Teoria dell'impresa. Introduzione. Gli obiettivi dell'impresa. Gianmaria Martini



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Teoria dell'impresa Gianmaria Martini Introduzione Un'impresa è un'organizzazione produttiva che trasforma degli input in output. I principali problemi affrontati dalla teoria dell'impresa sono i seguenti: gli obiettivi di un'impresa; perché esiste un'impresa o meglio il problema del make or buy; perché esistono dei limiti al processo di espansione dell'impresa (costi del controllo); quali modelli di organizzazione interna esistono e le forme proprietarie più diffuse; i meccanismi di mercato (fusioni ed acquisizioni) che impediscono o limitano una gestione inefficiente dell'impresa. Gli obiettivi dell'impresa In generale le imprese massimizzano i profitti. Alcune non hanno scopi di lucro (no profit) ma non verranno analizzate nel corso. Se un'impresa è amministrata non dai proprietari ma da managers, questi ultimi potrebbero avere obiettivi diversi rispetto alla massimizzazione dei profitti. Ad esempio potrebbero voler massimizzare le vendite. In tal caso managers e proprietari (o azionisti) hanno obiettivi contrastanti, come illustrato dal seguente esempio grafico. > p:=1000-2*y; p := 1000 2 y > fatt:=p*y; fatt := ( 1000 2 y) y > costi:=100*y; costi := 100 y > pi:=fatt-costi; π := ( 1000 2 y) y 100 y > plot([fatt,pi], y=0..500, color=[blue,red], title="fatturato e profitto",thickness=3);

> Il fatturato è massimo ad un livello di y maggiore di quello che massimizza i profitti. Vedremo però metodi e strumenti che limitano questa possibile differenza di obiettivi. In tal modo si può generalizzare assumendo che un'impresa che ha scopo di lucro desideri massimizzare il profitto. Perchè esiste un'impresa Secondo Ronald Coase (1937) un'impresa esiste perché è più economico creare un'organizzazione che svolga al suo interno alcune fasi del processo produttivo (make) piuttosto che affidarsi completamente al mercato per acquistare i prodotti (semilavorati) svolti nelle varie fasi (buy). Il problema principale nel decidere se realizzare all'interno una o più fasi produttive (in tal caso l'impresa è integrata verticalmente) oppure acquistarle all'esterno è dovuto ai costi di transazione. I costi di transazione sono i costi legati alla negoziazione con le altre imprese: tempo necessario per definire e stendere un contratto, necessità di garantire l'adempimento, identificazione del fornitore più conveniente. I costi di transazione sono molto elevati se si è in presenza di possibili comportamenti opportunistici, ossia quando è possibile trarre vantaggio dal contratto per sé a scapito della controparte se le circostanze lo consentono.

Un contratto semplice offre poche possibilità di un comportamento opportunistico: ad es. una transazione che preveda l'invio a Milano di 10 ql di pesce azzurro fresco entro le 8 di mattina. In caso di contratti incompleti, e tutti i contratti complessi sono incompleti, è più facile che si determini un comportamento opportunistico. In tal caso conviene integrarsi verticalmente, quindi realizzare la fase all'interno dell'impresa. Questo comporta una crescita della dimensione dell'impresa. I costi di transazione sono molto elevati quando si è in presenza di un bene specialistico, di una situazione mutevole di mercato e di asimmetrie informative. I prodotti specialistici sono quelli fatti "su misura" per un certo cliente, ad es. stampi per le auto. Questo riduce le alternative possibili ed aumenta il rischio di comportamenti opportunistici sia da parte dell'acquirente che del venditore. In tal caso conviene che l'acquirente sia anche proprietario delle attrezzature specializzate impiegate dal fornitore. Se le condizioni di mercato cambiano, un contratto potrebbe non specificarle, ad es. contratto Stream e Telepiù (TV via cavo). Data la presenza di razionalità limitata negli individui, quasi tutti i contratti che si estendono a più periodi sono soggetti a cambiamenti della situazione di mercato. In tal caso aumenta la possibilità di comportamenti opportunistici. L'integrazione può diminuirli. Se l'informazione è asimmetrica (una parte è a conoscenza di un dato rilevante nel contratto e l'altra no), la parte più informata può adottare dei comportamenti che la favoriscono. In generale se i costi di transazione sono maggiori dei costi per realizzare la fase produttiva all'interno dell'impresa, conviene integrarsi verticalmente. Limiti alla crescita dell'impresa (costi del controllo) Perché, in presenza di costi di transazione, il ricorso al mercato non viene completamente eliminato? Perché spesso occorre controllare il lavoro dei dipendenti ed incentivare il lavoro dei dipendenti. Se l'impresa assume un lavoratore firma un contratto in cui si impegna a versare un salario in cambio di alcune prestazioni. Questo comporta l'esigenza di un controllo che la prestazione sia effettivamente svolta come previsto nel contratto (ad esempio orario di lavoro). Più cresce l'azienda più crescono i costi del controllo e questo limita la crescita. Questo spiega perchè la maggior parte delle imprese è di piccole dimensioni.

