Le variazioni del dialogo amoroso catulliano (carme 7; 87; 86)

Transcript

1 A1 Catullo Le variazioni del dialogo amoroso catulliano (carme 7; 87; 86) L originalità della poesia catulliana si manifesta, oltre che nella molteplicità e nella novità dei temi presenti nel Liber, anche e soprattutto nella costante capacità di variazione dei motivi della sua poesia. Queste variazioni consentono al lettore di cogliere appieno le numerose sfumature che le singole situazioni vengono ad assumere e in tal senso la vicenda d amore con Lesbia, nella pienezza di sentimenti con cui Catullo volle contraddistinguerla, offre gli esempi piú significativi CARME 7 Quaeris, quot mihi basiationes tuae, Lesbia, sint satis superque. Quam magnus numerus Libyssae harenae lasarpiciferis iacet Cyrenis oraclum Iovis inter aestuosi et Batti veteris sacrum sepuclrum; aut quam sidera multa, cum tacet nox, furtivos hominum vident amores: tam te basia multa basiare vesano satis et super Catullo est, quae nec pernumerare curiosi possint nec mala fascinare lingua. Tu mi chiedi o Lesbia: a quale numero arrivano i tuoi baci, perché io mi senta sazio e nauseato. Quale elevato numero di granelli di sabbia africana si stende nella Cirenaica fertile di silfio, tra l oracolo del torrido Giove e la venerabile tomba dell antico Batto; o quale sconfinato numero di stelle, quando la notte è silenziosa, sbircia gli amori clandestini degli esseri umani, tale è lo sterminato numero di baci che devi dare a Catullo, pazzo d amore, perché si senta sazio e nauseato;

2 Catullo A2 che tale cifra i ficcanaso non possano contare, né le lingue dei maligni ci lancino contro il malocchio. Metro: endecasillabi faleci. Catullo ripropone il tema dei baci infiniti, già presente nel carme (vedi vol. I, pp. 249 ss.; vedi anche p. 26 s), ricorrendo però a tutta una serie di variazioni tematiche e strutturali. Anzitutto nell incipit del carme l esortazione alla donna amata (carme, v. 1: vivamus, mea Lesbia, atque amemus) è sostituita dalla risposta a una presunta domanda di Lesbia (la tecnica del demandare ad altri una domanda diverrà poi ricorrente nella poesia erotica latina): a lei, che chiede la cifra (quot, v. 1) dei baci che sazierebbero Catullo rischiando cosí di introdurre nel rapporto amoroso un elemento di calcolo e di razionalità il poeta risponde ribadendo l infinità dei baci capaci di saziarlo, poiché l amante è «senza ragione» (vesanus, v. 10) e perciò non può che escludere ogni limite. Nel carme l incommensurabilità dei baci era suggerita dall affastellarsi delle migliaia di basia richiesti dal poeta (carme, v. 7 ss.: da mi basia mille, deinde centum, / dein mille altera, dein secunda centum, / deinde usque altera mille, deinde centum); qui invece Catullo ricorre allo strumento della similitudine e paragona la quantità dei baci agli infiniti e incalcolabili granelli di sabbia del deserto e alle stelle del cielo (vv. 3-10). In realtà queste immagini iperboliche vantavano già illustri precedenti letterari: si pensi a Platone (Eutidemo, 294b; Fedro, 110a) e Callimaco (Inni IV, : si slanceranno [scil. i Titani] in numero pari agli astri, quando piú numerosi pascolano nel cielo). Tuttavia Catullo anche in questo caso riesce a piegare in forme del tutto personali uno spunto che avrebbe rischiato di apparire arido. In particolare il riferimento ai granelli di sabbia si dilata in un piccolo quadretto della Cirenaica, tratteggiato grazie a un abile procedimento di focalizzazione delle immagini e di definizione (di gusto prettamente alessandrino) dei particolari: dalla generica «sabbia africana» (Libyssae harenae, v. 3), all esornativo ma piú circostanziato lasarpiciferis Cyrenis (v. 4; il «silfio», lasarpicium, era una pianta fortemente odorosa, che produceva un succo resinoso ed era usata in cucina e in medicina, vedi Plinio, Storia della natura, XIX, 38), fino all oracolo «del torrido Giove» (v., Iovis aestuosi, cioè il tempio del dio egiziano Ammone, identificato con Zeus-Giove, che si trovava nell oasi di Siwah, al confine tra Libia ed Egitto) e alla tomba di Batto, collocata nella piazza di Cirene, di cui Batto era ritenuto il mitico fondatore (v. 6). Proprio quest ultimo richiamo rende scoperto l omaggio di Catullo a Callimaco, che era originario di Cirene e soprattutto si vantava di discendere da Batto (tale peraltro era anche il nome di suo padre): Catullo stesso in altri due carmi ricorda il poeta greco con il solo appellativo di «Battíade» (vedi carme 6, v. 16; 116, v. 2). La notazione erudita assume dunque l aspetto dell omaggio letterario e questo a sua volta considerando soprattutto la caratura letteraria del referente (Callimaco era considerato il maggiore poeta ellenistico greco) diviene un esplicita dichiarazione di poetica, concretizzata in versi di gusto schiettamente alessandrino: vi si manifestano infatti il gusto della variazione erudita del topos letterario, la predilezione per il particolare paesaggistico e geografico, la scelta di una dizione allusiva e ricercata. Ma Catullo non rinuncia alla reinterpretazio-

