I TRUSTS: NOVITÀ ALLA LUCE DEI PIÙ RECENTI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA E DELLA PRASSI NEL DIRITTO ITALIANO E NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO



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CONVEGNO di Avezzano, 19 novembre 2011 I TRUSTS: NOVITÀ ALLA LUCE DEI PIÙ RECENTI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA E DELLA PRASSI NEL DIRITTO ITALIANO E NEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO Intervento dott.ssa Roberta Montinaro: IL TRUST NEL PASSAGGIO INTERGENERAZIONALE DELLA RICCHEZZA Sommario Trusts per dare assetto al patrimonio del costituente con effetti trans mortem.... 1 Trust e donazione (differenze di efficacia e di funzioni).... 2 Rapporto tra le finalità che i privati aspirano a realizzare ricorrendo al trust e le norme imperative interne in materia di successioni mortis causa... 2 Segue: divieto di patti successori istitutivi (art. 458 cod. civ.) e trust.... 3 Segue: differenze di effetti tra negozio istitutivo del trust e sostituzione fedecommissaria.... 3 Segue: soggezione del trust a collazione ed all esercizio dell azione di riduzione. Validità del trust lesivo della legittima.... 4 Trusts per pianificare il passaggio intergenerazionale dell impresa.... 4 Trust e art. 2645 ter cod. civ.... 6 Trusts per dare assetto al patrimonio del costituente con effetti trans mortem. Molto frequenti nella prassi appaiono i trusts creati per dare assetto al patrimonio del costituente anche per il tempo successivo alla sua morte. Il ricorso al trust avviene in simili casi in funzione successoria, vale a dire per perseguire finalità per certi versi analoghe a quelle realizzabili con l impiego dell unico atto di ultima volontà ammissibile nel nostro sistema giuridico, il testamento; ma pure per perseguire finalità ulteriori, non conseguibili impiegando quest ultimo strumento. Grazie al trust infatti è possibile programmare la trasmissione e la gestione di complessi patrimoniali, garantendo la conservazione della destinazione economica loro impressa, nonché tenendo conto sia della qualità e dei bisogni dei soggetti beneficiari, sia della natura e della funzione dei beni destinati. Ed invero il testamento è un atto mortis causa, sempre revocabile e modificabile sino alla morte del testatore, con il quale dunque non si attribuisce al beneficiario della disposizione di ultima volontà alcuna posizione giuridica. 1

Nella prassi invece si avverte l esigenza di anticipare la sistemazione del patrimonio, beneficiando taluni soggetti in via immediata e preferenziale rispetto ad altri (si pensi alle istanze connesse con il trapasso intergenerazionale dell impresa). Trust e donazione (differenze di efficacia e di funzioni). Per conseguire un simile risultato, si potrebbe ipotizzare l utile impiego, tra gli strumenti noti al diritto interno, della donazione (eventualmente con riserva di usufrutto al donante che dunque potrà godere dei frutti dei beni donati). La donazione invero non è revocabile (fatte salve le ipotesi di revoca per indegnità e sopravvenienza di figli) e dunque permette di beneficiare in via immediata il donatario. Tuttavia, nella donazione la volontà del donante si cristallizza una volta per tutte al momento del perfezionamento dell atto e non può tenere conto di fatti o circostanze sopravvenute. Lo stesso è a dirsi con riguardo al testamento per il tempo successivo all apertura della successione. Con l uso del trust invece si può: a) dare assetto al patrimonio del costituente con immediata produzione di effetti giuridici, consistenti nella perdita del potere di disposizione da parte del costituente e nell acquisto della proprietà fiduciaria da parte del trustee (se costui è soggetto diverso dal costituente), nonché nell attribuzione ai beneficiari di una posizione giuridica protetta ed azionabile, non relegata quindi al rango di mera aspettativa di fatto; b) incaricare il trustee di individuare in un secondo momento (anche dopo la morte del costituente) i beneficiari o i beni da attribuire a costoro (alla luce di fatti o circostanze sopravvenuti, dunque tenendo conto dei mutamenti intervenuti nel numero e nei bisogni dei beneficiari stessi ovvero nella consistenza e nel valore dei beni medesimi). Rapporto tra le finalità che i privati aspirano a realizzare ricorrendo al trust e le norme imperative interne in materia di successioni mortis causa. Ciò rilevato, per chiarire se ed in quale misura i privati siano in grado di realizzare le finalità sopra illustrate, occorre avere riguardo alle norme imperative interne in materia di successioni mortis causa. Ed infatti, secondo l art. 15 della Convenzione dell Aja sui trusts, al singolo trust si applicano le norme imperative facenti parte dell ordinamento richiamato dall ordinaria disciplina di diritto internazionale privato, che potrà anche consistere nell ordinamento italiano, ove ad esso facciano rinvio i criteri contenuti nell art. 46 legge n. 218/1985. 2