Negli USA su 7 milioni di imprese il 90% ha meno di 20 dipendenti. Esse costituiscono circa il 18% della forza lavoro nel settore manifatturiero. In Italia su 3,5 milioni di imprese il 98% circa ha meno di 20 addetti. Le piccole imprese costituiscono il 56% circa della forza lavoro nel settore manifatturiero. Negli ultimi 3 decenni l'occupazione si è spostata dall'industria verso il settore dei servizi, caratterizzato da dimensioni più piccole. In Italia gli occupati nell'industria sono scesi dal 57,3% del 1971 al 46,7% del 1997. In presenza di molti dipendenti, è difficile fornire a ciascuno di essi una corretta motivazione a svolgere bene il proprio lavoro. Se vengono forniti incentivi adeguati, aumenta la produttività del singolo lavoratore e si riducono i costi del controllo. Tra gli incentivi più diffusi abbiamo: premi, partecipazioni azionarie, lavoro a cottimo (per mansioni legate alla quantità e non alla qualità del prodotto), tipologie di contratti che incentivano a rilevare il tipo di lavoratore. Se un lavoratore è interessato a investire su un'impresa (desidera rimanere a lungo) è più prezioso per l'impresa stessa rispetto ad un lavoratore che vuole solo accumulare esperienza e poi cambiare. Nel primo caso l'investimento in capitale umano ha un ritorno elevato, nel secondo basso. Per far rivelare al lavoratore il proprio tipo, l'impresa offre diverse tipologie di contratti: un contratto prevede un salario basso d'ingresso ed aumenti sostanziosi nel tempo. Un'altro prevede un salario iniziale più alto che però rimane tendenzialmente costante nel tempo. Organizzazione interna e forme proprietarie Come deve essere organizzata una società? E' meglio che una persona si occupi dei prezzi, un'altra dei costi, un'altra dell'acquisto delle materie prime oppure una sola persona si deve occupare di tutto. La forma organizzativa è importante perché può avere delle ripercussioni sui profitti. Le imprese scelgono modelli organizzativi diversi, ciascuno dei quali corrisponde ad una gerarchia, ossia una particolare catena di autorità e controllo all'interno dell'impresa. La catena gerarchica corrisponde ad un trasferimento di informazioni dai livelli inferiori a quelli superiori. La combinazione delle varie informazioni permette di giungere a decisioni.

L'autorità ultima dell'impresa (amministratore delegato - CEO) è molto meno informato su un particolare mercato rispetto al responsabile delle vendite, possiede minori informazioni sugli impianti del responsabile della produzione ecc. Suo compito è raccogliere le informazioni e prendere le decisioni più importanti, quelle che non possono essere cambiate a breve termine (ad esempio apertura di un nuovo impianto; non sceglierà invece se comprare o non un'attrezzature generica, facilmente rivendibile). Esistono due forme generali di organizzazione: la struttura funzionale Amministratore delegato Responsabile produzione Responsabile vendite Responsabile fornitori e la struttura multidivisionale (o modello M) Amministratore delegato Prodotto x Prodotto y Prodotto z Nel primo caso la divisione è per funzione, nel secondo caso per prodotto. In presenza di un modello M è più facile calcolare i profitti di una divisione. Nell'altro caso è più difficile, perché occorre scorporare il contributo di ciascuna funzione. Il vantaggio della struttura multidivisionale è legato ad una maggiore possibilità