3 A3 ne personale del retaggio letterario e perciò, proprio quando si avvicina maggiormente a Callimaco riproponendone l immagine delle stelle (vedi sopra Inni, IV, 17 s.), crea un quadro di palpitante sospensione, con le stelle che furtivos hominum vident amores (v. 8), quasi animate spettatrici di uno spettacolo «furtivo», ma da esse stesse nobilitato. La parentesi delle similitudini si chiude ai vv con l accorata ripetizione di alcuni concetti-chiave del carme: tam multa (v. 9), a rimarcare il numero dei baci; basia basiare (v. 9), a sottolineare (con il ricorso all accusativo interno) il soggetto principale delle richieste; satis et super (v. 10), a comporre in forma circolare lo sviluppo del tema della sazietà di baci, introdotto al v. 2 con gli stessi termini. Proprio al v. 10, del resto, il poeta opera una raffinata variatio rispetto al v. 2, sostituendo al nome Lesbia e all aggettivo tuus (v. 2) il proprio nome (Catullo, v. 10) e soprattutto l aggettivo vesanus: il motivo dell intensità morbosa dell innamoramento e della passione, che può portare alla pazzia e alla malattia, diventerà poi topico negli elegiaci. Il carme si conclude (vv ) con l ulteriore riproposizione variata di un tema del carme, ossia l esigenza di proteggere i preziosi baci degli amanti dal funesto sguardo degli invidiosi (Catullo impiega l aggettivo malus nel carme, v. 12, e l aggettivo curiosus qui al v. 11). Il poeta non si limita a modificare il giro della frase, le strutture sintattiche e il lessico, ma introduce una sostanziale innovazione nella prassi della iettatura: nel carme il poeta si augura che nessuno conosca il numero dei baci (sul significato di questo verso, vedi vol. I, p. 21) ne quis malus invidere possit (v. 12), affinché in pratica non getti uno sguardo maligno sui due amanti; nel nostro carme invece i curiosi non dovranno riuscire a «contare» (pernumerare, v. 11) i baci, per non giungere a pronunciare il maleficio con la loro mala lingua (v. 12), strumento di un incantesimo verbale. CARME 87 Nulla potest mulier tantum se dicere amatam vere, quantum a me Lesbia amata mea est. Nulla fides ullo fuit umquam foedere tanta, quanta in amore tuo ex parte reperta mea est. Nessuna donna può vantarsi di essere stata amata cosí sinceramente, quanto la mia Lesbia fu amata da me. Nessun patto fu mai rispettato cosí fedelmente, come, per tutto il tempo che ti amai, io per conto mio l ho rispettato. Metro: distici elegiaci. Il carme 87 amalgama e sviluppa con concisa profondità i temi dell amore e del rispetto del patto tra gli amanti, che Catullo sviluppa anche nei piú noti carmi 7 a cui del resto si pensò pure di unire questi versi e 76 (vedi rispettivamente vedi vol. I, pp. 29 s. e pp. 26 ss.). Certo la prospettiva del nostro carme è ben lontana dalla focalizzazione dell ormai avvenuta frattura fra bene velle e amare, presente nel carme 7 (vv. 3 e 4), eppure anche in quel caso il poeta insiste sulla culpa di Lesbia (v. 1) e soprattutto sul rispetto dell officium (v.