Segue: divieto di patti successori istitutivi (art. 458 cod. civ.) e trust. Tra le norme imperative interne viene in gioco innanzitutto l art. 458 cod. civ., con cui si vieta la stipulazione di patti successori istitutivi. Secondo la più accreditata interpretazione, rientrano nel suddetto divieto gli atti mortis causa diversi dal testamento, tali essendo quelli con cui si programma un attribuzione di beni de residuo (vale a dire di beni che residueranno nel patrimonio dell attribuente al momento della sua morte), a vantaggio di colui o coloro che gli sopravviveranno. Una simile funzione dunque non sussiste quando l attribuente si priva attualmente della titolarità o del potere di disposizione, a vantaggio del beneficiario che acquista in via immediata un diritto o un aspettativa giuridica. Orbene, il trust non incorre nel divieto di cui si tratta per via degli effetti suoi propri: a) il costituente perde in via immediata il potere di disporre dei beni che ne sono oggetto, sui quali si costituisce un vincolo reale di destinazione; b) al beneficiario è attribuita una posizione giuridica di vantaggio. Segue: differenze di effetti tra negozio istitutivo del trust e sostituzione fedecommissaria. Inoltre, il trust non incorre nel divieto di sostituzione fedecommissaria di cui agli artt. 697, 692 e 795 cod. civ. Ad un sommario esame le figure del trust e del fedecommesso appaiono simili: si pensi al caso di un trust con cui si attribuisce ad uno o più beneficiari il reddito dei beni e, alla morte di costoro, si prevede l attribuzione ad uno o più altri della proprietà degli stessi. Sennonché nel trust mancano gli elementi connotanti la sostituzione fedecommissaria, consistenti: a) nella doppia istituzione in ordine successivo, cadenzata temporalmente dalla morte dell istituito; b) nel vincolo di conservare i beni per restituirli a colui che subentrerà alla morte dell istituito, tale per cui costui può goderne, ma non disporne. Ed infatti i beneficiari del trust vantano soltanto un diritto relativo verso il trustee (alla corresponsione delle rendite ovvero all acquisto della proprietà dei beni). Inoltre, costui non può godere dei beni, ma può disporne. Non ricorre quindi la ratio del divieto di cui si tratta, ravvisabile nel far sì che il bene oggetto di fedecommesso non resti escluso dal commercio per un tempo troppo lungo. Ciò detto circa la struttura e gli effetti, occorre aggiungere, sotto il profilo funzionale, che il trust permette di realizzare funzioni ulteriori, non conseguibili usando l istituto di diritto interno, tenuto conto degli angusti limiti soggettivi entro cui è consentito all autonomia privata il ricorso al fedecommesso: possono invero essere istituiti solo il coniuge, il figlio e il nipote del testatore o del donante, che siano interdetti, mentre sostituito può essere solo il soggetto, persona fisica o ente, 3

che si è preso cura dell incapace. Non così invece nel trust, con cui si può beneficiare qualsiasi soggetto ed in cui la proprietà dei beni non deve essere attribuita necessariamente a chi abbia svolto attività di cura (con la conseguenza che, se costui è un soggetto esterno alla famiglia, il patrimonio potrà restare all interno della compagine dei famigliari). Segue: soggezione del trust a collazione ed all esercizio dell azione di riduzione. Validità del trust lesivo della legittima. Infine, l esplicita salvezza dei limiti posti dalla disciplina della successione necessaria a tutela dei legittimari comporta la soggezione del trust lesivo della legittima all esercizio dell azione di riduzione (art. 553 s. cod. civ.). Secondo la giurisprudenza infatti l atto istitutivo di un trust lesivo della legittima contenuto in un testamento è bensì valido, ma riducibile. Analoga conclusione si applica al trust istituito con atto tra vivi che abbia natura di liberalità indiretta (come avviene allorché il trust non sia creato per adempiere ad un obbligo giuridico o ad un dovere morale). Legittimato passivamente è il trustee, ancorché faccia difetto, in capo a costui, il requisito dell arricchimento ravvisabile invece rispetto al beneficiario. Costui però subentra nell obbligazione di restituzione derivante tra le parti dal giudicato, allorquando gli venga dal trustee trasferita la proprietà dei beni. Inoltre, il trust inter vivos qualificabile come donazione indiretta è soggetto a collazione (art. 737 cod. civ.). Trusts per pianificare il passaggio intergenerazionale dell impresa. E possibile registrare nella prassi le seguenti esigenze connesse con la pianificazione del trapasso intergenerazionale dell azienda: a) tutelare l integrità del patrimonio aziendale; b) scegliere colui o coloro che continueranno la gestione dell impresa ed evitare la partecipazione di soggetti indesiderati; c) mantenere il controllo della gestione, per un certo tempo o fino alla morte dell imprenditore; d) beneficiare i familiari che non parteciperanno alla gestione mediante l attribuzione delle rendite della stessa e/o di altri beni del costituente). Manca nella disciplina delle successioni a causa di morte un trattamento differenziato in ragione dell origine o della natura dei beni (si pensi ai beni aventi una destinazione produttiva), come pure in ragione delle qualità personali degli eredi (si pensi ai disabili o comunque ai soggetti che versano in particolari condizioni di debolezza). 4