di identificare i profitti conseguiti da ciascun prodotto. Questo incentiva i dipendenti ad essere più efficienti. In definitiva, è stato verificato che la struttura multidivisionale consenta alle imprese di aumentare i profitti. Oltre al problema della migliore organizzazione interna, le imprese devono anche risolvere il problema della forma proprietaria, ossia del miglior assetto con cui organizzare i property rights (diritti di proprietà) all'interno dell'impresa e quindi la responsabilità verso l'esterno. Le tipologie di forma proprietaria sono: - impresa individuale; - società di persone, che si divide in (a) società in nome collettivo e (b) in accomandita semplice; - società di capitale, suddivise in (a) società a responsabilità limitata, (b) società per azioni, (c) società in accomandita per azioni. Nelle imprese individuali, nelle società di persone in nome collettivo i soci rispondono con il loro patrimonio. Nelle altre tipologie rispondono solo per i beni capitali dell'impresa. Negli USA le imprese individuali e le società di persone sono l'80% delle imprese, ma rappresentano il 10% delle vendite. In Italia abbiamo 2,3 milioni di imprese individuali e 600.000 società di persone. Queste due categorie costituiscono il 90% del totale delle imprese. Nel settore manifatturiero italiano si rilevano, all'ultimo censimento industriale (1991), i seguenti dati: 552.334 imprese, 72.876 spa (13,2%) che rappresentano il 60% degli addetti, il 57.8% di imprese individuali (18% addetti), 27% società di persone (20% addetti), 1% di cooperative (2% addetti). Nel tempo si è assistito ad una crescita del numero delle spa, che offrono una maggiore tutela del patrimonio familiare degli azionisti, e quindi un minor rischio. Questo è avvenuto anche in coincidenza con la crescita delle dimensioni delle imprese. Quest'ultimo fattore porta le imprese alla necessità di reperire capitale. Le spa possono vendere azioni ed emettere obbligazioni. Coloro che acquistano azioni vengono definiti azionisti, quelli che acquistano obbligazioni obbligazionisti. In caso di fallimento dell'impresa questi ultimi vengono pagati per primi. Esiste una chiara differenza tra azionisti ed obbligazionisti se si analizza la diversa tipologia di investimento. Un esempio può chiarire questa differenza. - supponiamo che l'impresa X ottenga un finanziamento di 1.000.000 di Euro. Il

50% mediante la vendita di azioni al prezzo unitario di 1 Euro, il 50% mediante obbligazioni al tasso r = 0.2. - L'impresa X decide di utilizzare il finanziamento in un investimento che frutta un profitto di 2.000.000 Euro con probabilità 50%, mentre con probabilità 50% l'impresa fallisce, è costretta a vendere gli impianti, ottenendo 500.000 Euro utilizzati per pagare gli obbligazionisti. - Sulla base di questi dati, il guadagno atteso degli obbligazionisti è 0.5(600.000)+0.5(500.000)=550.000 Euro. Quindi il tasso di rendimento effettivo è 0.1. Il guadagno atteso degli azionisti è 0.5(1.400.000)+0.5(0)=700.000 Euro. Rendimento effettivo pari a 0.4. - Il rendimento degli azionisti è maggiore di quello degli obbligazionisti. La varianza è però anche diversa. Per gli obbligazionisti la varianza del rendimento ( 600 550) 2 + ( 500 550 ) 2 è = 2 ( 1400 700 ) 2 ( 0 700 ) 2 + = 4.900. 2 2.500, mentre per gli azionisti è Questo esempio spiega che se un'impresa aumenta l'indebitamento, ossia aumenta il rapporto obb, i guadagni degli azionisti diventano più incerti e le az azioni di un'impresa con tale rapporto elevato fluttuano di più di quelle delle imprese con un rapporto più basso. La diffusione della forma proprietaria spa porta ad una separazione tra proprietà e controllo. Berle e Means [1933] sottolineano l'esistenza di un conflitto di interessi tra proprietari (azionisti) e manager, di cui abbiamo parlato già in precedenza. Esiste inoltre un altro conflitto di interessi: tra azionisti e obbligazionisti. Un esempio aiuta a chiarire: - l'impresa X deve scegliere tra il precedente progetto, denominato progetto A, ed un nuovo progetto (B), che offre tali prospettive: con probabilità 0.5 π = 1.900.000, con probabilità 0.5 π = 600.000 Euro. - Questo porta ai seguenti guadagni attesi se l'impresa sceglie il progetto B. Per gli obbligazionisti E π = 0.5(600.000) + 0.5(600.000), quindi 600.000 Euro. Per gli azionisti abbiamo E π = 0.5(1.300.000)+0.5(0) quindi 650.000 Euro. Gli obbligazionisti preferiscono il progetto B, gli azionisti il progetto A. Creazione di nuove imprese: fusioni ed acquisizioni

