CASSAZIONE CIVILE - Sezione Lavoro, Sentenza n del 2 ottobre 2008

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1 CASSAZIONE CIVILE - Sezione Lavoro, Sentenza n del 2 ottobre 2008 IL CLAMORE DI UN INDAGINE NON GIUSTIFICA IL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE MEDICO Il dipendente può esser licenziato per fatti che costituiscono reato anche prima che la sua colpevolezza sia accertata in sede penale. Tuttavia la sola circostanza che egli sia indagato per un grave reato e l'indagine abbia suscitato clamore non può integrare giusta causa di licenziamento, in applicazione dei principi di garanzia derivanti dagli artt. 24 e 27 Cost., i quali assumono ancora maggior rilievo quando si tratti di reati commessi al di fuori del rapporto di lavoro e addirittura prima della sua costituzione, essendo molto difficile che, in tali casi, il datore di lavoro abbia elementi per valutare la fondatezza delle accuse. Il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, sancito dalla Carta Costituzionale, concerne le garanzie relative all'attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all'esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa altresì integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna. Ma deve anche ricordarsi che il giudice davanti al quale sia impugnato un licenziamento disciplinare intimato per giusta causa a seguito del rinvio a giudizio del lavoratore con l'imputazione di gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto fiduciario - ancorché non commessi nello svolgimento del rapporto - deve accertare l'effettiva sussistenza dei fatti riconducibili alla contestazione, idonei ad evidenziare, per i loro profili soggettivi ed oggettivi, l'adeguato fondamento di una sanzione disciplinare espulsiva, mentre non può ritenere integrata la giusta causa di licenziamento sulla base del solo fatto oggettivo del rinvio a giudizio del lavoratore e di una ritenuta incidenza di quest'ultimo sul rapporto fiduciario e sull'immagine dell'azienda. omissis Svolgimento del processo 1. Al Dott. S.I., assunto nell'aprile X. dalla AUSL n. X. quale dirigente medico nel settore della cardiologia invasiva, con rapporto di lavoro espressamente qualificato dalle parti come subordinato ed assoggettato al CCNL della dirigenza medica, venne revocato l'incarico con Delib. 12 marzo 2001, con la motivazione che egli era stato sospeso dal servizio il precedente X., a seguito di provvedimento restrittivo emesso nei suoi confronti dall'autorità giudiziaria, e che, in relazione ai fatti così determinatisi, alle circostanze emerse ed al rilievo anche nazionale della vicenda, era venuto meno l'imprescindibile rapporto di fiducia che deve necessariamente legare un'azienda sanitaria ad un professionista incaricato di funzioni particolarmente delicate come quelle del S.. 2. Questi impugnò il licenziamento deducendo, per quanto di rilievo, che esso mancava di giusta causa e chiedendo una pronunzia di riammissione in servizio, nonché la condanna della convenuta al risarcimento del danno. 1

2 L'azienda, costituitasi a resistere, dedusse che la decisione di revocare l'incarico era stata determinata dall'imputazione di corruzione continuata commessa dal X. e fino ad epoca recente, elevata nei confronti del sanitario. 3. L'impugnazione del recesso, rigettata dal primo giudice, è stata accolta dalla Corte d'appello, che, dichiarato illegittimo il recesso, ha negato la riammissione ed il risarcimento del danno, ed ha condannato l'azienda al pagamento della indennità di mancato preavviso, pari ad 8 mensilità di retribuzione, e dell'indennità supplementare, pari a 17 mensilità, compensando le spese del doppio grado. 4. La Corte di merito riferisce che in data 22 febbraio 2001 l'ausl X. aveva avuto formale conoscenza delle indagini a carico del S., per corruzione continuata, dal 1990 fino ad epoca recente, per avere, quale responsabile di una clinica universitaria, favorito un'impresa fornitrice di presidi medico chirurgici in cambio di somme di denaro e altri benefici personali. All'interno dell'ospedale era stata infatti eseguita una perquisizione, mentre un comunicato stampa della Procura della Repubblica, di Firenze, aveva informato che il sanitario era stato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari. 5. La Corte riferisce ancora che, nella stessa data, l'azienda aveva provveduto a sospendere il S. e che al momento del recesso non era ancora stato disposto il rinvio a giudizio del sanitario, la cui comunicazione risaliva al 5 giugno 2001 ed era pervenuta all'azienda il successivo 11 giugno. 