La trasmissione dell azienda può essere pianificata ricorrendo ad un trust in cui sia previsto il trasferimento al trustee dell azienda o delle partecipazioni sociali. In tal modo diventa possibile realizzare le seguenti finalità: a) conservare l integrità dell azienda e garantire la continuità della gestione; b) investire il trustee della funzione di individuare, alla luce dei criteri contenuti nell atto costitutivo, i soggetti che subentreranno nella gestione ed i beni loro attribuiti, nonché i beni da trasferire ai beneficiari che resteranno estranei alla gestione, tenendo conto di eventuali esigenze sopravvenute di costoro e/o dell eventuale mutamento del valore dei beni). Al principio di indifferenza, tipico della disciplina interna delle successioni a causa di morte, il legislatore ha inteso ovviare introducendo l istituto del patto di famiglia, consistente in uno strumento per programmare il passaggio generazionale dell impresa di famiglia, soddisfacendo due ordini di interessi: a) conservare l integrità dell assetto aziendale, evitando la caduta dell azienda in comunione ereditaria; b) permettere l attribuzione preferenziale della stessa ad un discendente scelto dallo stesso imprenditore nella cerchia dei famigliari, attribuzione che non può essere messa in discussione dall esercizio dell azione di riduzione, dopo l apertura della successione dell attribuente, da parte dei legittimari non assegnatari e che non è soggetta a collazione. Il patto di famiglia, avendo natura contrattuale, non è revocabile e quindi l assetto patrimoniale con esso programmato è connotato da stabilità. Tuttavia, può essere sciolto per recesso. La previsione del diritto di recesso può essere lo strumento adatto per consentire all imprenditore di tornare titolare dell azienda o delle partecipazioni, qualora il discendente assegnatario non gestisca in modo soddisfacente l impresa ovvero per permettere al legittimario non assegnatario di mettere in discussione l assetto programmato, in caso di mutamento del valore dei beni assegnatigli; Rispetto al patto di famiglia, il trust è più duttile, perché permette di attribuire al trustee, soggetto estraneo alla famiglia: a) il potere di scegliere colui che subentrerà nella titolarità dell azienda e delle partecipazioni sociali, verificandone l idoneità a gestire l impresa (senza frustrare, come avviene per effetto del recesso dal patto di famiglia, l intento di dare sistemazione alla trasmissione dell impresa, la quale avverrà a favore di un diverso beneficiario); b) nonché il potere di tenere conto di eventuali sopravvenienze, quali la venuta ad esistenza di altri legittimari (ad esempio, un figlio o un coniuge) o il mutato valore dei beni da trasferire ai beneficiari che non saranno assegnatari dell azienda. Inoltre, il trust permette di trasferire l azienda e le partecipazioni sociali anche a soggetti estranei alla cerchia dei famigliari, al contrario del patto di famiglia con cui la legge garantisce l interesse dei famigliari dell imprenditore a che il complesso aziendale resti nell ambito della loro cerchia. Tuttavia, il patto di famiglia, al contrario del trust, consente di realizzare un assetto patrimoniale stabile, per via della esclusione dell esercizio dell azione di riduzione da parte dei legittimari non assegnatari e della collazione, e dunque il suo impiego 5