Una buona impresa può essere gestita male: offre rendimenti inferiori a quelli effettivi perché gran parte dei profitti vengono appropriati dai dirigenti. Oppure un'impresa è gestita male e fa perdite, o profitti troppo bassi. Lo sviluppo dei mercati dei capitali consente che alcuni investitori possano studiare le imprese con buone prospettive di profitto ed eventualmente acquisirle. Esistono tre metodi di acquisizione: (1) acquisizione consensuale mediante persuasione del management che convince gli azionisti a vendere, (2) offerta pubblica di acquisto, (3) acquisizione consensuale mediante persuasione degli azionisti. Questi sono anche i tre metodi per attuare una fusione. Le Figure 2.2, 2.3 e 2.4 del testo (Carlton-Perloff) mostrano le evoluzioni delle fusioni ed acquisizioni negli USA. Esistono 4 picchi; 1900, 1930, 1970, anni Ottanta. Dai dati sui valori assoluti (Figura 2.2) sembrerebbe che la maggiore ondata sia quella più recente. In realtà se si considerano i valori reali (Figure 2.3 e 2.4) si nota che l'ondata più importante è stata quella di inzio secolo. Stigler ha proposto una griglia interpretativa delle ondate: la prima viene definita come movimento verso il monopolio, la seconda verso l'oligopolio, la terza l'ondata delle fusioni conglomerali. Non esiste un interpretazione precisa per l'ultima ondata. Potrebbe esere dovuta allo sviluppo dei mercati dei capitali e quindi alle maggiori informazioni in merito alle possibili possibilità di profitto. E' anche un periodo di boom azionario. L'ondata di inizio secolo ha portato alla nascita della legislazione antitrust: la prima legge antitrust del mondo, lo Sherman Act, è del 1890. Esistono due motivazioni generali che spingono le imprese alle fusioni: (1) aumento dell'efficienza, (2) ragioni non legate all'efficienza. Le fusioni che aumentano l'efficienza sono legate allo sfruttamento delle economie di scala, delle economie di scopo (in caso di beni diversi), alla rimozione e miglioramento del management. Le imprese possono anche fondersi per ragioni fiscali, per speculazione, potere di mercato. I managers possono ostacolare le fusioni e acquisizioni attraverso vari metodi: - management buyout, contro-acquisizione da parte dei managers. Per reperire il capitale necessario fanno ricorso al leverage buyout, che prevede la vendita di obbligazioni garantite dal valore dell'attivo dell'impresa. Queste obbligazioni vengono spesso chiamate junk bonds (titoli spazzatura) perché sono titoli ad elevato rendimento ma molto più rischiosi rispetto alle normali obbligazioni - terra bruciata, ossia vendita prima dell'acquisto delle attività di maggior valore;

- paracadute d'oro, liquidazioni elevate ai managers; - pillole avvelenate, per cui la società, in caso di acquisizione, deve offrire le proprie azioni agli azionisti originari ad un prezzo molto conveniente, riducendo così il valore della quota controllata dal nuovo proprietario; - ricerca di un "cavaliere bianco", un acquirente alternativo favorevole al management; - greenmail, riacquisto di azioni proprie; - regole di voto, che limitano la distribuzioni dei voti nell'assemblea dei soci. L'evidenza empirica mostra che le fusioni contribuiscono all'aumento dell'efficienza ed alla creazione del valore. I fatti stilizzati raccolti sono i seguenti: - gli azionisti di un'impresa acquisita ricevono dal 16 al 35% in più del prezzo prima dell'acquisizione; - tale incremento avviene perlopiù nel momento immediatamente precedente il pubblico annuncio; - le tattiche adottate dai manager aumentano il prezzo - gli azionisti dell'impresa acquisitrice non hanno profitti superiori alla media - il valore complessivo delle azioni delle imprese coinvolte nella fusione aumenta mediamente del 7,5% dopo il consolidamento. Il determinante di tale aumento non è il potere di mercato ma piuttosto l'efficienza.