6. Sulla base di tali premesse, la Corte di merito ha ritenuto che il licenziamento al momento della sua intimazione fosse privo di giusta causa, in base a considerazioni così riassumibili In base all'art. 29 del CCNL 5 dicembre 1996, non modificato dal successivo CCNL 8 giugno 2000, la sospensione del dirigente sanitario sottoposto a misura restrittiva della libertà personale conserva efficacia, se non revocata, per un periodo non superiore a cinque anni. Quindi il S. restava sospeso dall'incarico, anche dopo il 9 marzo 2001, data di revoca degli arresti domiciliari Il dipendente può esser licenziato per fatti che costituiscono reato anche prima che la sua colpevolezza sia accertata in sede penale. Tuttavia la sola circostanza che egli sia indagato per un grave reato e l'indagine abbia suscitato clamore non può integrare giusta causa di licenziamento, in applicazione dei principi di garanzia derivanti dagli artt. 24 e 27 Cost., i quali assumono ancora maggior rilievo quando si tratti di reati commessi al di fuori del rapporto di lavoro e addirittura prima della sua costituzione, essendo molto difficile che, in tali casi, il datore di lavoro abbia elementi per valutare la fondatezza delle accuse Nel caso di specie, alla data del licenziamento la AUSL disponeva degli scarni elementi sopraindicati e non poteva d'altra parte fondare il recesso su indiscrezioni o illazioni giornalisti che, Né, del resto, essa aveva mai sostenuto di aver acquisito autonomamente elementi di colpevolezza del sanitario Inoltre, tenendo conto della clausole collettive circa la sospensione dal servizio, l'azienda non aveva fornito alcuna dimostrazione dell'impossibilità di tollerare una sospensione del sanitario protratta quantomeno per taluni mesi. Né, d'altra parte, la previsione, contenuta nello stesso art. 29 del CCNL, della riammissione in servizio e della ricostruzione di carriera del sanitario 2

3 licenziato per fatti di rilievo penale e poi assolto, poteva fornire argomenti in favore di una affrettata e non ponderata "revoca" del medico indagato. 7. Circa le conseguenze del recesso, la Corte di merito, negato - come già detto il diritto del S. alla riammissione in servizio ed al risarcimento, ha ritenuto che il rinvio contrattuale alla disciplina collettiva per l'area della dirigenza sanitaria consentisse di attribuire al S. l'indennità supplementare da determinarsi nella misura di 17 mensilità, così elevate dalla misura minima di 10 mensilità in ragione dell'età del sanitario, e da cumulare con l'indennità di mancato preavviso, determinata in otto mensilità di retribuzione, in ragione della anzianità di servizio del S.. 8. La Corte ha infine considerato che l'esito complessivo della lite giustificasse la compensazione integrale delle spese del doppio grado. 9. La AUSL X. chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di tre motivi di ricorso. Il S. resiste con controricorso contenente anche ricorso incidentale per un motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 10. Con il primo motivo di ricorso è denunziata violazione o, comunque falsa applicazione dell'art c.c., in comparazione con il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 91. Violazione o comunque falsa applicazione dell'art. 35 del CCNL per l'area della dirigenza sanitaria e dell'art. 29 dello stesso contratto collettivo. Illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Si addebita anzitutto alla sentenza impugnata di aver fatto confusione tra il potere di recesso e il potere di sospensione cautelare, senza considerare la loro diversa funzione e la loro conseguente non sovrapponibilità, dimostrata, fra l'altro, dalla clausola contrattuale (art. 29 CCNL) sulla riammissione in servizio del dirigente licenziato e poi definitivamente assolto in sede penale. Si addebita, inoltre, alla sentenza di avere, contraddittoriamente, liquidato al S. le competenze spettategli in relazione alla cessazione del rapporto pur affermando che la sospensione avrebbe potuto prolungarsi per un quinquennio, mentre, annullato il licenziamento, la sentenza avrebbe dovuto dichiarare la reviviscenza dello stato di sospensione senza procedere alla liquidazione di indennità che presuppongono la definitiva cessazione del rapporto. 11. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha premesso che il S. era stato sospeso il 22 febbraio 2001, perché sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, che questi ultimi erano stati revocati il 9 marzo 2001 e che licenziamento era stato intimato il 12 marzo Ha quindi osservato che l'art. 29 del ccnl prevede la sospensione obbligatoria del dipendente sottoposto a misura restrittiva, che tale sospensione mira fra l'altro ad evitare il disagio derivante dalla presenza in servizio di chi sia sospettato di gravi reati, e che essa mantiene efficacia, se non revocata, per un periodo non superiore a cinque anni. Tali premesse hanno condotto la Corte a considerare intempestivo il licenziamento, non avendo l'azienda dato la prova di non poter sopportare, per ragioni organizzative, una sospensione pro- 3

4 lungata, senza che d'altra parte avesse rilievo la clausola del medesimo art. 29 sulla riammissione in servizio del dirigente licenziato e poi definitivamente assolto. Contrariamente a quanto affermato nel motivo in esame, così giudicando la sentenza non ha affatto sostenuto in termini generali, l'alternatività fra sospensione e licenziamento, confondendo e sovrapponendo le due discipline, ma ha valutato le regole contrattuali concernenti la sospensione come idonee a tutelare, nel caso concreto, l'interesse dell'azienda senza necessità per questa di recedere dal rapporto, traendone la conseguenza che la situazione, nei termini in cui essa si configurava al momento del licenziamento, rendeva quest'ultimo intempestivo, disponendo l'azienda di un diverso mezzo a tutela del proprio interesse ad allontanare il sanitario. Il secondo profilo del motivo è parimenti infondato. La Corte di merito ha infatti escluso che dalla illegittimità del recesso potesse derivare il diritto del - sanitario alla riammissione in servizio, giudicando tale conseguenza non compatibile con le regole specifiche in tema di rapporto di lavoro del dirigente pubblico, aderendo del resto ad una tesi della stessa AUSL, come emergente dalle conclusioni riportate in sentenza. Non è dato comprendere quindi né in qual modo la Corte avrebbe potuto negare al sanitario le competenze di fine rapporto, né perché il riconoscimento di tali competenze contrasti con la tesi che, potendosi procedere alla sospensione del dipendente in attesa della conclusione del giudizio penale e comunque nei limiti temporali previsti dal contratto, e non essendo dimostrata né allegata l'impossibilità organizzativa di far fronte a tale evenienza, il recesso doveva esser considerato prematuro rispetto alla situazione esistente all'epoca in cui era stato intimato. 12. Con il secondo motivo di ricorso è denunziata omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione ai presupposti determinativi della giusta causa e correlativamente violazione o, comunque, falsa applicazione dell'art c.c., e dell'art. 35 del CCNL della dirigenza sanitaria. Si addebita alla sentenza impugnata di aver valutato in termini riduttivi i fatti che avevano condotto al licenziamento e, in particolare, di avere postulato che essi avessero carattere extralavorativo, in contrasto con il comunicato della autorità inquirente che parlava di azioni continuate anche alla data attuale. 13. Con il terzo motivo di ricorso è denunziata violazione o comunque falsa applicazione dei principi dell'ordinamento del lavoro in materia di recesso dal rapporto per giusta causa, al verificarsi di gravi eventi delittuosi. Omessa motivazione sul dato del venir meno del rapporto fiduciario. Violazione dell'art c.c., dell'art. 35, anche in relazione all'art. 29, del CCNL per l'area della dirigenza sanitaria. Si addebita alla sentenza impugnata la valutazione parziale e riduttiva della fattispecie, la sottovalutazione del carattere professionale e dirigenziale del rapporto, particolarmente caratterizzato dall'elemento fiduciario, la mancata considerazione che i fatti addebitati erano stati compiuti dal S., sia pure in diverso presidio, proprio in relazione alla funzione di dirigente della Divisione Emodinamica, ossia alla medesima funzione ricoperta presso la AUSL di X., la inadeguata valutazione delle norme collettive regolatrici della materia, ossa degli artt. 35 e 29 del ccnl della dirigenza sanitaria. 4