4 Catullo A4 2) che la donna ha negletto. Al contrario la rivendicazione orgogliosa del proprio amore e soprattutto del rispetto del patto costituisce la base della preghiera rivolta dal poeta agli dèi nel carme 76 (fides e foedus ritornano accoppiati al v. 3, prima della menzione dell amore al v. 6): in entrambi i casi sia nei due distici del nostro carme, sia nel piú ampio giro di versi del carme 76 il motivo autoconsolatorio prende le mosse dalla rivendicazione del pieno adempimento, da parte del poeta, di tutti gli obblighi previsti dal rapporto amoroso. Il carme 87 dunque si inserisce appieno nel tessuto della poetica di Catullo, ma anche in tal senso descrive un episodio autonomo e a se stante della tormentata vicenda amorosa del poeta, una riflessione disincantata sulla sua profonda e sofferta esperienza. Tornano i concetti portanti della poesia catulliana e soprattutto si ripropone il tentativo di risemantizzare in ambito amoroso i capisaldi della morale romana, che il poeta aveva del resto rifiutato di ossequiare in sede politica: la fides diviene allora rispetto del patto che lega i due amanti e non piú tradizionale principio di coesione morale e sociale che il civis Romanus era tenuto a rispettare (è sintomatico in tal senso che alla Fides fosse stato dedicato un tempio a Roma sin dal 20 a.c.). Catullo rivendica la sua purezza e la sua fedeltà assoluta al «patto d amore» (il foedus, scil. amoris, del v. 3), il suo abbandono e la sua completa dedizione a Lesbia (al punto che lei è stata amata da lui come nessun altra donna può dire di essere mai stata amata da un uomo; vedi vv. 1-2): l amore di un tempo diviene ora struggente ricordo, in un presente che impone a Catullo la necessità di recuperare la propria dignità. Quasi a formalizzare questo tentativo di esternazione (e distanziamento) del sentimento, il poeta non ricorre mai alla prima persona e sceglie piuttosto di focalizzare il proprio discorso su due soggetti in terza persona: la mulier (v. 1) del primo distico e la fides (v. 3) del secondo distico. Del resto il poeta non può tacere la forte componente individuale e personale della propria rivendicazione (a me, v. 2; mea, ripetuto in clausola ai vv. 2 e 4), ma soprattutto tradisce il tentativo mai sopito di ripristinare un dialogo con Lesbia, poiché l aggettivo tuus (v. 4, in amore tuo) rompe la neutralità della terza persona fin qui adottata. CARME 86 Quintia formosa est multis. Mihi candida, longa, recta est: haec ego sic singula confiteor. Totum illud formosa nego: nam nulla venustas, nulla in tam magno est corpore mica salis. Lesbia formosa est, quae cum pulcherrima tota est, tum omnibus una omnis surripuit Veneres. A giudizio di molti Quinzia è bella; per me è longilinea, ha carnagione bianca e bel portamento. Le concedo queste doti, singolarmente, ma non le concedo di essere, nel complesso, la bella che dicono: non c è grazia, non c è in quella donna d ampie forme neppure un grano di sale. Lesbia sí che è bella, lei che è bellissima tutta nell insieme, lei da sola ha rubato a tutte le altre ogni loro attrattiva.

5 A Metro: distici elegiaci. Ameana (vedi carmi 41 e soprattutto 43, vol. I, p. 264) non aveva alcuna particolare dote fisica (anzi tendeva al brutto) e per giunta si accompagnava al «bancarottiere di Formia» (carme 41, v. 4; carme 43, v. ), il tanto odiato Mamurra, eppure i provinciali osavano persino definirla «bella» (carme 43, v. 6: ten provincia narrat esse bellam?). Quinzia (forse la sorella dell amico Quinzio, anch esso di Verona e ricordato nei carmi 82 e 100) ha, al contrario, alcune doti di indubbia attrazione, poiché è slanciata (anche Properzio conferma che l altezza era un elemento di bellezza per la donna, vedi Elegie, II, 2, -6), longilinea e ha carnagione bianca: in pratica possiede le qualità afferenti al canone di bellezza del tempo (vedi Orazio, Satire, I, 2, 123; Ovidio, Amori, II, 4, 33; III, 3, 8; Properzio, Elegie, II, 34, 46). Tuttavia a Quinzia manca la bellezza totale (v. 3: Totum illud formosa nego), le manca quel quid che le consenta di risultare affascinante, poiché lei in fondo risulta afflitta da una sostanziale insipienza (v. 4: nulla mica salis, dice argutamente il poeta). Come nel caso di Ameana, pure Quinzia non può che soccombere nel confronto con Lesbia, nel nome della quale si chiude anche questo carme: Lesbia, oltre a essere bellissima, ha modi raffinati e brillanti, cultura e buon gusto, ma soprattutto possiede quell intelligenza, quella grazia e quello spirito, che la distinguono da tutte le altre donne. Lesbia è la sola donna formosa e pulcherrima tota (v. ), la sola a incarnare ogni bellezza fisica e ogni qualità dell animo, insomma la sola a detenere la bellezza totale: la climax instaurata tra i due aggettivi del v. culmina con l iperbole del v. 6, giocata sulla contrapposizione della «sola» (una) Lesbia a «tutte» (omnis) le altre donne, a cui Lesbia ha rubato «tutte le attrattive» (omnis Veneres, con metafora pregnante). I carmi di Ameana (carme 43) e Quinzia (carme 86) forniscono quindi, al di là dei contenuti intrinseci a ciascuno di essi (e a ciascuna di esse), elementi di un unico discorso vertente sulla figura di Lesbia. In forme ora velatamente contrastive (Lesbia possiede ciò che Ameana non ha) ora marcatamente cumulative (Lesbia ha le bellezze di Quinzia e ben altre ancora), con accenni sarcasticamente interrogativi (carme 43, v. 7: tecum Lesbia nostra comparatur?) o con affermazioni iperbolicamente piane (carme 86, vv. -6), il poeta fornisce altri particolari sull avvenenza della donna che amò tanto, ma di cui non fece mai un ritratto diretto, garantendone cosí forse ancor meglio il fascino imperituro.