerca focalizzata sulla capacità dei soggetti coinvolti in episodi di bullismo (bulli e vittime) di riconoscere le emozioni altrui, si e' constatato che la condizione di entrambi appare legata a difficoltà nel riconoscimento delle emozioni. Per i bulli, si riscontra una generale immaturità nel riconoscere le emozioni, soprattutto la felicità. 15