5 14. I due motivi, dei quali, per la loro stretta connessione, è opportuno l'esame congiunto, sono infondati La sentenza ha accertato che le condotte addebitate al S. erano state commesse al di fuori del rapporto di lavoro con la AUSL e addirittura prima della costituzione di tale rapporto. - Questo accertamento non viene efficacemente censurato dalla parte ricorrente, la quale si limita a mettere in rilievo che, dal comunicato della Procura fiorentina, emergeva invece che le a- zioni commesse sarebbero perdurate ancora alla data attuale, affermazione che non equivale affatto a dire che si trattava di condotte realizzate nell'ambito del nuovo rapporto ed in danno della AUSL di X.. Del resto nello stesso ricorso (p. 31) si da atto che i fatti erano stati "posti in essere fuori del rapporto in questione" L'identità del ruolo rivestito dal S. presso la USL e quello che gli aveva consentito gli illeciti penali addebitatigli, non è circostanza che di per sé faccia presumere la commissione di analoghi illeciti presso il nuovo datore, sicché non ha fondamento la censura, mossa alla sentenza, di non averne tenuto conto nella valutazione della lesione del vincolo fiduciario La Corte ha accertato che il rapporto fra il S. e la AUSL era stato qualificato dai contraenti come di lavoro subordinato, con esplicito assoggettamento alle norme del CCNL. La ricorrente chiede ora, se non proprio una diversa qualificazione del rapporto, almeno una diversa interpretazione della volontà delle parti circa la particolare rilevanza da esse conferita al vincolo fiduciario e, nel terzo motivo in specie, censura la sentenza per non aver valutato la vicenda non solo alla luce della nozione di giusta causa ex art c.c., ma anche di giustificatezza del recesso, trattandosi di rapporto di lavoro dirigenziale. Si tratta tuttavia di una proposta interpretativa della volontà delle parti non veicolata dalla denunzia di violazione di specifici canoni ermeneutici e non corredata dal pertinente testo del contratto intercorso fra le parti, e quindi inammissibile. Quanto alla valutazione del recesso sotto il profilo della sua giustificatezza, la sentenza, come detto, ha accertato che le parti avevano rinviato al CCNL dell'area della dirigenza sanitaria, il quale disciplina nell'art. 35 il recesso dell'azienda o dell'ente per giusta causa, non menzionando invece la diversa ipotesi cui la ricorrente fa riferimento. Quindi la censura, anche a prescindere dai profili di inammissibilità per la sua sostanziale novità rispetto al dibattito svoltosi nei gradi di merito, è da ritenersi non fondata, non rientrando la giustificatezza tra i parametri di legittimità del recesso in esame Quanto all'addebito di inadeguata motivazione sul venir meno del rapporto fiduciario e sulla conseguente violazione dell'art c.c., e dell'art. 35 del CCNL per l'area della dirigenza sanitaria, anche in relazione all'art. 29, dello stesso contratto, premesso che la norma contrattuale per quanto rileva, riproduce sostanzialmente la formula dell'art c.c., stabilendo che la giusta causa consiste in fatti e comportamenti anche se estranei alla prestazione lavorativa di gravità tale da non consentire la prosecuzione sia pure provvisoria del rapporto di lavoro, la AUSL ricorrente, richiamando anche la previsione dell'art. 29 del ccnl, chiede in definitiva che venga convalidato il - principio secondo cui il solo fatto che l'autorità giudiziaria abbia contestato ad un dipendente con qualifica dirigenziale, un grave reato, commesso in precedente analogo rapporto di lavoro con altro datore, disponendo misure restrittive della libertà personale, e che la 5