sarà preferibile, ove il valore dei beni aziendali e delle partecipazioni sociali ecceda la quota disponibile. Va detto però che appare plausibile ritenere che i due strumenti possano essere impiegati non necessariamente in alternativa tra loro e che dunque sia possibile istituire un trust in cui il ruolo di trustee sia rivestito da un terzo estraneo alla compagine familiare, e stipulare un patto di famiglia (di cui siano parti il costituente, l assegnatario ed i legittimari del primo), programmando il trasferimento dell azienda a favore di un discendente (scelto dal trustee nella cerchia individuata dal costituente), con gli effetti appena segnalati (preclusione dell esercizio dell azione di riduzione ed esclusione della collazione). Trust e art. 2645 ter cod. civ. A seguito dell introduzione nel corpo del codice civile della destinazione di beni regolata dall art. 2645 ter cod. civ., nello strumentario a disposizione dei privati si può annoverare anche tale ultima figura, certamente idonea a produrre effetti trans mortem (come si desume dalla previsione sulla durata massiva del vincolo, pari a novant anni). Sono tuttavia ravvisabili molteplici differenze di struttura ed effetti rispetto al trust. Ed invero, la destinazione ai sensi dell art. 2645 ter cod. civ. non determina necessariamente il trasferimento della proprietà ad un soggetto diverso dal destinante; inoltre, la presenza di un gestore non è contemplata e può solo essere prevista dall autonomia privata collegando all atto di destinazione un mandato ad amministrare od un negozio fiduciario; non sono quindi regolati i poteri e le obbligazioni del gestore; la separazione patrimoniale è disciplinata dall art. 2645 ter cod. civ. in modo unidirezionale, in quanto è previsto soltanto che i beni destinati non rispondono delle obbligazioni estranee allo scopo di destinazione. In ragione dei rilievi svolti si può affermare che la destinazione ivi regolata appare in grado di rispondere piuttosto a finalità di conservazione dei beni e di destinazione dei frutti allo scopo individuato dal destinante (come nell istituto del fondo patrimoniale di cui agli art. 167 s. cod. civ.). Viceversa, nel trust ruolo centrale è rivestito dalle obbligazioni fiduciarie del trustee ed è ravvisabile una completa disciplina della separazione patrimoniale (per la quale i beni conferiti non rispondono delle obbligazioni estranee allo scopo del trust, e altresì sono separati dal restante patrimonio del costituente e del trustee). Ne consegue che, sotto il profilo funzionale, la destinazione ivi regolata non può essere considerata come succedanea del trust. Detto questo, deve escludersi l esistenza di qualsivoglia ragione per ritenere precluso all autonomia privata il ricorso al trust, a causa dell introduzione della figura di cui all art. 2645 ter cod. civ. Ciò in quanto, per effetto della legge di ratifica della Convenzione dell Aja, è doveroso riconoscere ai trusts sia stranieri, sia interni - effetti giuridici nel nostro 6

ordinamento, con il solo limite del rispetto delle norme imperative interne (oltre che delle norme di applicazione necessaria e dei principi di ordine pubblico internazionale). Pertanto, il trust e la destinazione patrimoniale ai sensi di tale norma costituiscono strumenti alternativi, che l autonomia privata è libera di scegliere alla luce delle differenze sopra rilevate. Altra questione è la soggezione del trust all art. 2645 ter cod. civ., ove si ritenga che quest ultimo contenga una norma imperativa. Il problema si intreccia con quello della trascrizione del trust. Al riguardo, è dato osservare che l art. 12 Convenzione dell Aja sui trusts impone all ordinamento in cui debbono dispiegarsi gli effetti del trust di permetterne la trascrizione, ove ciò non sia incompatibile con la disciplina interna che governa tale forma di pubblicità. Ebbene nel nostro sistema esistono talune disposizioni che consentono la trascrizione e l opponibilità di atti da cui derivano vincoli di destinazione (si pensi all art. 2647 cod. civ., in materia di trascrizione del fondo patrimoniale). Nel novero di siffatte disposizioni rientra da qualche tempo anche l art. 2645 ter cod. civ., il quale conferma che la trascrizione di un trust non è incompatibile con il nostro sistema giuridico. Pertanto, il singolo trust può essere trascritto ai sensi dell art. 12 Convenzione dell Aja e dell art. 2645 ter cod. civ. (nonché ai sensi dell art. 2643 cod. civ., se vi è trasferimento di diritti al trustee, soggetto diverso dal costituente). Non debbono ricorrere però i requisiti di cui all art. 2645 ter cod. civ. (anche ove si ritenga che esso non si limiti a regolare la trascrizione, ma condizioni pure l ammissibilità e dunque la validità della destinazione), perché il trust anche quello interno - è una figura tipica e la trascrizione è possibile già alla stregua della legge di ratifica della Convenzione dell Aja. L art. 2645 ter cod civ. invero, se pure non ha introdotto un nuovo tipo di negozio, permette all autonomia privata di creare vincoli di destinazione per un fine meritevole di tutela. Lo spazio concesso ai privati varierà dunque a seconda del significato che si vorrà attribuire al requisito della meritevolezza: sarà molto esiguo, se il fine meritevole di tutela si ravvisa solo in presenza di un interesse pubblico o socialmente utile; mentre sarà più ampio, se si ritiene sufficiente riscontrare uno scopo non illecito od uno scopo che, se pure individuale od egoistico, sia tale da giustificare, secondo l apprezzamento del giudice nel caso concreto, il sacrificio dei diritti dei creditori e dei terzi aventi causa (perché di rango pari o superiore a questi ultimi, come nel caso delle posizioni giuridiche attinenti alla sfera personale o famigliare dei beneficiari della destinazione). Dott.ssa Roberta Montinaro Ricercatrice di Diritto Civile nell Università di Teramo 7