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1 EUA Conference upon the occasion of the 600th anniversary of the University of Turin: "Charting the course between public service and commercialisation: Prices, Values and Quality" 3-5 June 2004 Presentation by Alessandro Bianchi, Rector, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Italy (Plenary Session V) Premessa Il mio contributo alla discussione riguarda due aspetti tra i molti che sono stati trattati nel corso di questa Conferenza. Il primo è di natura particolare e riguarda il modo in cui si presenta nell'università italiana il rapporto tra didattica e ricerca, due temi discussi ieri pomeriggio nei gruppi 3 e 4. Il secondo aspetto è di natura del tutto generale e riguarda l'idea che abbiamo dell'università del futuro, che è la questione posta dal titolo stesso della conferenza. Tratterò rapidamente questi aspetti, cercando di rispondere a due quesiti e facendo poi una considerazione finale. Primo quesito Il primo quesito è: è' possibile nel sistema universitario italiano separare la didattica dalla ricerca, ossia avere Università che fanno solamente didattica (Teaching University)? La mia risposta è no, non è possibile perchè questo significherebbe rinunciare ad una impostazione che appartiene alla storia dell'università italiana - una storia millenaria - per cui attraverso la ricerca si forma il sapere scientifico e attraverso la didattica questo sapere viene trasferito alle nuove generazioni. Si tratta di una caratteristica peculiare della nostra università alla quale non possiamo rinunciare, perchè non possiamo immaginare

2 un sistema nel quale la didattica venga impartita senza avere alle spalle il know-how della ricerca. Una Università che curasse solamente la didattica dipenderebbe totalmente dal sapere scientifico dei singoli docenti, i quali necessariamente svolgerebbero la loro ricerca altrove, in altre sedi universitarie il che non consentirebbe alcuna accumulazione in loco. Questa sarebbe, dunque, una Università sterile e, quasi certamente, priva di requisiti di qualità. E' uno dei pericoli che paventiamo attualmente nei confronti delle cosiddette Università telematiche che, per come sono state concepite nel nostro Paese, anche se vanno incontro ad una esigenza indiscutibile posta dalla odierna società della comunicazione - quella di formare a distanza utilizzando gli straordinari mezzi della telematica - lo fanno perdendo di vista l'essenza della formazione universitaria, ovvero il connubio con la ricerca. E' un pericolo che stiamo cercando di scongiurare, perchè andrebbe a sicuro detrimento della qualità della formazione universitaria. Secondo quesito Il sendo quesito è: è' possibile mantenere fermo il principio dell'università come servizio pubblico pur rispondendo in modo adeguato alla crescente domanda di commercializzazione dei prodotti della conoscenza? Io credo sia possibile proprio partendo dal presupposto che non si deve modificare la natura di servizio pubblico dell'università, anzi la si deve sostenere maggiormente con investimenti pubblici proprio in quei settori che il mercato non è disposto a finanziare perchè non danno luogo a prodotti immediatamente spendibili (come nel caso della ricerca di base) o non danno luogo a prodotti vendibili con profitto (come nel caso di molte prodotti e attività a contenuto culturale o sociale). Ciò significa che proprio nel momento in cui la logica di mercato coinvolge sempre più i prodotti della conoscenza e quindi sempre più se ne interessa il mondo delle imprese, occorre rafforzare la logica non-commerciale e, di conseguenza, sempre più incisivo deve essere l'intervento pubblico.

3 In sostanza il percorso che dobbiamo tracciare non è quello che serve a trasferire l'università da servizio pubblico al mercato, ma un percorso che modifichi il tipo di servizio che l'università offre, senza metterne in discussione la sua natura pubblica. Questo non significa che chi eroga un servizio di livello universitario debba essere esclusivamente un soggetto pubblico. Possono esistere - come già esistono - soggetti privati che forniscono questo servizio ma debbono farlo nell'ambito di regole che garantiscano la natura pubblica del servizio, che significa regole che tutelino l'accesso, che stabiliscano soglie di costo, che definiscano i livelli di prestazione, che consentano la valutazione delle attività e dei prodotti. Queste sono sicuramente limitazioni al libero agire di un soggetto privato che volesse attenersi esclusivamente alle regole della domanda e dell'offerta. Ma sono proprio queste limitazioni che garantiscono che la formazione e la ricerca universitarie esistano anche al di la delle regole di mercato, perchè sono attività che la società vuole assicurare a se stessa per la propria crescita, sono cioè un valore collettivo. Al di fuori di questo orizzonte di regole e di valori, l'iniziativa privata può esplicitarsi liberamente, ma non può pretendere di chiamarsi Università. Invece, per quanto riguarda le Università di emanazione pubblica (che in Italia costituiscono attualmente quasi il 90% del totale) la ricerca di un percorso equilibrato tra servizio pubblico e mercato deve essere particolarmente accurata, perchè è su questo versante che bisogna introdurre un vero e proprio cambiamento di mentalità, per far si che l'università sappia rispondere in modo adeguato alle nuove domande poste dalla società della conoscenza. In che modo? Cambiando la finalizzazione dell'intervento pubblico. Ciò significa che le risorse che lo Stato destina alle Università non devono rappresentare un sostegno ma un investimento, ossia devono servire ad alimentare una macchina a condizione che questa assicuri determinate prestazioni. In altri termini bisogna fare in modo che alla garanzia da parte dello Stato che l'università mantenga la natura di servizio pubblico, corrisponda la garanzia da parte dell'università che questo servizio sia efficiente, efficace e di elevato livello qualitativo.

4 Come è possibile assicurare questi due requisiti? La risposta non è facile, ma per costruirla due condizioni sono indispensabili, almeno nella situazione italiana: maggiori risorse e rigorosa valutazione. A questo proposito vorrei ricordare che la nascita del primo insegnamento pubblico di livello universitario risale a quasi duemila anni fa, quando nel 78 d.c. l'imperatore Vespasiano istituì a Roma le cattedre pubbliche di retorica greca e romana, e lo fece con un consistente finanziamento pubblico di centomila sesterzi. Non sappiamo se a questo finanziamento Vespasiano facesse seguire una valutazione dei risultati ottenuti, anche se dobbiamo pensare di si. Quello che possiamo dire è che l'università italiana da tempo reclama un aumento dell'investimento pubblico per il suo funzionamento e, contemporaneamente, propone di collegare questo investimento ad un sistema di valutazione delle sue attività di formazione e di ricerca. Una considerazione finale Questa è, a mio parere, la strada da percorrere per dare risposte efficaci a problemi che sono complessi perchè attengono alle trasformazioni in corso della struttura universitaria a livello mondiale ed europeo, che a loro volta sono figlie della epocale trasformazione, in corso ormai da oltre cinquanta anni, verso la società post-industriale o post-moderna che sia. A tal fine, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane ha avviato - accanto a numerose proposte di riforma - una linea di lavoro che prevede la elaborazione di una carta statutaria che indichi le caratteristiche che una istituzione universitaria deve avere per poter essere definita Universitas Studiorum. Vogliamo individuare in modo circostanziato i valori, i principi, le regole, i comportamenti, le metodologie, che nel loro insieme costituiscono il marchio di qualità dell'università, un marchio che consenta di distinguerla da quello che università non è. Il lavoro è appena stato avviato, ma credo che esca sicuramente rafforzato da quanto è emerso da questa Conferenza e ancor più ne sarà rafforzato se potrà giovarsi di una collaborazione a livello

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