6 vicenda abbia avuto ampio risalto giornalistico, costituisca giusta causa di risoluzione del rapporto. In proposito deve osservarsi che la giurisprudenza di questa Corte è orientata a ritenere che il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva sancito dall'art. 27 Cost., comma 2, concerne le garanzie relative all'attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all'esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa altresì integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna. Ma deve anche ricordarsi che - come la stessa giurisprudenza precisa- il giudice davanti al quale sia impugnato un licenziamento disciplinare intimato per giusta causa a seguito del rinvio a giudizio del lavoratore con l'imputazione di gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto fiduciario - ancorché non commessi nello svolgimento del rapporto - deve accertare l'effettiva sussistenza dei fatti riconducibili alla contestazione, idonei ad evidenziare, per i loro profili soggettivi ed oggettivi, l'adeguato fondamento di una sanzione disciplinare espulsiva, mentre non può ritenere integrata la giusta causa di licenziamento sulla base del solo fatto oggettivo del rinvio a giudizio del lavoratore e di una ritenuta incidenza di quest'ultimo sul rapporto fiduciario e sull'immagine dell'azienda. (Cass /2003; sostanzialmente conforme, Cass. 3243/1988, la quale puntualizza che al giudice civile, a seguito dell'impugnazione del licenziamento, rimane riservato il controllo ex post in ordine alla sussistenza del fatto addebitato al lavoratore salva - ove venga iniziata l'azione penale e la cognizione del reato influisca sulla decisione della controversia civile - la necessaria sospensione del processo civile). La sentenza impugnata si è sostanzialmente conformata a questi principi, avendo messo in evidenza che al momento dell'intimazione del recesso, avvenuta peraltro quando il S. non era ancora stato rinviato a giudizio, l'azienda, che oltretutto non aveva mai sostenuto di aver autonomamente acquisito elementi a carico del dipendente, non disponeva - né avrebbe potuto disporre, trattandosi di fatti commessi nell'ambito di un precedente - di alcun dato per vagliare la fondatezza delle accuse, sicché in sostanza aveva licenziato il sanitario in forza della sola circostanza che questi era stato sottoposto ad indagine penale e che la vicenda aveva suscitato clamore. Si comprende quindi, in tale contesto, il richiamo fatto dalla Corte di merito alle opportunità offerte all'azienda dalla sospensione dal servizio, considerando che, proprio nella prospettiva del - necessario contemperamento fra diritto di difesa del lavoratore e diritto del datore di lavoro di non veder precluso l'esercizio del recesso per il ritardo nella contestazione degli addebiti, collegato alle vicende del giudizio penale, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che ai fini dell'accertamento della sussistenza del requisito della tempestività del licenziamento, in caso di intervenuta sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento penale, la definitiva contestazione disciplinare ed il licenziamento per i relativi fatti ben possono essere differiti in relazione alla pendenza del procedimento penale stesso (Cass /2003 cit.; conf. 4502/2008). In definitiva anche il motivo in esame è infondato. 6

7 15. Con l'unico motivo del ricorso incidentale il S. denunzia violazione dell'art. 92 c.p.c., e si duole che la Corte territoriale abbia compensato, senza motivazione, le spese dei due gradi di giudizio. 16. Il motivo è infondato perché la Corte territoriale, lungi dal decidere la compensazione senza ragione alcuna, ha fatto esplicito riferimento all'esito complessivo del giudizio, nel quale il S. era rimasto totalmente soccombente in primo grado ed era stato solo parzialmente vittorioso in appello. 17. In conclusione, vanno rigettati entrambe i ricorsi. Quanto alle spese la Corte, valutata la particolarità della vicenda, ne ritiene opportuna la compensazione integrale. P.Q.M. Riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese del giudizio. Così deciso in Roma, il 28 maggio Depositato in Cancelleria il 2 ottobre

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